AFORISMA

Meglio aggiungere vita ai giorni, che non giorni alla vita
(Rita Levi Montalcini)

Nostra Signora del Carmelo

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colei che ci ha donato lo scapolare

giovedì 2 febbraio 2012

LA FEDE COME ANTIDEPRESSIVO

La mia cara amica - sorellina spirituale - Nelly Irene Zita Garcia, nonché ottima psicologa, mi ha concesso l'onore di pubblicare su questo sito un suo trattato dal titolo:"la fede come antidepressivo". Da tempo ne ero in possesso, ma non avevo ancora avuto la sua approvazione. Poiché questo blog ha come principio deontologico, quello di non pubblicare nulla se non sia stata concessa approvazione dall'autore, finalmente ho ricevuto l'imprimatur!

La Fede: potrebbe essere un antidepressivo per l’uomo?

La Fede come può essere definita, in questi tempi?
Come può essere riconosciuta La Fede, in questa contemporaneità?
Così formulata una domanda sulla Fede, potrebbe accadere che le risposte esplicitate potrebbero essere di due tipi, e magari opposte: c’è chi potrebbe replicare che le interrogazioni sono banali, oppure qualcuno potrebbe contestare che forse non è semplice rispondere solo con due parole.

Certamente tutto dipende anche a chi è rivolto tale interrogativo.
E noialtri come laici, che risposta possiamo trovare dentro di noi, quando c’interro-ghiamo sulla nostra Fede?

Credo che non si potrebbe dare risposta esauriente con un solo pensiero o frase.

Per rispondere sentiremo, senz’altro, il bisogno di supporre un’analisi minuziosa di tutte quelle emozioni, che ci trasportano nei nostri vissuti, le quali, concatenandosi l’una dietro all’altra, ci porterebbero lentamente ad ampliare e scoprire dentro di noi un tesoro inestimabile, quello che Santa Teresa D’Avila, ha definito “Diamante”.
Nel caso noi scegliessimo d’inoltrarci volontariamente in questa ricerca, noi – inteso come “uomo laico”–, riusciremo a cogliere particolari e sfumature dell’esistenza così importanti, che esse diventerebbero il punto nodale della propria esistenza.
“L’uomo laico”, in passato ed anche il contemporaneo, è alla continua ricerca di serenità, di felicità, di appagamento; ma se solo egli guardasse con occhi diversi quello che già è dentro di lui, scoprirebbe che in lui esiste, ormai, quell’elisir, quel tesoro; ma deve saper scorgerlo e riconoscerlo, nella propria Fede.

La Fede c’è donata dal momento in cui veniamo concepiti: i nostri genitori deposi-tano su noi sogni, speranze, credenze; dal momento in cui iniziamo ad interagire con i nostri genitori – e quando parlo di relazione, non intendo dire solo quella intenzionale e razionale, ma già fin da quella relazione caratterizzata dall’istintività. La certezza di avere una risposta appagante ad un istinto di sopravvivenza – come per esempio quel-lo della fame – ci porterà da piccoli ad avere fede, ed, ancora un’altra volta, quella risposta appagante ci sazierà quando quell’istinto si sveglierà.

L’uomo impara così, a gradi, maturando lentamente e acquisendo un suo bagaglio, interagendo con sé e l’altro, passando da un tipo d’apprendimento concreto ad uno astratto, da un tipo di rapporto individualistico a quello relazionale, dall’amore per sé per poi imparare ad amare l’altro.
L’uomo con il dono dell’intelligenza arriva lentamente a porsi il problema di come arrivare alla sua indipendenza, alla propria autonomia. Autonomia ed indipendenza che riguardano non solo il proprio fisico ma anche quella parte di sé psicologica, mo-rale, spirituale, quella parte che non si vede, ma, si sente che c’è, che esiste e non si può negare.
Capita che durante la crescita– per le avversità della vita, oppure per i con-flitti che accompagnano la sua maturazione –, l’uomo sia distolto dal suo tesoro interiore, e giunga, qualche volta, al punto di non saperlo neppure riconoscere.
Così come capita anche che l’uomo arrivi di solito ad un momento in cui si ferma e alla fine riesce ad intravedere quello che cercava fuori, con spasmodica ansia, dentro di sé, scoprendosi così allo stesso momento “tempio”, in cui è custodito il rapporto con un amico speciale ed unico, Cristo, tesoro da salvaguardare.

È il momento più bello della percezione intima, da parte dell’uomo, di questa sua maturazione. È il momento in cui la Luce illumina il suo volto, le penombre ed ombre si attenuano, tutto quel mondo, quel tesoro emerge e lui si sente un uomo nuovo.
È il momento in cui dentro di sé sente che c’è, che esiste un meccanismo propulsore, grande, che le sprigiona una forza tale per affrontare la propria vita con maggiore consapevolezza con Amore, Dignità, Carità, Onestà e con quello che fino a poco tempo fa non pensava che fosse così saldo in lui, vale a dire la sua Fede.

I rapporti con le persone cambiano, non si è così apparentemente indifferenti; il rap-porto con la natura cambia: tutto diventa testimonianza di una bellezza Divina mai sentita prima, ogni gesto, ogni evento diventa quello che realmente è, vale a dire Amore per la vita umana, e tale deve essere considerata.
La vita cambia colore, ogni sguardo che incontri è Amore; ogni gesto che offri ti è contraccambiato, tutto ha un profumo impregnato di bontà. Tutti i giorni sono pieni di speranza: anche quando cadi, sai che ti puoi rialzare.
Sei cosciente del perché devi lottare: lo devi fare non solo per la tua sopravvivenza fisica ma anche per quella spirituale, perché adesso sei anche tu artefice della tua felicità, della tua serenità. Sei tu che devi saper continuare dentro di te a lavorare per quella grand’opera che ti è stata affidata, donata, vale a dire la tua stessa vita e quella degli altri e alla quale tutti partecipano.

La consapevolezza che in tutti noi, che in ogni uomo, c’è un tesoro, e che noi stessi siamo dei tesori per gli altri, ciò ci fa sentire “Esseri Amati”, colmi d’Amore, prima di tutto da quel gran bene prezioso che è Dio e poi dai nostri simili, che, come cristiani, chiamiamo, fratelli.

Osservando, tuttavia alcune aree della nostra società, si avverte una mancanza della consapevolezza del sentirsi amati, rispettati, riconosciuti. L’individualismo alcune volte prende il sopravvento, l’anonimato delle persone sembra regnare, la violenza sembra l’unica forma di affermarsi. Tutto ciò avvolge l’uomo in un “male oscuro”, che lo paralizza, lo annienta, l’incupisce, lo svilisce: in altre parole lo circoscrive come “uomo depresso.”.

Tornando, allora, alle domande iniziali, potremo tentare di rispondere anche in questa maniera: la presa di coscienza della propria Fede è, per l’uomo contemporaneo, anche un modo sano di affrontare attivamente la quotidianità, e non essere depresso. La certezza d’essere colmi d’Amore, di un Amore incommensurabile qual è Dio, di essere parte integrante del Progetto Divino, ti fa organizzare la tua vita con coerenza intorno a questi punti cardini della tua Fede – Amare ed essere Amato –, e questo è sufficiente per trasformarti in un “uomo vivo”, che naviga in quel mare d’Amore divino.

Chi sa: se l’uomo fosse capace di vedere ed essere più consapevole di questo Amore, ciò forse potrebbe farlo sentir meno solo. Non sarebbe anzi così solo, e la sua vita sarebbe colma anche d’emozioni, sensazioni e relazioni piacevoli, gratificanti, che lo porterebbero a sentirsi parte integrante di quel Progetto Divino dal quale anche lui può attingere, partecipare per elevarsi, migliorarsi come Uomo; e con Fede portare avanti il suo compito: testimoniare con i suoi gesti ed azioni ciò che per lui rappre-senta la Fede Cristiana, ponendo al centro della sua vita Dio e non il suo "io".



                                                                                     Nelly Irene Zita Garcia

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