AFORISMA

Meglio aggiungere vita ai giorni, che non giorni alla vita
(Rita Levi Montalcini)

Nostra Signora del Carmelo

Nostra Signora del Carmelo
colei che ci ha donato lo scapolare

mercoledì 27 settembre 2023

DUE MESI DOPO IL COLPO DI STATO E IL SAPORE DELLA LIBERTÀ di Padre MAURO ARMANINO

 

                         Due mesi dopo il colpo di stato e il sapore della libertà

Era il mercoledì 26 luglio quando l’inattesa chiamata sul cellulare di un giornalista italiano sconosciuto chiedeva com’era la situazione in città dopo il colpo di stato. Sorpreso dalla notizia all’ora di pranzo non è stato difficile appurare la veridicità della notizia tramite le agenzie informative nazionali e internazionali. Era tutto vero perché Il presidente riconosciuto era fatto prigioniero dalla guardia presidenziale a casa sua, assieme alla moglie e al figlio. La giunta militare che ha preso il potere annunciava la sua destituzione come condizione per la salvaguardia della patria messa in pericolo, secondo gli autori del golpe, dal regime deposto. Concitate le reazioni nazionali e soprattutto internazionali che accusavano i putschisti di un colpo di stato di ‘troppo’ nel Niger, abituato a questo sistema di riavvii atipici della vita democratica e politica del Paese. Da allora passano i giorni tra sanzioni economiche, frontiere chiuse alle mercanzie e alle persone che comunque e di frodo le attraversano con mezzi di fortuna e onerosi sistemi di arrangiamento con militari e doganieri. In città è lo stadio nazionale che raccoglie migliaia di simpatizzanti della giunta e soprattutto la marea umana che ha invaso, pacificamente finora, i dintorni della base dove sono stazionati i militari francesi e di altre nazionalità. Quanto ai militari degli Stati Uniti si trovano attualmente presso l’aeroporto di droni di Agadez, a un migliaio di chilometri della capitale, verso il deserto.

Pochi giorni dopo il colpo di stato una parte dei cittadini europei, sospettando il rischio di un attacco armato dall’esterno, è stata invitata dai propri Paesi ad evacuare Niamey. Diverse centinaia di stranieri occidentali, per misura precauzionale, sono tornati nei rispettivi Paesi di origine e nel frattempo, dopo la scelta di un nuovo primo ministro, è stata la volta dell’installazione di un nuovo governo. Da allora passano i giorni e succede che, presi come si è dalla sopravvivenza, ci si dimentica di trovarsi in un regime di eccezione militare. Ci si abitua all’incertezza e alla precarietà perché entrambe, degne figlie della polvere e della sabbia, erano già presenti nel quotidiano dei cittadini. Che per alcune ore ogni giorno manchi la luce, salgano i prezzi del necessario per nutrirsi, si complichi la vita per i genitori che devono provvedere per la scuola dei figli, non si sappia cosa riservi il domani, tutto ciò era parte del bagaglio del cittadino comune. Col tempo ci si adatta al colpo di stato e, segno evidente di apparente normalizzazione, il Paese bruscamente scompare dalle prime pagine delle notizie di agenzia e si passa ad altre cronache e notizie più avvincenti. La caparbia capacità di resistere del popolo non merita menzione alcuna da parte dei media più influenti che, con poche eccezioni, sono pagati per essere al servizio dei potenti e dei loro interessi. Com’è noto, il verbo resistere solo si può coniugare al tempo presente ed è ciò che la gente ha imparato da allora.


Siamo a due mesi dal colpo di stato che si organizza per durare nel tempo. Nel frattempo, si registrano arresti di ex ministri del regime precedente e dall’esecuzione di campagna di smascheramento dei crimini economici perpetrati negli anni passati. Erano gli anni del ‘rinascimento’ e degli slogan dove i ‘nigerini che nutrono i nigerini’ andava di moda, così come gli hotel di lusso e l’Africa del mercato unico. Libera volpe in libero pollaio e libere bandiere del Niger che sventolano sui tricicli al suono delle trombe di plastica che accarezzano il sapore, amaro, della libertà.

                  Mauro Armanino, 26 settembre 2023

mercoledì 20 settembre 2023

IL "NUNCA MÁS" NEL DESERTO DEL SAHARA di Padre MAURO ARMANINO


                            
Il ‘Nunca más’ nel deserto del Sahara

Mai più. Recitava il titolo del rapporto sui ‘desaparecidos’ della guerra ‘sporca’ in Argentina negli anni ’70. Il documento in questione metteva in evidenza i nomi delle vittime, il sistema organizzato di prigionia, il tipo di tortura inflitto ai ‘dissidenti’ del regime militare che aveva preso il potere nel Paese. Migliaia di persone ‘scomparse’ da casa, dal lavoro, in strada, nelle scuole o università avevano trovato un ultimo e definitivo eco nel rapporto citato. Mai più (Nunca mas) era intitolato come per affermare solennemente che quanto accaduto non avrebbe più dovuto riprodursi nel futuro. Purtroppo gli scomparsi continuano a perpetuare le liste nelle frontiere dove la mobilità umana sembra incompatibile con la marcia della globalizzazione. Soldi, mercanzie, giocatori di calcio, diplomatici, turisti e commercianti possono viaggiare e spostarsi liberamente e felicemente. Per chi è nato ‘dalla parte sbagliata’, come ricordava una vecchia canzone di Jean Jacques Goldman, è destinato, d’ufficio, a scomparire e, se possibile, senza lasciare tracce alcuna.

Da anni, ormai, siamo stati testimoni di queste quotidiane sparizioni di migranti nel deserto di sabbia e nel deserto di mare. Tra i due non c’è soluzione di continuità perché il primo e ‘frontale’ deserto si trova nel cuore del sistema stesso, nato per escludere chi non è nato ‘dalla parte giusta’ del mondo. Si è creata una sorta di complicità tra i processi di esternalizzazione delle frontiere europee e le politiche dei Paesi del Maghreb. I controlli delle frontiere, le espulsioni e deportazioni più in là, in pieno deserto verso il Paese confinante, hanno, in questi anni, prosperato anche grazie alle comuni politiche di ‘collaborazione’ nella gestione delle migrazioni. Gli scomparsi a volte tornano e raccontano l’accaduto nella fossa che separa l’Algeria dal Marocco a Oujda e le reti metalliche installate a Ceuta e Melilla, ‘enclaves’ spagnole in Marocco e soprattutto le quotidiane forme di morte sociale cui sono destinati i migranti sub sahariani. I loro nomi e le loro storie ci arrivano di prima mano, solo quando esse trovano uno sguardo e un orecchio libero all’ascolto che ‘umanizza’ quanto è stato sistematicamente tradito durante il viaggio intrapreso.

Mai più, scrivono sulla sabbia quanti hanno patito e sofferto a causa di ciò che sono e cercano. Il sistema sembra incapace di leggere ciò che l’umana mobilità porta e comporta come radicale novità di vita e di pensiero. I migranti arrivano dal deserto con le mani nude il cuore gonfio di attese e speranze di un mondo differente. Fanno di tutto per non scomparire tra i fondi fiduciari affidati alle grandi ONG che finanziano progetti di sviluppo che dovrebbero toccare le radici profonde delle cause delle migrazioni. Oppure, in cambio, la formazione offerta da Eucap Niger (espressione dell’Unione Europea) per imparare a controllare meglio le frontiere, i documenti e i traffici frontalieri. Poi ci sono le politiche delle autorità del Marocco, l’Algeria, la Tunisia senza dimenticare l’inferno libico (finanziato per esistere e riprodursi) che prendono i migranti come ostaggio per negoziare contratti, geopolitiche e soprattutto manna finanziaria. Mai più scrivono sulla sabbia gli ‘esodanti’ e gli avventurieri di questo mondo altro che fatica a partorire il nuovo.

Lei, Sadamata, arriva con la sua piccola Fatima di un anno. Nata in Sierra Leone e portata con loro in Algeria. Hanno vissuto per sei mesi lavorando finche il papà della bimba è stato ucciso e la mamma espulsa e deportata al confine. Per qualche giorno rimane ospite della locale compagnia di trasporto Rimbo di Niamey e poi, con una valigia e una borsa dove ha custodito la memoria del suo viaggio di fuga dal Paese natale, dorme fuori, sulla strada. Con lo sguardo mite attende che si apra una porta per entrare, finalmente, nel futuro dove sua figlia, bella come lei, possa disegnare il profilo di un’umanità degna di questo nome. Mai più, scrisse il rapporto sulle sparizioni in Argentina. Mai più ha appena sussurrato la piccola Fatima, nelle braccia di sua madre.




                Mauro Armanino, Niamey, settembre 2023

VISITA AL CIMITERO MONUMENTALE DI LEGNANO (MI) - foto e didascalie poetiche di P. NICOLA GALENO OCD

Ciclo su Visita al Cimitero Monumentale di Legnano (MI)

LA VERGINE ORANTE   124.077

É bello nell’andar al Cimitero

trovar il dolce viso di Maria,

che subito t’invita alla preghiera.


            PADRE CARMELO STUCCHI            124.078

Eri il Decano ormai della Provincia

e nel lasciar Legnano ti consoli:

“Dal Cielo vedrò meglio il mio Giappone!”.

IL MOSAICO DEL CRISTO   124.079

Soltanto Tu potevi presentarti

qual vera Via, Vita e Verità!

PADRE GABRIELE MATTAVELLI   124.080

Avresti certamente preferito

morire circondato dai fedeli

di quella terra d’Africa diletta...

IL MOSAICO DELL’INCONTRO CON LA MADRE   124.081

Volevo certamente risparmiarti,

Madre, siffatta vista, ma tu sempre

sei massimo conforto sulla terra!

PADRE MASSIMO DAL PIAZ   124.082

Tu fosti Massimo non sol di nome,

anche di fatto: con voce tonante

sapevi pur il diavolo fugare!

IL MOSAICO DEL CRISTO   124.083

Tu sei principio e fine d’ogni cosa.

E’ bello viver sempre insieme a te!

PADRE VINCENZO PRANDONI   124.084

A Bologna, Milano e infine a Parma

sapesti quale Parroco operare,

curvandoti paterno sovra tutti!

IL MOSAICO DELLA MADONNA COL BAMBINO   124.085

Il Bimbo fra le braccia della Mamma

andrebbe in capo al mondo, pur sfidando

il tempestoso mare della vita!

IL MOSAICO DELLA CROCIFISSIONE   124.086

Signore, nel guardarti avverto sempre

un indelebil cruccio dentro il cor...

Perché non feci nulla per salvarti?

IL MOSAICO DELLA PIETÀ   124.087

Ritrovi, dolce Figlio martoriato,

dopo gli orrendi strazi della Croce

un tenero giaciglio su di me!

IL MOSAICO DEL BACIO AL CROCIFISSO   124.088

Croce, sol tu potevi diventare

strumento della nostra Redenzione.


Dolce Maestro, possa questo bacio

farti dimenticar quello di Giuda!


(Legnano 19-9-2023), Padre Nicola Galeno


lunedì 18 settembre 2023

INCONTRO CON P. NORBERTO ad ARENZANO

 



Cari amici, scrive P. Federico Trinchero, 
la vicenda di padre Norberto Pozzi ha toccato il cuore di tutti noi. Grazie a Dio sta bene. E non smettiamo di ringraziare il Signore che l’ha protetto. In questi mesi l’abbiamo sostenuto con la preghiera, ma è stato lui a darci forza trasmettendo una grande serenità e dando testimonianza di fede nella volontà del Signore.
Tanti avrebbero voluto fargli visita in ospedale. Ora sta ricominciando a camminare e siamo pronti a riaccoglierlo in Convento.
P. Norberto desidera ringraziare tutti per l’affetto e l’aiuto ricevuti, continueremo a sostenerlo perché il sogno di ritornare nella sua Missione si possa realizzare.

Qui sotto, l’articolo relativo all’intervista al Padre, su quanto gli è accaduto in Centrafrica
Camminiamo con padre Norberto
10 agosto 2023
La voce è calma, lo sguardo accogliente e sereno, come sempre. Solo la barba non è più la stessa. Dopo l’incidente, a febbraio, gli è stata tagliata per esigenze sanitarie. Sono stati momenti convulsi quelli seguiti allo scoppio della mina anticarro che gli ha portato via un piede, mentre guidava, sulla strada sterrata che da Bozoum porta verso Nord. P. Norberto li racconta senza paura, ma con una lucidità e una dovizia di dettagli che ci portano subito a quel tragico momento.
Un giorno come tanti, in Repubblica Centrafricana, dove p. Norberto Pozzi, 71 anni, originario di Lecco, frate carmelitano scalzo e missionario, ha trascorso quasi 40 anni della sua vita.
Padre, si sente miracolato?
Certo, sicuramente sì. Una mano mi ha protetto. Si vede che al Signore servo ancora, magari non so ancora dove e come, ma evidentemente gli sono ancora utile.
Lei quel giorno stava andando nei villaggi di Bokpayan e Kayanga, a una cinquantina di chilometri dalla missione, per sistemare i banchi di una scuola. Una mattinata tranquilla e poi l’incidente. Che ricordo ha di quel momento?
Pochi ricordi, solo qualche flash. Mentre qualcuno mi spostava dal posto di guida, ho visto la macchina, inclinata sul ciglio della strada e mi son detto: “ma io non ho fatto nessun incidente, cosa è successo?” In effetti io non avevo sentito nulla, nemmeno il boato della mina. Non ero solo sul pick-up. Con me c’erano anche un falegname, due muratori e uno studente carmelitano francese. Lui, che era seduto di fianco a me invece ha sentito lo scoppio e in seguito ha avuto anche problemi di udito.
E poi? Cosa altro ricorda?
La voce di qualcuno che mi chiamava e mi diceva: “Ti mandiamo a Bozoum con una moto”. Io ho risposto “va bene”, credo. Eravamo a venti chilometri di distanza. Mi hanno sistemato sulla moto, uno guidava, io ero in mezzo e un altro mi teneva. Avevo una grossa perdita di sangue al piede sinistro. Era un’impresa disperata. Non ricordo molto altro di quel viaggio, solo che man mano che attraversavamo i villaggi sentivo voci che dicevano “père Norbert… père Norbert”, urlavano forte il mio nome, sperando che mi salvassi. In seguito, ho saputo che tantissima gente ha pregato per me. Migliaia e migliaia di persone. Ho ricevuto la solidarietà di tanti. Mi ha stupito ed emozionato.
Non aveva pensato che la strada potesse essere pericolosa? In Repubblica Centrafricana la guerra non è mai finita e ogni tanto si sentono notizie di scontri o imboscate. 
In realtà poco prima dell’incidente, lungo la strada, abbiamo incontrato un mio operaio in moto che ci aveva avvisato della possibile presenza di alcune mine, piazzate dai ribelli là dove iniziava la montagna. Mi ha detto: “stai attento al lato destro”, e io così ho fatto. Ma la mina era posizionata subito dopo un ponte, dove non era assolutamente possibile evitarla transitando con un’auto.
Prima la moto, poi il trasferimento in elicottero nella capitale, a Bangui, poi ancora in Uganda. Un lungo pellegrinaggio per salvarle la vita. Ma non è stato possibile salvare il suo piede, che è stato amputato a Kampala. In tutto questo viaggio lei ha ripreso conoscenza? Chi aveva vicino?
Sinceramente ero sedato e ricordo davvero di aver ripreso coscienza solo un paio di volte in quelle ore. Una di queste, a Kampala, in Uganda. Svegliandomi mi è sembrato di essere in Paradiso perché mi sentivo bene, vedevo il cielo azzurro e non capivo dove mi trovassi.
Dopo il rientro in Italia, l’ospedale Rizzoli di Bologna, la convalescenza in una RSA di Varazze, poi il trasferimento nell’ospedale “La Colletta” di Arenzano per il percorso di recupero e la fisioterapia. Nel frattempo, la predisposizione di una protesi per permetterle di rimettersi in piedi e tornare a camminare. Il percorso è lungo, ma la strada ora è in discesa. Sente il desiderio di tornare in Africa?
Per me l’Africa è sempre stata casa. Io mi sono sentito subito a mio agio in quella terra, dove ho trovato ciò che mi aspettavo. I primi mesi, tanti anni fa, scrivevo a mia mamma e le dicevo che l’impressione era quasi di essere in campeggio. È stata una scelta di vita profonda. Inizialmente mi interpellavo su come potessi aiutare gli altri. Erano i tempi della siccità e della grande carestia. Poi è arrivata la vocazione. Tornerò certamente laggiù, perché ci sono cose che ho lasciato in sospeso e devo sistemare. Prima però devo essere certo che il pericolo delle mine sia diminuito.
P. Norberto è riuscito a perdonare quei ribelli che hanno interrato quella mina sulla sua strada?
Sinceramente non mi sono mai sentito neanche di condannarli, quindi non mi sono posto il problema se perdonare o meno. Mi sono detto che quello è il loro lavoro perché sono banditi. È capitato a me, ma non ero io l’obiettivo. Quindi nessuna condanna.
Non rimpiange il piede perduto?
E cosa dovrei fare, piangere? Essere triste perché mi manca un piede? Il mio desiderio è vivere per Cristo, l’ho fatto per tutti questi anni con due piedi, e sono certo che continuerò a farlo con un piede solo anche adesso.

Cristina Carbotti, giornalista RAI

sabato 16 settembre 2023

MIGRATORI di DOMENICO QUIRICO e da altre notizie sul Web

 



Anche l’Onu richiama l’Ue: «Situazione insostenibile, aiutate l’Italia». E l’ex Iena Giarrusso candida i cittadini dell’isola al Premio Sakharov

È allo stremo come non mai, l’isola di Lampedusa, dopo gli arrivi a catena di decine e decine di imbarcazioni di fortuna con a bordo migranti in arrivo dal Nordafrica. Soltanto dalla mezzanotte di oggi, martedì 13 settembre, sono 1.849 le persone sbarcate sull’isola a bordo di 42 barchini, soccorsi dalle motovedette della Guardia di finanza, Capitaneria e carabinieri. E decine di altre imbarcazioni sono in fila in attesa di poter sbarcare. Il numero complessivo accertato di migranti a Lampedusa si attesta così al numero record di 6.762. Buona parte di questi trovano riparo nell’hotspot dell’isola, che scoppia, ma l’affluenza è tale che gruppi di migranti sono accampati in diversi punti dell’isola, a cominciare dal molo Favarolo di approdo. Fra i quasi 7mila, riportano le autorità, vi sono anche 257 minori non accompagnati. Numeri insostenibili per le capacità di accoglienza pur temporanea dell’isola, tanto che oggi il Comune di Lampedusa ha proclamato lo stato di emergenza. «Abbiamo ribadito quello che chiediamo da mesi, ossia cercare di bypassare l’isola con le navi in rada, aiuto e sostegno per un’isola che in questi mesi è sotto un forte stress», ha detto il sindaco Filippo Mannino nell’annunciare la decisione in consiglio comunale.


Ho premesso questo articolo, per spiegare quanto accade a Lampedusa, ed ora pubblico un articolo del giornalista de LA STAMPA Domenico Quirico.


La paura è il primo sentimento evocato nella Divina commedia, dopo appena sei versi.  E ‘’ogni viltà convien che qui sia morta’’ è il primo suggerimento che dà Virgilio a Dante nel superare la porta dell’inferno, la condizione per procedere oltre.  La paura prende diverse facce, viltà, pietà, vergogna. Noi italiani, europei, occidentali nella apocalisse della Migrazione che dura da dodici anni non abbiamo ascoltato il consiglio di Dante, non aver paura, non essere vili. Invece paura e viltà hanno guidato ogni nostro decreto atto parola, sia di chi invocava esorcismi di una misericordia molto ipocrita perché condita di ‘’ma…’’, e di coloro che astutamente urlavano, con eccitazione ed esclusivismo populista e xenofobo, alla catastrofe permanente e se ne facevano gradassi nel proporre soluzioni impotenti.
 I migranti ci fanno paura. Sempre. Noi siamo cosmopoliti ma del benessere. Nel 2011 quando i barconi sbarcavano tunisini e nel 2013 quando a questa umanità formicolante si sono aggiunti i siriani; e poi un anno dopo l’altro quando hanno cominciato a scalare continenti e mari africani di tutte le latitudini e gli afgani. Fino ad oggi, nel 2023, quando i barchini hanno preso il posto dei barconi e hanno occupato il mare, innumerevoli, fragili scialuppe di popoli in fuga. La retorica di queste eterne circostanze, dodici anni per una sofferenza imposta e accettata è una eternità, è ormai una impertinenza.
 Non facciamo più la vecchia domanda; da dove vieni? non c’è più tempo sui moli, e poi bisognerebbe ripassare una geografia composta di innumerevoli nomi di cui siamo ignoranti.  Migranti semplici e astrusi come la natura, che hanno lasciato città morte, abbandonate come  abiti usati, o come gusci d’ostrica a deperire nei loro deserti di fame di guerra di dittatura e fanatismo. La cruda realtà, non la intelligenza o la ragione, ci ha costretti alla fine a dismettere il nostro vecchio gioco delle nazionalità come identità e appartenenza che serve a dividere a scegliere a privilegiare; e ammettiamo che sono un popolo nuovo del mondo. Superficiali e boriosi (la boria è un difetto europeo) abbiamo cercato vilmente di aggirare il faccia a faccia con il diverso da sé.
Ho passato giorni e giorni con i migranti, ho camminato e sono affondato al loro fianco, ho sentito il loro esclusivismo, la loro alterità, la loro solitudine. Forse per questo non ne ho paura.  Sono il prodotto della Storia e della miseria. Possono ad ogni momento dire: è tutto finito, sono pronto. Noi abbiamo sempre bisogno di un rinvio, chiediamo tempo. La loro vita è divisa tra la nuova e la vecchia patria, le loro idee del mondo sono frammentarie, divise tra quello che è proprio e quello che è altrui.
La Migrazione era una fortuna che ci offriva la Storia. la sua volontà di catturarci, il metterci alla prova che esercitava in ognuno delle sue mille sfaccettature (perché la migrazione è cambiata in questi anni mille volte, solo noi siamo rimasti ottusamente eguali) perfino il suo carattere invasore  ci chiedevano una risposta immediata, un soprassalto di volontà critica. Ci spingeva a non accettarci ingenuamente con le nostre bugie ma ci obbligava con la sua violenza a fronteggiarla. Era in questo senso una occasione rivoluzionaria.
Noi xenofobi per ignoranza e per utile, oppure pietosi ma con la regola di evitare gli scomodi e gli azzardi della pietà che altrimenti è mezzuccio e affare, ci siamo impegnati a aggirare  quello che era diventato il punto morto del nostro mondo, l’anello che non teneva, il filo da sciogliere  per essere davvero Diritto realizzato e vivente.
Sfogliamo la strategia per affrontare la Migrazione.  Non era per viltà che illuminati ma realisti bizantineggiavano sulla distinzione tra migrante utile e migrante superfluo? il primo da accogliere, meglio da assumere, perché serve; il secondo da respingere o spazzare nel buio della clandestinità perché non ci aiuta a restare ricchi, oziosi e gaudenti. Mentre altri, i furbi che avevano capito tutto si arricchivano. chi con i voti passando, con libelli arroganti, dall’irrilevanza al governo, chi con i soldi; perché il migrante rende. E non solo al trafficante di uomini, allo scafista che è solo anello della lunga catena di business e di violenza, stramaledetto, certo, perseguito a parole ma poi di fatto impalpabile, poliziescamente individuato nella manovalanza criminale.
E’ stata viltà e paura a muoverci in delegazioni di eccellenze continentali per andare a mendicare dall’altra sponda l’aiuto interessato e lucroso di canaglie e criminali, preventivamente assolte perché non si fanno accordi con chi non senti eguale. E anche qui i progressisti che rubano la parte agli altri, anticipano disinvoltamente i tempi, le napoleoniche missioni libiche, l’idea di affidare il migrante a carcerieri senza pietà, annullarlo nel suo mondo che sarebbe feroce per natura. E intanto continuare a proclamare la necessità e la virtù dell’accoglienza! E poi quando le maglie di quella rete si sono allentate, gli altri, i pugnodiferro, i mascelluti dei blocchi navali, dei porti sbarrati, dei decretissimi Cutro, anche loro, giù a rincorrere loschi individui, sempre di più, sempre più a sud del mondo: rais egiziani dai molti delitti, presidenti nigerini amici di Macron ma che fanno palanche con i migranti, e il ciglioso ducetto tunisino che non si contenta di soldi, pretende anche salamelecchi e riguardo. E adesso il Sudan, il Gabon, il Marocco, e chissà quanti altri dopo ogni nuova guerra, golpe, catastrofe naturale, ruzzolando su una china che non ha fine.  Imiteremo l’Inghilterra che paga a buon prezzo il Ruanda perché faccia il samaritano al suo posto, spedendo aerei carichi di respinti.  E forse è la faccia di un colonialismo al contrario; esseri umani in cambio di rame e coltan.
Si tira avanti all’infinito con una fanghiglia di decreti circolari fogli d’ordine piani patti che impasta e offusca i cervelli. La destra la definisce ‘’emergenza’’ per giustificare il pugno di ferro il si salvi chi può e chiamare a colpevole l’Europa antipatica. la sinistra replica con il ‘’fenomeno strutturale’’. Che ha una vernice sociologica ma che è qualcosa che assomiglia alla grandine per i contadini: ciclico inevitabile maledizione eterna. Migreranno sempre, non si fermeranno mai, un mondo si svuota un altro il nostro che è bellissimo si riempie...   Trovo questo non solo errato storicamente, è una condanna per milioni di uomini. Fuggire non è una forma culturale di essere, è la conseguenza dello sfruttamento e della violenza. Che bisogna aiutare quegli uomini a rovesciare, con la forza se necessario. Allora non partiranno più.  

IL GOLPE MIGRANTE DI NIAMEY di P. MAURO ARMANINO


Il golpe migrante di Niamey

C’è stata una migrazione geografica che solo il Sahel, l’altra riva secondo l’etimologia del termine, ha saputo annotare sulla polvere dal 26 luglio scorso, data del golpe di Niamey. Il Mali, il Burkina Faso e, ultimo arrivato per ora, Il Niger che il colpo di stato attraversa a tutt’oggi senza darlo troppo a vedere. Variegate le manifestazioni di appoggio ai golpisti, il presidio permanente alla zona dove sono stazionati i militari francesi, il nuovo governo installato e le bandiere nazionali esibite da tassisti e incauti motociclisti. Ai lontani confini del Paese permangono le frontiere chiuse a persone e mercanzie. Detenuto da allora al suo domicilio il presidente riconosciuto dalla comunità internazionale. Dal golpe migrante ai migranti del golpe che si realizza nell’invisibile presenza e transito degli ‘esodanti o avventurieri’, come si dice qui.
In effetti ogni migrazione infligge, a suo modo, un colpo di stato fatale al sistema. Le frontiere, le culture e le identità si spostano grazie a persone, storie e progetti di vita che sfidano in permanenza l’ordine (o il disordine) stabilito. C’è da prender atto che, nell’apparente banalità del viaggio, il più efficace golpe dell’umana avventura, è costituito dalle migrazioni. Folli imprese dove si rischia l’esistente per l’incertezza di un futuro immaginato differente. Per raggiungerlo si soffre e si rimpiange quanto si ha lasciato. C’è chi si accampa in strada, alle porte dell’Organizzazione Internazionale delle Migrazioni o non lontano dalle stazioni dei bus in città. Il golpe dei migranti dura da millenni e continuerà malgrado i sistemi di sorveglianza, le frontiere armate, gli accordi di cooperazione coi fondi fiduciari di sostegno ai progetti di sviluppo. Il tutto giustificato per arrivare alle ‘cause profonde delle migrazioni’.
Ogni golpe è, di fatto, il tentativo del progetto migratorio da un regime all’altro, da una repubblica all’altra e da una democrazia all’altra. Migrano i militari e transumano i partiti politici. Migrano con loro anche gli opportunisti che, come sempre, non perdono l’occasione per salvarsi. Migra soprattutto il lavoro perduto, i soldi che non bastano, il cibo fattosi raro, i salari occasionali e i prezzi in aumento dei generi alimentari. Migrano le ong limitate nell’azione umanitaria, gli imprenditori di violenza armata che operano dove si offrono prospettive di occupazione e migrano i sogni che passano la frontiera con la piroga. Migrano i sogni di un’altra società possibile e gli ideali di un mondo in procinto di nascere da quello antico. Migrano, infine, le parole di verità prese in prestito dalla speranza che, forse domani, ci sarà una giustizia per i poveri.

   Mauro Armanino, Niamey, 17 settembre 2023

giovedì 14 settembre 2023

CICLO sulla CHIESA DI S. GIORGIO a BERNATE TICINO (MI) di P. NICOLA GALENO OCD

Ciclo sulla Chiesa di S. Giorgio a Bernate Ticino (MI)


 (Simone Peterzano e Caravaggio)

LA DEPOSIZIONE    117.733

L’Eterno volle usare cortesia

somma inviando l’Angelo dotato

di maggior tatto per meglio aiutare

la Vergin nell’estremo suo saluto

al dolce Figlio tanto martoriato.

Non s’odono parole. Sol il core

continua a palpitare, confermando

che nel sepolcro sempre resterà

per affrettar il fulgido risveglio!

(Giuseppe Carsana)

S. ALFONSO MARIA DE’ LIGUORI   117.734

Alfonso, più che il morbo deformante

ti seppero incurvar i tanti stenti

del tuo ministero episcopale

per meglio far entrare il Cristo stesso

nel core sì provato dei fedeli!

(Pittore anonimo del sec. XVII)

S. GIORGIO ED IL DRAGO    117.735

Era terrorizzata la fanciulla:

sentivasi già preda del vorace

drago che mai nessuno contrastò,

Ed ecco comparir quel Cavaliere

davvero somigliante a San Michele,

invitto Paladino dell’Eterno.

Fu tanto furibonda quella lotta,

ma Giorgio alfin il drago trucidò!

IL CRISTO MORTO    117.760

Dolce Maestro, sento la fragranza

della materna mano che ti seppe

con somma riverenza ripulire

dalle chiazze di Sangue. Consegnarti

lindo voleva pur a quel sepolcro!

LA PRIMA COMUNIONE DI S. LUIGI GONZAGA   117.761

Sa l’occhio penetrante del Pastore

intraveder nel lindo ragazzino

tutta la sua futura santità!

S. CARLO BORROMEO TRA GLI APPESTATI   117.762

Tu fosti infaticabile Pastore.

Sfidasti pur l’orrore della peste,

scendendo in mezzo al gregge sì provato

per dare l’eucaristico Alimento,

il solo che potesse confortarlo!

S. GIUSEPPE   117.763

Giuseppe, cedi alfine alle richieste

del Pargoletto, che serbare vuole

questa stupenda foto di chi sempre

assecondò l’Eterno sulla terra!

S. ANTONIO ABATE   117.764

Chi mai creduto avrebbe che il deserto

potesse diventare prediletta

oasi di struggente santità

impersonata dall’Abate Antonio,

intimamente unito al Redentore?

STENDARDO EUCARISTICO   117.765

L’alma carmelitana e francescana

si sente risucchiare da quell’Ostia,

che il Cristo perpetuare sa quaggiù!

L’ANGELO CON LA CROCE    117.766

Angelo, tu sei fiero di mostrare

a quest’umanità tanto distratta

quell’unico strumento che dal Cristo

utilizzato venne per salvarci!

IL COMPLESSO IMPONENTE   117.767

Un tempo troneggiavi quale Reggia

davvero maestosa dell’Eterno:

l‘occhio si compiaceva d’affondarsi

affascinato dalla tua beltà

e l’animo anelava a far l’ingresso

in oasi di spiritualità struggente!


(Legnano 25-11-2022), Padre Nicola Galeno


LA DEPOSIZIONE DI CRISTO a BERNATE TICINO attribuita al CARAVAGGIO

 

L'angelo attribuito a Caravaggio nel quadro "La deposizione di Cristo” di Simone Peterzano

Ho letto questa notizia su quotidiano IL GIORNO scritta da GRAZIANO MASPERI 12 settembre 2023, e poiché questo giornale non raggiunge tutti, ho pensato di riprendere i due articoli perché sono certa che a chi ama l'arte sacra, ne sarà piacevolmente colpito. Per quanto mi riguarda, questo dipinto è splendido, a prescindere da chi lo abbia realizzato.

Bernate Ticino (Milano) – C’è la mano di Caravaggio nel dipinto “La deposizione di Cristo” di Simone Peterzano conservato nella chiesa di San Giorgio a Bernate Ticino. Quella più famosa, annessa alla celeberrima Canonica, uno dei monumenti religiosi più importanti del territorio.

Ne è convinto il professore Gérard Maurice-Dugay che si è recato nel piccolo paese sul Naviglio Grande estasiato dall’opera che, forse, ancora in molti non sanno nemmeno che esiste: "Quell’angelo è la luce di Caravaggio". Fu il professor Carmelo Lo Sardo, restauratore e docente al liceo artistico di Magenta ad attribuire, nel 2013, alla mano di Caravaggio proprio quest’angelo.

Tesi sostenuta anche da uno dei più grandi esperti mondiali di arte e, in particolare, studioso di Caravaggio. Gerard Maurice-Dugay, professore emerito alla Sorbona, già insegnante alla Scuola Superiore del Louvre, insignito della Legion d’onore per meriti culturali, vive tra Parigi, l’Italia e le Bahamas. E non ha dubbi sulla presenza del Caravaggio in quel dipinto.

Non ci sono documenti, ma la storia la si può ricostruire. Né prove certe, ma l’esperienza di chi ha visionato quel dipinto e ne ha studiato tutti i particolari da vicino conta. Come l’intuito di chi conosce Caravaggio. "Il dipinto di Peterzano, a detta degli esperti, venne commissionato tra il 1582-84 e realizzato durante gli anni dell’apprendistato di Caravaggio nella sua bottega – racconta Maurice-Dugay – Lo stesso Caravaggio appena 13enne, accompagnato dalla madre, firmò un contratto, di quattro anni, davanti al notaio per la sua formazione. È dunque documentato che il Caravaggio, tra il 1584 e il 1588, si trovava nella bottega di Peterzano".

Nel 1584 Caravaggio era un ragazzo di 13 anni che stava imparando il mestiere mostrando tutto il suo talento. In quel periodo, conferma il professore, partecipò sicuramente alla realizzazione del quadro. "La prima volta che lo vidi – continua – rimasi colpito e dissi subito che, in quel quadro, c’era la luce di Caravaggio. Nessuno può contestare che quell’angelo che illumina il dipinto, appartiene a una mano diversa e di un giovane allievo, come sostiene Carmelo Lo Sardo. Che, a nostro avviso, è appunto quella del Caravaggio".

Di quell’epoca si sa poco. Una volta terminato il contratto di lavoro nella bottega di Peterzano, probabilmente, Caravaggio vi rimase ancora del tempo, come sostenuto da Denis Mahon e Roberto Longhi. Per poi approdare a Roma nel 1592-94 (la data è ancora incerta).

Un Caravaggio, sia pure per una sola parte del dipinto di Peterzano, custodito in un paesino di campagna. "Rimango stupito nel vedere come ci sia così poco interesse per questo quadro in Italia – continua – Eppure resta l’unica testimonianza del giovane Caravaggio. Spero che in un prossimo futuro si riesca a rintracciare qualche documento che sostenga queste nostre teorie".

Per Bernate Ticino - impegnato con il sindaco Maria Pia Colombo e l’associazione Calavas a valorizzare i beni del territorio - un’opinione che vale oro. Ma fu il Rotary Magenta a volere il restauro del dipinto dieci anni fa, per opera dello stesso professor Lo Sardo.

La Deposizione di Cristo a cui avrebbe lavorato Caravaggio.

 Dov’è e come vederla. La chiesa di Bernate Ticino, nel Magentino, “nasconde” un tesoro a cui avrebbe contribuito un giovanissimo Michelangelo Merisi.

E il secondo articolo.

Bernate Ticino, 13 settembre 2023 – C’è un tesoro “nascosto” in una chiesa del Magentino. Un dipinto alla cui realizzazione avrebbe partecipato un giovane Caravaggio, secondo un’ipotesi avanzata per primo dal restauratore Carmelo Lo Sardo e oggi rilanciata da Gérard Maurice Dugay, docente emerito all’università della Sorbona, in Francia.  

Si tratta della Deposizione di Cristo, completata fra il 1584 e il 1585 nella bottega di Simone Peterzano, maestro di Michelangelo Merisi. Caravaggio, che iniziò il suo apprendistato con Peterzano a soli 13 anni, secondo l’ipotesi di Lo Sardo, professore al liceo artistico di Magenta, avrebbe dipinto l’angelo in alto a sinistra che sorregge il corpo di Gesù. 

La storia dell’opera

La pala d’altare fu commissionata nel 1584 da don Desiderio Tirone, priore della canonica. In alcuni documenti risalente al 1774 la tavola viene citata come opera d’ambito lombardo del XVIII secolo. Piuttosto tarda l’attribuzione al Peterzano, sancita nel 2010 in seguito alle ricerche degli studiosi Giovanni Agosti e Jacopo Stoppa. 

L’opera è stata realizzata a più mani all’interno della bottega del pittore originario di San Giovanni Bianco, nella Bergamasca: dettaglio che avvalorerebbe il contributo del giovane Caravaggio al dipinto.

Descrizione del dipinto

L’opera, di grandi dimensioni (240 x 143 cm), è stata realizzata su legno di tiglio dal Peterzano e dai suoi collaboratori nel periodo milanese del pittore allievo di Tiziano. Caravaggio, all’epoca tredicenne, fu a bottega di Peterzano dal 1584 al 1588. Un periodo considerato molto importante nella formazione del genio del naturalismo, anche perché gli permise di venire a contatto con le influenze veneziane del maestro.

La tavola mostra la deposizione di Gesù Cristo nel sepolcro: nella raffigurazione non sono presenti i personaggi tradizionali delle opere dedicate a questo episodio ma solo la Madonna, un angelo che sorregge il corpo – nei cui tratti, secondo Dugay, si riconosce la “luce del Caravaggio” – e il committente dell’opera.

I colori sono principalmente freddi e severi, come da “indicazioni” della Controriforma, momento della storia della chiesa la cui influenza è percepibile nella tavola. Spicca, però, per luminosità la figura dell’angelo, ovvero proprio quella che sarebbe stata realizzata dalla mano di Caravaggio, a quell’epoca ancora acerba ma sicuramente dotata, presagio degli splendori futuri.

Lo “scopritore”

Quest’anno, nel corso di un convegno dedicato all’opera, il restauratore Carmelo Lo Sardo è tornato sull’attribuzione dell’angelo a Caravaggio. “L’angelo che sorregge pietosamente la figura del Cristo è stilisticamente differente dagli altri personaggi – ha detto il professore – e ha le caratteristiche tipiche di una mano esordiente, ma geniale nella resa aggraziata del movimento e sensibile al colore. Costituisce il germe di un modello stilistico e cromatico che si perfezionerà nelle luminose opere giovanili del Merisi”.

Padre Nicola Galeno Carmelitano Scalzo, ha avuto modo di visitare questa bellissima chiesa lo scorso novembre 2022, e per La Deposizione di Cristo ha scritto una bellissima ode poetica.



lunedì 11 settembre 2023

LA PESCA MIRACOLOSA - PESCATORE DI UOMINI - un dipinto di Kelley McMorris

 Sono rimasta incantata da questo meraviglioso dipinto della disegnatrice californiana KELLEY McMORRIS. 




venerdì 8 settembre 2023

la sofferenza dei poveri e la transizione di Niamey di P. MAURO ARMANINO

 

          La sofferenza dei poveri e la transizione di Niamey

L’apparenza inganna, lo sappiamo. La vita sembra scorrere come sempre e, almeno in città, c’è l’abitudine di vivere grazie ad un antico mestiere imparato fin da bambini. Si tratta dell’arte sottile della quotidiana sopravvivenza nella quale dal niente si tira fuori tutto quanto basta per arrivare al giorno dopo. Dal 26 luglio fino ad oggi, la prima decade di settembre, è in vigore una non annunciata e ben definita transizione di regime. Le sanzioni economiche e sociali approvate e applicate in fretta da una parte dei Paesi confinanti il Niger, specie quelli che, avendo lo sbocco sul mare, aggiungono sofferenze al già temibile quotidiano della povera gente. ‘Siamo nella sofferenza’, diceva un artigiano il cui lavoro si è di colpo interrotto da un mese a causa della situazione creatasi a seguito del golpe militare citato. ‘Mancano i soldi per i condimenti’, aggiunge e allora si sparisce fino a sera per non vedere i figli e i nipoti soffrire la fame. 

‘Fino a quando’, chiede lo stesso artigiano che, prima di congedarsi, chiede che anche nelle chiese si preghi perché le cose ‘si rimettano a posto ’ quanto prima. C’è infatti qualcosa di straordinario che sta accadendo nel Paese e che, a guardarlo da vicino, desta ammirazione e stupore. Si tratta della quotidiana resistenza dei ‘piccoli’ che, soprattutto in silenzio, realizzano un’autentica rivoluzione sociale. Stanno pagando un prezzo molto alto al cambiamento impresso alla storia del Niger tramite il golpe, in parte inatteso, di fine luglio. Soffrire in silenzio in genere non fa notizia; eppure, è questo uno dei pilastri su cui si regge l’attuale transizione politica. Un silenzio che dovrebbe interpellare chi ha assunto per scelta o per necessità di instaurare un regime di eccezione nel Paese e attorno ad esso. Non è accettabile che, senza alcuna remora, si penalizzi un popolo, anzi ‘il popolo’ e cioè i piccoli e fragili di sempre, i poveri e i giovani in particolare.

Nessuno dovrebbe osare confiscare il loro futuro perché, intessuto com’è di sogni, speranze e ideali è qualcosa di sacro, Non rubare il verbo vivere coniugato al futuro con dignità è ciò che dovrebbe costituire la ragione d’essere di ogni autentica politica. Da questo frutto si riconosce l’albero che ha scelto di piantare la transizione nel Paese.  Non accada mai più che la sofferenza dei poveri sia resa vana e le nascoste utopie germogliate in questi anni assenti siano svendute al miglior truffatore di sogni. Ecco perché il silenzio nascosto si trasforma in un grido rivolto a chi ha il coraggio e l’incoscienza di accoglierlo. Nella complicità di coloro che non hanno voce si tratta di dare una risposta accorata alla sofferenza, a livello locale e internazionale. Sarà questo il nome da dare alla transizione che dovrà sfociare nella Conferenza Nazionale aperta a tutti per dare un volto nuovo alla politica. Assumere la sofferenza dei poveri perché trasformi il linguaggio politico del Paese sarà la base della nuova Costituzione della Repubblica, fondata sul silenzio.

           Mauro Armanino,  Niamey, settembre 2023

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Il Paradiso non può attendere: dobbiamo già cercare il nostro Cielo qui sulla terra! Questo blog tratterà di argomenti spirituali e testimonianze, con uno sguardo rivolto al Carmelo ed ai suoi Santi