AFORISMA

Meglio aggiungere vita ai giorni, che non giorni alla vita
(Rita Levi Montalcini)

Nostra Signora del Carmelo

Nostra Signora del Carmelo
colei che ci ha donato lo scapolare

giovedì 31 marzo 2022

III EDIZIONE Concorso RICORDANZE di Cortemaggiore (PC): 200 anni dalla morte di NAPOLEONE racconto di DANILA OPPIO - 2° Classificato

Qualche tempo fa, Padre Nicola Galeno OCD mi raccontava di quanto l'arte sacra fosse stata rubata o danneggiata dalle truppe napoleoniche, ma  non ero a conoscenza di tali saccheggi. Ho effettuato alcune ricerche e in seguito ho ricevuto da parte degli organizzatori del Concorso in oggetto, l'invito a partecipare con un racconto relativo a Napoleone. Detto fatto! Cosa c'era di meglio che unire il condottiero corso ad Alessandro Manzoni, che per lui scrisse l'ode Cinque Maggio? Così mi sono auto invitata a casa del Conte Don Lisander per intervistarlo, duecento anni dopo! 
Ho ricevuto oggi il premio conseguito per la III Edizione del CONCORSO RICORDANZE di Cortemaggiore, indetto da Circolo "L'AQUILONE" organizzato dalla Prof. CARLA MAFFINI. Un piatto dipinto a mano della Richard Ginori, munito di targa, il Diploma d'Onore e la silloge poetica delle poetesse Carla Maffini e Ornella Chiastri del 2020. Ringrazio il Padre Carmelitano per avermi parlato delle chiese devastate dalle razzie napoleoniche. Aveva ragione, eccome! Me l'ha confermato anche Manzoni!




Ed ecco il mio racconto:


DIALOGO FANTOMATICO CON ALESSANDRO MANZONI su Napoleone Bonaparte nel 200° anniversario della morte.

 La macchina del tempo mi condusse in via del Morone, a Milano, e mi ritrovai davanti al palazzo dell’autore dei Promessi Sposi, ma anche dell’elogio funebre di Napoleone, il famoso 5 Maggio. Dovevo assolutamente discutere con lui del senso di quella poesia, poiché mi è parso di intravedere ironia e amarezza sulle gesta del condottiero corso. L'avventura napoleonica raggiunse la sua apoteosi il 2 dicembre 1804, quando si autoproclamò Imperatore, nella cattedrale di Parigi, Notre-Dame. Bussai al portone, e chiesi di poter incontrare il conte Don Lisander, per discutere con lui riguardo alla poesia dedicata a Bonaparte. Mi accolse nel suo salotto, e m’indicò una comoda poltrona, dove accomodarmi. Arrivai subito al sodo, chiedendo lumi su alcuni versi.

Né sa quando una simile
Orma di piè mortale
La sua cruenta polvere
A calpestar verrà.

Me lo chiarisce in prosa:
- Tutti restano muti pensando alle ultime ore di quest’uomo inviato dal fato e nessuno sa dire quando un uomo simile tornerà di nuovo a calpestare la terra che lui stesso ha calpestato, lasciando un cammino sanguinoso.

- Esattamente come pensavo! Speriamo che nessun altro venga a calpestare il nostro suolo patrio! Proseguo con un altro verso.

Fu vera gloria? Ai posteri
L’ardua sentenza: nui
Chiniam la fronte al Massimo
Fattor, che volle in lui
Del Creator suo spirito
Più vasta orma stampar.
 
Manzoni spiega:
- Fu vera gloria la sua? Spetta ai posteri la difficile sentenza: noi ci inchiniamo umilmente al Sommo Creatore che volle fare di Napoleone un simbolo della sua potenza divina. Ma ne siamo certi? Dio non desidera che uomo colpisca un suo simile. 

- Le dirò, cara signora, che Napoleone combinò molti misfatti qui da noi come quando, con il decreto del 25 aprile 1810, soppresse tutti gli “stabilimenti, corporazioni, congregazioni, comunità e associazioni ecclesiastiche di qualunque natura e denominazione” eccettuate le suore di carità e poche altre congregazioni aventi finalità educative e vietò a chiunque “di vestir l’abito di veruno ordine religioso”.  
I beni delle istituzioni furono incamerati dallo Stato e, nel caso di opere di particolare valore artistico, portate in Francia se trovate in altri Paesi. Tali conseguenze sul piano economico e politico sono note come spoliazioni napoleoniche, o più semplicemente come furti della stessa mano. In realtà, per aver io letto un testo del Direttorio esecutivo, fu piuttosto obbligato a prendersi la colpa di simili misfatti, cui diede ascolto nel 1796:

«Cittadino generale, il Direttorio esecutivo è convinto che per voi la gloria delle belle arti e quella dell'armata ai vostri ordini siano inscindibili. L'Italia deve all'arte la maggior parte delle sue ricchezze e della sua fama; ma è venuto il momento di trasferirne il regno in Francia, per consolidare e abbellire il regno della libertà. Il Museo nazionale deve racchiudere tutti i più celebri monumenti artistici, e voi non mancherete di arricchirlo di quelli che esso si attende dalle attuali conquiste dell'armata d'Italia e da quelle che il futuro le riserva. Questa gloriosa campagna, oltre a porre la Repubblica in grado di offrire la pace ai propri nemici, deve riparare le vandaliche devastazioni interne sommando allo splendore dei trionfi militari l'incanto consolante e benefico dell'arte. Il Direttorio esecutivo vi esorta pertanto a cercare, riunire e far portare a Parigi tutti i più preziosi oggetti di questo genere, e a dare ordini precisi per l'illuminata esecuzione di tali disposizioni.»
L’anno successivo giunse la petizione degli artisti francesi:
“La Repubblica francese, con la sua forza e la superiorità del lume e dei suoi artisti, è l'unico paese al mondo che può dare una dimora sicura a questi capolavori. Tutte le altre nazioni devono venire a prendere in prestito dalla nostra arte.”
Non bastasse, in Italia le spoliazioni napoleoniche erano sconfinate nelle ruberie e nel vandalismo. Alla ricerca di oro e di argento, gli ufficiali francesi fusero il Gioiello di Vicenza del Palladio, e tentarono pure di fondere le opere del maestro orafo manierista Benvenuto Cellini. I napoleonici tagliarono a pezzi il più grande Rubens in Italia, la Trinità Gonzaga, per poterlo vendere meglio sul mercato. Il tesoro della Basilica di San Marco venne fuso, il Bucintoro, la nave ammiraglia della flotta veneta, bruciata per recuperare l'oro delle decorazioni, l'Arsenale di Venezia, ancora colmo dei trofei militari della Serenissima, smantellato. I francesi cercarono in diverse occasioni di sviluppare delle tecniche che consentissero loro il distacco degli affreschi, con notevoli danni strutturali sia alle opere sia ai muri. Nel 1800 si tentò con la Deposizione di Daniele da Volterra nella cappella Orsini di Trinità dei Monti a Roma attraverso lo stacco a massello che provocò danni così seri all'intera struttura che la rimozione dovette essere interrotta e il muro restaurato da Pietro Palmaroli rinunciando a spedirlo a Parigi. Simili tentativi vennero effettuati presso la Chiesa di San Luigi dei Francesi, ma vennero abbandonati per i danni arrecati agli affreschi. Questi tentativi non vanno come episodi isolati, poiché il vero obiettivo degli ufficiali francesi era di riuscire a distaccare gli affreschi di Raffaello nelle Stanze Vaticane e di spedire in Francia la Colonna Traiana. Ora molte di queste opere trafugate, si trovano presso il Museo del Louvre a Parigi. Signora, sono stato “obbligato” a scrivere un elogio funebre per Napoleone, ma non ho potuto tralasciare l’amarezza dovuta ai tanti danni arrecati ovunque. 

- Ci sarebbe da dire molto altro, nel bene e nel male, ma ho voluto toccare solo l’argomento dedicato all’arte: il suo elogio funebre e le spoliazioni dell’arte figurativa, un vero atto vandalico. Le sono grata, illustre Manzoni, per le notizie dettagliate sulla conquista napoleonica della nostra bella Penisola, e le dirò che Jacques-Louis David raffigurò Napoleone sul suo impennato cavallo bianco Marengo, a simboleggiare la potenza del suo Cavaliere e che ogni anno, presso Villa Pusterla - Crivelli, a Limbiate, (MB) si mette in scena, in costumi dell’epoca, la rievocazione storica dell’evento del doppio matrimonio notturno delle sorelle di Napoleone, Elisa e Paolina Bonaparte, che si sposarono nell’oratorio della frazione di Mombello alle tre di notte, (chissà poi perché in un’ora antelucana?). C’è ancora chi lo osanna, e lo fece il pittore David, essendo francese e ritrattista personale dell’Imperatore, ma noi italiani dovremmo prendere le distanze dai condottieri, tanto declamati sui libri di Storia, poiché troppi invasero la nostra Terra, ambita preda, a cominciare dai barbari e che, a mio avviso, furono solo grandi distruttori, guerrafondai e saccheggiatori delle proprietà altrui. Napoleone è stato uno di questi, credo che il mio pensiero non si discosti molto dal suo. La ringrazio per il tempo prezioso che mi ha dedicato e ora torno da dove sono venuta: due secoli dopo.
Danila Oppio

sabato 26 marzo 2022

Papa Francesco consacra Russia e Ucraina al Cuore Immacolato di Maria

ATTO DI CONSACRAZIONE AL CUORE IMMACOLATO DI MARIA - 25 marzo 2022

 



Il 25 marzo 2022 PAPA FRANCESCO ha dedicato questa preghiera:

Atto di consacrazione

 al cuore immacolato di Maria

O Maria, Madre di Dio e Madre nostra, noi, in quest’ora di tribolazione, ricorriamo a te. Tu sei Madre, ci ami e ci conosci: niente ti è nascosto di quanto abbiamo a cuore. Madre di misericordia, tante volte abbiamo sperimentato la tua provvidente tenerezza, la tua presenza che riporta la pace, perché tu sempre ci guidi a Gesù, Principe della pace.

Ma noi abbiamo smarrito la via della pace. Abbiamo dimenticato la lezione delle tragedie del secolo scorso, il sacrificio di milioni di caduti nelle guerre mondiali. Abbiamo disatteso gli impegni presi come Comunità delle Nazioni e stiamo tradendo i sogni di pace dei popoli e le speranze dei giovani. Ci siamo ammalati di avidità, ci siamo rinchiusi in interessi nazionalisti, ci siamo lasciati inaridire dall’indifferenza e paralizzare dall’egoismo. Abbiamo preferito ignorare Dio, convivere con le nostre falsità, alimentare l’aggressività, sopprimere vite e accumulare armi, dimenticandoci che siamo custodi del nostro prossimo e della stessa casa comune. Abbiamo dilaniato con la guerra il giardino della Terra, abbiamo ferito con il peccato il cuore del Padre nostro, che ci vuole fratelli e sorelle. Siamo diventati indifferenti a tutti e a tutto, fuorché a noi stessi. E con vergogna diciamo: perdonaci, Signore!

Nella miseria del peccato, nelle nostre fatiche e fragilità, nel mistero d’iniquità del male e della guerra, tu, Madre santa, ci ricordi che Dio non ci abbandona, ma continua a guardarci con amore, desideroso di perdonarci e rialzarci. È Lui che ci ha donato te e ha posto nel tuo Cuore immacolato un rifugio per la Chiesa e per l’umanità. Per bontà divina sei con noi e anche nei tornanti più angusti della storia ci conduci con tenerezza.

Ricorriamo dunque a te, bussiamo alla porta del tuo Cuore noi, i tuoi cari figli che in ogni tempo non ti stanchi di visitare e invitare alla conversione. In quest’ora buia vieni a soccorrerci e consolarci. Ripeti a ciascuno di noi: “Non sono forse qui io, che sono tua Madre?” Tu sai come sciogliere i grovigli del nostro cuore e i nodi del nostro tempo. Riponiamo la nostra fiducia in te. Siamo certi che tu, specialmente nel momento della prova, non disprezzi le nostre suppliche e vieni in nostro aiuto. Così hai fatto a Cana di Galilea, quando hai affrettato l’ora dell’intervento di Gesù e hai introdotto il suo primo segno nel mondo. Quando la festa si era tramutata in tristezza gli hai detto: «Non hanno vino» (Gv 2,3). Ripetilo ancora a Dio, o Madre, perché oggi abbiamo esaurito il vino della speranza, si è dileguata la gioia, si è annacquata la fraternità. Abbiamo smarrito l’umanità, abbiamo sciupato la pace. Siamo diventati capaci di ogni violenza e distruzione. Abbiamo urgente bisogno del tuo intervento materno.

Accogli dunque, o Madre, questa nostra supplica.

Tu, stella del mare, non lasciarci naufragare nella tempesta della guerra.

Tu, arca della nuova alleanza, ispira progetti e vie di riconciliazione.

Tu, “terra del Cielo”, riporta la concordia di Dio nel mondo.

Estingui l’odio, placa la vendetta, insegnaci il perdono.

Liberaci dalla guerra, preserva il mondo dalla minaccia nucleare.

Regina del Rosario, ridesta in noi il bisogno di pregare e di amare.

Regina della famiglia umana, mostra ai popoli la via della fraternità.

Regina della pace, ottieni al mondo la pace.

Il tuo pianto, o Madre, smuova i nostri cuori induriti. Le lacrime che per noi hai versato facciano rifiorire questa valle che il nostro odio ha prosciugato. E mentre il rumore delle armi non tace, la tua preghiera ci disponga alla pace. Le tue mani materne accarezzino quanti soffrono e fuggono sotto il peso delle bombe. Il tuo abbraccio materno consoli quanti sono costretti a lasciare le loro case e il loro Paese. Il tuo Cuore addolorato ci muova a compassione e ci sospinga ad aprire le porte e a prenderci cura dell’umanità ferita e scartata.

Santa Madre di Dio, mentre stavi sotto la croce, Gesù, vedendo il discepolo accanto a te, ti ha detto: «Ecco tuo figlio» (Gv 19,26): così ti ha affidato ciascuno di noi. Poi al discepolo, a ognuno di noi, ha detto: «Ecco tua madre» (v. 27). Madre, desideriamo adesso accoglierti nella nostra vita e nella nostra storia. In quest’ora l’umanità, sfinita e stravolta, sta sotto la croce con te. E ha bisogno di affidarsi a te, di consacrarsi a Cristo attraverso di te. Il popolo ucraino e il popolo russo, che ti venerano con amore, ricorrono a te, mentre il tuo Cuore palpita per loro e per tutti i popoli falcidiati dalla guerra, dalla fame, dall’ingiustizia e dalla miseria.

Noi, dunque, Madre di Dio e nostra, solennemente affidiamo e consacriamo al tuo Cuore immacolato noi stessi, la Chiesa e l’umanità intera, in modo speciale la Russia e l’Ucraina. Accogli questo nostro atto che compiamo con fiducia e amore, fa’ che cessi la guerra, provvedi al mondo la pace. Il sì scaturito dal tuo Cuore aprì le porte della storia al Principe della pace; confidiamo che ancora, per mezzo del tuo Cuore, la pace verrà. A te, dunque, consacriamo l’avvenire dell’intera famiglia umana, le necessità e le attese dei popoli, le angosce e le speranze del mondo.

Attraverso di te si riversi sulla Terra la divina Misericordia e il dolce battito della pace torni a scandire le nostre giornate. Donna del sì, su cui è disceso lo Spirito Santo, riporta tra noi l’armonia di Dio. Disseta l’aridità del nostro cuore, tu che “sei di speranza fontana vivace”. Hai tessuto l’umanità a Gesù, fa’ di noi degli artigiani di comunione. Hai camminato sulle nostre strade, guidaci sui sentieri della pace. Amen.


venerdì 25 marzo 2022

L'ARMISTIZIO SENZA FINE DI CHRISTIAN. RIFUGIATO E MIGRANTE DI CIRCOSTANZA di PADRE MAURO ARMANINO

 Christian con Padre Mauro Armanino

L’armistizio senza fine di Christian. Rifugiato e migrante di circostanza 


Christian è partito stamane alla volta di Monrovia, Liberia. L’ultima volta era scappato nel 2013 a causa di una guerra chiamata ‘Ebola’, malattia che ha contagiato e ucciso migliaia di persone a cominciare dalla confinante Sierra Leone. All’età di vent’anni, a causa della guerra civile nel suo Paese nel 1996, era fuggito in Costa d’Avorio e, da rifugiato aveva imparato il mestiere di meccanico, mettendo così a profitto i 5 anni passati nel Paese. La guerra in Liberia passa in Costa d’Avorio e l’Alto Commissariato per i Rifugiati lo trasporta, assieme a esuli di altre nazionalità, fino in Camerun. Il destino di Christian sembra giocare a nascondino per altri 9 anni che passa in un campo di rifugiati. Impara altri mestieri che gli saranno utili al momento del ritorno in patria, nel 2009 dove pensa finalmente di ricostruire la sua vita sconnessa. 
Non aveva però pensato alla guerra di Ebola, che ha seminato morte e distruzioni nel suo in altri Paesi limitrofi. Alla morte di buona parte della sua famiglia per la malattia, affronta un altro esodo dal suo Paese. Attraversa la Costa d’Avorio, tenta il Ghana, sfiora il Togo e, consigliato da amici, pensa di raggiungere l’Algeria che gli hanno descritta come un cantiere a cielo aperto. Non ha mai potuto raggiungerla perché, malgrado i tre tentativi effettuati, alle frontiere lo hanno puntualmente espulso e deportato nel Niger. In questo Paese lavora come barbiere per mantenersi per un paio d’anni finché un giorno, arrestato e accusato ingiustamente di frode, è detenuto per oltre due anni nella prigione centrale di Niamey. 
in carcere sopravvive come può coi piccoli mestieri che nel frattempo ha imparato nei soggiorni forzati nei campi profughi. Meccanico, autista, idraulico, barbiere, fabbricatore di stuoie e commerciante di tutto ciò che in carcere permette di resistere. Finalmente liberato, dopo essersi ripreso dalla mortale avventura carceraria, contatta l’Organizzazione Internazionale delle Migrazioni per un rimpatrio ‘volontario’, in patria. I suoi tre figli sono in Costa d’Avorio, ormai grandi e la maggiore ha dato alla luce una bimba che spera di abbracciare presto. La madre dei suoi  figli l’aspetta ancora e, se possibile, la farà venire in Liberia dove la famiglia paterna ha una casa e dei terreni. Christian mostra la tessera di vaccinazione obbligatoria per il viaggio di ritorno e, il giorno prima di partire passa per salutare e ringraziare. Chiede una preghiera per il viaggio, un ricordo e promette che, una volta a destinazione, manderà un messaggio e la foto della nipote a cui hanno affidato il nome Peace, Pace.
                                                              

Mauro Armanino, Niamey, marzo 2021



martedì 22 marzo 2022

RAFFAELLO SANZIO E LE STANZE VATICANE...LA STANZA DELLA SEGNATURA - ricerca di DANILA OPPIO



Raffaello Sanzio e le Stanze Vaticane: la Stanza della Segnatura

Nel 1508 Raffaello Sanzio (nato nel 1483 e morto nel 1520) viene invitato dal papa Giulio II della Rovere a decorare alcuni ambienti dei nuovi appartamenti papali. Erano già stati chiamati artisti del calibro di Lorenzo Lotto, il Perugino (maestro di Raffaello), il Sodoma e il Bramantino. Era stato Donato Bramante a fare il nome del giovane Raffaello al pontefice e questa scelta si rivelerà vincente.
 

Raffaello Sanzio (e aiuti), Stanza della Segnatura, Stanze Vaticane, 1509-11. 
La prima stanza da decorare, infatti, è quella detta della Segnatura, ovvero la biblioteca privata del papa che dal 1541, però, diventa sede del Tribunale Ecclesiastico. Gli artisti si mettono al lavoro ma quando Giulio II posa gli occhi sulle prime di Raffaello decide di affidare solo a lui la realizzazione dell’opera. Il giovane Raffaello e la sua bottega, quindi, lavorano agli affreschi tra il 1509 e il 1511. In questa stanza possiamo trovare due affreschi estremamente famosi: la Disputa del Sacramento e La Scuola di Atene.
I temi di questa prima stanza riguardano le discipline dell’Università medioevale, ovvero la Filosofia, la Teologia, la Giurisprudenza e la Poesia (che sostituisce la Medicina). Sui lati minori di questa stanza Raffaello dipinge scene relative alla Giustizia, Giustiniano consegna le Pandette a Triboniano e Gregorio IX approva le Decretali, e alla poesia con Il Parnaso in cui primeggia la figura di Apollo, protettore della lirica, intorno al quale si radunano poeti antichi e moderni.
Stanza della Segnatura
La Stanza della Segnatura contiene i più famosi affreschi di Raffaello: essi costituiscono l'esordio del grande artista in Vaticano e segnano l'inizio del pieno Rinascimento. L'ambiente prende il nome dal più alto tribunale della Santa Sede, la "Segnatura Gratiae et Iustitiae", presieduto dal pontefice e che usava riunirsi in questa sala intorno alla metà del XVI secolo. Originariamente la stanza fu adibita da Giulio II (pontefice dal 1503 al 1513) a biblioteca e studio privato: il programma iconografico degli affreschi, eseguiti tra il 1508 e il 1511, si lega a questa funzione. Esso fu certamente stabilito da un teologo e si propone di rappresentare le tre massime categorie dello spirito umano: il Vero, il Bene e il Bello. Il Vero soprannaturale è illustrato nella Disputa del SS. Sacramento (o la teologia), quello razionale nella Scuola di Atene (o la filosofia); il Bene è espresso nelle raffigurazione delle Virtù Cardinali e Teologali e della Legge mentre il Bello nel Parnaso con Apollo e le Muse. Gli affreschi della volta si legano alle scene sottostanti: le figure allegoriche della Teologia, Filosofia, Giustizia e Poesia alludono infatti alle facoltà dello spirito dipinte sulle corrispettive pareti. Sotto Leone X (pontefice dal 1513 al 1521) l'ambiente fu adibito a studiolo e stanza da musica, nella quale il pontefice custodiva anche la sua collezione di strumenti musicali. L'arredo originale del tempo di Giulio II venne rimosso e sostituito con un nuovo rivestimento ligneo, opera di Fra Giovanni da Verona, che si estendeva su tutte le pareti ad eccezione di quella del Parnaso, dove la stessa decorazione, ancor oggi visibile, per motivi di spazio venne eseguita in affresco. Il rivestimento ligneo, invece, andò probabilmente distrutto a seguito del Sacco di Roma del 1527 e al suo posto durante il pontificato di Paolo III (pontefice dal 1534 al 1549) fu dipinto uno zoccolo a chiaroscuri da Perin del Vaga.
Le Stanze di Raffaello, conosciute anche come Stanze Vaticane, sono quattro sale che fanno parte dei Musei Vaticani a Roma. Prendono il nome dal grande pittore urbinate che le ha affrescate con i suoi allievi.
Fu Papa Giulio II a commissionare a Raffaello, a inizio '500, i lavori delle quattro stanze, dopo essere rimasto deluso dai lavori di diversi altri artisti come il Perugino.
Raffaello cominciò i lavori nel 1508 e proseguì fino alla sua morte nel 1520. Il lavoro venne portato a termine nel 1524 dai suoi allievi e da Giulio Romano, grande artista collaboratore di Raffaello.
Le quattro stanze sono: Stanza della Segnatura, Stanza di Eliodoro, Stanza dell’incendio di Borgo, Sala di Costantino.

Stanza della Segnatura
In questa stanza si riuniva il Tribunale più importante della Santa Sede, Segnatura Gratiae et Iustitiae, da cui la sala prese il nome.
In questa stanza dove viveva Giulio II si possono ammirare gli affreschi più famosi di Raffaello.
Nella volta della Stanza della Segnatura sono raffigurati i quattro rami del sapere: Teologia, Filosofia, Giustizia e Poesia. Nelle pareti sono rappresentate le tre massime categorie dello spirito umano: il Vero, il Bene e il Bello.
Stanza della Segnatura di Raffaello nei Musei Vaticani – la storia
Raffaello iniziò su commissione di papa Giulio II (della Rovere, 1503-1513). Giulio II infatti si rifiutava di abitare l’appartamento già utilizzato dal suo predecessore, papa Alessandro VI Borgia, che egli detestava. Inizialmente il papa incaricò di affrescare i nuovi ambienti il Perugino e Luca Signorelli, che erano stati tra i protagonisti nella decorazione delle pareti della Cappella Sistina.
Secondo Giorgio Vasari, l’architetto Bramante chiamò a collaborare agli affreschi ormai iniziati anche il suo compatriota Raffaello Sanzio. Dopo le prime prove, Giulio II sarebbe stato tanto entusiasta del giovane Raffaello da ordinare che fosse distrutto ciò che era già stato iniziato dagli altri pittori e che a lui soltanto venisse affidata la decorazione delle stanze.
Le modifiche e i lavori di pittura si protrassero ben oltre il pontificato di Giulio II e continuarono sotto il suo successore Leone X (Medici, 1513-1521), concludendosi soltanto sotto Clemente VII (Medici, 1523-1534).
La Stanza della Segnatura fu la prima stanza degli appartamenti vaticani ad essere affrescata (1508-1511). È così denominata dall’omonimo Tribunale Ecclesiastico (detto della Signatura Gratiae) che per un certo tempo vi ebbe sede. Al tempo di Giulio II invece era adibita a studio e biblioteca.
Nei quattro tondi della volta Raffaello dipinse le personificazioni della Teologia, della Filosofia, della Poesia e della Giustizia. Il fine è quello di illustrare ed esaltare le facoltà intellettuali dell’Uomo e cioè il Vero, il Bene, il Bello. Attraverso la Teologia e la Filosofia viene esaltato il Vero. Attraverso il Diritto viene esaltato il Bene. Il Bello è manifestato sotto le sembianze della Musica e della Poesia.
Alcuni decori sulla sua tunica sono stati interpretati come la firma di Raffaello ("RVSM": "Raphaël Urbinas Sua Mano"). La figura sdraiata sulle gradinate è Diogene, mentre, all'estremità di destra, Tolomeo e Zoroastro (con la barba) hanno in mano rispettivamente il globo e la sfera celeste

Nel primo decennio del Cinquecento, negli anni d’oro del mecenatismo papale, è il periodo del classicismo più maturo di Raffaello. Giulio II è il committente degli affreschi che decorano le Stanze vaticane, tra cui la più nota è la Scuola di Atene.

L’argomento dell’affresco è la conoscenza e la verità filosofica ed è popolato con la rappresentazione dei saggi e dei massimi filosofi dell’antichità.
Il cartone preparatorio dell’affresco è conservato presso la Pinacoteca Ambrosiana di Milano.

Architettura compositiva
Le quattro pareti della stanza della Segnatura, detta così perché in essa si radunava il tribunale ecclesiastico della Signatura Gratiae, sono lunettate. Questa forma ad arco, imposta dall’architettura, è il punto di partenza di Raffaello, che imposta le scene principali sulla linea curva, verticale ed orizzontale, in relazione all’osservatore che, secondo la concezione cinquecentesca, deve sentirsi avvolto nella scena ed al centro di uno spazio ampio e imponente (prospettiva centrale).
Nel caso della scuola di Atene la scena si svolge all’interno di un’architettura a croce greca, inscritta in un deambulatorio quadrato, con cupola centrale.
L’edificio di grande solennità emula le basiliche antiche. Lo spazio è immenso e grandioso per sottolineare l’importanza dei contenuti.
L’architettura di stampo classico si struttura in:
o Gradinata in primo piano;
o In cima alla gradinata una prima navata coperta da una volta a botte cassettonata;
o segue uno spazio coperto a cupola;
o dopo lo spazio una seconda navata posta in profondità e, come la prima, sovrastata da una volta a botte cassettonata;
o sul fondo si apre una grande arcata a tutto sesto.
Nicchie, statue (Apollo e Minerva) e rilievi ornano l’architettura.
L’architettura da unità alla scena in cui la folla dei personaggi appare disordinata e in movimento.


Personaggi
La scena è densa di personaggi (58), disposti a omega Ω, raggruppati o solitari, che rappresentano i maggiori filosofi colti in atteggiamenti vari. C’è chi, come Socrate, discute animatamente, chi legge, chi scrive, chi medita, chi semplicemente ascolta e chi compie dimostrazioni geometriche o matematiche.
I filosofi sicuramente individuabili sono dieci, sei  in base alla presenza di un attributo iconografico inequivocabile (Pitagora, Socrate, Platone, Aristotele, Diogene e Tolomeo) e quattro in base a generici attributi iconografici (Averroè, Senofonte o Alcibiade, Zoroastro, Archimede o Euclide).
Più in dettaglio:
o Al centro in alto, messi in evidenza dalla luminosità del cielo, incorniciati dall’arco che li sovrasta e dalla convergenza dei personaggi laterali, avanzano Platone, a sinistra, ed Aristotele, a destra. Il primo regge sotto il braccio il Timeo e addita verso l’alto, verso il cielo, al mondo delle idee, base del suo pensiero filosofico, l’idealismo; il secondo, regge l’etica, volume di filosofia morale e addita invece verso terra, a sottolineare l’importanza dell’esperienza sensibile, punto di partenza della sua filosofia materialistica.
Davanti a loro, il personaggio in primo piano in atto di scrivere appoggiandosi ad un blocco marmoreo, inclinato verso destra, è Eraclito (che nel disegno preparatorio era mancante ed è stato aggiunto a fine opera), al quale si contrappone, specularmente, Diogene semi sdraiato sui gradini, un po’ arretrato, indossa un abito lacero, azzurro ed ha con sé una ciotola che secondo un famoso aneddoto era l’unico bene che aveva tenuto dopo essersi disfatto di tutti i suoi beni ma che non esitò a buttare via quando vide un bambino bere con le mani;
o A destra, il personaggio malinconico in primo piano chino tra i suoi discepoli nell’atto di illustrale loro qualcosa su una tavoletta è Euclide o Archimede e quello che dà le spalle all’osservatore, con la veste marroncina e con una corona, ritratto nell’atto di reggere il globo terracqueo è Tolomeo (per lungo tempo fu confuso con un componente della dinastia reale d’Egitto). Di fronte l’uomo con la barba che regge una sfera celeste è un astronomo, probabilmente Zoroastro. All’estrema destra vi è Raffaello stesso, ritratto dietro alla figura di un altro artista che aveva lavorato per affrescare la sala della Segnatura, il Sodoma;
o A sinistra, il personaggio seduto sul gradino intento a scrivere è Pitagora, riconoscibile perché intento a lavorare su un diagramma musicale ed uno schema numerologico con l’aiuto di una tavoletta. Chino dietro di lui con la veste verdina, vi è Averroè individuabile per il turbante orientale che indossa. Più in alto, sul piano, intento a parlare ai suoi discepoli, è riconoscibile Socrate, noto per la barba, la calvizie e il naso camuso. Il giovane con l’elmo che sta di fronte a Socrate è Alcibiade o forse Senofonte.
L’impostazione solenne e monumentale delle figure denuncia l’influenza michelangiolesca.

Quanto mi ha maggiormente colpito, sono le sembianze del volto che Raffaello ha voluto dare agli antichi filosofi, con quelle di artisti famosi. Lui stesso appare tra i personaggi dell’affresco. 

Filosofi con il volto di artisti famosi
Alcuni personaggi vengono raffigurati somiglianti ad alcuni grandi artisti:
o Platone viene ritratto con il volto di Leonardo anziano;
o Aristotele ha i tratti dello scultore Bastiano detto Aristotile da Sangallo;
o Eraclito con il volto di Michelangelo. L’artista in quegli anni sta lavorando alla volta della Cappella Sistina e così nel corso dell’opera Raffaello decide di rendergli omaggio. Michelangelo è riconoscibile anche per gli stivali in pelle che indossa il personaggio, notoriamente utilizzati dall’artista;
o Euclide ha il volto di Donato Bramante;
Il raffigurare i filosofi con le sembianze di grandi artisti ha lo scopo di affermare la dignità della professione dell’artista che all’epoca era ancora vista da alcuni come una pratica da artigiani e non da intellettuali.




Platone con il volto di Leonardo anziano


Il volto di Raffaello, cercatelo nel grande affresco!




domenica 20 marzo 2022

Polveri Occidentali e polveri del Sahel di P.adre MAURO ARMANINO

 


Polveri Occidentali e polveri del Sahel


Mamoudou e il suo compagno di viaggio in Marocco e Algeria, si trovano a Niamey da due settimane. Portano l’unico vestito che i militari algerini hanno loro lasciato, dopo aver rubato quanto avevano addosso in strada. Il cellulare un po' di denaro. Il resto l’hanno lasciato nella camera dove alloggiavano con altri migranti in cerca di lavoro e fortuna ad Algeri. La polvere si è incrostata nei pantaloni e nella maglietta che indossano da quando sono stati derubati, espulsi, deportati e infine abbandonati nel deserto che unisce e separa l’Algeria dal Niger. Cercano cibo, abiti decenti e soprattutto un luogo dove posare il capo la notte. Vivono l’attesa del ritorno in patria con l’OIM (Organizzazione Internazionale delle Migrazioni) le cui case di accoglienza sono saturate da migranti che non hanno trovato quanto, per anni, cercavano. Mamoudou ha tentato tre volte di raggiungere la Spagna dal Marocco e ogni volta i ‘passeurs’ gli hanno mentito. Sono spariti dopo aver intascato i soldi del viaggio via mare, mai effettuato. Mamoudou è stato anche bastonato dalle guardie marocchine di frontiera e da allora il suo respiro si è fatto difficile, a causa della polvere.
A Niamey e altrove nel Sahel lei, la polvere, ci assedia da une decina di giorni, da mane a sera. Ben visibile e tangibile nell’aria, nei contorni dei paesaggi, dentro le case, nella politica e nelle mani di coloro che da troppo tempo hanno ridotto gli altri a simboli, oggetti, animali o cose da abbattere e terrorizzare. Giusto questa settimana, un bus di linea proveniente dal Burkina Faso con destinazione Niamey è stato intercettato da elementi armati in caccia di militari che avevano indossato abiti civili. Avevano nascosto le armi nelle borse e i giovani ‘djihadisti’, non avendo avuto alcuna giustificazione dai passeggeri, li hanno fatto scendere. Almeno une ventina sono stati uccisi sul posto, risparmiando solo quattro donne che si trovavano nel bus, poi distrutto. il mezzo era proprietà della compagnia nigerina STM.
In Occidente, com’era da attendersi, la polvere, fino allora confinata dietro le cortine del totalitarismo igienico e di quello mediatico, si è bruscamente rivelata nel conflitto in atto alle sue estreme frontiere inventate e armate. Si tratta di un’apocalisse che si realizza per lo svelamento della consistenza e pervasività di una società e civilizzazione che la spietata polvere neoliberale ha sedotto e poi abbandonato al suo destino. Come altro definire l’Occidente e coloro che ancora ne sopportano l’arrogante crepuscolo, se non utilizzando la metafora della polvere… ‘Ricordati che sei polvere e polvere tornerai’. Per questo i fabbricanti di armi, utilizzando il pretesto ipocrita degli aiuti alle democrazie in pericolo, fomentano guerre e garantiscono potere perenne ai politici che li assecondano. Si, tutto torna alla polvere, durante e soprattutto dopo la guerra. Alla fine di tutto, per l’armistizio, rimane la polvere e il silenzio dei cimiteri. 
La polvere aveva da tempo imparato il cammino per arrivare ovunque e, non casualmente, aveva iniziato dai sogni. Si erano gradualmente spenti, normalizzati e resi impalpabili come polvere ed erano stati, infine, sepolti. Senza perdere altro tempo la stessa polvere ha occupato gli occhi, rendendo opachi i volti e le storie degli altri per trasformarli in merci di scambio o mano d’opera a buon mercato. La contaminazione di polvere alle parole è avvenuta con naturalezza. Canzoni, promesse, verità, preghiere, giuramenti, fiabe per adulti e semplici saluti quotidiani sono stati assediati dalla polvere e diventati in fretta segni inconfondibili della sempre attuale Babilonia. Tutto era finalmente pronto affinché la polvere portasse a termine quanto iniziato dai sogni e culminato nelle parole. Quindi anche i grembi delle donne si trovarono impolverati e, senza colpo ferire, sterili. La polvere era trionfante perché il suo futuro era assicurato per sempre.
Fu così che, un mattino di festa e senza nessuna anticipazione, si alzò un vento leggero che si trasformò in pioggia che, di colpo, trasformò la polvere in fango per i bambini che iniziarono a giocare coi piedi nudi.


Mauro Armanino, Niamey, marzo 2022


giovedì 17 marzo 2022

AD UN ANNO DALLA SCOMPARSA DI PADRE GABRIELE MATTAVELLI - 19 marzo 2021 - 19 marzo 2022

 

P. Gabriele, ripartito per il Camerun dopo un paio di mesi di vacanza (!) in Italia, ci ha lasciato questo «testamento», su richiesta...

NOI IN CAMEROUN...

«Alcuni giorni fa. Padre Claudio, direttore di «II Carmelo Oggi» e responsabile delle nostre missioni, mi ha fatto queste richieste: «Prima di ripartire per il Cameroun, presenta per i nostri lettori il volto attuale della Missione:il numero dei Padri e degli studenti, le vostre attività..., quali sono i vostri progetti..., che cosa «fa» un missionario quando viene in «licenza» ...

E così, quantunque già con un piede sull'aereo che mi riporterà in Cameroun, cercherò in breve di accontentarlo.

La nostra Comunità è composta da cinque Padri tutti italiani, inviati in Cameroun per diffondere la Buona Novella del Cristo per mezzo della vita carmelitana.

Tra noi vi è Padre Giorgio Peruzzotti: superiore della casa, delegato del Provinciale per il Cameroun e parroco di Nkoabamg. E' il grande capo della missione, inviato in Cameroun dopo 14 anni di Madagascar. Lavoratore infaticabile, da sempre ha fatto suo il motto del Papa: «La fede si rafforza donandola». E lui si dona fino a rompersi le ossa. L'anno scorso è stato operato di due ernie al disco che l'hanno un po' frenato nella sua attività, ma non nel suo desiderio di donarsi ai fratelli a cui è stato mandato. Ama ripetere: o Africa o morte!

P. Roberto Lanzone è il Vicario dell'apostolato parrocchiale in Nkoabang. E' pure il sovrintendente della nostra non più piccola casa. Ha seguito per un po' di tempo le monache di Etoudi e la fraternità carmelitana.

P. Antonio Sangalli è stato il primo ad essere inviato in Cameroun. Ha preparato il terreno e il monastero delle Monache. E' «l'architetto» della missione: a lui si devono i lavori di ampliamento della nostra casa; ma è pure il Direttore spirituale del seminario maggiore di Yaoundé. Il sabato e la domenica svolge le funzioni di cappellano delle monache e segue l'Ordine secolare carmelitano.

P. Giuseppe Sabbatin, della provincia religiosa veneta: dopo 16 anni di Madagascar ci ha raggiunti in Cameroun. L'arcivescovo gli ha affidato alla periferia della città una parrocchia che è in continua crescita e con non pochi problemi per le differenti etnie che la compongono. E' pure confessore delle monache ed economo della casa.

Infine, P. Gabriele Mattavelli. Egli continua sempre nel suo apostolato alle carceri; si occupa del problema degli «handicappati» e segue l'attività religiosa di una cappella nella brousse (savana).

Ma ciò che richiede maggior impegno è la formazione dei giovani che chiedono di diventare carmelitani, di cui sono il responsabile. Questi giovani sono cinque (Emmanuel, Gilbert, Hilaire, Brunot, Thomas), e dal prossimo settembre dovrebbero essere otto.

 I primi cinque vivono in convento con noi e ogni giorno vanno in seminario per i corsi di filosofia. Dovremo comperare un «minibus» per il loro trasporto. Uno degli scopi del Padre Generale mandandoci in Cameroun era quello di impiantare l'Ordine Carmelitano. Queste sono le prime vocazioni. Speriamo che giungano a maturazione per un Carmelo teresiano camerunese.

Ai lettori de «II Carmelo oggi» chiedo la loro preghiera, la loro simpatia e anche il loro aiuto per la nostra missione. Se qualcuno volesse «adottare» uno studente carmelitano durante il periodo degli studi si faccia avanti: il Signore gli darà la ricompensa del missionario che quest'anno celebrava i 400 anni della morte del suo Patrono, S. Luigi Gonzaga. Nella Messa solenne il pensiero andava al dono della fede ricevuta e cresciuta in quella comunità parrocchiale. Là venivano alla mente le parole del Papa nell'Enciclica sulla Missione: «Quando la fede è forte ed entusiasta la comunità parrocchiale è missionaria».

Dopo la famiglia naturale, quella adottiva:

Legnano. Qui, dove per più di 15 anni ho vissuto e lavorato prima di partire per l'Africa. Legnano è il campo base, è la mia casa conventuale, dove è difficile trovare un giorno per te. Gli amici sono tanti: allora... gli incontri, le visite alle famiglie, ai giovani, agli ammalati sono il pane quotidiano, è la condivisione nella fede di quello che hai ricevuto per il bene di tutti.

E non poteva mancare la visita ai conventi e ai monasteri della provincia che vanno da Aosta fino a Ferrara, per portare i saluti e le notizie dei padri e soprattutto delle monache di clausura di Yaoundé, che non hanno certo la possibilità di venire in «licenza».

E non è ancora finito: qualche giorno di predicazione missionaria a Barzio (Valsassina) - un tuo bei «regalo»! -, e una settimana di incontri spirituali-teologici a Notre Dame de la Vie nel sud della Francia.

Come vedi i 55 giorni di congedo in Italia sono stati ben riempiti.

Mia sorella all'inizio della vacanza mi aveva proposto di passare 15 giorni di riposo in montagna. Avevo accettato ben volentieri. Poi vedendo come andavano le cose, una sera le dissi: «Senti, 15 giorni sono troppi, facciamo otto giorni». Intanto i giorni passavano e lei mi ricordava la promessa fatta. Io tergiversavo..., finché le dissi: «Credevo di poter fare almeno tre giorni con te, ma vedo che mi è impossibile». Al che lei sbottò: «Ecco, trovi il tempo per tutti, fuorché per te e la tua famiglia!».

Mi chiedo se un missionario può ancora riservare spazi per sé. Venendo in «licenza» si approfitta per «revisionare la carrozzeria umana: occhi, bocca, stomaco…» e si approfitta anche per fare il pieno per i bisogni della missione che sono sempre più grandi. Certo, tutto questo va fatto per il Cristo e con il Cristo, altrimenti sarebbe tutto vano.

Mi viene alla mente quello che diceva S. Teresa d'Avita, la nostra Madre riformatrice: «Teresa da sola non può niente. Teresa e qualche soldo meno che niente: Teresa, il Cristo e qualche soldo può tutto». Vorrei che sia così anche per me.

La missione nasce dalla gioia profonda di un dono gratuitamente ricevuto (la Fede), che tutto hanno il diritto di conoscere e di ricevere.

Infine, mi chiedi quali sono i nostri progetti in missione.

Il primo è quello di far vivere la nostra comunità che è diventata casa di formazione e di preghiera. Il padre Provinciale nelle sue visite fraterne ci ha incoraggiati a camminare in questa direzione; a noi ora l'impegno della realizzazione.

Poi un secondo progetto, molto più ambizioso e che supera le nostre possibilità. Sia il Nunzio Apostolico, sia l'Arcivescovo hanno offerto altre case a Yaoundé: un santuario mariano o un centro di spiritualità. Forse ci hanno stimato un po' troppo, visto le nostre modeste possibilità.

La richiesta è stata girata al Padre Generale e attendiamo una sua visita tra noi.

Questo per dirvi che i progetti non mancano, la buona volontà anche, la voglia di lavorare c'è in tutti, le speranze sono grandi.

Quello che il Papa dice della missione della Chiesa in generale, mi piacerebbe che diventasse realtà anche nella nostra missione particolare: «Vedo albeggiare una nuova epoca missionaria, che diventerà giorno radioso e ricco di frutti se tutti i cristiani risponderanno con generosità e santità alla sfida del nostro tempo».

Che questa visione ottimistica e piena di speranza del Papa, sia anche in tutti noi: è l'ottimismo della fede.

P. Gabriele Mattavelli Legnano, 1° agosto 1991

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P. Gabriele da Nkoabang (Da Il Carmelo Oggi, n°1, 1988) 

    Carissimi, l'invito di S. Paolo «soyez toujours dans la joie» è pure il mio augurio per il prossimo Natale.

   Sì, nonostante tutte le difficoltà, noi dobbiamo essere nella gioia perché crediamo all'amore di Dio per noi. La nostra gioia è per sempre perché è radicata in Cristo, sorgente perenne della nostra gioia, e che da senso al nostro vivere e che ci guida con la sua luce. 

   Sono passati alcuni mesi dall'ultima «lettera comunitaria» e tante cose sono accadute. Ho ricevuto parecchie lettere da amici, che ringrazio di tutto cuore, e mi scuso di non poter rispondere a tutti personalmente. Lo faccio con questa, augurandomi che la nostra comunione in Cristo cresca sempre più per testimoniare la Sua gioia - la vera gioia del Natale - tra i fratelli con cui viviamo.

   La nostra vita missionaria qui in Cameroun sta entrando sempre più nell'alveo carmelitano, che è quello richiestoci dai nostri superiori e dall'Arcivescovo di Yaoundè. Quello cioè di portare, attraverso la nostra vita religiosa, un supplemento di spiritualità in questo nostro mondo sempre più materializzato. 

   La riapertura del Monastero di Etoudi a Yaoundè, con dieci Monache Carmelitane italiane risponde a questo desiderio. L'accoglienza di giovani che vogliono verificare la loro vocazione, nella nostra casa di Nkoabang, è anche questo un segno in quella direzione.

   Tutto ciò ci impegna a diventare sempre più autentici, a spogliarci di tante cose che sono solo la sovrastruttura del Vangelo e a seguire più da vicino il Maestro, che, a chi desiderava seguirlo, rispondeva: «Vieni e vedi».

P. Gabriele con una piccola lebbrosa

   All'apertura dell'anno scolastico, gli ottocento ragazzi della scuola della Missione hanno trovato due aule nuove, spaziose, ben illuminate -dalla luce del sole, naturalmente! - costruite grazie anche ai vostri aiuti. Il prossimo anno vorremmo continuare a costruire le altre otto aule: fiduciosi come siamo nel vostro aiuto! In gennaio scaveremo il pozzo per dare acqua a tutti i quei ragazzi.

   Abbiamo pure ricominciato la piccola scuola per sordomuti: non è facile, ma credo che il sorriso sulle labbra di quei ragazzi, contenti di aver compreso tante belle cose e di poterle esprimere a loro modo, valga la pena di ogni nostro sforzo!

   Vi sono poi le altre attività di catechesi, di predicazione, di ritiri a Suore e Preti e - dulcis in fundo - la preoccupazione quotidiana dei fratelli prigionieri.

Mi spiace il dover ritornare sempre su questo argomento, ma è molta parte della mia vita qui. In breve, ecco alcuni fatti significativi della prigione:

1) un desiderio grande, in un numero sempre maggiore di prigionieri, di seguire Cristo in un cammino che potrei chiamare catecumenale nella scoperta o riscoperta - per chi è già battezzato - del battesimo e della vita di fede.

2) La visita dell'Arcivescovo di Yaoundè alla prigione dopo più di otto anni di assenza, dovuta al rifiuto dei capi. È stata una visita tormentata, ma fortemente voluta, nonostante il persistere del divieto dei capi. Abbiamo sfidato questo ingiusto divieto, che va contro la legge dello Stato, per portare la Parola di perdono, di Amore e di Pace del Padre Celeste. Certo, io ho rischiato di essere non solo espulso dalla prigione, ma anche dal Cameroun. Ma che importa? Purché la Parola sia annunciata con coraggio nella sua integrità.

3) Infine, le malversazioni là dentro. Dopo una visita d'ispezione del ministro, è stato proibito ai prigionieri di poter fare dei «beignets», specie di frittelle fatte di manioca o di farina: era un po' di cibo sano, che almeno un certo numero di prigionieri poteva mangiare. No! Tutti devono mangiare la porcheria che passa lo Stato - vi assicuro che anche i porci fanno fatica a mangiare quella roba -; e siccome questa è talmente poca, la fame, con tutto quello che si porta dietro, aumenta sempre più.

   Inoltre, i 124 condannati a morte da più di un mese sono incatenati con una grossa catena saldata alle caviglie. Così oltre ad avere tutti i piedi piagati, non possono levarsi né pantaloni né slip. Immaginate le conseguenze in un posto dove scarseggia l'acqua. Questa punizione è la conseguenza del tentativo di fuga da parte di due detenuti. Uno di questi è riuscito nel suo intento, mentre l'altro è stato ucciso sul muro che stava scalando.

   Quando sono entrato nel quartiere dei condannati a morte per celebrare la Messa, trovandomi davanti tutti quei giovani incatenati, di primo acchito mi sono sentito male e mi sembrava impossibile celebrare la Messa in quelle condizioni. Ma poi, dietro insistenza di alcuni prigionieri abbiamo iniziato l'Eucarestia, che credo sia stata una delle più consapevoli di ciò che si stava compiendo. Al «confiteor», con quale forza e partecipazione si è chiesto al Cristo di spezzare tutte le catene del corpo e dell'anima!

   All'omelia, un prigioniero della fraternità «Massimiliano Kolbe» ha portato questa testimonianza. «Accettiamo questa aggiunta di pena con fede e coraggio in Cristo. Le catene che portiamo ai piedi non ci tolgono la fede in Cristo; è la giustizia degli uomini questa. Gesù nel Vangelo ci ha detto di dare a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio. 

   Noi portiamo le catene in nome di Cesare, ma la nostra anima è riservata a Dio». Per questo il gruppo ha deciso di pregare assieme tre volte al giorno invece di due, «per rafforzare la nostra fede in Cristo che è morto per noi, per liberarci da tutte le catene». Veramente la grazia del Signore sovrabbonda nelle sofferenze.

   In unione di preghiera, augurandovi la vera gioia del Natale, vi saluto tutti fraternamente».

P. Gabriele Mattavelli

 

VÉRONIQUE: UNA LEBBROSA COLMA DI GRATITUDINE

   P. Gabriele ci scrive dalla missione. Quando una persona si trova di fronte ad esperienze forti, che lo toccano personalmente, è normale che non possa far a meno di parlarne e di farne partecipi gli altri. E' per questo che P. Gabriele ritorna a parlarci dei suoi carcerati e lebbrosi: la loro fede, in situazioni disumane, ci può essere indubbiamente salutare.

   “Carissimo P. Claudio, in questo tempo di quaresima, la Chiesa ci fa pregare con più insistenza le parole del Salmo: «Rendimi la gioia di essere salvato». Sì, o Signore, in noi, attorno a noi e nel mondo intero ci sono tanti limiti e tanto male; per questo ti ridiciamo: «rendici la gioia della salvezza che è la tua da sempre e che hai donato a noi nel giorno di Pasqua».

   Ringrazio sempre tutti coloro che m'hanno scritto, che si ricordano ancora di me e che soprattutto mi ricordano al Signore nella loro preghiera. E' là, in quel rapporto a tu per tu con il Signore, che anch'io mi ricordo con gioia di tutti voi e gli chiedo di compiere le sue meraviglie in voi.

   La vostra generosità fa miracoli. Siamo riusciti a scavare il pozzo alla scuola della Missione: manca ancora la pompa per attingervi acqua. Speriamo di installarla al più presto. Ma i tempi qui in Africa sono un po' diversi che da voi. Anche per la Scuola della missione, dopo le due aule già costruite l'anno scorso, vogliamo riprendere i lavori al più presto, visto il generoso contributo di Papà Ildebrando, l'amico dei lebbrosi di Gallarate.

«Perdonati dal Padre...per perdonare»

  Le vostre offerte di questo periodo mi sono servite soprattutto per i fratelli che sono in carcere. Nell'ultima lettera vi avevo già descritto la miserabile situazione in cui vivono quei poveretti. Pensavo che si fosse toccato il fondo ed invece...

  Basti dirvi che in questi mesi quasi ogni giorno ci sono stati morti per fame e per mancanza di qualsiasi medicina. Io continuo a portare sardine, latte in polvere e sapone, e tutto questo ha contribuito a strappare molti prigionieri, specie i più giovani, da morte sicura.

   C'è la crisi, si dice, ed i primi a pagare sono sempre i più poveri. C'è il male nella nostra società, e allora occorrono dei capri espiatori che paghino per tutti. Mi sembra di essere come il profeta che grida nel deserto. Anche se sono certo che le nostre grida, inascoltate dagli uomini di questo mondo, sono ascoltate ed esaudite dal Signore.

 Un solo esempio. Domenica 7 febbraio entro in prigione per la Messa e mi trovo davanti quattro giovani stesi per terra, completamente nudi, in coma. Morranno poco dopo.

   Durante la celebrazione della Messa sentiamo delle grida e quando alla fine mi avvio nel cortile da dove provenivano quelle urla, mi trovo davanti ad uno spettacolo terrificante. Una ventina di condannati a morte sono bastonati selvaggiamente. Il sangue cola da tutto il corpo. Quando mi vedono, uno di loro incomincia ad intonare l'Alleluia e le grida si trasformano in canto religioso, mentre i loro carnefici continuano, sghignazzando, la loro carneficina.    Era la punizione per aver tentato di spezzare le catene che hanno ai piedi. 

   Il giorno seguente le catene sono state rimesse di nuovo e la saldatura è stata fatta sulla nuda pelle senza alcuna protezione. Immaginate quelle gambe bruciacchiate e gonfiate col pericolo della cancrena; a qualcuno dovrà essere amputata la gamba. In un incontro di catechesi - una settimana dopo la carneficina - un giovane ha chiesto: «Ma perché non ci ammazzano tutti e subito, così avremo finito di soffrire. Tanto, a che serve tutta questa sofferenza?». 

   Dopo attimi di silenzio imbarazzante, uno di loro ha risposto: «Forse nella nostra sofferenza noi osiamo credere di essere associati alla passione di Cristo crocifisso. Siamo stati perdonati dal Padre per imparare a perdonare a nostra volta: un perdono che passa nella sofferenza della nostra carne. ...Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno.»

La preghiera di una lebbrosa

In questi mesi, interessandomi, come sapete, anche di alcune comunità di lebbrosi, sono venuto a conoscenza di una preghiera che mi ha beneficamente «shoccato», e per questo voglio tradurla anche per voi. È di Véronique, una donna che ha pregato così nella sua vita:

«Signore, tu sei venuto, mi hai chiesto tutto 

e io ti ho tutto donato.

Mi piaceva molto leggere e ora sono cieca.

Mi piaceva correre nei boschi 

e ora le mie gambe sono paralizzate.


Mi piaceva cogliere i fiori al sole di primavera

 e ora non ho più le mani. 

Poiché sono donna, mi piaceva rimirare la bellezza dei miei capelli,

 le mie dita sottili, la grazia del mio corpo:

ma ora sono quasi calva 

e al posto delle mie belle mani, 

non mi restano che dei rigidi moncherini.

Guarda, Signore, come il mio grazioso corpo 

è ora straziato. Ma io non mi ribello.


Ti rendo grazie, o Signore. 

Per tutta l'eternità ti ringrazierò.

Perché se io muoio questa notte,

 so che la mia vita è stata 

meravigliosamente ben riempita. 


Vivendo l'Amore, sono stata colmata 

ben oltre ciò che il mio cuore desiderava. 

O mio Dio, come sei stato buono 

con la tua piccola Véronique!


E questa sera, o mio Amore, ti voglio pregare 

per i lebbrosi di tutto il mondo. 

Ti prego soprattutto per quelli che la lebbra morale 

abbatte, distrugge, degrada e stronca. 

Quelli, soprattutto, li amo e mi offro in silenzio 

per loro, perché sono miei fratelli e mie sorelle.


O mio Amore, ti offro la mia lebbra fisica 

perché essi non conoscano il disgusto, 

l'amarezza e il gelido della loro lebbra morale.


Io sono là tua piccola figlia, o mio Dio, 

conducimi per mano, come una mamma conduce il suo bebè.

Stringimi al tuo cuore, come un Papà

 stringe sul suo cuore il suo bambino. 

Immergimi nell'abisso del tuo cuore 

e che io vi resti con tutti quelli 

che amo, per tutta l'eternità».

 Non ho conosciuto direttamente Véronique, ma ho parlato con coloro che sono vissuti con Lei. La preghiera, mi dicevano, era la sua vita, come la vita era la sua preghiera. È vissuta più di 60 anni, di cui una cinquantina come lebbrosa e nella forma più dolorosa, la lepromatosi. Per amore di Cristo, da cui si è lasciata sedurre, è riuscita ad accettare la sua terribile prova e a trasformarla in dono gratuito ed in abbandono totale; e là ha compreso la sua vocazione personale.

   Ha scritto: 

«Ho compreso, nei miei lunghi anni di malattia,

che tu mi volevi per te solo,

Signore, unicamente per Te. E io ho accettato.

 Ora il mio cuore è traboccante di Pace e di Gioia».

È la gioia della Pasqua di Cristo; è quella che auguro anche a ciascuno di voi, uniti co¬me sempre nella preghiera.

Fraternamente P. Gabriele Mattavelli

                                                     (Da Il Carmelo Oggi, n°5, 1988)

Ancora oggi Padre Gabriele ci parla e ci racconta la sua esperienza missionaria in Africa, attraverso le sue lettere.

E anche Padre Nicola Galeno, suo confratello nel Carmelo, lo ricorda così:





Il giorno 19 marzo dello scorso anno, San Giuseppe ha accolto in Paradiso il nostro caro Padre Gabriele. Lo porteremo nel ricordo e nel nostro cuore per sempre. 

In questo periodo i cui la guerra sta colpendo l'Ucraina, ti chiediamo di intercedere presso il Padre, affinché illumini le menti dei governanti e  porti la Pace nel mondo. 

BENVENUTO|

Il Paradiso non può attendere: dobbiamo già cercare il nostro Cielo qui sulla terra! Questo blog tratterà di argomenti spirituali e testimonianze, con uno sguardo rivolto al Carmelo ed ai suoi Santi