AFORISMA

Meglio aggiungere vita ai giorni, che non giorni alla vita
(Rita Levi Montalcini)

Nostra Signora del Carmelo

Nostra Signora del Carmelo
colei che ci ha donato lo scapolare

venerdì 31 dicembre 2021

MAMMA CONCETTA ED EDITH STEIN di P. Nicola Galeno OCD


(1-1-1922)

MAMMA CONCETTA ED EDITH STEIN


Mamma, sapessi! E' tanta la dolcezza

di questa rimembranza! Quando tu

il primo compleanno festeggiavi

nella nativa Trani, ad oltre mille

chilometri nel cuor della Germania

una professoressa trentunenne,

nata in famiglia ebraica, si faceva

battezzar: a quel passo decisivo

l’aveva spinta l’ardente parola

di quella grande mistica spagnola,

Teresa di Gesù, carmelitana.

Edith aveva sempre ricercato

nella filosofia il sommo Vero,

che adesso a lei mostrava un divin volto:

era il Figliolo stesso dell’Eterno!

Mamma, tu non sapevi che un tuo figlio

sarebbe diventato confratello

d’una futura martire del Cristo.

Mamma, ti sento in Cielo dialogare:

Teresa Benedetta della Croce,

è questo il compleanno più felice!”.


(Legnano 30-12-2021), Padre Nicola Galeno


martedì 28 dicembre 2021

Vorrei percorrere la terra e annunciare il Vangelo. Cinquant'anni di missione in Centrafrica - di Padre Federico Trinchero

"Vorrei percorrere la terra e annunciare il Vangelo”. Cinquant’anni di missione in Centrafrica"                                                                      

“Vorrei percorrere la terra e annunciare il Vangelo”. Cinquant’anni di missione in Centrafrica.

Notiziario dal Carmel di Bangui n° 31, 27 dicembre 2021

La missione dei frati Carmelitani scalzi in Centrafrica ha appena compiuto cinquant’anni. I primi quattro missionari – padre Agostino Mazzocchi, padre Niccolò Ellena, padre Marco Conte e padre Carlo Cencio – arrivarono infatti a Bozoum il 16 dicembre 1971. Fu il timido e discreto inizio della nostra missione e, in un certo senso, un nuovo capitolo di una storia iniziata secoli prima.

Le missioni in Africa erano un grande desiderio di Santa Teresa d’Avila. Poco prima della sua morte, cinque missionari carmelitani scalzi partirono da Lisbona diretti verso le coste del Congo. Purtroppo, a causa di una tempesta, la spedizione fece naufragio e tutti e cinque i missionari morirono nelle acque dell’oceano. L’anno seguente, una seconda spedizione, fu altrettanto sfortunata; questa volta furono dei corsari che attaccarono la nave e impedirono ai missionari di raggiungere l’Africa. I cinque frati furono abbandonati sulle spiagge di Capo Verde: uno morì e gli altri riuscirono a tornare a Siviglia. Nel 1584, al terzo tentativo, tre carmelitani riuscirono a stabilirsi finalmente in Congo. Purtroppo, alcuni anni dopo, la missione fu soppressa. Soltanto tre secoli più tardi, in epoca coloniale, il Carmelo riuscì a piantare le sue prime radici nell’Africa nera. I primi ad arrivare, però, non furono i frati, ma le monache, nel 1934 in Congo. In seguito, nel 1956, arrivarono in Congo anche i loro confratelli. E poi il Carmelo si diffuse in tutto il continente.

La missione di Bozoum, in realtà, venne fondata dai padri spiritani francesi, gli evangelizzatori del Centrafrica, nel 1929. In seguito, negli anni Quaranta, arrivarono i cappuccini della Savoia e poi quelli di Genova. È grazie all’amicizia con quest’ultimi che, verso la fine degli anni Sessanta, nacque tra i frati carmelitani di Genova il forte desiderio di aprire una missione in Centrafrica. Nei secoli passati diversi frati di Genova erano stati inviati in missione in India, Persia e Siria. Ma ora i miei confratelli volevano una missione tutta per loro e, come la piccola Teresa, volevano percorrere la terra, annunciare il Vangelo nelle cinque parti del mondo, piantare la croce sul suolo infedele. E l’Africa, l’Africa nera, animava i loro sogni e i loro progetti più di ogni altro luogo.

Il padre Provinciale dell’epoca, Teodoro Brogi, fu il grande promotore dell’apertura della missione. Prima di lanciarsi nell’impresa, per la quale non mancarono gli ostacoli, fece un sondaggio per verificare quanti frati fossero effettivamente disposti a partire. Tutti i frati, eccetto uno, risposero affermativamente. Alcuni si dissero pronti a partire subito e senza condizioni, obbedienti alle parole della santa Madre Teresa che avrebbe dato “mille volte la propria vita pur di salvare anche solo un’anima”. Tra questi padre Niccolò, padre Marco, padre Carlo e, in seguito, anche padre Agostino, dei carmelitani di Napoli.

Il 7 dicembre 1971 il Card. Siri consegnò il crocifisso ai quattro partenti. Il 12 dicembre i padri missionari all’aeroporto di Nizza salirono sul DC-8 che li portò a Fort-Lamy, in Ciad. E da qui, viaggiando ancora in aereo e poi in macchina, arrivarono finalmente a Bozoum dove, raccontano le cronache del 16 dicembre di quell’anno, “baciarono il suolo sul quale avrebbero sparso il sudore del loro lavoro apostolico” e iniziarono a imparare il sango, la lingua con la quale avrebbero annunciato il Vangelo.

Ma chi erano questi quattro uomini, dai caratteri e dalle storie alquanto differenti, che con eroica incoscienza – l’espressione è del padre Niccolò – diedero vita alla missione dei carmelitani scalzi in Centrafrica?

Dei quattro missionari, padre Agostino di S. Teresa non era solo il più anziano, ma anche il più raffinato e quello dal profilo biografico indubbiamente più avventuroso. Nato a Milano nel 1904, studiò musica, medicina e legge. Dopo avere lavorato per dieci anni a Strasburgo, durante la seconda guerra mondiale divenne ufficiale militare in Libia. Venne subito fatto prigioniero in Egitto e poi trasferito ai piedi dell’Himalaya. Durante i sei anni di prigionia domandò il battesimo e s’immerse nella lettura di Santa Teresa. Nel 1946, ormai libero, rientrò in Italia ed entrò nel convento dei Carmelitani di Napoli. Divenuto sacerdote, e dopo cinque anni di vita eremitica in Toscana, arrivò a Bozoum dove vi resterà per dieci anni.

Padre Niccolò di Gesù Maria, classe 1923, originario della Valle Varaita in provincia di Cuneo, entrò nell’Ordine giovanissimo. Dopo gli studi a Roma, nel 1952 partì come missionario per il Giappone dove lavorò per sette anni. Arrivato in Centrafrica nel 1971 vi resterà per ben 42 anni, la maggior parte dei quali trascorsi nella parrocchia di Bossemptelé, da lui stessa fondata. Padre Nicolò, scomparso nel 2019, era un missionario d’altri tempi; dei quattro, indubbiamente, il più simile ai primi evangelizzatori del Centrafrica. Di quasi ogni giorno trascorso in missione, padre Niccolò ha lasciato inoltre un prezioso e interessante diario.

Padre Marco dell’Incarnazione, nato a Verona nel 1925, entrò nell’Ordine in età adulta, dopo aver lavorato per anni come artigiano del vetro. Meticoloso, artista e dal carattere un po’ burbero, trascorse in Centrafrica circa dieci anni, lasciando una piccola chiesa in pietra nel villaggio di Karaza.

Padre Carlo del Cuore Immacolato, il più giovane e l’unico ancora vivente, dalle Langhe dove era nato nel 1937, arrivò nella savana con grande entusiasmo e determinazione. Il passaggio dalla lingua di Dante al sango, dai vigneti ai campi di manioca non fu facile. Ma, dopo solo due anni, fondò la parrocchia di Baoro, la nostra seconda missione, riuscendo a costruire la chiesa sognata da bambino. Poeta, scrittore, all’occorrenza agricoltore, anche se si è sempre definito un semplice tappabuchi, è stato in realtà un grande animatore della missione, lavorando soprattutto nei villaggi – dei quali ricorda ancora i nomi con i rispettivi catechisti – dove è passato scacciando demoni, guarendo malati e, così racconta, anche risuscitando i morti…

Nel corso degli anni la missione si è poi ingrandita. Nello stesso tempo si sono passati il testimone tanti missionari (non solo italiani) i quali, ognuno con il proprio temperamento e le proprie doti, hanno continuato con uguale passione e dedizione l’opera iniziata dai primi quattro.

Il 19 Dicembre ci siamo ritrovati a Bozoum per rendere grazie a Dio, capace di fare grandi cose con noi piccoli uomini. La nostra gioia è stata grande non solo per la presenza dei tanti fedeli, ma anche per il dono di due nuovi sacerdoti: fra Martial e fra Jeannot-Marie.

Poi ci siamo trasferiti a Bouar, la missione dove ho vissuto i miei primi cinque anni di Africa, per una riunione di due giorni nella quale abbiamo potuto fare un bilancio di questi cinquant’anni e progettare i prossimi cinquanta in compagnia, ormai, di tanti giovani confratelli autoctoni.

Trascorro Natale per la prima volta a Yolé con i nostri 75 seminaristi. Ogni venerdì di Avvento hanno consumato un pasto più sobrio per poter distribuire, il giorno della vigilia, il frutto dei loro sacrifici: riso, caffè, zucchero, caramelle e sapone per 250 poveri.

Poi a Messa i canti più belli, a tavola i piatti più buoni, attorno al fuoco le danze più lunghe perché il Re è tra noi. I nostri quattro primi missionari non avrebbero osato sognare tanto quando arrivarono cinquant’anni fa, proprio alla vigilia di Natale. Eppure è il loro coraggio che ha permesso la realizzazione del sogno.

Padre Federico















 



domenica 26 dicembre 2021

IL PASSAPORTO SCADUTO E LE SALDATURE DI JEAN di P. MAURO ARMANINO

 

Il passaporto scaduto e le saldature di Jean

Non sembra ma dieci anni passano in fretta. Avevo ottenuto il passaporto un paio di mesi prima di partire alla volta del Niger. Chi avrebbe mai immaginato di vivere una decade nel Paese, dove ero sbarcato il mese di aprile del 2011. La data di scadenza del documento è stata ampiamente superata. Il solo documento valido attualmente in mio possesso è il permesso di soggiorno, rinnovabile ogni anno a determinate condizioni. La mia libera mobilità si trova di colpo mortalmente colpita: senza un passaporto valido è impossibile viaggiare regolarmente ad di fuori del Paese. Ma anche all’interno del Paese, da tempo ormai, è complicato spostarsi liberamente per chi ha una nazionalità ‘occidentale’ o si trova ad avere un altro colore. La storia è strana davvero, ci sono corsi e ricorsi e avvenimenti non programmati che fanno sorridere persino la sabbia, notoriamente abituata al detto che tutto cambi perché niente, in fondo, cambi.

Nascere in un Paese o in un altro non è affatto innocente. Il luogo, oltre le retoriche del mondo villaggio e della sedicente globalizzazione che tutto avrebbe normalizzato’, conserva un’importanza cruciale per la vita reale di una persona. La speranza di vita, la cultura, l’affiliazione religiosa, l’educazione, le opportunità di lavoro, le prospettive matrimoniali, i viaggi e in genere la qualità della vita sono legate al fattore geografico fin dalla nascita. Casualità, causalità, imponderabile lotteria senza numeri preferenziali, provvidenza divina o semplice e indiscutibile destino segnato. Tutto questo e molto altro ancora, per riconoscere e accettare che la porzione di terra nella quale si è nati deciderà molto del nostro futuro. Anche la mobilità, dunque, sarà in funzione del luogo nel quale il documento di viaggio del cittadino è stato confezionato. La nazionalità allora aprirà o fermerà le frontiere di transito o di destinazione del cittadino. 

Per le nazionalità, che i più ricchi possono comprare, è stato stilata la classifica dei Paesi a seconda della qualità delle nazionalità che permettono, ai loro detentori, di muoversi con maggiore o minore facilità nel mondo. Il rapporto in questione, pubblicato l’anno scorso, suddivide i Paesi in cinque liste a seconda dei parametri interni, legati alle possibilità economiche, allo sviluppo umano, alla pace e la stabilità. Ci sono poi i parametri esterni, quali la facilità a ottenere i visti necessari e le condizioni per stabilirsi nel Paese. Il documento organizza i Paesi del mondo in categorie che variano dalla più alta alla meno alta qualità. Il grafico, opportunamente colorato, rappresenta il passaggio dai più ai meno qualificati in termini di nazionalità. Nel Nord del Mondo, senza sorpresa, appare la più marcata e pregiata nazionalità. L’Africa è classificata nella zona di ‘bassa qualità’ con l’area orientale e centrale al suo interno, di bassissima qualità.

Anche per questo Jean ha abbandonato sei mesi or sono il nativo Camerun perché non poteva pagarsi la macchina saldatrice. Ed è per comprarne una nuova che voleva raggiungere la Spagna passando dal Marocco. Attraversata la Nigeria approda a Cotonou nel Benin e per pagarsi la tappa seguente lavora come ‘manicure’, poi a Malanville carica barre di ferro sui camion e a Dosso nel Niger, per lo stesso motivo, fabbrica pane e dolci. A Niamey la capitale è imbrogliato e derubato del passaporto, dei soldi, dello zaino, del cellulare e del progetto di continuare il viaggio. Da una settimana deve giustificare la sua nazionalità e ricorda solo il numero ‘whatsapp’ della sorella minore rimasta nel Paese.  Suo padre è morto nell’infanzia e sua madre invece è deceduta da due mesi. Jean ha 24 anni e possiede tutto il tempo per saldare i conti con la sua vita. Il mio passaporto, invece, è scaduto dal passato mese di febbraio ed è solo la sabbia del Niger che, nella complicità, mi ha offerto un permesso di soggiorno, rinnovabile.


      Mauro Armanino, Niamey, 26 dicembre 2021




sabato 18 dicembre 2021

VOLTIAMO PAGINA di Padre MAURO ARMANINO


Dipinto di Maristella Angeli
Voltiamo pagina

Cambiare non è poi così difficile come potrebbe sembrare a prima vista. Basta girare la pagina del quaderno sul quale sembra scritta già la nostra storia. Interrompere il flusso, apparentemente determinato, di fatti, eventi e situazioni è possibile. Voltare pagina significa imprimere un futuro differente alla narrazione dominante del presente. L’irruzione dell’inedito destabilizza piani, progetti, usi e costumi ritenuti fino a allora inespugnabili. Il nostro tempo che appare ‘normalizzato’ e per così dire ‘predestinato’, è invece marcato da reazioni, sussulti e ribellioni che, a modo loro, vorrebbero girare la pagina della normalità. Le democrazie autoritarie o totalitarie che spuntano ovunque, sono l’espressione del maldestro tentativo di perpetuare un presente che ha tradito il passato e smarrito il futuro. Voltare pagina significa credere fattibile un mondo altro. ‘Un mondo di proteste’ è il titolo di un libro, uscito da poco, che elenca e classifica chi ha cercato di voltare pagina. I primi vent’anni del nostro millennio hanno visto crescere le proteste.
Dall’Africa all’Europa, dall’America all’Asia, c’è gente che, dalla strada, ha chiesto democrazia effettiva, lavoro, servizi sociali di migliore qualità, diritti civili, giustizia sociale e la fine di abusi, corruzione e austerità, tra molte altre rivendicazioni. Ciò che hanno in comune le citate proteste è il fallimento della democrazia e dello sviluppo enomico e sociale, unite nella sfiducia dei processi politici attuali. Il libro citato presenta il risultato dell’analisi delle proteste effettuate tra il 2013 e il 2020, e sottolinea come prevalente la dimensione politica delle manifestazioni. Esse hanno avuto luogo in almeno 101 Paesi e hanno attraversato frontiere. La domanda di protesta prevalente nel periodo 2006-2020 è stata quella di chiedere l’esercizio di una democrazia ‘reale’. Anche a Niamey, così come in altre capitali del Sahel, ci sono stati tentativi di girare la pagina. Non sono mancate le manifestazioni di protesta legate, in modo diretto o meno, a quanto il rapporto sottolineava e cioè la pratica di una democrazia sinceramente popolare. 
Cambiare non è poi così facile come potrebbe sembrare a prima vista. Le democrazie attuali, tropicalizzate, autoritarie o totalitarie, possiedono un arsenale di misure volte a dissuadere chi vorrebbe, impunemente, girare la pagina. Controlli e azioni preventive sui militanti considerati pericolosi, uso sproporzionato di forze armate, gas lacrimogeni, arresti arbitrari a domicilio o sulla strada e, soprattutto, l’uso della repressione come sistema di controllo sociale. La colonizzazione delle menti va di pari passo con l’addomesticamento (passivo o attivo) della giustizia, unico baluardo contro gli abusi senza limite della hybris (arroganza) del potere. Eppure, con tutto questo, voltare pagina è necessario e doveroso per chi crede che la vita non è un problema da risolvere, un mistero da scoprire e un’avventura da rischiare. Ogni bimbo che nasce in questo mondo arriva con in mano un foglio non scritto chiamato speranza.

          Mauro Armanino, Niamey, Natale 2021

Ho scelto di illustrare la lettera di Padre Armanino con un dipinto della brava pittrice Maristella Angeli di Macerata. E terminare con il mio personale augurio per questo Natale, con disegni e poesia da me realizzati anni fa, diretti a Padre Mauro, alla SMA tutta e a tutti coloro che seguono quanto accade a Niamey. Danila


venerdì 17 dicembre 2021

SINESTESIA D'AVVENTO di UMBERTO DRUSCHOVIC

 


SINESTESIA D’AVVENTO

Ho raccolto qui le mie povere cose
quello che resta di giorni mal spesi,
ho svuotato le tasche da inutili orpelli,
da cianfrusaglie di pensieri trovate qua e là 
nelle ore perdute, quelle vuote, 
malamente andate, tra parole non dette, 
parole sbagliate.
Ora che della cicala svanito è il canto
e secchi, ormai, sono i viticci 
che della vigna han sostenuto i tralci,
dell’estate, solo, rimane l’impronta
fugace ai rami degli ontani
genuflessi al fiume nel dono dell’ombra.
Litania d’amore è il ritorno delle foglie
esauste alla terra madre
spossate nella mestizia dell’abbandono
pur grate per la stagione breve
arresa alla malinconia d’autunno.
Ahh, possedessi io quella sapienza,
quella saggezza che è l’accettare,
non chiedere ad ogni aurora 
se ancora si alzerà il vento
ma esser lieto come l’acqua al fosso
che della fonte il mistero non conosce
e quieta si raggela intorno al sasso,
nulla al verno chiede, ma si dispone
e del dubbio non si rode.
                       Umberto Druschovic, Avvento 2021

martedì 14 dicembre 2021

Trittico sulla Chiesa di S. Anna a Piacenza

Trittico sulla Chiesa di S. Anna a Piacenza


LA FACCIATA

Chiesetta accantonata dalla Storia

per via delle tante espropriazioni

ed allontanamento di coloro,

che con la lor fervente salmodia

creavan un ambiente di preghiera,

sapesti riservarmi una sorpresa,

facendomi tornar a contemplare

Teresa con Giovanni della Croce!

(Legnano 2-11-2021), Padre Nicola Galeno


(Giovanni Venanzi da Pesaro)

IL CRISTO APPARE A S. GIOVANNI DELLA CROCE

Giovanni, ti sorprende la domanda

di quel Maestro con la Croce in spalla.

Non te la senti di chieder alcuna

ricompensa terrena per l’intenso

lavoro spirituale nel condurre

anime alla divina intimità.

Ti par logico allora l’implorare

adesione maggiore alla Passione:

soltanto patimenti e derisioni

per Amore del Cristo basteranno!

(Legnano 13-12-2021), Padre Nicola Galeno

 

(Bartolomeo Rusca)

L’APPARIZIONE DI S. GIUSEPPE A S. TERESA

Il Paradiso sembra traslocare

tutto nel cor ardente di Teresa,

che gode nel vedere San Giuseppe

con in braccio quel Bimbo tanto amato.


 Ti vuol manifestar soddisfazione

per avergli voluto dedicare

quel primo Monastero delle Scalze,

nido indiscusso di gran santità!

(Legnano 13-12-2021), Padre Nicola Galeno


sabato 11 dicembre 2021

I PADRI ASSENTI E GLI OCCHIALI DI SCARTO di P. MAURO ARMANINO

 


            I padri assenti 

e gli occhiali di scarto

Lei è nata il giorno di Natale del secolo scorso in Costa d’Avorio. Per qualche imbroglio del destino o per evitare di cadere nella banalità, l’hanno chiamata Pascaline. Nata nella stessa regione dell’allora presidente Laurent Gbagbo è stata costretta a fuggire dal Paese perché perseguitata per causa di appartenenza etnica. L’avevano minacciata di morte e poi incendiato la casa. Scappata con un bimbo e una bimba non suoi e di padri differenti, ha raggiunto il confinante Ghana. Di confine in confine è arrivata in Togo, Paese francofono, l’anno seguente. Qui ha ottenuto la protezione umanitaria in un grande campo di rifugiati, con altre migliaia di suoi compatrioti, per una durata di undici anni. In Costa d’Avorio, prima della guerra, aveva conosciuto il padre del figlio che ha portato in esilio e che lei non ha generato. Lui già abitava e lavorava in Italia e le aveva giurato di condurla nel Bel Paese al suo ritorno. Un giorno è partito in viaggio e le ha lasciato suo figlio come garanzia di un ritorno finora mai avvenuto. Quanto alla bimba che ha condotto in Togo, è la figlia di una nipote rimasta orfana allo scoppio della guerra civile in Costa d’Avorio.
Pascaline era ammalata e aveva l’impressione che, nel campo dei rifugiati ivoriani nel quale era ospite, la sua malattia non venisse presa sul serio e curata. Affida allora le due creature, ormai cresciute, a una lontana parente e parte, con la tessera di rifugiata e un paio di borse a Niamey, la capitale del Niger, con lo scopo di curarsi. L’Alto Commissariato per i Rifugiati non ritiene di poter intervenire e Pascaline, dopo qualche mese di ospitalità presso l’Organizzazione Internazionale delle Migrazioni, ha chiesto e ottenuto il rimpatrio al suo Paese. La figlia di sua nipote, diciassettenne di nome Mireille, durante il soggiorno nel campo, ha dato la vita ad una bimba della quale il padre, anche in questo caso, si è dileguato lasciandola sola con lei. La ragazza, lei stessa senza padre, si è trovata con una figlia di padre assente e l’ha chiamata Giada, nome di una pietra preziosa dell’Oriente. Pascaline è partita martedì di mattina con un volo diretto ad Abidjan, la capitale economica della Costa d’Avorio. Torna undici anni dopo averla lasciata per fondate minacce alla sua vita e né lei né il Paese sono più gli stessi. I tre rimasti rifugiati in Togo arriveranno presto.
Il giorno prima del viaggio passa con un sorriso per ringraziare e salutare. Dice che da qualche tempo non vede bene ma che, durante il soggiorno presso l’OIM, hanno preso cura di lei. Solo ha difficoltà a leggere la sua vita e quello che le aspetta di ritorno nel Paese nel quale è nata, il giorno di Natale dello scorso millennio. Sceglie con pazienza un paio di occhiali smessi e più che alle lenti, fa attenzione all’eleganza della montatura. Chiede e ottiene l’indirizzo di una posta elettronica che mai userà e promette di telefonare, una volta sistemata nel Paese che ha lasciato da undici anni. Non si lamenta di nulla, neppure dei padri assenti, cui sembra aver fatto, da tempo, l’abitudine. D’altra parte, non da oggi, anche gli altri padri sembrano essere scomparsi: quelli della Costituzione, della democrazia, dell’indipendenza, della nazione e delle esplorazioni di sagge utopie per il futuro. Padri scomparsi o assenti per abitudine, incuria, insipienza o semplice viltà, da ciò che dà senso e direzione alla storia contemporanea. Lei, chiamata Pascaline e nata il giorno di Natale, sorride e sceglie, prima di partire, un paio di occhiali di scarto.

   Mauro Armanino, Niamey, 12 dicembre 2021



sabato 4 dicembre 2021

ALLEANZE DI SABBIA NEL SAHEL di PADRE MAURO ARMANINO



        Alleanze di sabbia nel Sahel

A Niamey e dintorni i matrimoni sono di sabbia. Nella maggior parte dei casi le alleanze resistono pochi mesi. Almeno finora, a poco valgono i segnali di allerta e i consigli dei leader religiosi che sembrano essere inghiottiti dalla polvere in questa rituale stagione dell’Harmattan. Il vento s’incarica di trasportarla dal deserto e il cielo, di norma assai terso, si riveste di un’opaca coltre di polvere che, secondo i giorni, dà del filo da torcere persino all’inesorabile sole del Sahel. Quest’ultimo, tra l’altro, si trova ben rappresentato nel cuore stesso della bandiera del Niger, come a illuminarla senza nessuna spesa di gestione. Le ragioni della fragilità dei legami coniugali non dovrebbero essere disgiunte dal contesto nel quale si trova, ciclicamente, lo spazio saheliano. Da tempo immemorabile sede di imperi poi tramontati, di piste carovaniere aggiornate e corrette da nuovi traffici, rioccupato da ideologie totalitarie e progetti di riconquista coloniale, il Sahel vive di alleanze precarie e interessate. Pochi gli amici sinceri e molti gli interessi, come dappertutto.

Se pochi sono i legami solidi perché la Francia, già potenza coloniale in questo spazio, gli Stati Uniti, l’Europa e persino l’Italia hanno, ognuno a modo loro, la propria agenda e priorità, non si capisce come, in ambito famigliare, si dovrebbe poter trovare la fedeltà nel tempo che, altrove, non è affatto consigliata. I politici questo lo sanno bene e, anche per questo, profittano del tempo loro impartito dai mandati elettorali, per fare bottino sulle spalle del popolo. Nel caso ciò si rivelasse problematico, basterà cambiare gli articoli della Costituzione e prolungare i mandati a tempo indeterminato. Questa non è fedeltà ma ostinazione totalitaria. Non casualmente, non da oggi, c’è insofferenza nei riguardi delle presenze militari straniere in questa porzione dell’Africa Occidentale. Tra le rivendicazioni della manifestazione prevista oggi, domenica 5, a Niamey, c’è l’invito a dibattere pubblicamente sulla decenza della presenza di basi militari straniere nel Paese. Sono alleanze di sabbia che durano tanto quanto gli interessi, per e con i ‘grandi’ coincidono.

L’ottanta per cento dei legami matrimoniali celebrati nella capitale naufraga dopo appena tre mesi di vita comune. Difficoltà economiche, scoperta dell’incompatibilità di carattere, identità di genere in via di ridefinizione, preparazione sommaria al senso del matrimonio, illusioni perdute, e immaginario tradito…sono alcune delle cause che vengono addotte per tentare di capire il fenomeno in atto. Altri sottolineano l’effimero di buona parte degli incontri sentimentali che si attuano oggi tramite i mezzi odierni di comunicazione sociale. Messaggi, foto, video, WhatsApp e vocali costituiscono come il supporto da cui tutto nasce e a cui tutto torna, matrimoni compresi. Il ruolo dei legami famigliari e tradizionali è del tutto marginale. In fondo, come più volte rilevato, l’apprendistato della permanenza nel tempo delle alleanze non potrà che ricominciare da lei, la sabbia. Paziente, umile, silenziosa, costante, preziosa, casta e fedele, solo abbisogna di ascolto. Potenze, geopolitiche, interessi e imperi finiranno. La sabbia non passerà.

 Mauro Armanino, Niamey, 5 dicembre 2021

BENVENUTO|

Il Paradiso non può attendere: dobbiamo già cercare il nostro Cielo qui sulla terra! Questo blog tratterà di argomenti spirituali e testimonianze, con uno sguardo rivolto al Carmelo ed ai suoi Santi