AFORISMA

Meglio aggiungere vita ai giorni, che non giorni alla vita
(Rita Levi Montalcini)

Nostra Signora del Carmelo

Nostra Signora del Carmelo
colei che ci ha donato lo scapolare

mercoledì 6 dicembre 2023

VITTIME, VITTIMISMI E VITTIMIZZAZIONI: APPUNTI DAL SAHEL di Padre MAURO ARMANINO

Vittime, vittimismi e vittimizzazioni:                   appunti dal Sahel

La lista sarebbe lunga e indefinita perché entità e identità delle vittime sono in costante processo di ridefinizione e aggiornamento. Si può operare classificando secondo l’importanza, l’urgenza, l’intensità, le modalità e l’opportunità. Ci sono le vittime designate dalla storia, quelle di circostanza, quelle che contano e quelle che passano, per convenzione, inosservate. Oggigiorno si parla assai di cartografie o di sistemi più sofisticati per interagire, reperire, evidenziare o far scomparire le vittime designate. Lai lista dei prescelti, appare e si nasconde a seconda della geografia politica, economica e quella dello spettacolo. 

Il dizionario definisce come vittima un essere umano o animale che, nei riti di alcune religioni, viene consacrata alla divinità e ucciso nel sacrificio. In seconda battuta è chi perde la vita in una sciagura o calamità tipo terremoto, incendio, droga, sulla strada e al lavoro. Oppure, senza includere l’idea della morte, la vittima è, a proposito di chi sia, senza sua colpa, danneggiato da persone o circostanze. Infine, si può trattare di chi si assoggetta alla volontà altrui perché succube e incapace di reagire. Il panorama ‘vittimario’ appare così ampio da includere, ad un momento o l’altro, buona parte dell’umanità.

I nascituri, le madri lasciate al loro destino, le donne violentate, i padri senza autorità, i bambini oggetto di compravendita, gli adolescenti arruolati nelle guerre, i migranti in viaggio, i rifugiati non protetti, gli sfollati non accolti, i carcerati disumanizzati, i malati abbandonati, i perseguitati per motivi politici o religiosi, coloro a chi sono stati sottratti i mezzi per vivere, i disoccupati forzati e le persone rapite. Questi e molti altri sono vittime ufficiali, riconosciute, dimenticate o semplicemente rimosse dalla lista. C’è chi giustifica la sua vita prendendosi cura di loro e chi, grazie a loro, si arricchisce o diventa qualcuno di importante.

In un modo o nell’altro, a seconda delle stagioni della vita e le peripezie della storia, quasi tutti gli abitanti del pianeta sono vittime oppure prezioso e amaro oggetto di vittimizzazione per finire nel vittimismo. Persino da noi, nel Niger dopo il colpo di stato, dichiariamo di essere vittime delle sanzioni economiche, finanziarie e frontaliere. Altri ricordano di essere state vittime del colonialismo e la quasi totalità, di essere vittime sacrificali del sistema capitalista. Persino Dio, col suo particolare statuto, potrebbe sostenere di essere annoverato come indiretta vittima degli umani che, in un momento di debolezza, ha creato.  

Non si uscirà da questo circolo vizioso o dalla farsa di questo ambito se si omette di riconoscere che le prime e autentiche vittime della storia sono la dimenticanza, la parola e la verità. La dimenticanza è all’origine di tutto quanto costituisce l’arsenale simbolico che genera le vittime. Obliare la silenziosa e fragile origine dell’umano che ci accomuna dal primo vagito, significa diventare prede della violenza mortale in seguito. La parola, lo sappiamo, è la prima vittima di tutto ciò che racconta e manipola la realtà a seconda degli interessi dell’ideologia che ci comanda. Infine, la verità, che si trasfigura nei volti delle vittime, ha scelto, in mancanza di meglio, di continuare il suo esilio in cerca di amici sinceri.


         Mauro Armanino, Niamey, 3 dicembre 2023

domenica 3 dicembre 2023

LO STILE DI FIGLI - NON FARSI TROVARE ADDORMENTATI - settima conferenza di P. CLAUDIO TRUZZI OCD


7 – LO STILE DI  FIGLI
a – NON FARSI TROVARE “ADDORMENTATI”

1.   SERVI VIGILANTI
• «Siate anche voi come quei servi che aspettano il padrone quando torna dalle nozze, per essere pronti ad aprirgli appena arriva e bussa. Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli. Vi assicuro che egli prenderà un grembiule, li farà sedere a tavola e si metterà a servirli. E se arrivando nel mezzo della notte o prima dell'alba troverà i suoi servi ancora svegli, beati loro. … tenetevi pronti, perché il Figlio dell'uomo verrà quando voi non ve l'aspettate». Luca 12, 34-40 
•  «Sarà come di un uomo che, partendo per un viaggio, ha lasciato la sua casa dando ogni potere ai suoi servi, a ciascuno il suo compito, e al portinaio ha comandato di vegliare. Vegliate dunque, giacché non sapete quando il padrone della casa giungerà, se la sera o a mezzanotte, al canto del gallo o al mattino. Che egli giungendo all'improvviso, non vi trovi addormentati...». Marco 13, 33-37
Sono proposte due parabole, tra le più brevi. 
I discepoli avevano posto 2 domande. 
–   La prima riguarda il segno da cui è possibile discernere l'imminenza della fine del mondo, e Gesù risponde   con la similitudine del fico: 
«Imparate dal fico questa parabola: Quando i suoi rami diventano teneri e spuntano le foglie, 
voi conoscete che l'estate è vicina. Così anche voi, quando vedrete accadere queste cose, sappiate 
che [la fine del mondo] è vicina, è alle porte». Marco 13, 28-31
–  La seconda pretende sapere quando, tutto ciò sarebbe successo. E Gesù risponde [meglio: non risponde!] narrando di un uomo che, dovendo assentarsi, affida la casa ai servitori. Su tutti, inizialmente, si staglia la figura del portinaio, che riceve l'incarico specifico di “vegliare”. Ognuno, però ha un compito particolare da svolgere, con la propria precisa responsabilità.
Non è, quindi, precisata l'ora del “ritorno” del padrone (come desidererebbero i discepoli). Anzi, si sottolinea che egli può capitare «all'improvviso».
L’importante è stare al proprio posto in senso attivo, compiere il proprio dovere.
Il più grave guaio che possa accadere è che qualcuno si trovi «addormentato». E ciò può avvenire non soltanto di notte ... Quindi non è soltanto il portinaio ad essere incaricato di vegliare. Questi non lo può fare al posto degli altri.
Quindi, il Cristo si rifiuta di rispondere alla domanda sul “quando”; non soddisfa la curiosità. Ammonisce solamente che la venuta è vicina, certa, addirittura “improvvisa”, e ... perciò occorre vegliare. Cioè,
–  Da un punto di vista negativo: si tratta di non lasciarsi prendere alla sprovvista (ossia, di non farsi trovare “addormentati” al momento della venuta del Signore.
–  In senso positivo: bisogna “vigilare”. 
«Vigilare significa essere costantemente allerta, svegli, in attesa. 
Significa vivere in atteggiamento di servizio, a disposizione del padrone che può ritornare in ogni momento. Implica lotta, fatica, rinuncia. Non è in alcun modo disimpegno o indifferenza». (B. Maggioni).
Si tratta, in altre parole, di acquisire una certa maniera di orientare l'attenzione su ciò che è veramente importante, e che non è altro che una certa arte di essere puntuali, ossia di non lasciarsi sorprendere dagli avvenimenti decisivi dell'esistenza.
Il Padrone che parte non lascia degli individui che semplicemente lo aspettino, ma degli individui che hanno qualcosa da fare, ai quali è dato qualcosa da fare. Quando Egli ritornerà, non gli interessa tanto se lo stiano aspettando, ma se abbiano svolto il compito per il quale li ha “lasciati”.
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•   Qui, il servo che si lascia sorprendere addormentato è l'equivalente di quel servo della parabola di Matteo, che va a nascondere il talento ricevuto: [«In verità, io vi dico: non vi conosco!»]. Eccola:
«Allo stesso modo, infatti, un uomo in procinto di partire, chiamò i suoi servi e affidò loro i suoi: a uno diede cinque talenti, a un altro due e a un altro uno: a ciascuno secondo le proprie capacità; poi partì.
Senza perdere tempo, chi aveva ricevuto cinque talenti andò a trafficarli e ne guadagnò altri cinque. 
Allo stesso modo quello che aveva ricevuto due talenti, ne guadagnò altri due. Ma colui che ne aveva ricevuto uno solo, andò a scavare nella terra una fossa e vi nascose il denaro del suo padrone.
Dopo molto tempo viene il padrone di quei servi e li chiama al rendiconto.
Si presentò quello che aveva ricevuto cinque talenti e ne portò altri cinque dicendo: “Signore, mi desti cinque talenti. Ecco, ne ho guadagnati altri cinque”. Gli rispose il padrone: “Bene, servo buono e fedele, sei stato fedele nel poco, ti darò il potere su molto: entra nel gaudio del tuo Signore.
Si presentò chi aveva ricevuto due talenti e disse: “Signore, mi desti due talenti. Ecco, ne ho guadagnati altri due”. Gli disse il padrone: “Bene, servo buono e fedele, sei stato fedele nel poco, ti darò il potere su molto entra nel gaudio del tuo Signore”.
Si presentò, infine, colui che aveva ricevuto un solo talento e disse: “Signore, sapevo che tu sei un uomo severo, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso; per questo ho avuto paura e sono andato nascondere il tuo talento sottoterra. Ecco, prendi ciò che è tuo”. 
Il padrone gli rispose: “Servo malvagio e infingardo, sapevi che io mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; per questo avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri, in modo che, al mio ritorno, avrei potuto ritirare il mio con l'interesse. Perciò, toglietegli il talento e datelo a quello che ne ha dieci”. Infatti, a chi ha sarà dato e sarà nell'abbondanza. Ma a chi non ha sarà tolto anche quello che ha. E il servo infingardo gettatelo nelle tenebre esteriori là sarà pianto e stridore di denti”».  Matteo 25,14-31 [anche Luca 19, 11-26]
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Certo, il Signore può capitare all'improvviso: a sera, a mezzanotte, o alle prime luci all'alba. 
Forse, però, che non sia addirittura già arrivato? Sì! Con la prima venuta di Cristo, il Regno di Dio è già arrivato, è presente qui, adesso, in mezzo a noi, sulla terra.
Dunque, c'è qualcosa di peggio che essere addormentati. È il non accorgersi di una Presenza. 
I testi del Nuovo Testamento che invitano alla vigilanza, si dividono in due categorie principali: 
1°– Occorre vigilare nell'attesa e nella speranza della sua venuta per essere pronti allorché si presenterà. 
2°. Bisogna ancora vigilare per far fronte ai gravi pericoli che minacciano l'esistenza cristiana. 
Quasi che l'unica maniera per essere “contemporanei” del futuro consista nel vivere in pienezza il presente; l'unico modo per rimanere fedeli all'eterno consista nel non tradire il presente.
Il credente non è uno che viaggia con il calendario in mano. Semmai ha in mano una bussola.
Cristo fornisce la direzione del cammino. Non ci offre la descrizione anticipata di ciò che accadrà lungo la strada. «La sua parola – quella che non passa – non è la chiave magica per risolvere gli enigmi della storia, i rebus della cronaca quotidiana. È luce che permette di cogliere il significato degli avvenimenti». Il cristiano non è affatto uno che sa già tutto prima. È uno che riesce ad afferrare il filo conduttore delle diverse vicende. La colpa del cristiano non è quella di non essere informato, ma quella di non essere preparato.
Dunque, al posto della curiosità e delle informazioni, la vigilanza! 
Gesù non ci dice: «State tranquilli»; ma ammonisce: «Badate!». 
Non ci avverte: «Mettete la sveglia a quella determinata ora». Impone: «Non dormite!»
• Bisogna riconoscere che fa un certo effetto l'insistenza di quell'imperativo: «Vegliate!».
Diamine, con tutto quel po' po' di fracasso provocato da guerre, persecuzioni, cataclismi, sconquassi cosmici, … si sta svegli per forza. Invece, no! Non sono gli avvenimenti esteriori – per quanto fracassoni e terrificanti! – che ci fanno stare svegli. Al massimo, quelli non ci lasciano dormire...
La vigilanza cristiana è un'altra cosa. Dipende da una realtà che c'è dentro. Un'attesa vissuta nella speranza. «Sono i passi leggeri di una Persona quelli che ci tengono svegli, e si sta in ascolto, in silenzio». (A. Pronzato) 

PERDONAMI, SIGNORE
Se, spossato, cado durante il cammino, perdonami, Signore,
Se il mio cuore vacillerà un giorno di fronte al dolore, perdonami Signore.
Perdona la mia pusillanimità. – Perdona il mio indugio.
La meravigliosa ghirlanda che ho offerto a Dio questa mattina sta già appassendo;
la sua bellezza svanisce.
Perdonami, Signore!
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2.  LE DIECI VERGINI – (Le “sciocche” insegnano!)
«Così sarà il regno di Dio. 
C’erano dieci ragazze che avevano preso le loro lampade a olio ed erano andate incontro allo sposo. Cinque erano sciocche e cinque erano sagge. Le cinque sciocche presero le lampade, ma non portarono una riserva di olio; le altre cinque, invece, portarono anche un vasetto di olio. Poi, siccome lo sposo faceva tardi, tutte furono prese dal sonno e si addormentarono. A mezzanotte, si sente un grido: “Ecco lo sposo! Andate gli incontro!”.  Subito le dieci ragazze si svegliarono e si misero a preparare le lampade. Le cinque sciocche dissero alle sagge: “Dateci un po’ del vostro olio, perché le nostre lampade si spengono”. Ma le altre cinque risposero: “No!, perché non basterebbe più né a voi né a noi. Piuttosto, andate a comprarvelo al negozio”. 
Le cinque sciocche andarono a comprare l’olio; ma proprio mentre erano lontane, giunse lo sposo: quelle che erano pronte entrarono con lui nella sala del banchetto e la porta fu chiusa a chiave. 
Più tardi giunsero anche le altre cinque, e si posero a gridare: “Signore, Signore, aprici!”. 
Ma lui rispose: “Non so proprio chi siete”.  
State svegli, dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora».  Luca 25, 1-13
Nessuno e niente ci autorizza a pensare e giudicare le ragazze ‘sciocche’ della parabola, meno che sciocche; e fin che si dice sciocco, poco male, perché è una cosa che può capitare a tutti, con l’aggiunta di quel detto scherzoso: “Quando non ce n’è [in testa!] quare conturbas me!” [perché te la prendi con me?].
Forse – e senza forse –, queste poverette hanno insegnato più cose al mondo, delle altre cinque sagge e previdenti. Sì, perché l’umanità si trova immersa nelle cose sciocche e torna più facile accorgersi degli sbagli (tanto è vero che tutti ne parlano) più che delle cose buone e perfette.
ABBOTTONA LA TASCA-DIFETTI ALTRUI

 Durante un'ispezione un colonnello si fermò, squadrò il soldato da capo a piedi e gli disse con durezza: «Abbottona la tasca, soldato!». 

Il soldato, assai confuso, balbettò: «La devo abbottonare subito, signor colonnello?». 
«Sì, immediatamente!».
 
Allora il soldato si avvicinò cautamente e abbottonò il risvolto del taschino della camicia del colonnello.

È sempre più facile vedere le tasche sbottonate degli altri che non le proprie! 

Non si tratta di fare elogi fuori posto; ma di far tesoro e di ringraziare quelle cinque figliole sciocchine – che da secoli son rimaste irrimediabilmente sciocche, ma che continuano a punzecchiarci affinché non facciamo noi la loro brutta fine –.
– Bene! Rimettiamole tutte insieme, le dieci, e seguiamole, mentre con la loro lampada, sul far della sera, si dirigono verso la casa dove accoglieranno l'arrivo di un giovane sposo (di una comune amica, forse) per far festa con gli sposi.
Non è neppure da spiegare che, nell’economia della parabola, lo “sposo” è il Signore Gesù che ci ama e ci viene incontro per farci godere della sua familiarità. Egli considera così la vita dell’uomo: un andargli incontro e saperlo attendere sicuri che ci ama e tiene tutto pronto per la gran festa dell’amore.
Ma l’arrivo di Gesù non è cronometrato: si fa, talora, attendere.
Che volete, son disegni suoi! Qualche anno fa avevano un loro posto decorosissimo certe canzoni di Père Auval. Ce n’era una che non so più come fu presentata in italiano; in francese diceva: “Le Signeur reviendrà, il l’a promis: ne sois pas endormi cette nuit-là” [Il Signore ritornerà, l’ha promesso; non addormentarti in questa notte].  “Mio Dio, è forse per questa notte?”. 
Siamo dunque avvertiti: è impossibile che ciò non avvenga. 
Per farcela capire meglio, il Maestro divino s’è umiliato a presentarsi come “un ladro nella notte”.
Stoltezza somma sarebbe vivere così spensieratamente da non avvertire la necessità di prepararci il necessario per la partenza verso la casa dello ‘sposo”. 
Verrà alla nostra morte e ci troveremo faccia a faccia con Lui, mentre il corpo sarà come un velo squarciato ed Egli apparirà nello squarcio del velo che tutta la vita è stato teso tra noi e Lui. Ma tutti i giorni è venuto a noi, quasi segretamente, ma sempre amorevolmente. E lì, dietro il velo, mentre lavoro, mentre parlo, mentre leggo, mentre incontrò questa o quella persona, nell’imprevisto, nel dolore, nel turbamento.
Una grossa questione che m'impegna a rivedere la mia vita, si affaccia ora improvvisa: e... se mi squarciasse il velo mentre sono... “fuori casa”, cioè mentre sono occupato in stoltezze, lontano dal mio dovere?
Se ci penso, mi vien freddo! Trovarmi faccia a faccia col mio Signore in posizione ambigua; mentre... l’olio è dal rivenditore e le buone opere son cariche di polvere o fango? Tragico!
Non si afferma che sia possibile stare tutta la vita con la lanterna della vigilanza in mano: che non si possa vivere in onesto “impegno responsabile”. L'importante non è vivere con la “morte” sulle labbra o con la valigia in mano, ma vivere con previdenza, raccogliendo, giorno dopo giorno, opere presentabili, vivendo affinché non venga meno, nello spirito, la fiamma dell'amore.
ENTRA NELLA MIA FELICITA'...
Dopo una vita semplice e serena, una donna morì e si trovò subito a far parte di una lunga e ordinata processione di persone che avanzavano lentamente verso il Giudice Supremo: Dio. 
Man mano che si avvicinava alla meta udiva sempre più distintamente le parole del Signore. 
Udì così che il Signore diceva ad uno: – Tu mi hai soccorso quando ero ferito sull'autostrada e mi hai portato all'ospedale, entra nel mio Paradiso –. Poi ad un altro: – Tu hai fatto gratuitamente operazioni chirurgiche molto difficili, aiutandomi a ridare la speranza a molti, entra nel mio Regno –. E ancora: – Tu hai fatto un prestito senza interessi ad una vedova; vieni a ricevere il premio eterno –. E così via...
La povera donna venne presa dallo sgomento perché, per quanto si sforzasse, non ricordava di aver fatto in vita sua niente di eccezionale. Cercò di lasciare la fila per avere tempo di pensare, ma non le fu assolutamente possibile: un angelo sorridente, ma deciso, non le permise di abbandonare la lunga coda.
Col cuore che le batteva forte, e tanto timore, giunse davanti al Signore. Subito si sentì avvolta dal suo sorriso. – Tu hai stirato tutte le mie camicie...; Entra nella mia felicità –.
Ciò che conta non è fare grandi cose. – Ciò che conta non sono le grandi imprese.
Il valore di un gesto dipende esclusivamente dall'amore con cui è compiuto. 
Anche una piccola azione, fatta con amore, diventa grande agli occhi del Signore.
A volte è così difficile immaginare quanto possa essere straordinario l'ordinario…! 
È stato detto: Non è Dio pretenda che noi abbattiamo con un’ascia un baobab. Desidera soltanto che quando venga, ci trovi con l’ascia in mano!
  ••   Ripensiamo alle dieci ragazze. 
«Tardando lo sposo a venire, si assopiscono e dormono».
La linea di differenziazione tra vergini prudenti e stolte non passa attraverso il sonno. Il Vangelo sottolinea, infatti: «Si assopirono tutte...».
Poteva anche essere legittimo quell’addormentarsi, o, almeno, assai più legittimo del nostro addormentarci nella presunzione che, “per il momento”, sarebbe di cattivo gusto da parte del Signore venirci a risvegliare per chiamarci, così, sui due piedi, al Giudizio.
La linea di discriminazione è data dalla provvista di olio. Le sagge si sono portate le riserve. Quelle altre non ne hanno a sufficienza, tanto da coprire il ritardo dello sposo.
Il «grido» non è avvertimento, ma un segnale improvviso.
È vero che “qualche giovane [le proporzioni non si conoscono] muore e che nessun vecchio campa sempre”; ma qualche eccezione, in fin dei conti, dimostrerebbe che Padrone è sempre Lui!
E ci si crogiola in questa stoltezza, confutabile come poche cose al mondo.
Lo Sposo può ritardare. Ma non risulta che abbia mandato ad avvertire che non arriverà.
Ed è inutile arzigogolare sulla durezza della risposta delle “sagge”, che non vogliono imprestare un po' del loro olio alle imprevidenti. Siamo in prospettiva escatologica: non è più il tempo dei piccoli favori. Non sono consentite la “sostituzioni”. No! Nessuno può mettere la fede, le opere al nostro posto, pagare il biglietto per l'incontro decisivo. [Non esistono i bagarini!] 
In quell'Ora, l'olio dev'essere nostro, la fedeltà opera nostra. È una situazione già denunciata da Gesù: 
«Come avvenne al tempo di Noè, così sarà la venuta del Figlio dell'uomo. Infatti, nei giorni avanti il diluvio, si mangiava e si beveva, si prendeva moglie e marito, sino a quando Noè entrò nell'arca e la gente non s'accorse di nulla, finché non venne il diluvio e travolse tutti». (Mt 24, 37-39). E rimarca Gesù: 
«Non chi dice: “Signore, Signore!” entrerà nel Regno dei Cieli, ma chi fa la volontà del Padre mio».
Scherzi a parte, è inutile che noi si continui a chiamare “sciocche” le ragazze che non si provvidero dell’olio per il tempo adeguato. Prendiamoci piuttosto il gusto – vista la nostra incostanza e come è facile partire... per la tangente delle cose serie e trovarci così distratti da sembrare addormentati … – prendiamoci il gusto di far quel che delicatamente ci suggerisce lo sposo del Cantico dei Cantici: «Io dormo, ma il mio cuore vigila».
Che il Signore possa almeno trovare accanto a noi una piccola lampada accesa, segno che abbiamo ben compreso che il Suo Amore non è uno scherzo.  Che', se io non l’avessi riamato... «Non vi conosco!».  

PERDONAMI SE...

 

se non ti ravviso in colui che soffre perché non desidero farmi carico delle sue pene;
– perdona la mia pochezza,
se rinuncio a riconoscerTi in chi mi tende la mano perché non mi sento di condividere la sua indigenza;
– perdona la mia viltà, se, anziché testimoniare la mia fede in Te, preferisco tacere in presenza di chi Ti nega;
– perdona la mia scarsa disponibilità, intrisa di supponenza e di povertà di spirito, se mi rifiuto di dare comprensione al fratello che sbaglia per offrire il suo errore a corale derisione;
– perdona la mia insipienza, se evito di riconoscere il mio «prossimo» in coloro che più mi sono vicini,per ricercarlo solo lontano, in circostanze occasionali;
– perdona la mia incoerenza, se rinnego i tuoi insegnamenti evangelici e, anziché illuminare d’amore la mia vita, mi sforzo di rattristare quella di chi mi ama; 
– perdona la mia ingenerosità, se non mi assumo neppure un grammo del peso della Tua Croce redentrice, ma mi unisco a coloro che ti hanno crocifisso e continueranno a farlo fino al giorno del Giudizio 
– perdona la mia indifferenza, se lascio inascoltata la Tua voce che mi chiama, disattendo i segni che mi conducono a Te,Ti offro silenzi, omissioni, fughe, dinieghi, quasi diffidassi del Tuo Amore paterno;
– perdona la mia fragilità, se, contando sulle mie sole risorse e trovando arduo il cammino fra gli uomini, preferisco rinunciare a qualunque lotta pur di non riconoscere i miei limiti umani e rimettermi alla Tua misericordia.
Silvano Salati  
Aspettarsi...! Attendere...
Pochi verbi esercitano un ruolo tanto importante nella nostra vita.
Già all'apparire in questo mondo, ognuno di noi fu: molto atteso, poco atteso, o per nulla atteso.
E tale "legge dell'attesa" non solo non ci ha abbandonato, ma ha influito moltissimo nel nostro sviluppo fisico, psichico e spirituale.
Possiamo persino affermare che ciò che definiamo il nostro "stile di vita", dipende molto direttamente da come si coniuga intorno a noi questo semplice verbo:
Di ciò che gli altri si attendono da noi.
Da ciò che ognuno si attende da sé stesso.
Da ciò che gli altri si attendono da loro stessi.
Il "sapere attendersi" è il segnale che, in un modo o in un altro, esercita il maggior influsso nella difficile arte del "saper vivere". Fino al punto che tutto l'evidente smarrimento esistenziale del nostro uomo di oggi potrebbe dipendere da questo:
Il non attendersi nulla da nessuno:
La fretta di bruciare le tappe;
l'impazienza di conoscere e sfruttare ogni cosa da solo;
il non saper che fare dei tempi di attesa....
Non starà qui la causa fondamentale di questa disintegrazione che si avverte nell'uomo e nella donna di oggi, di questa nostra civilizzazione della fretta?
La Chiesa apre l'Anno Liturgico proprio con l'Avvento: un tempo per ricordarci che ognuno di noi siamo una particella della grande Storia della Salvezza e che questa ha sempre come “sale di attesa” tempi di prolungata e paziente attesa.
•  Però, tanta attesa, perché? a che scopo?
– La colpa di tanta attesa l'abbiamo noi, perché sbagliamo la strada, per il fuggire continuamente da noi stessi, vuoti disorientati per aver occultato a forza di “idoletti” la vera immagine di Dio. Fummo creati a sua immagine, e passiamo gran parte della vita senza conoscere noi stessi. 
–  Il merito, invece, di tanta attesa è della bontà di Dio. Egli, per l'amore che ha per noi e per l’infinita pazienza, attende, mentre continua a suggerirci dalla mattina alla sera che è sempre possibile... ricominciare.
Aspettare... per iniziare di nuovo… Questo è il messaggio dell'Avvento. Un messaggio capace di rinnovare da di dentro il senso del suo camminare, lo stimolo per raggiungere la meta, la speranza di trovare qualche sicurezza in mezzo ad un mondo tanto effimero.
•  Dio termina sempre con il venire… Nonostante le nostre stanchezze..., nonostante il nostro inveterato pessimismo..., Dio ritorna sempre come novità, quando meno lo aspettiamo, gratuitamente, cioè, al margine dei nostri meriti. Chiede soltanto, questo sì, di essere riconosciuto, ascoltato. Lo incanta l'essere amato con lo stupore dei semplici, con l'entusiasmo dei poveri, con la gratuità degli ultimi di ogni coda.

 

                                   Prepariamoci a riceverlo...


 

lunedì 27 novembre 2023

QUESTO E' IL VOLTO DEL PADRE? Sesta conferenza Padre Claudio Truzzi OCD

6-b – QUESTO È IL VOLTO DEL PADRE?  2


Galla Placidia Lunetta del buon Pastore (RA)

3.   DIO CI CONOSCE UNO AD UNO  (BUON PASTORE)

– «Io sono il buon pastore; conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me ed offro la vita per le pecore. Il mercenario, invece, che non è pastore, cui non appartengono le pecore, vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge e il lupo le disperde...  Io conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, come il Padre conosce me ed io conosco il Padre. … E ho altre pecore che non sono di quest’ovile; anche queste io devo condurre; ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge ed un solo pastore...».  Gv 10, 11-19

– «Chi di voi ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va dietro a quella perduta, finché non la ritrova? Quando la trova se la mette contento, ritorna a casa, convoca gli amici e i vicini e dice loro “Fate festa con me, perché ho trovato le mia pecora che era perduta”...». Luca 15, 4-7

– I “Mercenari”: facile descriverli...;  anche se il pericolo più subdolo, non è il “lupo”. Il “lupo” più pericoloso è il “pastore” calcolatore: ossia chi vede gli altri in funzione del proprio nome, della propria faccia, del proprio vantaggio. Senza dubbio la più grave minaccia per le pecore consiste nell'essere dominate, sfruttate, strumentalizzate. 

– A noi, invece, interessano, i lineamenti del “Buon Pastore”. [Che, certo, non sono quelli, dolciastri, dei santini...]. La parabola ci presenta un gregge che non è mai al sicuro. Ed è di fronte al pericolo incom-bente che si precisa la linea di discriminazione tra il vero pastore e il mercenario. Il pastore affronta il pericolo per la difesa del gregge: il suo è un compito di responsabilità, di sollecitudine, di attenzione. 

Il buon pastore è “per” le pecore. Il suo interesse non è volto alla propria persona, ma alla vita delle pecore, alla loro salvezza. «Il buon pastore offre la vita per le pecore». Il Cristo ci tiene a precisare che questo avviene, non per un incidente banale, ma per atto di amore e di suprema libertà («Io offro la mia vita... Nessuno me la toglie, ma la offro da me stesso»).

II profeta Ezechiele (34, 8-16) – già da allora, 600 a.C – presenta il volto di Dio: «Ecco io stesso cercherò le mie pecore e ne avrò cura... Io stesso le condurrò al pascolo e io le farò riposare. ... Andrò in cerca della pecora perduta e ricondurrò all'ovile quella smarrita; fascerò quella ferita e curerò quella malata...».   

Con Cristo Gesù si realizza la promessa. Dio ha risposto all'attesa di un pastore diverso dagli altri. 

E Lui, quando si presenta, non è certo nella linea delle immagini e dei desideri degli scribi. Lui, è uno come tutti: povero, semplice, privo di segni esteriori di grandezza, allergico agli onori. L'opposto del dominatore e dello sfruttatore (o il Messia socio-politico, liberatore del popolo dalla schiavitù). 

Lui conosce i pericoli che minacciano il gregge e lotta contro le forze del male. Per questo si fa nomade instancabile, che va alla ricerca della “pecora smarrita”, si spinge lontano e non si stanca di chiamare gli sbandati, gli emarginati, i rifiutati. Lui accorre dove c'è un uomo che non ce la fa più, schiacciato sotto il peso della solitudine, della stanchezza, del disprezzo da parte dei benpensanti.

È un pastore che rivendica un titolo fondamentale: Lui è uno che sa, che conosce: «Conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, come il Padre conosce me ed io conosco il Padre». E si tratta di una conoscenza che non ha niente da fare con la semplice intelligenza e la psicologia. È questione di amore.

Allora, con un simile pastore, mi sta bene anche l'immagine del “gregge”. Non mi vergogno di appar-tenere al gregge. Infatti, appartenere alla Chiesa (al gregge di Cristo), non significa essere intruppati e camminare a testa bassa e rinunciare al proprio cervello e ai propri occhi. No! 

Quel pastore (Dio-Papà) è a servizio della mia dignità. Per questo, Lui non pensa al posto mio, e neppure decide per me. Dio mi tratta da adulto responsabile. E vuole che i “pastori”, suoi rappresentanti, facciano altrettanto. Io, dunque, sono un “valore” ai suoi occhi. Dio mi prende sul serio. Ho a che fare con un pastore attento a ciascuna delle sue pecore. E quando mi sento chiamare, non penso, subito ad un rimprovero o ad un castigo. Penso piuttosto, con sorpresa, che Dio mi conosce per nome.

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4.   CUORE DI PADRE  (FIGLIO PRODIGO) 

«Un uomo aveva due figli. Il più giovane disse al padre: “Padre, dammi la parte del patrimonio che mi spetta” Allora il padre divise le sostanze tra i due figli. Pochi giorni dopo... emigrò in un paese lontano e là, menando vita dissoluta, dissipò il  suo patrimonio... Tornato in sé, diceva: “Voglio ritornare da mio padre e dirgli: – Padre, ho peccato contro il cielo e contro di te”. Mentre era ancora lontano suo padre lo vide e ne ebbe compassione. Gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò... [E] il padre disse: “... Facciamo festa... perché questo mio figlio era morto ed è ritornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”»Luca 15, 1-32.

La parabola ha subito il torto di vedersi affibbiare un titolo errato. È, infatti, comunemente indicata come la storia del “figliol prodigo”; invece, la figura centrale, il protagonista indiscusso è il padre.

–  Di questo padre colpisce, prima di tutto, il silenzio.

C'è il figlio minore che parla, pretende. Il padre non spicca una parola.

Il suo è il silenzio dell'amore, rispettoso della libertà del figlio. Accetta il rischio di tale libertà. Certo addo-lorato, ma non adirato per la richiesta. Lui non può sostituirsi alla scelta del figlio. [Senza libertà non c'è amore. Un dottore della Chiesa parla appunto dell'uomo, al momento della creazione, come “rischio di Dio”].

Noi ci chiediamo, d'istinto: – Perché non l'ha trattenuto? Perché non gli ha rifilato una buon razione di legnate sulla schiena invece della parte del patrimonio che gli “spetta”?

Ma la vera paternità non va confusa col paternalismo. Quest'ultimo ne rappresenta la deformazione: con l'intento di proteggere, finisce per soffocare la crescita dell'individuo e di bloccarlo in uno stadio infantile.

«Nel contesto del Vangelo, Dio non appare come il padre che spranga la porta affinché i figli non escano di notte, ma la luce illuminante, la misteriosa bussola che orienta l'uomo nella sue scelte, che non lo abbandona nell'esercizio rischioso della libertà, e che crea nuove prospettive di liberazione, rifacendosi agli epiloghi che parrebbero disastrosi. Il padre può aiutare solo essendo un modello...» (Arturo Paoli).

Il padre parte con lui in una forma nascosta, interiore, che più tardi esploderà nella nostalgia del figlio.

–  E poi l'attesa. Avevo trascritto le seguenti riflessioni, tempo fa, ed ora mi sembrano illuminanti. 

«L’attendere obbliga alla vigilanza, alla veglia ed acuisce il desiderio. Voi sapete, amici che avete vis-suto certe attese, che le vivete oggi, tremando: voi avete provato ad attendere un figlio che veniva da lontano, dalla guerra forse, o tornasse da una brutta avventura; voi avete provato ad attendere e ad essere attesi. Sì, tornava, ma da dove? Ma che importa! Se ancora gli occhi bruciano per quell’aguzzarli per veder da più lontano possibile la casa, un volto, dei volti; e avete giudicato una crudeltà malvagia la sosta in quella città, e l’altra a qualche chilometro e l’altra ancora all’ultima svolta!... Allora avete capito che terribile e meravigliosa cosa sia attendere e che forza e che entusiasmo dà il saper di essere attesi».

UN BIGLIETTO...

Intorno alla stazione principale di una grande città, si dava appuntamento, ogni giorno e ogni notte, una folla di relitti umani: barboni, ladruncoli, marocchini e giovani drogati. Di tutti i tipi e di tutti i colori.

Si vedeva bene che erano infelici e disperati.

Barbe lunghe, occhi cisposi, mani tremanti, stracci, sporcizia.

Più che di soldi, avevano tutti bisogno di un po’ di consolazione e di coraggio per vivere; 

ma queste cose oggi non le sa dare quasi più nessuno.

Colpiva, tra tutti, un giovane, sporco e con i capelli lunghi e trascurati, che si aggirava in mezzo agli altri poveri naufraghi della città, come se avesse una sua personale zattera di salvezza.

Quando le cose gli sembravano proprio andare male, nei momenti di solitudine e di angoscia più nera, il giovane estraeva dalla sua tasca un bigliettino unto e stropicciato, e lo leggeva.

Poi lo ripiegava accuratamente e lo rimetteva in tasca.

Qualche volta lo baciava, se lo appoggiava al cuore o alla fronte.

La lettura del bigliettino faceva effetto subito.

Il giovane sembrava riconfortato, raddrizzava le spalle, riprendeva coraggio.

Che cosa c'era scritto su quel misterioso biglietto?

Sei brevi parole soltanto: “La porta piccola è sempre aperta”.

Tutto qui. Era un biglietto che gli aveva inviato suo padre.

Significava che era stato perdonato e in qualunque momento avrebbe potuto tornare a casa.

E una notte lo fece. Trovò la porta piccola del giardino di casa aperta.

Salì le scale in silenzio e si infilò nel suo letto.

Il mattino dopo, quando si svegliò, accanto al letto, c'era suo padre. In silenzio, si abbracciarono.

Il biglietto misterioso spiega che c'è sempre una piccola porta aperta per l'uomo.

Può essere la porta del confessionale, quella della chiesa o del pentimento.

E là, sempre un Padre, che attende. 

Un Padre che ha già perdonato e che aspetta di ricominciare tutto daccapo.

••  Secondo la Parabola sembra che il Padre sia rimasto in casa ad attendere il figlio, a scrutare l'orizzonte.  Invece il cuore del padre, invece, era andato lontano... 

Ha camminato più il padre che non il figlio, a pensarci bene. 

L'amore non si rassegna alle distanze, alla separazione. L'amore è sempre in movimento, sempre in anticipo; prende costantemente l'iniziativa, non si chiude in un'attesa corrucciata e indispettita. Il padre non si rassegna a stare nella casa piena zeppa di ogni bene – comprese le “opere buone” del figlio maggiore –. Quella casa gli sembra vuota, perché manca un figlio. Il Padre non tira un sospiro di sollievo perché si è liberato di un “piantagrane”. Impazzisce di gioia, ed obbliga tutti alla festa, quando si profila in lontananza la sàgoma del figlio. 

Dio non si rassegna alla perdita dell'uomo peccatore: lo spia, lo insegue, lo tormenta. Si sono poste in bocca di Dio queste parole: – Non mi cercheresti se non mi avessi già trovato –. Forse sarebbe meglio precisare: – Non mi cercheresti se IO non ti avessi già trovato... –.

••  Questa parabola è uno dei test più inquietanti: forse la prova decisiva della nostra fede è proprio questa. Siamo di fronte ad un comportamento per lo meno singolare: quello del Padre nei confronti del figlio che ritorna dopo aver ”dilapidato” i suoi beni con le male-femmine. 

Esso esige il nostro giudizio, la nostra approvazione oppure il nostro dissenso. «... Era ancora lontano quando suo padre lo vide e s'intenerì; gli corse incontro, gli si gettò al collo, lo baciò e ribaciò...». 

DIO: un abbraccio

Una volta una bambina chiese alla mamma: «Mamma, chi è Dio?». 

La mamma rimase sbalordita da quella domanda così ardita. D'altra parte era contenta che proprio la sua bambina le avesse fatto quella domanda tanto importante. 

Allora, come per ringraziarla, se la prese tra le braccia e se la strinse forte al petto e la baciò. 

In quel momento le venne la risposta: «Cara bambina mia, Dio è quello che provi ora con me!». 

Dio è un abbraccio. Dio è un bacio. «l padre gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò» (Luca 15, 20). Che cosa pensiamo di questo gesto? Siamo in grado di accettare i gesti del Padre, il suo intenerirsi, il correre incontro a quello scavezzacollo, il gettargli le braccia al collo, e il baciarlo e ribaciarlo? 

Oppure ci sembra che ci sia dell'esagerazione o, peggio, della debolezza senile? Accettiamo di “far festa”? Non di contraggenio, ma con la consapevolezza che la festa per il ritorno è dove-rosa?    

Il nostro cristianesimo va misurato a quelle braccia. Una prova soprattutto per il cuore. È capace di sopportare quel gesto immenso e pazzesco? L'esame più impegnativo della fede cristiana consiste nel metterci a contatto con l'amore di Dio e vedere se non rimaniamo scandalizzati.

•   Un autore ha tratto la seguente considerazione profonda.

«Quando andiamo a confessarci dovremmo ricordarci che riceviamo un dono smisurato da parte di Dio (Il figlio che ritorna non ottiene più delle cose. Quelle le ha già avute e le ha dilapidate. I sandali, il vestito, l'anello, stanno ad indicare la dignità ricuperata e che dev'essere riconosciuta da tutta la famiglia, sono i “segni” dello stato di figlio, molto più importanti del malloppo che ha preteso al momento della partenza).

Ma dovremmo, anche convincerci che restituiamo a Dio qualcosa di cui l'avevamo defraudato, qualcosa che Lui attende: la nostra comunione con Lui. In fondo anche Dio riceve qualcosa di prezioso da noi, dal nostro ritorno, dalla nostra conversione.

Confessarsi significa ricevere e dare. Accogliere e restituire. La gioia è anche quella di Dio; anzi è sopratutto la sua – molti cristiani, invece, non escluse le persone religiose, escono immusonite dal confessionale, dimenticando che hanno ricevuto una “sentenza di festa”! –

Non è esatto affermare che “portiamo a Dio i nostri peccati”. No! Gli “riportiamo” la nostra presenza, la possibilità di essere Padre “arricchito” di un figlio. Quando il Prodigo che ritorna cerca di elencare le pro-prie mascalzonate, il padre non lo sta neppure a sentire. Non è ciò che gli interessa. Quello che gli preme è che il figlio entri “da figlio” in casa. Non gli chiede conto che fine abbiamo fatto i suoi soldi. Il “dissipato-re” ha riportato indietro il tesoro più prezioso: la capacità, la voglia di “essere”». (Pronzato, Il pane della Domenica). 

••  Noi: “Indispensabili” al cuore di Dio 

 – «Io sono il buon pastore...».  

– «O quale donna, se ha dieci dramme e ne perde una, non accende la lucerna e spazza la casa e cerca attentamente finché non la ritrova?».

– «Un uomo aveva due figli....».

Qual è il dato fondamentale, che emerge dalle tre parabole?

• Il pastore non si ritiene ricco, appagato, perché ha pur sempre 99 pecore al sicuro. Si pone alla ricerca affannosa di quella smarrita. Le 99 rimaste non lo risarciscono della perdita di quell'unica vagabonda.

• La donna non si consola contando le 9 dramme che serra in pugno. È povera [il gruzzolo, in tutto, vale press'a poco 10 Euro]. Ma non si rassegna a rimanere impoverita di quella moneta che è andata a finire chissà dove. E mette tutto sottosopra; si dà un gran daffare e disturba il mondo intero per il prezioso ritrovamento.

• Il padre ha due figli: uno se ne va con una procedura piuttosto insolita, e quello rimasto – per quanto “esemplare”, almeno all'apparenza – non lo consola dello scavezzacollo che è partito sbattendo la porta.

La conclusione è evidente: la contabilità di Dio è diversa dalla nostra. Non si basa su criteri quantitativi. Basta un segno meno, una sottrazione (per quanto piccola), e i conti per Lui sono in rosso. Invece, anche una sola persona ha un valore “unico” agli occhi di Dio: un valore non sostituibile.

Ciascuno di noi è prezioso, importante. “Importante di amore” (P. Talec). E quindi degno di ricerche ostinate, preoccupazioni, sollecitudini infinite, attese pazienti da parte di Dio.

“Dio è povero” – si afferma. Ma è certo che non si rassegna ad essere “impoverito” anche di una sola delle sue creature. 

Dio è povero, ma possiede un patrimonio immenso; e quella che per noi sarebbe una perdita “irrilevante”, quasi vantaggiosa per la tranquillità della casa [“Ci liberiamo di rami secchi” commenterebbe, forse qualcuno di noi], una cifra irrisoria..., nel suo cuore provoca una lacerazione dolorosissima, che può essere ricomposta unicamente col recupero di quel minuscolo, incalcolabile tesoro.

L'uomo può cessare di essere figlio. Può far a meno del Padre; può stare senza Dio; può fuggire. Ma Dio non si rassegna a stare senza l'uomo.

O Signore, 

non tutti i figli sono sulla via del ritorno. 

Ritorneranno, ma intanto si credono ancora in diritto di farTi soffrire. 

E il ritorno d’un figlio non fa cessare l'agonia del Padre.

Tanti, tantissimi – basterebbe anche uno solo – sono lontani, 

vogliono essere lontani, rifuggono il Tuo sguardo, 

su strade che sanno ancora troppo di falsità, d’illusione, 

di speranze umane chiuse al Tuo Mistero, 

ma non per questo, capaci di trattenere il Tuo amore. 

E Tu stai in attesa:

ad ogni istante c'è un ritorno, c'è un abbraccio di gioia, 

ma la storia di questo mondo

è fatta ancora da molteplici istanti di attesa. 

La Tua sofferenza di Padre è anche e, soprattutto,

per noi, che ci riteniamo figli devoti, da lungo tempo padroni di casa. 

L'avventura più brutta è non riuscire più a vivere l'avventura di una Casa dove

la legge dei figli è la legge del Padre; 

dove per legge s'intende l'amore del Padre, la sua ansia per chi è lontano, 

il suo attendere il ritorno di tutti i figli, il suo soffrire per quelli di casa

che hanno fatto, di questa casa, una sicurezza personale, 

un privilegio indiscutibile, un meritato riposo.

Non intendo dire che occorre invidiare l'avventura del figliol prodigo; 

intendo affermare che è necessario vivere 

l'avventura di figli devoti 

lasciandoci rinnovare continuamente, 

giorno per giorno, dalla potenza dello Spirito. 

Essere figli fedeli a queste esigenze rinnovatrici dello Spirito Santo, 

è cercare di dare maggior respiro a questa Casa.

Non tutti i figli s’allontanano perché figli "prodighi", incoscienti, spensierati; 

tanti se ne vanno perché incapaci 

di sopportare la pesantezza d’una casa, 

dove si è perso il gusto di vivere 'attesa del Padre e l'attesa di figli, 

la cui testimonianza operosa è il miglior invito all'abbraccio di un ritorno. 

L'attesa del Padre è l'attesa di tutta la Casa, 

l'ansia del Padre è l'ansia di tutti i figli devoti, 

la gioia del Padre è la gioia del mondo intero                                                          

IO SONO IL TUO DIO 

Io sono il tuo Dio – e ti sto vicino: 

non puoi avere di più sulla terra,

solo io posso riempire il tuo cuore.

Sei solo? Io ti farò compagnia

Nessuno ha una parola buona per te?

Ricorri con fiducia al mio cuore e ti esaudirò.

Io sono il tuo Dio,

e ti resto fedele anche quando ti “mando”la croce per quanto pesi; 

se la porti con amore, diventerà leggera

Io sono il tuo Dio – e penso a te...; 

dall'eternità ho pensato a te,

e per te ho dato il mio sangue e la mia vita, 

come posso dimenticarmi di te!?.

Io sono il tuo Dio

e tutto dispongo per il tuo meglio:

se ora non lo capisci, un giorno lo vedrai con tutta la chiarezza e mi ringrazierai.

Io sono il tuo Dio, – ti amo fedelmente, 

conosco tutto ciò che affligge il tuo cuore,

vedo ogni sguardo, ascolto ogni parola che ti contraria.

Accetta tutto con tranquillità e pace 

perché sono io che permetto affinché tu perseveri. 

Restami fedele affinché il mio cuore te ne ricompensi,

Io sono il tuo Dio, 

il mondo passa, il tempo fugge, gli uomini scompaiono,

la morte tutto ti rapisce, una sola cosa ti resterà, il tuo Dio.


•  «Non c’è che una sola specie di amore buono; però ci sono mille “copie” differenti» 

(Le Rochefoucould).

E l’amore buono è quello di Dio. Lui ama e perdona. Noi troviamo difficoltà nell’ammettere quest’amore, perché Lui ama gratuitamente, senza far troppo caso ai nostri meriti. 

Noi non siamo d’accordo con questo modo di procedere. 

Nonostante noi siamo immagini di Dio – “copie” mal riuscite –, a noi, al nostro comportamento manca l’accoglienza, la comprensione, la tolleranza, il perdono...

L’amore è vita per tutti, principalmente per i bambini. Assicurano che la mancanza di amore finì nel secolo XIX, con più della metà dei bambini nati. La mancanza di una mano benevola, di uno sguardo, di una parola tenera, dell’abbraccio materno... debilitarono e portarono alla morte quei bambini, per i quali la vita non aveva nessun senso.

Sempre, allorché si ama un altro, s’ottiene che lui viva tranquillo, in pace, accettato e felice.

Chi ha conosciuto Dio, il suo amore, non può far a meno di amare. 

A sua volta, potrà giungere a conoscere Dio, “allenandosi” nello “sport” dell’amore. 

«Io ho sempre creduto che il miglior mezzo di conoscere Dio è di amare molto» (Vincent Van Gogh)


BENVENUTO|

Il Paradiso non può attendere: dobbiamo già cercare il nostro Cielo qui sulla terra! Questo blog tratterà di argomenti spirituali e testimonianze, con uno sguardo rivolto al Carmelo ed ai suoi Santi