AFORISMA

Meglio aggiungere vita ai giorni, che non giorni alla vita
(Rita Levi Montalcini)

Nostra Signora del Carmelo

Nostra Signora del Carmelo
colei che ci ha donato lo scapolare

venerdì 31 agosto 2012

IN RICORDO DEL CARDINALE CARLO MARIA MARTINI



LA FOTO RISALE AI PRIMI ANNI ‘80

E MOSTRA IL CARDINALE IN VISITA ALLA NOSTRA PARROCCHIA

DEL CORPUS DOMINI DI MILANO

MENTRE SALUTA IL PREVOSTO P. VINCENZO

ED ALCUNE SUORE CARMELITANE DI VIA MONVISO.
MILANO - È morto il cardinale Carlo Maria Martini. L'annuncio è stato dato nel pomeriggio dall'arcivescovo di Milano, Angelo Scola, dopo che già da giovedì sera era cresciuta l'apprensione per le condizioni dell'arcivescovo emerito di Milano, da tempo affetto dal morbo di Parkinson. Anche il papa, Benedetto XVI, era stato subito informato e aveva chiesto di essere tenuto costantemente informato per seguire da vicino l'evolversi della situazione. Nelle ultime 24 ore amici e parenti del cardinale hanno fatto visita al suo capezzale al Collegio Aloisianum di Gallarate (Varese), dove l'ex arcivescovo di Milano era ricoverato.

I FUNERALI - L'arcivescovo di Milano il cardinale Angelo Scola e il Consiglio episcopale milanese hanno nel frattempo stabilito le modalità delle esequie. La salma di Martini sarà accolta in Duomo a Milano sabato alle 12. Da quel momento, come spiega una nota della Diocesi, sarà possibile renderle omaggio sino ai funerali che verranno celebrati lunedì 3 settembre alle 16. Per le celebrazioni eucaristiche di domenica 2 settembre l'Ufficio liturgico della Curia predisporrà intenzioni di preghiera particolari.
IL MEDICO PERSONALE - Dopo un'ultima crisi, cominciata a metà agosto, il cardinale era entrato in fase terminale. «Non era più in grado di deglutire né cibi solidi né liquidi. Ma è rimasto lucido fino all'ultimo e ha rifiutato ogni forma di accanimento terapeutico» aveva detto Gianni Pezzoli, direttore dell'unità di Neurologia del Centro Parkinson degli Istituti clinici di perfezionamento di Milano, che da anni ha avuto in cura il Martini. «Su questi pazienti - ha spiegato il medico - si possono usare vari dispositivi come la peg (gastrostomia endoscopica percutanea, ovvero una forma di nutrizione forzata, ndr). Ma in questa fase sarebbe un accanimento terapeutico e l'accanimento terapeutico non va mai applicato in nessuna terapia medica, quindi anche in questo caso. La malattia è evolta in modo più naturale possibile». Il cardinal Martini «non ha mai cercato di nascondere la sua malattia, anzi l'ha sempre dichiarata con grande coraggio», ribadisce Pezzoli «ha partecipato a svariati convegni sul Parkinson, durante i quali ha sempre risposto alle domande dei pazienti. Per noi è stato ed è un onore poterlo seguire» ha concluso il medico.






IL CARDINALE SEMBRA BRACCATO DALLE BARBE
DI P. MARIO NASCIMBENI E P. NICOLA GALENO

NON PERDIAMO TEMPO AD ODIARCI MA CAMBIAMO IL MONDO!


Dopo aver perso  tre figlie in un raid israeliano, il medico palestinese Izzledin Abuelaish sta girando il mondo per portare la propria testimonianza di perdono, pace e speranza.
Di Luca Marcolivio

 RIMINI, venerdì, 24 agosto 2012 ( ZENIT.org ) - La sua testimonianza, resa Ieri Pomeriggio a Riminifiera, è stato probabilmente il momento più alto e umanamente toccante dell'intero Meeting. Al termine del suo discorso, Izzledin Abuelaish, 46 anni, medico palestinese, has been salutato da una standing ovation di svariati minuti.
Il dottor Abuelaish ha perso la moglie e tre figlie nel giro di pochi mesi a cavallo tra il 2008 e il 2009, quando la sua famiglia era residente nella striscia di Gaza.
"Il 16 è un numero che ha segnato in modo indelebile la mia vita", ha raccontato Abuelaish. Il 16 settembre 2008, infatti,è rimasto vedovo a seguito di una grave malattia della moglie, mentre pochi mesi dopo, il 16 gennaio 2009, un carro armato israeliano ha fatto irruzione nel campo profughi di Jabalia, distruggendo l'abitazione degli Abuelaish ed uccidendo tre figlie e una nipote di Izzledin.
Non solo il medico palestinese ha avuto la forza di perdonare i lutti subiti ma ha sentito il desiderio di raccontare al mondo la propria storia. Lo ha fatto pubblicando un libro autobiografico, intitolato Non odierò (Piemme, 2011) e istituendo la Fondazione  Daughters for life (Figlie per la vita) a sostegno delle giovani donne palestinesi desiderose di studiare ed emanciparsi: un omaggio alle sue defunte figlie.
Cresciuto nel campo profughi delle Nazioni Unite a Gaza, Izzledin ha ammesso di "non aver vissuto una vera infanzia", ​​eppure nella sua vita ha sempre pensato in positivo ed è stato il suo straordinario ottimismo che gli ha consentito di diventare Il primo medico palestinese a lavorare in un ospedale israeliano. Oggi Abuelaish vive in Canada, colomba insegna Global Health all'Università di Toronto.
Al pubblico del meeting ha detto che "la sofferenza non è opera di Dio ma degli uomini" e che comunque "nessuno può impedirci di sognare, nè di realizzare i nostri sogni". "Nella vita quasi nulla è impossibile, l'unica cosa impossibile è far tornare in vita le mie figlie", ha aggiunto commosso il medico Palestinese.
"Quando vidi i corpi senza vita delle mie figlie - ha raccontato Abuelaish - ho pensato che nessuno avrebbe mai dovuto vedere Uno spettacolo simile. Pensai che auella tragedia doveva essere veramente l'ultima ... La vita è la cosa più preziosa e va sempre protetta. Salvando una vita salviamo il mondo, uccidendo una vita, uccidiamo il mondo ".
Izzledin Abuelaish, sin dalla sua gioventù, ha sempre creduto nella pace tra  israeliani e palestinesi e nella pace in generale. "La gente - ha detto - si attendeva da me un sentimento di odio. Ma l'odio E un veleno, un'arma che distrugge le persone che ne sono portatrici. Non perdete tempo ad odiare. Arrabbiatevi, ma chiedetevi cosa potete fare per cambiare le cose ".
Un'altra delle figlie di Abuelaish, Shata, è sopravvissuta al Raid israeliano dove sono morte le sorelle, perdendo un occhio e rimanendo quattro mesi ricoverata in ospedale. Nonostante il dramma in cui è stata coinvolta, la ragazza non ha interrotto i suoi studi e ha realizzato il suo sogno di diventareE uno dei dieci studenti più brillanti della Palestina. "Poco prima di partire per il Canada, sono arrivati ​​i risultati: 96/100." E' il messaggio che mia figlia ha dato a chi invece preferisce l'odio ", ha raccontato il padre.
Abuelaish ha spiegato quanto siano stati importanti le donne nella sua vita e nella sua famiglia e quanto sia fondamentale il ruolo femminile nella società: "Senza mia moglie e le mie figlie non sarei qui. In ogni società la figura più importante è quella femminile, perche le donne tengono accesa la speranza ".
"Credevo che mia figlia Shata mi conoscesse - ha aggiunto - eppure dopo aver letto il mio libro, mi ha detto : "Papà, ora sì che so veramente chi sei ...". Conoscere significa manifestare rispetto, comprensione, amore. Quando ci si odia è perché non ci si conosce ".
Ginecologo e convinto sostenitore della vita, Abuelaish ha dichiarato: "Tutte le volte che, dopo il parto, consegno il neonato alla mamma è per me un momento felice. Il pianto del bimbo appena nato è un pianto di speranza ".
"Comi esseri umani - ha dichiarato a Zenit il medico palestinese - Siamo stati creati da Adamo ed Eva, da Un uomo e Una donna , non certo da due uomini o dad due donne. Tutto questo perché uomo e donna sono complementari, hanno bisogno l'uno dell'altra e devono cooperare. Per quale motivo l'uomo dovrebbe sentirsi minacciato dalla donna? ".
Abuelaish è nondimeno convinto che il ruolo educativo della donna all'interno della famiglia debba essere esteso alla scuola e alla società. "La donna è sinonimo di vita e di speranza e le vanno date più opportunità", Ci dice.
A colloquio con la nostra agenzia, il medico palestinese aggiunge che la fede musulmana è stata fondamentale nel perdono agli assassini delle sue figlie, poiché "tutti i Profeti, da Mosé a Gesù fino a Maometto, hanno sempre predicato e messo in pratica il perdono" .
In conclusione Izzledin Abuelaish ci confida di aver voluto raccontare la propria storia, in quanto essa rispecchia "La storia di tutti, La storia di ciò che accade nel mondo". E in un "mondo dominato dalla violenza, dai conflitti e dalla pazzia", ​​Abuelaish ha voluto "dare speranza alla gente" e trasmettere il messaggio che "Una tragedia come la mia non significa la fine del mondo" e che "bisogna sempre pensare in positivo ".
Ha scritto il suo libro e ha testimoniato a tutto il mondo che "non possiamo sprecare tempo incolpandoci gli uni gli altri" dei mali dell'umanità e, in tal senso ha voluto "raccogliere una sfida"."La mia - ha aggiunto Abuelaish - non è una teoria ma un'esperienza concreta, vissuta sulla mia pelle e, testimoniando, io, che mi sento un uomo venuto tutti gli altri, credo di aver vinto la mia sfida".
I frutti della testimonianza di Izzledin Abuelaish iniziano ad essere già maturi. Una compagnia teatrale formata sia da israeliani che da Palestinesi, ha realizzato una riduzione teatrale del proprio libro, cui la prima mondiale andrà in scena in Israele in una data significativa: Il prossimo 11 settembre.

PER SEMPRE AL CARMELO


“Non entri per fuggire da qualcosa o perché vuoi rinchiuderti, ma semplicemente perché Lui ti chiama”. Cecilia Clio Borgoni, da carmelitana suor Maria Cecilia di Gesù Amore, 27 anni ad ottobre, sabato 8 settembre pronuncerà i voti definitivi come monaca di clausura. La celebrazione, ,  alle ore 10.30 nella chiesa del Carmelo di via Spinazzi, , sarà presieduta da padre Claudio Truzzi, provinciale dell’Ordine dei Carmelitani scalzi. Venerdì 7 settembre, sempre nella chiesa del Carmelo, alle ore 21 si terrà invece una Veglia di preghiera, presieduta da don Matteo Bersani. Cecilia e alcuni dei suoi amici porteranno la loro testimonianza sul tema della vocazione.
Quella di Cecilia - classe 1985, genitori avvocati, cresciuta all’ombra della Cattedrale - è una chiamata che ha il sapore del colpo di fulmineHa fatto il suo ingresso al Carmelo di Piacenza il 1° ottobre del 2005, giorno di Santa Teresina di Lisieux. Quattro giorni dopo, compiva vent’anni. Ma - come tutti gli amori - ha avuto bisogno di tempo e verifiche per crescere e maturare. Chi la incontra, al di là della grata vede una ragazza radiosa, che parla dell’amore di Dio con un entusiasmo disarmante. A un mondo che punta sul fare e sulla prestazione, quella della monaca di clausura sembra una vita sprecata. “Mi è capitato di sentirmelo dire –raccontava in un’intervista al nostro settimanale alla vigilia dei voti temporanei, nel 2009 -  ma in realtà è Dio che «spreca» la sua vita per me: viene a prendermi nella mia piccolezza che non avrebbe mai potuto andare così oltre a quelli che erano i miei progetti. È un dono enorme essere qui, non potrei fare altro”.
Barbara Sartori

giovedì 30 agosto 2012

Santa Rosa de Lima

PAPA KAROL WOJTYLA: PENSIERI E AFORISMI





Lo sviluppo nn può consistere soltanto nell'uso, nel dominio e nel possesso indiscriminato delle cose create e dei prodotti dell'industria umana, ma piuttosto nel subordinare il possesso, il dominio e l'uso alla somiglianza divina dell'uomo e alla sua vocazione all'immortalità. Ecco la realtà trascendente dell'essere umano, la quale appare partecipitata fin dall'origine ad una coppia di uomo e donna (Gen, 1,27) ed è quindi fondamentalmente sociale.

martedì 28 agosto 2012

CONTARE I FILI D'ERBA


Così
Come  una vita
Non basta
Per contare
Tutti i fili d’erba
Di un campo
Tanto mai
Riusciremo
A comprendere
Di Dio, l’immensità

Così
Come non occorre
Contare
 Tutti i fili d’erba
 Tanto non serve
Voler conoscere
Ogni cosa del Signore
Ci basti sapere
Che esiste,  volgendo
Un panoramico sguardo
Su ogni cosa del Creato

I fili d'erba?
Come noi, 
sono solo Suoi!

1 agosto 2012
Danila Oppio
Inedita

PAPA KAROL WOJTYLA: PENSIERI E AFORISMI

L'eclissi del senso di Dio e dell'uomo, conduce inevitabilmente al materialismo pratico, nel quale proliferano l'individualismo, l'utilitarismo e l'edonismo. Si manifesta anche qui la perenne validità di quanto scrive l'Apostolo: "Poiché hanno disprezzato la conoscenza di Dio,Dio li ha abbandonati in balìa d'una intelligenza depravata, sicché commettono ciò che è indegno. (Rom. 1,28)
Così i valori dell'essere sono sostituiti da quelli dell'avere.
L'unico fine che conta è il perseguimento del proprio benessere materiale. La cosiddetta "qualità della vita" è interpretata in modo prevalente o esclusivo come efficienza economica, consumismo disordinato, bellezza e godibilità della vita fisica, dimenticando le dimensioni più profonde - relazionali, spirituali e religiose . dell'esistenza.

sabato 25 agosto 2012

DESTARSI


Ho letto, riletto ancora, a letto
Emozioni provando, forti
Mi eri accanto, fantasmagorico
Sogno, e crudele realtà

Sei presente, invano cerco
Di allontanare il mio pensiero
Dalla tua costante assenza
Che, inconsapevole, ferisce

Difficile trasformare il sogno
In concreta presenza
Finestre a sbarre, come di prigione
Limitano e vorrei limarle

E volare via, verso tramonti
Albe e mezzogiorni infocati
E ritrovo occasi scialbati
O arsure di giorni addormentati

Senza di Te, io sono il nulla
E a nulla vale fugare la realtà
Non sei con me, eppur soccombo
All’incombente tua verità

E vivo perché Tu vivi, respirando
L’atmosfera che permane
Dalle carezze del sole che è Tuo
E pur mio, lo stesso, così la luna

Mi porterà pallore, e pur fortuna
Con le stelle a contorno
Destandomi dall’incantato sogno
Lentamente, si sta facendo giorno.

12 agosto 2012
Danila Oppio
Inedita




Spagna, anziana tenta restauro di affresco ma sfigura Gesù




Madrid (Spagna), 23 ago. (LaPresse/AP) - Le buone intenzioni non le mancavano, le competenze pittoriche decisamente sì. Un'anziana devota spagnola ha deciso di restaurare un affresco che ritraeva il volto di Gesù, che ne è però uscito sfigurato e simile a una scimmia. Il dipinto di Elias Garcia Martinez si trova nella chiesa della Misericorda di Borja, cittadina nel nordest della Spagna, vicino a Saragozza. Una vecchietta del villaggio, l'80enne Celia Gimenez, voleva riportare al suo antico splendore l'immagine di Gesù con la corona di spine, perché le sembrava troppo rovinata. Ma ha combinato un disastro, dando a Cristo le sembianze di un primate. Nessuno, tuttavia, si è accorto del danno apportato all'affresco del ventesimo secolo fino a quando la stessa anziana ha telefonato al comune per confessare il gesto. Intanto, mentre le autorità di Borja discutono di come recuperare l'opera, il caso è finito su tutti i giornali spagnoli. E non è sfuggito alla comunità di Twitter, secondo cui dallo stile ispirato al 'Ecce homo' di Caravaggio (Ecco l'uomo), l'affresco potrebbe ora essere definito 'Ecce Mono' (Ecco la scimmia).

 Qui sopra l'articolo ripreso da La Presse, un po' blasfemo, sul finale. Quel che a me ha colpito,  è come ciò possa essere potuto accadere.
Non si entra in una chiesa, muniti di colori e pennelli, per "ristrutturare" un quadro, senza il debito permesso del parroco responsabile. I tempi per il "lavoro" sono lunghi e laboriosi, chiunque avrebbe potuto accorgersi che l'anziana signora non era esperta di restauro, e comunque, prima di affidarle un'opera tanto bella, occorreva sincerarsi delle reali capacità della sedicente pittrice. Ora, che si tratti di un  volto di Cristo o di un qualsiasi altro soggetto di valore, il guaio è fatto, e c'è solo da sperare che un buon restauratore riesca a riportare l'affresco agli antichi splendori!!

PAPA KAROL WOJTYLA: PENSIERI E AFORISMI





L'uomo è un essere che cerca. Tutta la sua storia lo conferma.
Anche la vita di ciascuno di noi lo testimonia. Molti sono i campi in cui l'uomo cerca e ricerca e poi trova e, talvolta, dopo aver trovato, ricomincia nuovamente a cercare. Fra tutti questi campi in cui l'uomo si rivela come un essere che cerca,  ve n'è uno, il più profondo. E' quello che penetra più intimamente nella stessa umanità dell'essere umano. Ed è il più unito al senso di tutta la vita umana.


Da "Nel silenzio dei rumori" silloge poetica ed in prosa di Gavino Puggioni, pubblico qui sotto un suo ricordo particolare, proprio per non dimenticare: noi cristiani, cattolici o no, sappiamo che c'è una vita oltre questa vita, ma per chi non crede, sono persuasa che il ricordo di chi vive, in chi non vive più su questa Terra, sia un valido modo per prolungare la vita di chi ha lasciato un segno profondo, durante la sua esistenza. Per i credenti e anche i non credenti, Papa Wojtyla è stato un Grande e Giusto Uomo!!


NEL SEGNO DELLA VITA E DELL'AMORE


Giovanni Paolo II° non c'è più. Ci ha lasciato nel suo silenzio, nel suo dolore di Uomo, malato,aggredito ma non sconfitto.
Chi gli voleva bene l'ha sempre seguito. Soprattutto i giovani i quali, in questa triste occasione, si sono globalizzati, a dirla coi tempi moderni, in un rincorrersi volontario di presenze e di preghiere, che sanno di straordinario.
Straordinario come era Lui, nei suoi gesti, affaticati e affascinanti, nella sua pacata ma ferma comunicazione, rivolta a tutti, compresi quei potenti che di uomini ne han fatto morire e ammazzare per un ideale che, di certo, non era quello che a Lui apparteneva.
Il suo cammino, ancora prima di arrivare alla Soglia di Pietro, era già tracciato nel segno del rispetto e dell'amore verso l'Uomo, abitante del mondo, quell'Uomo la cui dignità doveva per forza primeggiare in tutte le sue predicazioni, seguite da milioni di persone, ovunque.

Ora non c'è più. Ora, forse, siamo un po' più soli, ma non abbandonati se pensiamo, e dovremmo ricordare, alla grande eredità che ci ha lasciato e che dovremmo sfruttare perchè colma di insegnamenti, di amore verso il prossimo, di rispetto, oltre che dell'Uomo, anche della Natura, senza la quale lo stesso non vivrebbe.

Ora Lui non c'è più. Ma fra poco ci sarà un altro Papa, un altro Santo Padre.
Molti, moltissimi e non solo cristiani, si staranno chiedendo: come sarà il nuovo Papa? Inteso come Uomo, come Guida Spirituale, come carisma?
E il nuovo Papa continuerà a calpestare quelle strade già così felicemente aperte da chi l'ha preceduto?
Sono domande dominanti e pressanti, che possono giungere anche da quei paesi dove altre religioni sono professate e per le quali il vecchio Papa aveva speso i giorni dell'intero suo Pontificato.
Sono domande che possono diventare un Rosario di fiori da far sbocciare, oppure un Rosario di spine, se l'odio, l'indifferenza, la sopraffazione continueranno a farla da padrone.
Ma la parola “oppure” deve essere cancellata, perchè troppo, fino ad oggi, si é sofferto per le guerre, quelle passate e presenti, quelle annunciate e preparate, quelle nascoste o messe in sordina o dimenticate.
E perchè le guerre per la fame, per la miseria, per i poveri del terzo e quarto mondo, per le malattie non si sono mai fatte? Perchè i soliti potenti non le hanno mai volute, proprio perchè prive di tornacconto nazionale o nazionalistico.

Il futuro Papa, nei nostri pensieri, dovrà essere un continuatore di quella “politica” mistica e allo stesso tempo penetrante di Giovanni Paolo II°, facendo allargare ancora di più quelle porte, sì da farvi entrare tutti coloro, sparsi nei due emisferi, che da troppi anni attendono quell'ingresso, in un mondo che dia loro normale ed uguale giustizia e dignità rispetto ai paesi cosi detti ricchi.
Uguali diritti umani, negati a tanti popoli, mai fatti rispettare, mai imposti per legge, nonostante si stia vivendo nel terzo millennio, pieno soltanto di buoni propositi dettati da altrettante umili speranze.

L'OTTO DI APRILE DEL 2005

Beata Vergine Maria di Czrstochowa


Si festeggia il 26 agosto, come la transverberazione di Santa Teresa di Gesù (D'Avila)


Sui dolci pendii di Jasna Gòra, la “montagna luminosa”, che circonda la città di Czestochowa, il santuario è adagiato su una collina di bianche rocce, nella parte occidentale della città. I polacchi sono abituati a legare a questo Santuario le numerose vicende della loro vita: i momenti lieti come quelli tristi, le decisioni solenni, come la scelta del proprio indirizzo di vita, la vocazione religiosa oppure il matrimonio, la nascita dei figli, gli esami di maturità... Essi si sono abituati a venire con i loro problemi a Jasna Gòra per confidarli alla Madre Celeste, davanti alla sua Immagine Miracolosa. Questa Immagine si può dire che è il cuore del santuario di Jasna Gòra ed è anche quella forza, misteriosa e profonda, che attira ogni anno folle sterminate di pellegrini, dalla Polonia e da ogni altro luogo del mondo.
Il dipinto della Madonna ha una storia complessa. La tradizione dice infatti che sia stato realizzato da San Luca su di un legno che formava il tavolo adoperato per la preghiera e per il cibo dalla Sacra Famiglia. L’evangelista avrebbe composto a Gerusalemme due quadri allo scopo di tramandare l’incomparabile bellezza di Maria. Uno di essi, arrivato in Italia, è tuttora oggetto di culto a Bologna; l’altro, fu dapprima portato a Costantinopoli e deposto in un tempio dall’imperatore Costantino. Successivamente fu donato al principe russo Leone, che prestava servizio nell'esercito romano, il quale trasferì l’inestimabile reliquia in Russia dove, per numerosi miracoli, fu intensamente venerata. 
Nel corso della guerra intrapresa da Casimiro il Grande, il quadro fu nascosto nel castello di Beltz e finalmente affidato ai principe di Opole. Questi, alla vigilia di una dura battaglia contro le truppe tartare e lituane che assediavano Beltz, aveva invocato la sacra immagine e, dopo la sospirata vittoria, indicò Maria come Madre e Regina. Si racconta anche che, durante l’assedio, un tartaro ferisse con una freccia il bellissimo volto della Vergine dalla parte destra e che, dopo la sacrilega profanazione, una fittissima nebbia, sorta d'improvviso, mettesse in difficoltà gli assedianti. Il principe, allora, approfittando del momento favorevole, si gettò con le truppe contro il nemico e lo sconfisse. 
Altri documenti assicurano che, terminata l’amministrazione del principe Ladislao nella Russia, il quadro fu caricato su di un carro con l’intenzione di portarlo nella Slesia ma, tra lo stupore di tutti, i cavalli, pur ripetutamente sferzati, non si muovevano. Il principe ordinò allora di attaccarne di nuovi, senza però ottenere alcun risultato. Sconvolto, si inginocchiò a terra e promise di trasferire la venerata effigie sul colle di Czestochowa, nella piccola chiesa di legno. In seguito egli avrebbe innalzato una basilica nel medesimo luogo ad onore di Dio onnipotente, della Vergine Maria e di tutti i Santi e, contemporaneamente realizzato un convento per i frati eremiti dell’Ordine di San Paolo.
Ma le vicissitudini della Madonna Nera non erano ancora finite. Nel 1430 alcuni seguaci dell’eretico Giovanni Hus, provenienti dai confini della Boemia e Moravia, sotto la guida dell’ucraino Federico Ostrogki, attaccarono e predarono il convento. Il quadro fu strappato dall’altare e portato fuori dinanzi alla cappella, tagliato con la sciabola in più parti e la sacra icona trapassata da una spada. Gravemente danneggiato, fu perciò trasferito nella sede municipale di Cracovia e affidato alla custodia del Consiglio della città; dopo un accurato esame, il dipinto venne sottoposto ad un intervento del tutto eccezionale per quei tempi, in cui l’arte del restauro era ancora agli inizi. Ecco allora come si spiega che ancora oggi siano visibili nel quadro della Madonna Nera gli sfregi arrecati al volto della Santa Vergine.
Secondo i critici d’arte il Quadro di Jasna Gòra sarebbe stato in origine un’icona bizantina, del genere “Odigitria” (“Colei che indica e guida lungo la strada”), databile tra il VI e il IX secolo. Dipinta su una tavola di legno, raffigura il busto della Vergine con Gesù in braccio. Il volto di Maria domina tutto il quadro, con l’effetto che chi lo guarda si trova immerso nello sguardo di Maria: egli guarda Maria che, a sua volta, lo guarda. 
Anche il volto del Bambino è rivolto al pellegrino, ma non il suo sguardo, che risulta in qualche modo fisso altrove. I due volti hanno un’espressione seria, pensierosa, che dà anche il tono emotivo a tutto il quadro. La guancia destra della Madonna è segnata da due sfregi paralleli e da un terzo che li attraversa; il collo presenta altre sei scalfitture, due delle quali visibili, quattro appena percettibili. 
Gesù, vestito di una tunica scarlatta, riposa sul braccio sinistro della Madre. La mano sinistra tiene il libro, la destra è sollevata in gesto di sovranità e benedizione. La mano destra della Madonna sembra indicare il Bambino. Sulla fronte di Maria è raffigurata una stella a sei punte. Attorno ai volti della Madonna e di Gesù risaltano le aureole, la cui luminosità contrasta con l’incarnato dei loro visi.
Dopo la profanazione e il restauro, la fama del santuario crebbe enormemente e aumentarono i pellegrinaggi, a tal punto che la chiesa originaria si rivelò insufficiente a contenere il numero dei fedeli. Per questo motivo, già nella seconda metà del secolo XV, accanto alla Cappella della Madonna, fu dato avvio alla costruzione di una chiesa gotica a tre ampie navate.
Nel 1717 il quadro miracoloso della Madonna di Jasna Góra fu incoronato col diadema papale e, a cominciare dal secolo scorso, numerose chiese a lei dedicate furono erette in tutto il mondo: attualmente se ne contano circa 350, di cui 300 soltanto nella Polonia. 
La fama sempre crescente dell’immagine miracolosa della Madre di Dio fece sì che l’antico monastero diventasse nel corso degli anni mèta costante di devoti pellegrinaggi. Il culto della Madonna Nera di Czestochowa si è esteso così fino al continente americano, in Australia, in Africa e anche in Asia. Una devozione che non ha confini, che ha toccato il cuore di molti, e che è stata particolarmente cara – come ogni polacco che si rispetti – al nostro venerato Santo Padre, Giovanni Paolo II, che di Maria è sempre stato il devoto più fedele.


Autore: 
Maria Di Lorenzo
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26 Agosto:Trasverberazione di Santa Teresa d'Avila


venerdì 24 agosto 2012

PAPA KAROL WOJTYLA: PENSIERI E AFORISMI

da oggi, se possibile ogni giorno, voglio ricordare Lolek, il Papa Beato, con suoi pensieri e aforismi. Per non dimenticare






"Vi confesso con semplicità che provo un vero turbamento per il futuro del mondo, quando noto generazioni giovani incapaci  di amare veramente o che riducono il loro donarsi allo scambio di gratificazione  tra eguali, incapaci di vedere nella sessualità una chiamata, un invito a un amore più alto e universale"


Papa Giovanni Paolo II

FESTIVAL DELL'ARGENTIERA. SULLA TERRA LEGGERI








Di Gavino Puggioni

V° FESTIVAL dell'ARGENTIERA
dal 25 al 29 luglio 2012



“Passavamo sulla terra leggeri”, il libro pubblicato postumo di Sergio Atzeni, lo scrittore sardo rubato alla vita in quel settembre del 1995, dal mare di Carloforte, ha ispirato l'incipit di riferimento e anche di identità a questo “piccolo” festival letterario di mezza estate, desiderato e voluto da Flavio Soriga e da sua sorella Paola, col titolo “sulla terra leggeri”, in quel borgo minerario che si chiama Argentiera, vicino Sassari.
E cosa esiste di più leggero se non il trascorrere cinque lunghe serate all'insegna della cultura  propositiva, in compagnia di scrittori più o meno noti ma autentici, di giornalisti credibili, di lunga professionalità, con incontri di personaggi anche televisivi, però schietti e veri?
E cosa esiste di più bello e affascinante quando ti accorgi che questo borgo sta rivivendo altra vita, questa, che fa ritornare il sottoscritto agli anni felici della propria infanzia, quando la miniera funzionava e dava lavoro a tanti operai, anche se duro?
Oh! Quell'infanzia trascorsa tra la polvere e le discese ripide, verso le due spiagge, con le scarpe da tennis rotte, o scalzi, ché si faceva prima ad abbracciar le onde ed urlare di felicità.

E il mare? Era lì a pochi passi, che respirava anche lui, tranquillo, quasi civettuolo, in ascolto, con la sua battigia accarezzata da mille onde altalenanti, in quei silenzi che solo l'Argentiera sa donare a chi li sa ascoltare, e non sono pochi, adesso.
E questa leggerezza è stata sempre presente in questa quinta edizione perché Flavio Soriga l'ha resa vivace ed intelligente, con tanta musica, alla sera, e con le parole di tanti protagonisti che, dopo il tramonto, si sono impegnati in confronti ai quali  molti di noi non erano abituati, almeno dal vivo, ad assistervi e a parteciparvi.

Da Olmedo, dagli amori semiseri che si possono costruire d'estate e poi raccontarli anche al bar, in un susseguirsi di voci quasi teatrali eppure divertenti, a quella serata dei Columella Swing presso l'Anfiteatro Comunale di Osilo, dove ancora voci e musica hanno fatto fare un po' di amarcord, per ricordare l' inconfondibile Fred Buscaglione con le sue musiche da locali in ombra, mai al buio, in suggestive emozioni di tempi andati, fino ad arrivare a Sergio Caputo, quello del “Sabato italiano” degli anni ottanta ma che ancora resiste nella mente e nei cuori di tanti di noi, innamorati di quella musica jazz e latino americana, imperdibile e mai dimenticata.
E poi la serata della presentazione di “Sulla terra leggeri”, ai giardini pubblici di Sassari, in una atmosfera davvero brillante dove Flavio e Paola Soriga ci hanno preparato all'ascolto di quelle voci, nuove o meno, che si stanno affacciando nel panorama letterario nazionale, con il critico Piero Dorfles a tenere le redini di una intervista spigliata con domande a sorpresa pur sempre intelligenti e ficcanti, davanti ad un pubblico numeroso e interessato.

E poi...e poi, tutti in piazzetta, all'Argentiera, in quell'angolo di mondo sperduto ed ora ritrovato, grazie alla visione quasi onirica dei fratelli Soriga e di coloro che agli stessi  hanno creduto e sono sicuro che non se ne saranno pentiti.
E in quella piazzetta, gli appassionati della cultura, tanti seduti e altrettanti in piedi, erano in cinquecento, forse mille, non lo so, ma era evidente la passione e l'interesse per quegli incontri informali, pieni di umore buono e sano e di amore, mentre sul piccolo palcoscenico si alternavano tutti quei personaggi che hanno amato e amano l'Argentiera, fra case ancora diroccate e le mille braccia scorticate di quella vecchia miniera che erano e sono lì, quasi a volersi proteggere ed invocare mani umane per una carezza,  per un ricordo indelebile, per quelle vite andate e consumate in uno di quei lavori più ingrati che l'uomo possa sopportare, il minatore.
Dicevo degli appassionati, sì, è vero, anche se di cultura e di lettura di libri, oggi, si parla poco perché sono pochi quelli che l'amano, quelli che leggono, in questo paese dove appaiono mille e una notizia al giorno, vuoi di politica, vuoi di economia, di cronaca nera, di spread, di bond e di default (parole che saranno inserite nel prossimo vocabolario di lingua italiana, se questa avrà la forza di sopravvivere!), ma assai poche di cultura, quella vera, dei bei romanzi scritti con amore e rispetto anche della nostra lingua o di sillogi poetiche, perché no? delle quali la maggior parte degli italiani continua a disinteressarsene, purtroppo!

Vorrei nominare tutti quegli ospiti che hanno calpestato questa mia terra e dire loro grazie per tutto quello che hanno detto e presentato, in quello spazio povero che mai e poi mai si sarebbe sognato di esser calpestato da umani che amano la cultura, la lettura e chi la promuove, nonostante i mezzi a disposizione siano sempre più esigui.

Ed eccoli, allora, a cominciare dalla nostra Geppi Cucciari, madrina del Festival, che interloquisce con Flavio Insinna, raccontando di televisione e di quanto loro stessi non debbano farsi condizionare dal maledetto “share” o dal capo del momento, quello dell'amore,  ma che ora non c'è  più e meno male!

“Il bambino della luna” di Matteo Caccia, che meraviglia! altro che esperimenti d’improvvisazione letteraria, è stata arte e recitazione pura che ha incantato i presenti e li ha estasiati davvero.

E la “Ninna Nanna”, opera inedita di teatro- danza, presentata dalla danzatrice Donatella Martina Cabras, di Cagliari, splendida la sua esecuzione, che ha dato un tocco di eleganza e musicalità alla serata, rivestita dalla solita magia creativa, dello stilista Antonio Marras.

 E dopo, ancora, alcuni giornalisti dalla penna sempre carica e graffiante, da Michele Serra a Luca Soffri, da Luca Telese a Giovanni Maria Bellu, entrambi ex di altri giornali ma sempre pronti a dir la loro su questa Italia agonizzante e perplessa, bella di notte e di giorno, nelle cartoline, ma altrettanto brutta se si va a vederne le “mostruosità” che la condannano a paese poco amato dai suoi stessi abitanti.

Non dimentico Matteo B. Bianchi, animatore e promotore del Festival, fine scrittore di libri attualissimi e di grande respiro, titolare anche lui di un blog letterario molto interessante e vero.
Come non dimentico Marisa Passera, simpaticissima e sempre pronta alle battute, prima di calcio e dopo anche di altro, incontrando Federico Russo e Sebastiano Mauri e i loro primi romanzi.
Devo ricordare, altresì, il professor Manlio Brigaglia, mio concittadino, che ha parlato dell'Argentiera e di alcuni episodi ad essa legati, con una preghiera ai giovani d'oggi che diceva così: “non buttate bottigliette e cartacce in strada e sulle panchine, siate civili, rispettate quello che è anche vostro!” e giù, una marea di applausi, sacrosanti.

Subito dopo è arrivato il turno del sottoscritto, ospite anch’io, grazie a Flavio e a Paola, il quale ha letto due sue poesie dedicate al borgo ed una, in prosa, dove l'Argentiera è stata narrata per quel che era, per quel che avrebbe voluto essere, per quello che spera di diventare se gli uomini la rispetteranno e la faranno rivivere almeno come museo-minerario all'aria aperta e questo lo meriterebbe davvero.

Forse ho dimenticato qualcuno che spero mi perdoni, sono andato un po' a memoria e un po' consultando il programma, sicuro e convinto che questo “piccolo” Festival di mezza estate  possa attecchire in questa terra – borgo, dove poche luci si accendono ma questa lampada “sorigana” alimentiamola e bene, almeno una volta all'anno.
ARGENTIERA
Il poeta Gavino Puggioni declama alcune sue opere

ciottoli roventi
che sanno d'argento
levigati
da maree millenarie
riposano
in quest'area naturale
maltrattata
dagli uomini
Daria Bignardi con Matteo B.Bianchi
Commiato tra Geppi Cucciari e Flavio Insinna, a lato,
Flavio Soriga, co-creatore dell'evento

Alcuni momenti della manifestazione!

Aleppo e il racconto di tre città. O della bestia che se vivrà inghiottirà la Siria intera.

 by  • 23 AUGUST 2012 
di Yassin al-Haj Saleh.(Yassin al-Haj Saleh è considerato uno dei più importanti osservatori della vita politica siriana. Ha trascorso 16 anni nelle prigioni di Stato, una esperienza a proposito della quale ha recentemente scritto un libro. Uno studioso siriano rifiuta la descrizione di Yassin al-Haj Saleh come osservatore politico o analista e lo considera invece il vero storico della rivoluzione siriana. Di recente, Yassin ha scritto un breve saggio su Aleppo, una città con la quale aveva una storia intima. Con il suo permesso, l’ho tradotto. Il titolo “Aleppo: un racconto di tre città” è mio – Elie Chalala).
Ho vissuto ad Aleppo per circa sette anni, in due periodi separati da un intervallo di tempo di diciassette anni: la fine degli anni ’70 e la fine del ventesimo secolo.
Quella prima Aleppo era una zona depressa, pesantemente soffocata da una severa presenza politica e militare e da un micidiale sistema impersonale. Il regime tentava di insediarvisi come unica personalità decisiva dell’intera città. La quale città soffriva anche di sovraffollamento e di un rapido sviluppo senza una bilanciata crescita nei servizi, il tutto sotto l’influenza di una diffusa, crescente religiosità e l’intensificarsi di molti conflitti.
Come non-nativo residente ad Aleppo sentivo di non avere mai vissuto in un luogo  così introverso. All’università formammo un eterogeneo gruppo di studenti provenienti da diverse parti della città, inclusi i territori limitrofi, e provenienti da diverse sette religiose inclusi i palestinesi.
E la città resisté all’infiltrazione del regime. Le sue università, i sindacati, gli attivisti politici e i gruppi religiosi erano i più attivi nell’opposizione al regime di Hafez al-Assad. Università escluse, l’opposizione era urbana e principalmente di Aleppo.
Aleppo fu conquistata nella primavera del 1980, quando tutti i gruppi all’opposizione furono annientati. Quel periodo segnò la fine di una vita culturale autonoma, la fine del libero dibattito nei campus, finanche nei cinema. Questa era la seconda Aleppo.
Come tutte le città siriane, Aleppo si stava preparando a diventare una città senz’anima ed impersonale.
La seconda città siriana è grande quanto Damasco, ma somiglia al resto della Siria: niente discussioni, niente cultura, niente politica, niente dimensione pubblica che permetta alla gente di vivere in comunione, niente religiosità sebbene tutto implichi una data religiosità.
Nella prima Aleppo, la mia zingaresca vita universitaria mi portò a vivere in sette diverse case, tutte in quartieri centrali mai nominati dalle stazioni satellitari che si occuparono di raccontare la rivoluzione. Nella seconda Aleppo, ho vissuto nel periferico quartiere di Sheikh Maksoud, abitato da arabi, curdi, mussulmani e cristiani.
Quando Hafez Assad morì nel giugno del 2000, i residenti dei quartieri centrali corsero ad approvvigionarsi di pane, scatolette e verdura, mentre le strade si svuotavano. Nulla di tutto questo accadde nelle zone periferiche, dove le vite degli abitanti raramente si intersecavano con le vite dei presidenti e con le loro morti.
La terza Aleppo, oggidì apertamente in rivolta, ha origini rurali e viene dalle zone più malfamate: Salahuddin, Alsakhur, Alklaseh, Bab Alhadid, Al Shaar, Al Zabadieh… Quasi come se questi quartieri avessero conservato il loro spirito e la loro identità, mentre le zone residenziali, causa la massiccia presenza dello Stato e di una religiosità importante e addomesticata, ne fossero privi.
Quando ha a che fare con lo spirito e la personalità di una città, un regime, infatti, si adopera per distruggerli e perseguitarne i fantasmi. E quando si sente in pericolo, uccide. Ha ucciso a Homs, a Deir ez-Zor e nulla gli impedirà di uccidere ad Aleppo se potrà farlo.Se vivrà la bestia inghiottirà la Siria intera.
Questo brano è stato liberamente tradotto dall’arabo da Elie Chalala con il permesso dell’autore. La versione araba è apparsa sul supplemento culturale As Safir. Traduzione e titolo italiano di Rina Brundu.
Da Rosebud - giornalismo online
Danila Oppio aggiunge:
Scattai alcune foto di notte, dalla finestra dell'hotel dove alloggiavo, vennero malissimo, ma una di queste la pubblico, giusto per illustrare il mio pensiero: Ora Haleb, come il resto della Syria, è sprofondato nella disperante oscurità più totale, ma mille luci di speranza si accendono ancora. Eccole, compreso il minareto, col suo grande faro verde! Colore dell'Islam, ma per tutti, colore della speranza!
Le immagini sono stater scattate da me personalmente sei anni fa ad Aleppo (Haleb)

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Il Paradiso non può attendere: dobbiamo già cercare il nostro Cielo qui sulla terra! Questo blog tratterà di argomenti spirituali e testimonianze, con uno sguardo rivolto al Carmelo ed ai suoi Santi