AFORISMA

Meglio aggiungere vita ai giorni, che non giorni alla vita
(Rita Levi Montalcini)

Nostra Signora del Carmelo

Nostra Signora del Carmelo
colei che ci ha donato lo scapolare

lunedì 28 febbraio 2011

AVVISO


INFORMO I LETTORI DI QUESTO BLOG, CHE PER UN DISGUIDO, NON APPARIVA SULLE IMPOSTAZIONI DEI COMMENTI, L'OPZIONE "ANONIMO". HO PROVVEDUTO, GRAZIE ALLA MIA AMICA MARIA, OTTIMA WEBMASTER, AD INSERIRLO. ATTENDO ORA CON GIOIA I VOSTRI COMMENTI! SCUSANDOMI PER IL DISAGIO, AUGURO A TUTTI VOI OGNI BENE. 

VERA VOCAZIONE SACERDOTALE - PREGHIAMO

Quanto ho pubblicato poco fa, mi ha portato a riflettere. Poche sono le vocazioni, ed io essendo anche un poco dubbiosa al riguardo, mi chiedo quante siano davvero sentite. Essere sacerdoti comporta molte rinunce - rinunce alle cose del mondo - ma è anche occasione per potersi fare una cultura, per garantirsi un futuro certo, contro tutte le incertezze che oggi, nel mondo del lavoro, si riscontrano. Questo può succedere sia tra i preti diocesani che tra i religiosi. Mi direte: ma ci sono i loro maestri che sanno fare discernimento!! Oh, ma il demonio può benissimo confondere, è il suo mestiere. Ci si guarda intorno, e si vedono le chiese spopolate. Vero che imperversa la scristianizzazione, causata da una certa ideologia laica, ma una parte di "colpa" potrebbe essere addebitata anche dal clero, che non sempre è così attento agli altri come ha dimostrato don Lolo, che non è fuggito alla morte nell'intento di aiutare un ragazzo difficile. Non tutti sono votati al martirio. Molti sacerdoti vivono ripiegati su sé stessi, cercando plausi, spesso sono depressi, perché trovano difficile la loro opera, in un mondo che non li rispetta. Penso che l'autostima sia necessaria, ma non deve essere confusa con la superbia, la presunzione, l'amor proprio. Spesso i sacerdoti non hanno tempo, fagocitati da tanti impegni "burocratici", riunioni a volte non necessarie, e non riescono a curare i rapporti con i singoli. La Chiesa è diventata un distributore di Sacramenti: Battesimi, Cresime, Comunioni, Matrimoni e Funerali. E la gente ricorre ad essa proprio come se fosse un' Ente che offre servizi. Ma dietro a questo, ci sono dei veri Amici di Dio? Io ne conosco molti che lo sono, e ne gioisco, ma altri mi lasciano fredda, indifferente. Non percepisco il fuoco dell'Amore in loro. Questo mi viene confermato da molte persone, e se le persone sono piene di fede e di carità, comprendono e restano salde nel loro proposito di essere membri della Chiesa, ma altre, che fanno i primi passi di un cammino che porta a Gesù, o la cui fede si è intiepidita, se non è addirittura scomparsa, trovano la giustificazione del loro allontanamento, dalla mancanza di un dialogo costruttivo con un sacerdote. Oppure restano delusi dai suoi discorsi, che paiono stucchevoli e privi di vera condivisione. Qualche volta, anche scandalizzati da un certo linguaggio o comportamento, non proprio ortodosso, ma questo è un altro discorso. 
Parto dal presupposto che i sacerdoti debbano essere Apostoli di Cristo, i primi ad essere entusiasti diffusori della Buona Novella, i primi a dimenticare sé stessi per donarsi agli altri, altrimenti il Sacerdozio non riveste il suo vero mandato. Chi incontra anime così innamorate di Cristo, a sua volta ne viene attratto, contagiato, e la fede si propaga a macchia d'olio. Ma se queste anime sono prive della passione per Cristo, non testimoniano nulla, anzi, allontanano. Il popolo di Dio esige di avere Pastori che siano capaci di Amore e colmi di Fede, in quanto non approva che dal pulpito vengano parole che poi non sono messe in pratica dallo stesso predicatore. (pensano: predichi bene, ma razzoli male). E non pensiate che io mi riferisca ai peccati nei quali ogni uomo potrebbe cadere, sacerdote o religioso compreso), parlo proprio di Fede! Cristo è venuto sulla Terra per i peccatori, nessuno escluso, ma da noi esige la Fede nella Trinità. Tanto più dai suoi amati Apostoli, sacerdoti in Cristo. 
Sia chiaro, io non accuso nessuno, me ne guardo bene. Ho solo esposto quella che, non solo a mio avviso, è una realtà, e chiedo a coloro che hanno il dovere di fare discernimento, di rinunciare ad un futuro sacerdote, se non sono certi della sua Fede in Gesù Cristo. Chiedo a tutti noi di pregare molto per i sacerdoti, affinché siano testimoni veri, cristiani convinti, che non perdano la fede durante il loro mandato e che, se capita loro di vacillare o cadere, sappiano subito rialzarsi. 
Noi tutti abbiamo bisogno di santi sacerdoti - e nella storia della Chiesa ne abbiamo e ne abbiamo avuti tanti -
che ci aiutino a camminare verso il Signore, con buone parole, ma anche con un grande esempio. In questi tempi è più che mai necessario. La mia analisi è reale, e non deve scandalizzare, ma suscitare in noi un'intensa preghiera, per aiutare i sacerdoti che si trovano a dover combattere la loro battaglia contro un mondo che li ripudia, che schernisce la Chiesa, dove spesso la stessa ed i suoi sacerdoti sono oggetto di odio profondo.
Amiamo invece la Chiesa con il suo clero, i religiosi e le religiose, che hanno scelto di seguire Cristo per tutta la loro esistenza: preghiamo intensamente per un cristianesimo rinnovato, rinvigorito, affinché la Luce illumini i nostri giorni!

GLI AMICI DI DIO

Don Lolo, amico di Dio

Un'omelia di mons. Mario Delpini, vescovo ausiliare di Milano, in memoria di un sacerdote ucciso tragicamente a Busto Arsizio vent'anni fa. Un testo che - attraverso di lui - parla dritto a ciascuno di noi
Vivono tra noi gli amici di Dio. Vivono come tutti: di fatiche e di gioie, di giorni di frenesia e di giorni di festa, di giorni di salute e di giorni di malattia, ma gli amici di Dio vivendo come tutti, vivono in modo straordinario. Come tutti, incontrano la gente: incontrano persone simpatiche e persone insopportabili, hanno amici e talora anche nemici, incontrano tanta gente, come tutti, ma chi incontra gli amici di Dio ne conserva un ricordo particolare. Hanno il loro carattere, come tutti: alcuni sono timidi e altri estroversi e chiacchieroni, alcuni sono irruenti e reattivi, altri sono pazienti e discreti, eppure tutti gli amici di Dio sono come segnati da una disciplina che li rende disponibili anche a quello che non viene spontaneo. Vivono tra noi, gli amici di Dio, non si notano a prima vista, non fanno rumore, eppure sono quelli che tengono in piedi il mondo, quelli che mettono mano alle cose storte e cercano di raddrizzarle: che si tratti di un bambino che piange, di un malato che è solo o dei problemi di dimensione planetaria.
Gli amici di Dio vivono tra noi, vivono come tutti, sono uomini e donne che assomigliano in tutto agli altri. Eppure hanno qualche cosa di straordinario.
Gli amici di Dio vivono una particolare libertà. Hanno consegnato a Dio il loro desiderio di essere felici e perciò non si preoccupano più troppo di se stessi. Sanno che Dio non li deluderà, mai.
Perciò sono liberi. Sono liberi dalla paura: si espongono a tutti i rischi che la missione comporta, non per ingenuità o presunzione, ma per obbedienza. Sono liberi dalla ricerca del consenso, sono liberi dai giudizi altrui: ascoltano tutti e sanno che da tutti devono imparare, ma il criterio del loro agire non è la popolarità o l'approvazione del mondo. La libertà viene da una fortezza interiore dove abita il timor di Dio. Sono liberi dagli interessi meschini. Non si domandano mai "che cosa ci guadagno?", perché vivono di gratitudine. Il dono che hanno ricevuto è talmente grande, talmente gratuito che non possono che condividerlo gratuitamente. Sono disposti a rimetterci persino, non hanno preoccupazioni per il loro futuro.
Sono liberi anche dall'ossessione di verificare i risultati. Si impegnano con tutte le forze, si appassionano alle imprese che li coinvolgono, ma sanno di essere solo operai mandati a seminare.  Del raccolto sono incaricati gli angeli di Dio.
Gli amici di Dio abitano in un mistero e ne sono commossi. Sono stati visitati da un invito, sono stati chiamati all'intimità indicibile. Nella solitudine non si annoiano, perché la presenza di Dio non è una parola, ma una comunione tremenda e affettuosa. Amano il silenzio e talora li sorprendi in una preghiera che non riesci a indovinare, nel cuore della notte o all'alba. Non parlano spesso di sé, hanno un riserbo sulla loro vita spirituale. Ma se poni loro delle domande, puoi restare sorpreso per parole di fuoco o per uno zampillare di acqua fresca per la tua sete.
Gli amici di Dio sono gente che vive con uno scopo. I loro obiettivi non vengono dall'ambizione, non sono nutriti dal desiderio di una carriera, dalla presunzione di un protagonismo. Hanno uno scopo, ma è piuttosto l'obbedienza alla missione. In quello che fanno mettono tutto se stessi, non risparmiano né forze, né intelligenza, né risorse, fino al sacrificio. Non hanno un altrove in cui evadere, non difendono le parentesi del loro privato, come possibilità di un'altra vita. Non hanno un'altra vita perché la missione che hanno ricevuto è diventata tutta la loro vita. Si considerano solo dei servi e vivono con fierezza il loro servire, perché conoscono il loro Signore.
Gli amici di Dio ospitano insieme una gioia invincibile e una struggente tristezza. Non si sa come spiegare quello che provano, eppure portano in giro per la città il loro sorriso in cui indovini una gioia che non viene da fortunate coincidenze o dall'assenza di problemi, ma da un'inesplorabile profondità, come una sorgente che non cessa mai di alimentare l'esultanza. Ma la gioia degli amici di Dio non è un ingenuo essere giulivi. Hanno dentro una tristezza struggente: è l'intensità della compassione perché non c'è soffrire che li lasci indifferenti; è il sospiro del compimento perché non c'è giorno della vita in cui non invochino "venga il tuo regno".
Vivono tra noi, gli amici di Dio e passano per lo più inosservati. I titoli dei giornali e le chiacchiere intessute di luoghi comuni li ignorano perché si dedicano alla lamentela e al pettegolezzo, alla critica e alla denuncia, alla retorica e alla mormorazione. Così gli amici di Dio non fanno notizia.
E sono qui anche in mezzo a noi, anche se passano inosservati.
Capita però, talvolta, che un evento straordinario attiri su di loro l'attenzione e allora tutti se ne accorgono e restano ammirati.
Così è stata la vicenda di don Isidoro e la tragedia della sua morte. Un amico di Dio è morto come un agnello immolato e agli occhi di tutti si è rivelata la gloria di Dio che ha avvolto di luce la vita di don Isidoro fin dai suoi primi anni.  Così lui, così discreto, così schivo è diventato notizia e personaggio.
Perché mai sarà successo questo?
Io credo che gli amici di Dio compiano la loro missione in vita e in morte. Perciò credo che talora capiti che gli amici di Dio richiamino l'attenzione di molti perché tutti si possano sentire rivolta una parola, un invito, una domanda.
Vuoi diventare anche tu amico di Dio? Io ti dico che ne vale la pena!

l 14 febbraio 1991, all’età di soli quarantasei anni, moriva don Isidoro Meschi. Don Lolo - come lo chiamavano tutti - sacerdote meratese, è stato assassinato con una pugnalata al cuore. Ad ucciderlo è stato uno dei suoi ragazzi, un giovane con gravi problemi psichici. Don Isidoro lo aveva seguito per anni, aiutandolo anche a costruirsi una prospettiva professionale. Erano da poco passate le 22. Si trovava nei campi dietro alla cascina che aveva ristrutturato per adibirla a comunità di recupero. Aveva un appuntamento con il ragazzo che lo avrebbe poi assassinato. Doveva parlargli, forse offrire un consiglio. Il giovane alza la voce, si arrabbia, perde il controllo ed estrae un coltello. 
Don Isidoro invece di scappare resta con lui, cerca di farlo ragionare e di tranquillizzarlo. Invece il ragazzo lo pugnala con una stilettata dritta al cuore. Per don Isidoro non c'è stato niente da fare, a nulla è servita la corsa all’ospedale. Forse sapeva di dover morire. Una volta, cinque anni prima di essere assassinato, in occasione di una malattia, la sorella Maria gli disse che doveva guarire perché lei non avrebbe retto al dolore della sua perdita. Lui le rispose: «Fino a quarantacinque anni non morirò». Percepiva che se ne sarebbe andato alla stessa età di suo padre. Al funerale il Cardinale di Milano, Carlo Maria Martini, lo ha definito un santo: «Chissà che egli non diventi un giorno un segno per tutta la Chiesa».

martedì 22 febbraio 2011

AFRICA FERITA - AFRICA DISPERATA

Qualche giorno fa ho pubblicato il video di una canzone africana, Jammu Africa, ma essendo cantata parte nella lingua locale e parte in francese, credo sia gradito il testo integrale del pezzo musicale, al quale aggiungo la traduzione in italiano. Ismael Lo ha inciso questo brano diversi anni fa, ma torna di grande attualità in questi giorni in cui molti Paesi del nord Africa sono in rivolta. Non stupiamoci, anche in Europa abbiamo avuto le nostre rivoluzioni: quella francese, quella russa e pure l'Italia non è stata da meno. Lo stiamo ricordando in questo nostro 150° anniversario dell'unità d'Italia. Quando i popoli sono sottomessi, quando non hanno lavoro e cibo, quando si avvedono delle ingiustizie e non  possono chiedere pacificamente un futuro migliore, escono in piazza uniti, per una giustizia sociale che mai hanno avuto. E lo fanno pur sapendo che cadranno, moriranno, ma mai non muore la speranza di un mondo migliore, di una pace duratura che solo chi rispetta il proprio simile può ottenere.

Sama gent gi maa ngi ñaan Yalla wonma ko bala may ñibbi barsaq
Ma ne bes du ñakk ci bes yi Afrika don benn reew                        
D'ici ou d'ailleurs nous somm' des enfants d'Afrique
Mêm' si le ciel tombait luttons pour la paix
Kon jammu Afrika moom lay ñaan
Mané jammu Afrika mooy suñu natange


Afrika a a a Afrika a a
Afrika a a a Afrika mon Afrique


Yow mi nekka bittim reew man mi Lô maa ngi lay ñaan
Ak loo fa meun ta am ak noo fa meun ta mel bul fatte Afrika
Ici ou ailleurs la paix prix du bonheur
Mêm' si le ciel pleurait luttons pour nos frères
Kon jammu Afrika moom lay ñaan
Mané jammu Afrika mooy suñu natange


Afrika a a a Afrika a a
Afrika a a a Afrika mon Afrique
(BIS)

Onon bibbe Afrika ngimode, ngimode liggo-den leydi men
Ngaccen hasi daagal yoo Alla suren e musibaadi
Yoo Alla addu jam to Ruanda
Yoo Alla addu jam to Burundi
Yoo Alla addu jam to Casamans
Lawol Mbignona yee

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Traduction (les deux premiers couplets sont en wolof, le dernier est en Pulaar)

Dans mon rêve je prie Dieu pour que cela se réalise avant mon trépas
Je dis " un jour viendra où l'Afrique sera unie "
D'ici ou d'ailleurs nous somm' des enfants d'Afrique
Mêm' si le ciel tombait luttons pour la paix
Donc je demande la paix en Afrique
car avec la paix en Afrique ce sera la prospérité

Etranger, moi Lô je te prie
quelles que soient ta fortune et ta situation de ne pas oublier l'Afrique
Ici ou ailleurs la paix prix du bonheur
Mêm' si le ciel pleurait luttons pour nos frères
Donc je demande la paix en Afrique
car avec la paix en Afrique ce sera la prospérité

Vous les enfants d'Afrique, levez-vous pour construire notre pays
Que Dieu nous épargne les malheurs
Qu'il apporte la paix au Rwanda, au Burundi,
Et en Casamance sur la route de Mbignona!!!

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Nel mio sogno prego Dio perché ciò si realizzi prima della mia morte
dico: "un giorno accadrà che l'Africa sarà unita"
Sia qui che altrove, noi siamo figli d' Africa
anche se il cielo cadesse, noi lottiamo per la pace
Dunque domando la pace per l'Africa
perché con la pace in Africa ci sarà la prosperità
Straniero, io ti prego
qualunque sia la tua fortuna e la tua situazione
non dimenticarti dell'Africa
Qui o altrove, la pace è il premio per la felicità
Anche se il cielo piange, lottiamo per i nostri fratelli
Dunque io domando la pace in Africa
perché con la pace in Africa si avrà la prosperità
Voi, figli d'Africa,  alzatevi per costruire i nostri paesi
che Dio ci risparmi dall'avversità
che Egli porti la pace in Rwanda,Burundi
ed in Casamance sulla strada di Mbignona!!
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Qui finisce il testo, e mi prendo la libertà di aggiungere:
che Dio porti la pace in Egitto, in Libia, in Tunisia, ed in tutti quei Paesi dove la pace, la giustizia, la libertà ed il benessere non hanno casa!

lunedì 21 febbraio 2011

LA VERGINITA' DI MARIA

Vorrei attirare la vostra attenzione su una circostanza singolare: quello di Marianne Wex è l'unico libro esistente sulla partenogenesi umana. Perchè? L'autrice sottolinea che il mondo scientifico, pur evitando di approfondirne la portata e il significato, non ha difficoltà a riconoscere la grande diffusione di questa modalità di riproduzione per quanto riguarda le piante e le specie animali cosiddetti "inferiori" (che sono circa un migliaio, dagli insetti ai pesci, dai ragni alle lucertole); ma quando si tratta di confrontarsi con il fenomeno della partenogenesi "nei vertebrati, nei mammiferi e infine nelle donne, incontriamo un grosso tabù.(Da quanto ne so io, solo Maria Vergine poté concepire senza ausilio umano n.d.r.)

Riporto questo preambolo, che non mi appartiene e che ha risvegliato in me un certo interesse riguardo la verginità di Maria, in quanto coloro che si basano solo sulle ricerche scientifiche, spesso mi danno della ingenua – per non dir di peggio – quando sostengo che al Creatore è possibile l'azione nel modo in cui meglio crede. Ed aggiungo ora, che se dalla Genesi si evince che il Primo Uomo creato ha avuto per compagna la Prima Donna, non per la procreazione, ma perché appunto gli fosse compagna, affinché non fosse solo. Nei disegni di Dio non era ancora tracciato il progetto della procreazione nel dolore, del dover guadagnarsi il pane col sudore della fronte e, soprattutto, della morte. Quindi l’Uomo creato era perfetto. L’imperfezione è venuta dopo il peccato originale, dopo la grande disobbedienza a Dio a causa della superbia. E se per concepire un figlio occorre la partecipazione di due creature, significa che una sola non è perfetta, in quanto ha bisogno dell’altra per completare la procreazione.

Ecco quindi che Maria, la Perfetta, l’Immacolata Concezione, è la seconda Eva, colei che Dio scelse come Madre del proprio Figlio Unigenito. Per essere Madre di Dio, doveva per forza essere perfetta, quindi per lei non era necessaria l’unione carnale con uomo. Diciamo così che, per opera divina, Ella è l’unica donna ad aver concepito un figlio per partenogenesi (Lo spirito Santo è entrato in lei in modo invisibile, essendo Egli stesso incorporeo). Allo stesso modo Eva avrebbe potuto mettere al mondo la propria progenie, in quanto né sofferenza né morte abitavano nel Paradiso Terrestre. Ma il Signore ha dovuto ricreare una quasi analoga situazione in Maria. Per quale motivo Dio avrebbe dovuto permettere che la Donna da Lui prescelta, fosse costretta a partorire il Figlio tra i dolori del parto, e concepirlo con la conoscenza carnale dell’uomo? Sua era fin dalla Creazione, e Sua sarebbe restata fino alla fine dei tempi. Dio può tutto, e se mettiamo anche solo per un attimo in dubbio la Verginità di Maria, mettiamo in dubbio la stessa onnipotenza del Creatore. In tal caso, non esiste fede in noi.

Scrivo per chi si basa solo sulla scienza, che esclude a priori le Sacre Scritture, e dico loro che mi trovino altra donna che abbia avuto la Grazia di concepire senza intervento umano.

Per coloro che non ammettono l’intervento dello Spirito Santo, convinti che ci abbiano per millenni riempiti di frottole, non posso farci nulla, la Fede è un dono, e se loro non lo posseggono, posso solo pregare affinché una scintilla divina li illumini. Ma ciò che mi preoccupa sono i dubbi che nascono tra i credenti, i cristiani cattolici, i quali teorizzano e pur ammettendo che la Vergine possa essere stata visitata dallo Spirito Santo, nel momento del parto la Sua verginità sia venuta meno, per una questione, diciamo così, tecnica. Il Figlio doveva pur venire alla luce, e la via da percorrere è la stessa di ogni uomo che nasce. E allora? Se Maria concepì senza intervento umano, perché non avrebbe dovuto partorire e restare Vergine? Dio tutto può. Ma anche se avesse perso quella che comunemente si intende verginità, durante il parto, ovvero la rottura dell’imene, questo non impedisce che Lei sia sempre e comunque Vergine, in quanto non è stata mai coinvolta in una relazione di tipo sessuale. E’ comunque una risposta banalmente umana, Dio ha potuto sicuramente fare di meglio, e permettere un parto indolore,  lasciando integra la Madre!

Il suo cuore è vergine, perché donato fin da piccola al Padre, il suo corpo è vergine, perché mai concesso ad uomo, il suo spirito è vergine, perché mai corrotto dal peccato. Se pensiamo alla sua Immacolata Concezione, sappiamo anche cosa significhi: lei è nata senza peccato originale, e quindi senza quella parte di male che è in tutti noi, senza quelle pulsioni del corpo e quei movimenti disordinati dell’anima che corrompono e corrodono l’uomo, trascinandolo nelle passioni. Se la Vecchia Eva (prima donna), come possiamo apprendere dalle Sacre Scritture, venne creata da Dio,fu da subito vergine in corpo e spirito, permeata di Bene e scevra dal male. Così avvenne per la Nuova Eva, per volere divino. A me piace credere in questo, poiché solo una Donna Perfetta poteva essere Madre all’Uomo Perfetto, Figlio Unigenito di Dio Padre, e Dio stesso incarnato. Ora però mi rendo conto che le mie parole sono prive di profonda teologia, anche se piene di fede, per cui lascio la parola a chi ne sa più di me: leggete il seguito:

 

            "CONCEPITO DI SPIRITO SANTO "


          LA VERGINITÀ' DI MARIA " PRIMA DEL PARTO "

1. IL CONCETTO PRECISO E COMPLETO DELLA VERGINITÀ " PRIMA DEL PARTO "

giovedì 17 febbraio 2011

CHI DA' LE ALI ALL'UOMO

All'udienza generale il Papa parla di san Giovanni della Croce 

Chi dà le ali all'uomo

L'amore di Cristo non è un peso per l'uomo, ma "gli dà quasi ali". Lo ha detto il Papa parlando di san Giovanni della Croce all'udienza generale di mercoledì 16 febbraio, nell'Aula Paolo VI. 
 Cari fratelli e sorelle
due settimane fa ho presentato la figura della grande mistica spagnola Teresa di Gesù. Oggi vorrei parlare di un altro importante Santo di quelle terre, amico spirituale di santa Teresa, riformatore, insieme a lei, della famiglia religiosa carmelitana: san Giovanni della Croce, proclamato Dottore della Chiesa dal Papa Pio XI, nel 1926, e soprannominato nella tradizione Doctor mysticus, "Dottore mistico".
Giovanni della Croce nacque nel 1542 nel piccolo villaggio di Fontiveros, vicino ad Avila, nella Vecchia Castiglia, da Gonzalo de Yepes e Catalina Alvarez. La famiglia era poverissima, perché il padre, di nobile origine toledana, era stato cacciato di casa e diseredato per aver sposato Catalina, un'umile tessitrice di seta. Orfano di padre in tenera età, Giovanni, a nove anni, si trasferì, con la madre e il fratello Francisco, a Medina del Campo, vicino a Valladolid, centro commerciale e culturale. Qui frequentò il Colegio de los Doctrinos, svolgendo anche alcuni umili lavori per le suore della chiesa-convento della Maddalena. Successivamente, date le sue qualità umane e i suoi risultati negli studi, venne ammesso prima come infermiere nell'Ospedale della Concezione, poi nel Collegio dei Gesuiti, appena fondato a Medina del Campo: qui Giovanni entrò diciottenne e studiò per tre anni scienze umane, retorica e lingue classiche. Alla fine della formazione, egli aveva ben chiara la propria vocazione: la vita religiosa e, tra i tanti ordini presenti a Medina, si sentì chiamato al Carmelo.
Nell'estate del 1563 iniziò il noviziato presso i Carmelitani della città, assumendo il nome religioso di Mattia. L'anno seguente venne destinato alla prestigiosa Università di Salamanca, dove studiò per un triennio arti e filosofia. Nel 1567 fu ordinato sacerdote e ritornò a Medina del Campo per celebrare la sua Prima Messa circondato dall'affetto dei famigliari. Proprio qui avvenne il primo incontro tra Giovanni e Teresa di Gesù. L'incontro fu decisivo per entrambi: Teresa gli espose il suo piano di riforma del Carmelo anche nel ramo maschile dell'Ordine e propose a Giovanni di aderirvi "per maggior gloria di Dio"; il giovane sacerdote fu affascinato dalle idee di Teresa, tanto da diventare un grande sostenitore del progetto. I due lavorarono insieme alcuni mesi, condividendo ideali e proposte per inaugurare al più presto possibile la prima casa di Carmelitani Scalzi: l'apertura avvenne il 28 dicembre 1568 a Duruelo, luogo solitario della provincia di Avila. Con Giovanni formavano questa prima comunità maschile riformata altri tre compagni. Nel rinnovare la loro professione religiosa secondo la Regola primitiva, i quattro adottarono un nuovo nome: Giovanni si chiamò allora "della Croce", come sarà poi universalmente conosciuto. Alla fine del 1572, su richiesta di santa Teresa, divenne confessore e vicario del monastero dell'Incarnazione di Avila, dove la Santa era priora. Furono anni di stretta collaborazione e amicizia spirituale, che arricchì entrambi. A quel periodo risalgono anche le più importanti opere teresiane e i primi scritti di Giovanni.

mercoledì 16 febbraio 2011

martedì 15 febbraio 2011

11 FEBBRAIO 2011 - APPARIZIONE A LOURDES


PREDICA  SCONCLUSIONATA  



Vergine, stamattina ho predicato
scordando l'orologio per la foga…
Parlavo della semplice fanciulla
che tu volesti a Lourdes visitare…
Inconsciamente il tono ricreava
dapprima lo stupor e la paura
dinanzi a quel Sorriso nella grotta…
Ma poi soltanto il gaudio trionfava!
Pur sotto l'incalzare di domande
astute questo cuore non vacilla
e ribadisco a tutti la promessa
di ritornar ancora a quella Grotta!
Quanto mi costa, Donna sì leggiadra,
doverti domandare ancora il nome…
Eppur se vuoi che nasca la cappella
in questo luogo santo, devi dirmi
qualcosa che il mio Parroco convinca!

Perché diventi triste? Ti sgomenta
forse l'audacia? Sai che a me non serve
chiamarti con un nome… Il sol guardarti
riversa tanta ebbrezza nel mio cuore!
"Io son l'immacolata Concezione"!
Ripeto le parole con testarda
tenacia nel timore di scordarle
e trafelata vado alla mia Chiesa
sparando in faccia al Parroco quel nome
che suona così duro alle mie labbra…
Perché si sbianca il volto al Sacerdote?
Cosa si cela in grembo alle parole?
Sento che nel suo cuor tutt'è cambiato!
Forse vorrebbe piangere… Non osa
dinanzi a me, l'inconscia messaggera
d'eventi che la storia cambieranno!

(Fukuoka 8-12-98), Padre Nicola Galeno
Il mio caro amico Padre Nicola ocd, che è stato missionario in Giappone per molti anni, mi ha gratificato di questa bella poesia in onore dell'incontro tra la Vergine (Immacolata Concezione) e Bernadette Soubirous, ed io non posso tenerla per me sola, per questo motivo la pubblico su queste pagine virtuali, per poterla far gustare ai miei affezionati lettori. Grazie P. Nicola, per questa toccante poesia!

venerdì 4 febbraio 2011

TERESA D'AVILA ED EDITH STEIN

pagina 16 - martedì 1° febbraio 2011

L'OSSERVATORE ROMANO

edizione settimanale in lingua italiana - numero 5
 
Teresa d'Avila ed Edith Stein

L’intermediario del maestro

Pubblichiamo la prefazione del volume di Cristiana Dobner “Se afferro la mano che mi sfiora... Edith Stein: il linguaggio di Dio nel cuore della persona” (Genova-Milano, Marietti, 2011, pagine 158, euro 18).
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di LUCETTA SCARAFFIA

Ecco un altro libro di Cristiana Dobner, autrice di grande spessore spirituale e culturale, che ha inventato uno stile tutto personale di scrivere: quello di parlare attraverso frammenti delle opere degli autori che conosce e ama, scelti perché ha trovato in essi una forte rispondenza umana e spirituale con il suo animo.   
Cristiana non parla mai in prima persona, non espone teorie interpretative ne scoperte intellettuali; cerca anzi di scomparire dietro gli autori che predilige e che vuole far conoscere e amare. Ci offre delle piste di ricerca, da lei già sperimentate ma dove lei non compare mai. Eppure questi percorsi forse dicono di lei molto più di quanto potrebbero svelarci pagine autobiografiche, perché indicano il suo cammino spirituale e la sua eccezionale capacità di utilizzare la cultura per delineare vie di crescita intcriore.

Capiamo così con chiarezza una cosa: il filo rosso che unisce le letture e le interpretazioni culturali proposti da Dobner, in questo e in altri suoi libri, sono frutto sperimentato di un cammino spirituale chiaro e limpido, intellettualmente esigente e spiritualmente profondo, che non riposa mai sul già detto e già sentito, su sicurezze note ma proprio per questo ormai prive di risonanza nell'anima del lettore. Lo scrive chiaramente nelle prime pagine del libro: «Non ci si colloca su un background culturale astratto ma in un sentire che abbiamo introiettato».

In questo libro l'autrice si propone di affrontare — con l'aiuto di Edith Stein e di qualche altro santo, spesso Giovanni della Croce — «gli aspetti formativi dell'accompagnamento spirituale», aspetti che partono dalla conoscenza di se stessi per arrivare al rapporto con gli altri, e in particolare a quello tra guida spirituale e discepolo.
La strada indicata da Edith Stein è al cuore di questo lavoro, che comprende però non solo molte citazioni dai suoi scritti, ma anche racconti di sue esperienze di vita che provengono dalle deposizioni dei suoi conoscenti e amici al processo di canonizzazione. A confermare il fatto che un santo comunica una via innanzi tutto con la sua vita, e poi anche, in questo come in altri casi, con i suoi scritti. Edith Stein lo sapeva bene, lei che ha raccontato di dovere la sua conversione — o comunque la decisione finale di convertirsi — alla lettura dell'autobiografia di Teresa d'Avila: «Edith Stein non venne folgorata dal Vangelo, ma da Teresa di Gesù: "è stata la guida alla mia conversione"», scrive Cristiana.

Senza dubbio l'autobiografia di Teresa fu lo strumento attraverso cui avvenne l'incontro con Gesù, e questa esperienza rende Stein, e di conseguenza Dobner, particolarmente consapevoli della funzione che possono avere i loro scritti.

Nella ricostruzione che fa Cristiana del percorso spirituale di Stein non sono presenti solo le letture, ma diventano essenziali le esperienze della vita, narrate dai testimoni al processo di canonizzazione, che costituiscono una conferma delle sue parole, perché «vita e dottrina in lei e per lei sono indissolubili». Ma, se qui si tratta di Edith Stein, più in generale si può parlare dell'esempio dei santi, quello che Dobner, seguendo la fenomenologa, chiama «realismo dei santi», come strumento particolarmente indicato per vincere l'ottusità religiosa, perché dimostra «come dovrebbe veramente essere: dove c'è una fede reale e viva, ci sono gli insegnamenti della fede, e le "grandi opere di Dio" strutturano il contenuto della vita».

mercoledì 2 febbraio 2011

SAN BIAGIO

C’è una sua statua anche su una guglia del Duomo di Milano, la città dove in passato il panettone natalizio non si mangiava mai tutto intero, riservandone sempre una parte per la festa del nostro santo. (E tuttora si vende a Milano il “panettone di san Biagio”, che sarebbe quello avanzato durante le festività natalizie). San Biagio lo si venera tanto in Oriente quanto in Occidente, e per la sua festa è diffuso il rito della “benedizione della gola”, fatta poggiandovi due candele incrociate (oppure con l’unzione, mediante olio benedetto), sempre invocando la sua intercessione. L’atto si collega a una tradizione secondo cui il vescovo Biagio avrebbe prodigiosamente liberato un bambino da una spina o lisca conficcata nella sua gola.
Vescovo, dunque. Governava, si ritiene, la comunità di Sebaste d’Armenia quando nell’Impero romano si concede la libertà di culto ai cristiani: nel 313, sotto Costantino e Licinio, entrambi “Augusti”, cioè imperatori (e pure cognati: Licinio ha sposato una sorella di Costantino). Licinio governa l’Oriente, e perciò ha tra i suoi sudditi anche Biagio. Il quale però muore martire intorno all’anno 316, ossia dopo la fine delle persecuzioni. Perché?
Non c’è modo di far luce. Il fatto sembra dovuto al dissidio scoppiato tra i due imperatori-cognati nel 314, e proseguito con brevi tregue e nuove lotte fino al 325, quando Costantino farà strangolare Licinio a Tessalonica (Salonicco). Il conflitto provoca in Oriente anche qualche persecuzione locale – forse ad opera di governatori troppo zelanti, come scrive lo storico Eusebio di Cesarea nello stesso IV secolo – con distruzioni di chiese, condanne dei cristiani ai lavori forzati, uccisioni di vescovi, tra cui Basilio di Amasea, nella regione del Mar Nero.
Per Biagio i racconti tradizionali, seguendo modelli frequenti in queste opere, che vogliono soprattutto stimolare la pietà e la devozione dei cristiani, sono ricchi di vicende prodigiose, ma allo stesso tempo incontrollabili. Il corpo di Biagio è stato deposto nella sua cattedrale di Sebaste; ma nel 732 una parte dei resti mortali viene imbarcata da alcuni cristiani armeni alla volta di Roma. Una improvvisa tempesta tronca però il loro viaggio a Maratea (Potenza): e qui i fedeli accolgono le reliquie del santo in una chiesetta, che poi diventerà l’attuale basilica, sull’altura detta ora Monte San Biagio, sulla cui vetta fu eretta nel 1963 la grande statua del Redentore, alta 21 metri.
Dal 1863 ha assunto il nome di Monte San Biagio la cittadina chiamata prima Monticello (in provincia di Latina) e disposta sul versante sudovest del Monte Calvo. Numerosi altri luoghi nel nostro Paese sono intitolati a lui: San Biagio della Cima (Imperia), San Biagio di Callalta (Treviso), San Biagio Platani (Agrigento), San Biagio Saracinisco (Frosinone) e San Biase (Chieti). Ma poi lo troviamo anche in Francia, in Spagna, in Svizzera e nelle Americhe... Ne ha fatta tanta di strada, il vescovo armeno della cui vita sappiamo così poco.

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L'AMICIZIA DI DIO - SANTA TERESA DI GESU' SECONDO BENEDETTO XVI


All'udienza generale il Papa parla di santa Teresa di Gesù 

L'amicizia di Dio

Pregare non significa perdere tempo ma scoprire l'essenza stessa della nostra vita, cioè l'amore di Dio. Lo ha detto il Papa parlando di santa Teresa di Gesù all'udienza generale di mercoledì 2 febbraio, nell'Aula Paolo VI.



Cari fratelli e sorelle,
nel corso delle Catechesi che ho voluto dedicare ai Padri della Chiesa e a grandi figure di teologi e di donne del Medioevo ho avuto modo di soffermarmi anche su alcuni Santi e Sante che sono stati proclamati Dottori della Chiesa per la loro eminente dottrina. Oggi vorrei iniziare una breve serie di incontri per completare la presentazione dei Dottori della Chiesa. E comincio con una Santa che rappresenta uno dei vertici della spiritualità cristiana di tutti i tempi: santa Teresa d'Avila [di Gesù].
Nasce ad Avila, in Spagna, nel 1515, con il nome di Teresa de Ahumada. Nella sua autobiografia ella stessa menziona alcuni particolari della sua infanzia: la nascita da "genitori virtuosi e timorati di Dio", all'interno di una famiglia numerosa, con nove fratelli e tre sorelle. Ancora bambina, a meno di 9 anni, ha modo di leggere le vite di alcuni martiri che le ispirano il desiderio del martirio, tanto che improvvisa una breve fuga da casa per morire martire e salire al Cielo (cfr. Vita 1, 4); "voglio vedere Dio" dice la piccola ai genitori. Alcuni anni dopo, Teresa parlerà delle sue letture dell'infanzia e affermerà di avervi scoperto la verità, che riassume in due principi fondamentali: da un lato "il fatto che tutto quello che appartiene al mondo di qua, passa", dall'altro che solo Dio è "per sempre, sempre, sempre", tema che ritorna nella famosissima poesia "Nulla ti turbi / nulla ti spaventi; / tutto passa. Dio non cambia; / la pazienza ottiene tutto; / chi possiede Dio / non manca di nulla / Solo Dio basta!". Rimasta orfana di madre a 12 anni, chiede alla Vergine Santissima che le faccia da madre (cfr. Vita 1, 7).
Se nell'adolescenza la lettura di libri profani l'aveva portata alle distrazioni di una vita mondana, l'esperienza come alunna delle monache agostiniane di Santa Maria delle Grazie di Avila e la frequentazione di libri spirituali, soprattutto classici di spiritualità francescana, le insegnano il raccoglimento e la preghiera. All'età di 20 anni, entra nel monastero carmelitano dell'Incarnazione, sempre ad Avila; nella vita religiosa assume il nome di Teresa di Gesù. Tre anni dopo, si ammala gravemente, tanto da restare per quattro giorni in coma, apparentemente morta (cfr. Vita 5, 9). Anche nella lotta contro le proprie malattie la Santa vede il combattimento contro le debolezze e le resistenze alla chiamata di Dio: "Desideravo vivere - scrive - perché capivo bene che non stavo vivendo, ma stavo lottando con un'ombra di morte, e non avevo nessuno che mi desse vita, e neppure io me la potevo prendere, e Colui che poteva darmela aveva ragione di non soccorrermi, dato che tante volte mi aveva volto verso di Lui, e io l'avevo abbandonato" (Vita 8, 2). Nel 1543 perde la vicinanza dei famigliari: il padre muore e tutti i suoi fratelli emigrano uno dopo l'altro in America. Nella Quaresima del 1554, a 39 anni, Teresa giunge al culmine della lotta contro le proprie debolezze. La scoperta fortuita della statua di "un Cristo molto piagato" segna profondamente la sua vita (cfr. Vita 9). La Santa, che in quel periodo trova profonda consonanza con il sant'Agostino delle Confessioni, così descrive la giornata decisiva della sua esperienza mistica: "Accadde... che d'improvviso mi venne un senso della presenza di Dio, che in nessun modo potevo dubitare che era dentro di me o che io ero tutta assorbita in Lui" (Vita 10, 1). Parallelamente alla maturazione della propria interiorità, la Santa inizia a sviluppare concretamente l'ideale di riforma dell'Ordine carmelitano: nel 1562 fonda ad Avila, con il sostegno del Vescovo della città, don Alvaro de Mendoza, il primo Carmelo riformato, e poco dopo riceve anche l'approvazione del Superiore Generale dell'Ordine, Giovanni Battista Rossi. Negli anni successivi prosegue le fondazioni di nuovi Carmeli, in totale diciassette. Fondamentale è l'incontro con san Giovanni della Croce, col quale, nel 1568, costituisce a Duruelo, vicino ad Avila, il primo convento di Carmelitani Scalzi. Nel 1580 ottiene da Roma l'erezione in Provincia autonoma per i suoi Carmeli riformati, punto di partenza dell'Ordine Religioso dei Carmelitani Scalzi. Teresa termina la sua vita terrena proprio mentre è impegnata nell'attività di fondazione. Nel 1582, infatti, dopo aver costituto il Carmelo di Burgos e mentre sta compiendo il viaggio di ritorno verso Avila, muore la notte del 15 ottobre ad Alba de Tormes, ripetendo umilmente due espressioni: "Alla fine, muoio da figlia della Chiesa" e "È ormai ora, mio Sposo, che ci vediamo". Un'esistenza consumata all'interno della Spagna, ma spesa per la Chiesa intera. Beatificata dal Papa Paolo V nel 1614 e canonizzata nel 1622 da Gregorio XV, è proclamata "Dottore della Chiesa" dal Servo di Dio Paolo VI nel 1970.

Teresa di Gesù non aveva una formazione accademica, ma ha sempre fatto tesoro degli insegnamenti di teologi, letterati e maestri spirituali. Come scrittrice, si è sempre attenuta a ciò che personalmente aveva vissuto o aveva visto nell'esperienza di altri (cfr. Prologo al Cammino di Perfezione), cioè a partire dall'esperienza. Teresa ha modo di intessere rapporti di amicizia spirituale con molti Santi, in particolare con san Giovanni della Croce. Nello stesso tempo, si alimenta con la lettura dei Padri della Chiesa, san Girolamo, san Gregorio Magno, sant'Agostino. Tra le sue opere maggiori va ricordata anzitutto l'autobiografia, intitolata Libro della vita, che ella chiama Libro delle Misericordie del Signore. Composta nel Carmelo di Avila nel 1565, riferisce il percorso biografico e spirituale, scritto, come afferma Teresa stessa, per sottoporre la sua anima al discernimento del "Maestro degli spirituali", san Giovanni d'Avila. Lo scopo è di evidenziare la presenza e l'azione di Dio misericordioso nella sua vita: per questo, l'opera riporta spesso il dialogo di preghiera con il Signore. È una lettura che affascina, perché la Santa non solo racconta, ma mostra di rivivere l'esperienza profonda del suo rapporto con Dio. Nel 1566, Teresa scrive il Cammino di Perfezione, da lei chiamato Ammonimenti e consigli che dà Teresa di Gesù alle sue monache. Destinatarie sono le dodici novizie del Carmelo di san Giuseppe ad Avila. A loro Teresa propone un intenso programma di vita contemplativa al servizio della Chiesa, alla cui base vi sono le virtù evangeliche e la preghiera. Tra i passaggi più preziosi il commento al Padre nostro, modello di preghiera. L'opera mistica più famosa di santa Teresa è il Castello interiore, scritto nel 1577, in piena maturità. Si tratta di una rilettura del proprio cammino di vita spirituale e, allo stesso tempo, di una codificazione del possibile svolgimento della vita cristiana verso la sua pienezza, la santità, sotto l'azione dello Spirito Santo. Teresa si richiama alla struttura di un castello con sette stanze, come immagine dell'interiorità dell'uomo, introducendo, al tempo stesso, il simbolo del baco da seta che rinasce in farfalla, per esprimere il passaggio dal naturale al soprannaturale. La Santa si ispira alla Sacra Scrittura, in particolare al Cantico dei Cantici, per il simbolo finale dei "due Sposi", che le permette di descrivere, nella settima stanza, il culmine della vita cristiana nei suoi quattro aspetti: trinitario, cristologico, antropologico ed ecclesiale. Alla sua attività di fondatrice dei Carmeli riformati, Teresa dedica il Libro delle fondazioni, scritto tra il 1573 e il 1582, nel quale parla della vita del gruppo religioso nascente. Come nell'autobiografia, il racconto è teso a evidenziare soprattutto l'azione di Dio nell'opera di fondazione dei nuovi monasteri.

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Il Paradiso non può attendere: dobbiamo già cercare il nostro Cielo qui sulla terra! Questo blog tratterà di argomenti spirituali e testimonianze, con uno sguardo rivolto al Carmelo ed ai suoi Santi