AFORISMA

Meglio aggiungere vita ai giorni, che non giorni alla vita
(Rita Levi Montalcini)

Nostra Signora del Carmelo

Nostra Signora del Carmelo
colei che ci ha donato lo scapolare

giovedì 30 aprile 2015

IL CARMELO IN FESTA!

IL CARMELO IN FESTA!


Domenica 17 maggio 2015, Solennità dell’Ascensione del Signore,
in Piazza San Pietro a Roma da Papa Francesco
verrà canonizzata la Beata Mariam di Gesù Crocifisso, carmelitana scalza
(Mariam Baouardy I'billin in Galilea, 5 gennaio 1846Betlemme, 26 agosto 1878)

EVENTI al CARMELO di BOLOGNA
per CELEBRARE la CANONIZZAZIONE della
“PICCOLA ARABA”

·     Martedì 19 maggio e
                Martedì 26 maggio 2015  alle ore 18:
Presentazione Poetica della Figura della
Beata Mariam di Gesù Crocifisso
               Relatore: p. Nicola Galeno ocd

·     Mercoledì 27 maggio alle ore 18.30:
Solenne Concelebrazione Eucaristica in ringraziamento della Canonizzazione della Beata Mariam presieduta da
Sua Em. Cardinal Carlo Caffarra,
Arcivescovo della Diocesi di Bologna
Le Sorelle Carmelitane Scalze
via Siepelunga, 51 – 40137 Bologna
tel. 051/6236942 E-mail: monastero@carmelitanescalzebologna.it


Per saperne qualcosa di più sulla Piccola Araba, leggete l'articolo che ho pubblicato alcuni giorni fa, sempre su questo blog, e che troverete cliccando sul link qui sotto.

http://www.ilparadisononpuoattendere.blogspot.it/2015/04/la-piccola-araba-beata-maria-di-gesu.html

lunedì 27 aprile 2015

Torino: la notte bianca della fede

http://www.lastampa.it/2015/04/25/multimedia/cronaca/a-parco-dora-la-notte-bianca-della-fede-i4BY1OIUlxUXhY69TjSrBN/pagina.html

Ci sono stati anche i nostri ragazzi, guardate il video, che è molto bello!

In questa foto si riconosce Padre Raymond, Pietro e Simone

venerdì 24 aprile 2015

La vita in prosa Antologia AA VV


In copertina J.M.William Turner :shipwreck
Come risulta dal retro della copertina, in questa raccolta di racconti di vita, di autori vari, oltre al mio racconto Ricordi d'infanzia,  sono pubblicati i testi in prosa di due cari amici: Tommaso Mondelli, con il suo Un incontro inatteso, e Gavino Puggioni, con Da terra alla terra.
Ed ecco il mio racconto
Ricordi d’infanzia
Sprofondare nel passato: a volte basta un odore particolare, un panorama, un oggetto, per far riaffiorare quel tempo che oramai è solo ricordo. Così come successe a Rebecca durante un solitario Capodanno.
E’ una tersa sera invernale e mille pensieri le ronzano in testa, ballando una samba. Spalanca la finestra della sua stanza, un freddo pungente le pizzica il volto ma almeno quei pensieri voleranno fuori, lasciandola tranquilla. La luna è piena, gonfia e rotonda come se fosse incinta. Giove e Venere brillano intensamente, in questo cielo nero, insieme a stelle più piccole, lucenti e ammiccanti. Le scie bianche di due aerei, paiono righe tirate col gesso, sulla superficie di una lavagna.
La mente si è snebbiata, i pensieri che gravavano pressanti, si sono dileguati.
Sta bene, la tristezza della solitudine è volata via! La natura è panacea, disintossica dalle ovvietà della vita, poiché nulla è ovvio, nell’universo.
Tra poco i botti di Capodanno esploderanno con fracasso infernale, e illumineranno ancor più una notte che è già splendente di suo.Rebecca guarda le stelle e ritorna improvvisamente bambina:
Stella stellina, la notte si avvicina la fiamma traballa, la mucca è nella stalla, la mucca e il vitello, la pecora e l’agnello, la chioccia e il pulcino, ognuno il suo bambino, ognuno fa la nanna sul cuore della mamma”.
Recitava questa filastrocca all’incirca verso i due anni, al massimo tre.
La notte di Capodanno riporta alla mente anche un’altra poesiola, che il nonno ascoltava estasiato quando lei, due anni appena compiuti, la recitava in piedi sul tavolo della cucina, nella vecchia casa di campagna, davanti al camino dove ardeva un grosso ceppo, e nell’aria aleggiava il profumo dello zucchero caramellato col quale il nonno preparava il croccante di mandorle.
“Dai piccola, recita quella bella poesia per l’Anno Nuovo!”
E Rebecca, tenendo l’orlo del vestitino tra le mani e dondolando un poco nell’enfasi del declamare, comincia:
“Anno ovo avanti avanti
ti fan festa tutti i guanti
tu la pace e la salute
doni ai cari genitori
ai parenti agli amici
d’esser buona io prometto
anno ovo e l’ometto!
Rebecca, sorridendo alla luna incinta, la ricorda proprio come la pronunciava da piccola, perché tutti quanti per lei non aveva un senso, ma i guanti sapeva cos’erano, perché li indossava quando fuori c’era la neve e lei voleva giocarci. Neppure di nuovo conosceva il significato, mentre l’ovo la nonna glielo faceva sbattuto con lo zucchero, o alla coque e a lei piaceva in entrambi i modi. E l’ometto? Ma come poteva conoscere, una bimba tanto piccola, il significato dell’aggettivo benedetto? Ma sapeva che l’ometto di neve, o l’ometto di zucchero, erano cose concrete, con cui aveva avuto a che fare. E allora gli applausi dei nonni e degli zii erano assicurati…e anche le risate! E lei felice di tanto entusiasmo, s’inchinava reggendo la gonnellina come il vezzo delle dame del settecento.
Rebecca sorride…quanti anni sono trascorsi da allora? Un tempo immemorabile! Eppure sono ricordi che riemergono così vivi, da parer vecchi di un giorno. I’aroma dei mandarini appesi all’abete vero, cresciuto nel bosco di famiglia e portato a casa dallo zio, il profumo della resina e del mugo si confondeva a quello degli agrumi e del croccante, all’acre odore di fumo sprigionato dal ceppo di legna bruciata nel camino, unica fonte di riscaldamento della grande cucina avita. Quei profumi sembrano aleggiare nell’aria…ancora adesso.
Altri sprazzi d’infanzia riemergono così dalla memoria.
Un giorno, il frate francescano Padre Clemente era venuto a far visita alla famiglia. Persuasa che la mamma non avrebbe offerto nulla a quel grande Padre con la barba lunga, Rebecca corse in giardino, colse una rosa, e gliela offrì. Poi si accomodò in braccio a quel signore (la piccola non comprendeva la differenza tra un religioso e un uomo comune) e cominciò a giocare con quella barba lanosa che a lei piaceva molto. Gli poneva molte domande, e gli raccontava tutto quello che le passava per la testa. Così, ridendo, il Padre disse: “Questa bambina, quando diverrà grande, se deciderà di farsi suora, diventerà di certo superiora, e se si sposerà, farà ammattire il marito!”. In realtà, Rebecca era molto timida, ma se una persona le suscitava immediata simpatia, si rivelava chiacchierina. 
Rebecca vedeva molto spesso il medico di famiglia, perché era soggetta a febbri altissime, a bronchiti e polmoniti. La mamma doveva assisterla notte e giorno, per timore di complicazioni. Quando il medico, per auscultarla, appoggiava l’orecchio al suo piccolo petto, o alla schiena, Rebecca strillava: “Acciami tale, che hai la babba che becca come quella del mio papà!”. Il medico arrivava di notte, o la mattina all’alba, per assistere questa bambina spesso ammalata, non aveva dunque tempo di radersi.
Così, quando Rebecca sentiva il rombo della Gilera rossa del dottor Panitz, si infilava sotto le coperte, e non voleva saperne di venir fuori. Non aveva timore di un’iniezione, piuttosto di quel cucchiaio che il dottore le metteva in bocca per abbassare la lingua, e osservarle la gola irritata. Le faceva venire conati di vomito, e poi…quella barba pungente, proprio la detestava. Rebecca era il nomignolo che le aveva affibbiato il dottore, perché lei si ribellava quando doveva essere visitata, e gli rispondeva a trionfo. Rebecca foneticamente assomiglia al vocabolo ribelle, e anche al verbo rimbeccare. Perfetto quindi per quella mocciosa dispotica e indocile.
Suo padre, che lei vedeva due volte l’anno, per Natale e Pasqua, lavorava in Svizzera, vicino a Zurigo, e per tornare in famiglia, gli ci voleva quasi una giornata di viaggio, così che quando bussava alla porta di casa, la sua barba era ispida e pungeva le guance della piccola, quando se la stringeva a sé.
Insomma, da quegli uomini che pungevano, a Rebecca non piaceva essere baciata, anche se voleva a entrambi un mondo di bene. Per questo adorava la barba di Padre Clemente che, essendo lunga, aveva una morbidezza tutta particolare: era come accarezzare un gattino.
Ma se voi pensate che Rebecca fosse sempre ammalata, vi sbagliate. Quando stava bene, viveva possibilmente all’aria aperta e ne combinava di cotte e di crude. Un giorno, all’età in cui comincia questo racconto, vide una scala di legno, a pioli, appoggiata al susino cresciuto nel cortile di nonna. Un grande albero dalla chioma ampia, colmo di susine. Un piolo alla volta, pian piano, e Rebecca arrivò alla forcella formata da due rami, e lì si sedette, felice di aver completato la scalata, e di aver così raggiunto la sua meta. Che bello guardare giù, tutto appariva piccolo, e lei si sentiva una regina che ammirava il suo regno. Però, quando si trattò di scendere, si rese conto di non essere in grado di raggiungere la scala, le appariva troppo distante e fu colta da una sensazione di vertigine. Che fare? Rimase sull’albero, mangiando le susine che erano vicine, inghiottendo anche il nocciolo, perché nessuno le aveva insegnato che non va mangiato, e attese. Dopo qualche ora (così a lei pareva, magari erano trascorsi solo pochi minuti) sentì che la chiamavano. E lei non rispondeva, temendo di buscarle. Poi qualcuno alzò gli occhi in alto, forse per chiedere aiuto al Cielo, probabilmente pensando che avessero rapito Rebecca. Fu così che la videro. La recuperarono…e lei guadagnò sonori ceffoni, che però non le impedirono di cercare nuove avventure.
Un giorno, con il cuginetto quasi coetaneo, salì in soffitta. Le finestre erano a filo del pavimento e i due bambini, con le gambe penzoloni nel vuoto, si divertivano a lanciare pannocchie di granoturco nel pollaio sottostante, intenzionati a dare da mangiare alle galline. La nonna, dalla finestra della cucina, vedeva le pannocchie precipitare nel pollaio, spaventando le galline. Borbottò: “Ma che topi grossi ci sono, per far rotolare le pannocchie fuori dalla finestra?”. Immaginava certo di quali topi si trattasse, e non erano di sicuro Topolino e Minnie, e neppure Stilton, tanto meno Speedy Gonzales. La nonna, in silenzio e a piedi scalzi, salì le scale per non farsi sentire, e giunta in soffitta e, scoperto gli autori della marachella, disse: “Ma che bravi bambini, cosa state facendo?”. “Stiamo dando da mangiare alle galline, poverine!”. “Bravissimi!” disse nonna, e li afferrò per la collottola, tirandoli via dal pericolo e poi gliele suonò di santa ragione.
Le avventure finirono così? Rebecca non aveva paura di nulla, né del pericolo, che non conosceva, né delle sculacciate degli adulti. Era troppo bello esplorare il mondo, per rinunciarci. Fu così che un altro giorno, scoperto che la nonna tagliava a spicchi sottili le mele, e poi li appoggiava su una specie di graticola, esponendoli al sole fuori dalla finestrella dell’abbaino che si affacciava direttamente sul tetto di casa, decise di andare a rubarle. Le mele così trattate, duravano tutto l’inverno, ed era una delizia sgranocchiarle nelle vicinanze del camino. L’estate stava terminando, ma era l’inizio di una nuova avventura.
Con il cuginetto, salirono ancora in soffitta, presero una sedia, si arrampicarono sull’abbaino, e poiché la graticola era appoggiata alle tegole del tetto, niente di meglio per loro, sedersi direttamente sul tegolato.
La nonna – ah, quella donna dagli occhi di lince! – li vide dall’orto, e come suo fare, risalì in silenzio le scale, li afferrò per un braccio, li trascinò fuori dal pericolo, e somministrò loro una bella dose di sculacciate. Era spaventata, la nonna Ina, però i nipotini non si sentivano così colpevoli da essere puniti. Ma come? Avevano avuto una bellissima avventura, e la nonna invece di applaudirli, battendo le sue mani tra loro, usava una sola mano, e applaudiva sul loro sederino? Roba da non credere!
Tra avventure di questo tipo, qualche anno passò e Rebecca, che aveva quasi cinque anni, aveva una gran nostalgia della casa dei nonni, distante circa due chilometri dalla sua abitazione. La strada la conosceva bene, era una lunga serpentina di polvere bianca, affiancata da filari di gelsi, che offrivano more nere e bianche, dolcissime. Niente di meglio, dunque, decidere di affrontare la lunga passeggiata fino alla fattoria dei nonni, in compagnia di un’amichetta, Strada facendo le due bimbe coglievano pratoline, miosotis e botton d’oro, riunendoli in mazzolini da offrire alla nonna. Dai rami pendenti del gelso staccavano more, impiastricciandosi mani bocca e vestitini. Arrivati a metà del percorso, sotto il solleone, incontrarono un contadino con il carretto tirato dall’asino. “Dove state andando, bambine?” Chiese garbatamente l’uomo. “Dai nonni che stanno al Fieno D’Oro”. “Ah, so chi siete, salite sul carro, che vi porto io!”. Tutte felici, le bambine avrebbero arricchito l’avventura con un’altra ancora più interessante: viaggiare in carrozza, come Cenerentole! Ma l’uomo cambiò strada, e di lì a poco, furono riconsegnate alle rispettive madri. E ricevettero, al posto della merendina, una buona dose di sculacciate. Se quell’uomo, a loro sconosciuto, invece di portarle a casa, avesse cambiato direzione con idee malvagie, cosa sarebbe potuto accadere loro? Non ci voglio pensare.
Ora la solitudine è fuggita via, anche i ricordi sono una buona compagnia.
E quella bimba dov’è? Se guarda un cielo stellato, o il nostro satellite che splende in una notte di plenilunio, ne resta incantata come allora. Ognuno conserva dentro di sé il bambino che era.
Danila Oppio




domenica 19 aprile 2015

La piccola araba: BEATA MARIA DI GESU' CROCIFISSO

IL PICCOLO NULLA
Vita della Beata Maria di Gesù Crocifisso (1846-1878)

PATRIARCHATUS LATINUS - JERUSALEM





È per Noi una vera gioia presentare al pubblico la traduzione in italiano, cu­rata dalla Dott. Tina Rizzone, della "vita di Suor Maria di Gesù Crocifisso", composta da P. Estrate, s.c.j.: la biografia più completa che possediamo della nostra beata.
L'attualità del messaggio di Suor Maria è sempre più grande. Questa picco­la galilea, morta giovanissima nel Carmelo di Bethlemme, è venerata non sol­tanto in Terra Santa e nel Medio Oriente, ma in tutta la Chiesa.
Quale è il segreto della sua santità? Suor Maria ha vissuto profondamente il Vangelo e specialmente le Beatitudini del Cristo. È stata come un fiore evange­lico che è germogliato in questa terra del Vangelo. Il Papa Giovanni Paolo II ha così riassunto il messaggio di Suor Maria: "Le Beatitudini trovano in lei il lo­ro compimento. Nel vederla sembra che Gesù ci dica: beati i poveri, beati gli umili, beati coloro che cercano di servire, beati i miti, beati quelli che costrui­scono la pace. Tutta la sua vita esprime una familiarità inaudita con Dio, l'a­more fraterno degli altri e la gioia, che sono i segni evangelici per eccellenza" (Discorso ai pellegrini di Terra Santa, 14 novembre 1989).
Questo messaggio è sempre attuale. La nostra società ha bisogno di ascol­tare le Beatitudini del Signore. "Lei, dice ancora Giovanni Paolo II, che è sta­ta spesso malmenata dagli avvenimenti e dalla gente, non ha smesso di semi­nare la pace, di riavvicinare i cuori. Voleva essere la piccola sorella di tutti".
Il suo esempio è prezioso nella nostra società dilaniata e divisa che cade fa­cilmente nell'ingiustizia e nell'odio.
Lo Spirito delle Beatitudini ha dilatato il cuore della nostra piccola Suor Mariani e l'ha riempito di fiducia e di amore. Potessimo anche noi seguire le sue tracce!
+ Michel Sabbah, Patriarca

Gerusalemme, 25.12.1999




Per continuare la lettura della vita di questa monaca carmelitana, vi suggerisco di entrare in questo sito: http://www.preghiereagesuemaria.it/santiebeati/il%20piccolo%20nulla.htm





Pregare nella lingua di Dio

Ritengo importante questa testimonianza, perfetta in questi momenti in cui accadono cose che ci hanno sconvolto e continuano a creare in noi una tristezza infinita. Vorrei spezzare una lancia a difesa del credente musulmano, da non confondere con gli estremisti islamici, che non rispettano le leggi coraniche ma usano il nome di Allah per agire secondo i loro interessi personali.  Confido nel rispetto reciproco, nell'imparare a pregare insieme quello che, in realtà è il nostro unico Dio, creatore dell'intera umanità, il Dio di Abramo.
Danila


Dopo i grandi lavori in casa, per la sistemazione della nuova cucina, finalmente ci siamo sedute a finire le paste, omaggio del mobiliere.
Mentre ci stavamo salutando è suonata dal suo cellulare la preghiera delle 5. L'abbiamo ascoltata insieme in silenzio. E' stato un momento di quiete molto bello. Io e J. in solitudine e nel silenzio della casa ormai tranquilla e pulita nella sera. Così come si conviene a chi ascolta Dio.
Lei mi ha tradotto la preghiera (una preghiera semplice scelta da lei). Poi ci siamo abbracciate e le ho dato un bacio sulla fronte da lei ricambiato chiamandomi "Mamma".

E' stato un momento di pace che ha del meraviglioso. Perché il canto di preghiera è arrivato proprio quando il lavoro grosso era finito e dai nostri animi era già sparita l'ansietà e la corsa a fare. Quando la sera di primavera scura per il maltempo era scesa a portare la quiete. E noi due eravamo lì in piedi a pregare nella lingua di Dio, in silenzio e rispetto per qualcosa di più grande di noi che era arrivato al momento giusto, quando l'animo prima inquieto era già tranquillo.
E le parole dicevano a un certo punto " Dopo la preghiera ritorna al tuo lavoro ". Infatti, io ho proseguito in casa e J. è andata a casa dalla sua famiglia.

" E noi due eravamo lì in piedi a pregare nella lingua di Dio ". Dal momento che non appartengo a nessuna religione, e forse proprio per questo, ho sentito in quella preghiera la voce di Dio. Cioè di 'Qualcuno più grande di me'.
Angie

E poi, vedi Dani, dormire poco mangiare quasi niente e stare sempre in veglia, mi hanno instillato quello stato ascetico che mi ha permesso di capire quel momento meraviglioso ieri verso sera.
Ero stanca, certo, e J. stava andando via quando è suonata quella musica e quella voce ha parlato.
E allora le ho detto "Ascoltiamo la preghiera". Sapevo, no, sentivo che avrei ascoltato più di una voce, più di una musica. Le parole non le distinguevo ma la preghiera era linda e pulita come la casa rinnovata.
E ancora adesso mi commuovo al ricordo.
La sera nuvolosa che mandava dentro le finestre una luce nebbiosa che avvolgeva le cose e J. e me.
Come disfacendo la realtà, come accade nei sogni, quando non distingui bene quello che c'è.
Ma stavo bene lì, e volevo ascoltare la preghiera...
Angie
Gli eremiti e gli asceti si nutrono poco, dormono meno e sono parchi in tutto.
Ma a volte mi chiedo se poi non abbiamo allucinazioni per la tanta debolezza.
Sono felice per te, che abbia sentito quel contatto con Dio, attraverso la preghiera, e come Lui stesso dice: "quando due di voi sono insieme a pregare, io sto in mezzo  a voi". Ovvero quella sera, Lui era presente, e penso anche molto felice che due persone di cultura religiosa diversa, abbiano fatto fronte comune, per rivolgersi a Lui. Si, è vero dici che non appartieni a nessuna religione, ma di base sei stata educata al cristianesimo,non importa se cattolico o protestante. E' così che dovrebbe essere: invece di creare guerre di religione, sarebbe indicato imparare a rispettare il credo altrui, e magari, come avete fatto tu e J., pregare insieme...e questa è Pace vera. 
Dani

mercoledì 15 aprile 2015

Tributo a Oriana Fallaci

L'Associazione Culturale Circumnavigarte con il patrocinio dell'Assessorato Cultura e Turismo della Provincia di Brescia e l'Associazione Donne e Lavoro, ha promosso e organizzato la 2° Edizione Nazionale di 

IL VENTUNO A PRIMAVERA
Tributo a
ORIANA FALLACI

a cui ho partecipato e ottenuto, con la mia poesia "In ricordo di Oriana Fallaci" , la menzione di merito. Ma la mia poesia non è sola, a farle compagnia, insieme a tante altre, ci sono quelle di Sandra Greggio, di Franca Donà e di Piero Colonna Romano, amici di Cantiere Poesia. A loro, un meritato plauso.



In ricordo di Oriana Fallaci

Chi ama un uomo
Ne ama anche i difetti
Che gli stanno incollati
Come fastidiosi insetti.

E lei lo amava
Il suo Panagulis, lo amava
Non volendolo ferire
 pur se lui la faceva soffrire.

Ne amava le colpe
Bugie, miserie e volgarità
Bruttezze, contraddizioni
Il suo corpo non perfetto
La sua caparbietà.

E lo disse, lo scrisse
Nel suo libro Un uomo
E ne dipinse il ritratto
Di quell’amante guerriero
Rivoluzionario e poeta
Dal giusto pensiero.

Alekos, morto di libertà.
Terribile dolore le attraversò
 L’anima, pur se lei diceva
Che a quella, da atea, non credeva.

Ed ora, nell’eternità hanno  ritrovato
Il loro bambino
Di cui Oriana scrisse
 Non essere mai nato.



Danila Oppio

BENVENUTO|

Il Paradiso non può attendere: dobbiamo già cercare il nostro Cielo qui sulla terra! Questo blog tratterà di argomenti spirituali e testimonianze, con uno sguardo rivolto al Carmelo ed ai suoi Santi