AFORISMA

Meglio aggiungere vita ai giorni, che non giorni alla vita
(Rita Levi Montalcini)

Nostra Signora del Carmelo

Nostra Signora del Carmelo
colei che ci ha donato lo scapolare

sabato 28 maggio 2022

UN PAESE DI CERCATORI, IL NIGER di P. MAURO ARMANINO

 



Un paese di cercatori, il Niger

Lo ricordava l’umorista nigerino Mohamed Moustapha Moctari, detto Maman sulle onde di Radio Francia Internazionale. Nel Niger siamo un popolo di cercatori perché tutti ‘si cercano’! Nel francese locale ‘cercarsi’ significa vedere come sbarcare il lunario e cioè la sopravvivenza al quotidiano per sé e la propria famiglia. ‘Cercarsi’ implica creatività, darsi da fare, attivare dei contatti utili per un lavoro precario, occasionale oppure il colpo di fortuna per via di conoscenze prossime o remote. Come in molti altri Paesi africani, pure qui e forse soprattutto qui, vivere e cercare cammina assieme. Siamo un popolo di ‘cercatori’.
Dell’oro per esempio. Nel Paese e in particolare nel Nord, il deserto del Teneré e ai confini col Burkina Faso, si estende un’immensa vena aurifera. In condizioni spesso inumane, tramite pozzi, gallerie e con mezzi talvolta rudimentali, l’oro offre lavoro e speranza di reddito a centinaia di miglia di persone. Si tratta di un lavoro pesante, pericoloso e non sempre all’altezza delle speranze economiche dei cercatori. Certi gruppi armati terroristi profittano di questo lavoro con estorsioni, tasse o minacce. Gli incidenti mortali sono frequenti e tentare una statistica affidabile rasenta la temerarietà. La febbre dell’oro non è finita.
E poi, naturalmente, i migranti. Nigerini, stranieri di passaggio, in transito, di rientro o in attesa di ripartire: c’è un mondo specializzato nella ricerca. Di un mondo e una terra nuova con frontiere che non siano ‘cocci aguzzi di bottiglia’, riprendendo Eugenio Montale di un ‘Meriggiare, pallido e assorto’. Cercano e ‘si cercano’ e poi difficilmente trovano quanto cercavano perché nel frattempo il viaggio e le intemperie umane incontrate li hanno resi differenti. Epperò, rimangono il prototipo e la metafora di ogni cercatore di altrovi che potrebbero esistere solo si ricominciasse a credere che le utopie sono la cosa più ragionevole della vita.
Però al primo posto ci sono loro, gli sfollati, rifugiati, scacciati e quasimenti invisibili in alcune regioni del Paese. Risultano colpite da una cinica violenza con pezze giustificative di ideologia religiosa armata in nome di un certo Dio. Cercano, per ora inutilmente, la pace, la possibilità di vivere, coltivare, allevare, mandare i figli a scuola, di curasi e soprattutto di vivere una vita che non sia scappare d’un posto all’altro col terrore che sia l’ultimo. A migliaia cercano acqua, cibo, sicurezza, rispetto, futuro e un Paese che voglia considerarli come cittadini veri e reali di una repubblica degna di questo nome.
Ci sono i giovani che disegnano il futuro sulla sabbia. Le donne che lo inventano sul momento perché i numerosi figli a loro affidati abbiano quanto il destino ha loro preparato. Gli artigiani che fanno, coi piccoli mezzi a loro disposizione, miracoli di creatività, costruzione e riparazioni dell’irreparabile. Ci sono i politici che cercano di mantenersi al potere ad ogni costo e tramite qualunque alleanza. Ci sono i religiosi che, invece di cercare Dio, cercano ‘clienti’ onde perpetuare un potere in via di graduale estinzione. Ci sono i bambini ‘Talibé’ che cercano ogni mattina il cibo o le piccole monete da portare al maestro-‘marabout’ a cui sono stati affidati. E troviamo, infine, tutto un popolo di contadini che cerca e attende la pioggia per seminare, una volta ancora, il futuro.


 Mauro Armanino, Niamey, 29 maggio 2022

ANTOLOGIA MAZZANTIANA - Opere e scritti di Don Mazzanti dedicati alla Vergine Maria














 

sabato 21 maggio 2022

‘Casa mia è il paradiso’, parola di migranti di ritorno di Padre MAURO ARMANINO

 



‘Casa mia è il paradiso’, parola di migranti di ritorno
Jules non ha timore ad affermarlo. 29 anni di età e di mestiere calciatore, Jules, lascia le due figlie e la loro madre per andare a scoprire altri terreni di gioco più appetibili. Non riesce a passare però l’Algeria e lì si ferma per un paio d’anni lavorando a cottimo nei cantieri di Oran e in quelli della capitale. Arrestato sulla strada dalla polizia è mandato a Tamarrasset e poi espulso alla frontiera col Niger. Raggiunge la capitale grazie al buon cuore di un camionista che commercia cipolle da esportazione. Dell’avventura in Algeria e del viaggio ricorda soprattutto la violenza e il razzismo. Conclude che solo a ‘casa sua c’è il paradiso’.
Paul, anche lui originario del Camerun, è di mestiere calciatore. Diciannovenne sogna con l‘Europa e l’Italia in particolare. Dopo aver giocato nella vicina Guinea Equatoriale pensava spiccare il salto continentale. Ha lavorato per qualche mese a Tripoli In Libia per poi essere arrestato, detenuto e picchiato, come migliaia di altri migranti, in un campo tenuto da libici. Rifiuta di chiamare per telefono la sua famiglia per chiedere i soldi del riscatto e, per grazia divina dice lui, riesce a scappare dall’inferno. Compie il viaggio a ritroso verso il Niger e, nell’attesa del ritorno al comune Paese si conosce con Jules e, assieme, giocano i supplementari.



Darius con P. Mauro

Darius, liberiano di origine, ha conosciuto l’esilio in Ghana per dieci anni, assieme a migliaia di compatrioti. Tornato al Paese riparte e la sua vita è una cartina geografica che si sposta a seconda delle circostanze del momento. Opera il balzo migratorio in Senegal e poi in Mauritania per arrivare nel Marocco. Si trova suo malgrado in Algeria e da lì, come da tradizione, deportato e poi espulso alla frontiera col Niger. Lui e la sua compagna Esther, della Sierra Leone, che voleva raggiungere la Spagna e aveva pagato il ‘passeur’, si erano incontrati in Mauritania. Avevano fatto credere alla donna che quella era la Spagna promessa…
Vedendo le persone piuttosto bianche di pelle e ben vestite nella capitale Nouakshott lei per un momento lo ha creduto. Finché, Darius, incontrato perché comprava i pesci che lei vendeva sulla spiaggia, le ha spiegato dove si trovava. Entrambi a Niamey, in attesa del ritorno in Liberia, hanno messo al mondo un figlio in Algeria, l’hanno chiamato Emmanuel. Il Dio che viaggia con loro perché il paradiso non è lontano.


Mauro Armanino, Niamey, 22 maggio 2022

domenica 15 maggio 2022

Un nuovo astro di santità per il Carmelo: PADRE TITO BRANDSMA 15 maggio 2022 proclamato Santo


 

Un nuovo astro di santità per il Carmelo. PN

Karumeru-Kai no atarashii Seijin desu. PN yori

https://www.vaticannews.va/it/chiesa/news/2022-05/tito-brandsma-canonizzazione-biografo-vice-postulatore.html?utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=NewsletterVN-IT

Tito Brandsma, profeta di pace e modello di giornalismo in tempi di guerra e fake news

Il vicepostulatore e biografo, padre Fernando Millán Romeral, descrive la figura del carmelitano olandese ucciso dai nazisti a Dachau, che domani il Papa proclama santo: "È stato apostolo di pace in un’Europa violenta. Diceva che la guerra non è inevitabile e proponeva il dialogo fino all'estremo, ma sempre salvaguardando i principi fondamentali. Il suo messaggio attualissimo"

Salvatore Cernuzio - Città del Vaticano

Un martire, un eroe, un apostolo di pace e un giornalista antiregime. Ma anche un mistico, un promotore del dialogo ecumenico e, dal 15 maggio, un santo per la Chiesa universale. Di padre Tito Brandsma - che il Papa canonizzerà domani a San Pietro insieme ad altri dieci beati – si è detto tanto e si è scritto ancora di più. Rimane comunque ancora troppo poco per conoscere pienamente la figura di questo carmelitano olandese, morto nell’orrore di Dachau. Lo afferma anche padre Fernando Millán Romeral, vicepostulatore della causa di canonizzazione, che di padre Brandsma ha scritto uno dei libri più noti, “Il coraggio della verità”, tradotto in numerose lingue. “Ora, sto lavorando a una biografia più estesa”, racconta Millán, ospite di Radio Vaticana – Vatican News, rivelando dettagli e sfumature poco note di colui, che con affetto, chiama sempre “padre Tito”.

Il 15 maggio padre Brandsma viene canonizzato. In molti, soprattutto nella sua Olanda, lo acclamavano già come santo, soprattutto per l’impegno contro il regime nazista e per la pace. Quale significato ha quindi la canonizzazione di una simile figura in un mondo ferito dalla guerra?

Penso che sia molto significativo perché padre Tito è stato un apostolo della pace in un’Europa violenta, convulsa. Prima che Hitler salisse al potere, nel 1931 tenne un’importante conferenza in cui, in modo quasi profetico, disse che l’Europa si incamminava verso la guerra se non cambiava mentalità. La guerra non è inevitabile, diceva, e non era d’accordo con il vecchio adagio latino: Si vis pacem, para bellum. No, se si vuole la pace, si prepara la pace, si lavora per la pace. E la pace che padre Tito chiedeva non era solo quella basata su accordi e trattative, seppur importanti, ma una pace frutto della conversione del cuore. In questi giorni terribili che viviamo in Europa, credo che questo messaggio sia molto attuale.

Un uomo di riconciliazione, dunque, ma anche un giornalista che ha speso tante energie per questa professione…

Era giornalista di professione e vocazione, innamorato di questo mestiere. Ha lavorato molto perché la stampa cattolica fosse luogo di incontro e comprensione. Aveva una visione molto elevata, etica direi, di una stampa a servizio della verità, non aggressiva ma propositiva, che dicesse la verità con serenità. È quello che lui ha fatto, confrontandosi con coraggio con il governo nazista a cui disse dei “no” in momenti molto pericolosi. Cosa che infatti l’ha portato alla morte. Lui però non ha mai rinunciato alla verità.

Un bell’esempio in un’epoca di fake news e propaganda, in cui si combatte una guerra anche di informazione…

Certamente è un invito ad avere stima di questa professione così bella e importante. Padre Tito ne aveva ed è stato un pioniere perché ha voluto aprire una cattedra di giornalismo. Molti pensavano fosse un visionario… Adesso tutte le grandi Università hanno corsi di giornalismo.

A Roma si è svolto recentemente un convegno organizzato da Ambasciata dei Paesi Bassi presso la Santa Sede e Aigav (Associazione Internazionale dei Giornalisti Accreditati in Vaticano) in cui è stata lanciata la proposta che Brandsma sia proclamato “patrono dei giornalisti”. Cosa ne pensa?

Per qualcuno è stata una sorpresa perché pensava che già fosse co-patrono dei giornalisti, con San Francesco di Sales. Giovanni Paolo II stesso lo definì “martire della libertà di stampa”. È bello che i giornalisti facciano questa richiesta. Ricordo che da giovane venni a Roma per la beatificazione e mi colpì che il servizio al Tg iniziava dicendo: “Oggi un nostro collega è salito alla gloria degli altari”. Una sana fierezza di essere giornalisti. Spero che questa richiesta abbia successo.

Parlava della “sfida” di padre Tito Brandsma alla dittatura nazista. Può essere anche questo un modello da seguire negli attuali tempi di guerra?

Mi torna in mente il dialogo con l’agente giudiziale tedesco incaricato di interrogarlo. Padre Tito disse: come Chiesa rispettiamo il governo, seppur di occupazione, purché non metta in gioco i principi della Chiesa; in quel momento ci riserviamo il diritto di non obbedire, accettando le conseguenze. Una posizione umile ma chiara, tollerante ma ferma. Ha dimostrato che ci sono alcuni principi sacri sui quali non si può negoziare, come la vita degli esseri umani, la difesa degli emarginati. Penso che il suo stile possa essere utile oggi: dialogo fino all’estremo ma sempre salvaguardando i principi fondamentali.

C’è il rischio che questa sua resistenza possa essere vista come politica?

Sì, c’è questo rischio e c’è stato anche nel processo di beatificazione. Dall’Università di Nimega dove insegnava si è detto che Brandsma era morto in difesa della patria, dell’indipendenza dell’Olanda. Questo ha fatto scattare un allarme. Ma in tutte le procedure della causa di beatificazione è stato ampiamente attestato che ogni azione aveva una radice di fede. Mi ha colpito, in tal senso, che nel processo hanno deposto parecchi protestanti che lo hanno conosciuto nel campo di concentramento. Testimonianze bellissime… Uno di loro disse: noi non crediamo in queste beatificazioni, ma posso assicurare che quell’uomo era toccato dalla grazia di Dio, spero di essere degno di trovarlo in Paradiso.

Quindi c’è anche un aspetto ecumenico nella vita di Tito Brandsma?

Certo. Lui ha sempre avuto grande attenzione, delicatezza e vicinanza verso i fratelli riformati, in tempi in cui la Chiesa cattolica non aveva una grande sensibilità ecumenica. Pensi che quando preparò una lettera contro il governo nazista, consultò i membri delle altre Chiese. Anche in questo è stato un pioniere.

Messaggero di pace, giornalista, promotore del dialogo, cos’altro c’è da scoprire di questa figura? Cos’altro lei ha scoperto nelle sue ricerche per il libro e anche nel lavoro per la postulazione?

C’è tanto ancora da approfondire. Padre Tito è una figura dalle mille sfaccettature. Ad esempio, mi ha incuriosito sapere che era un “esperantista”, un appassionato dell’esperanto, dell’idea di una lingua universale che portava i popoli a unirsi, a comprendersi e a dialogare, e non a dividersi. Ha partecipato a incontri e conferenze, ha aiutato a tradurre molte preghiere. Anche padre Massimiliano Kolbe era appassionato di esperanto. Un altro aspetto è quello devozionale, come professore di storia della Mistica studiò molto santa Teresa d’Avila, di cui era devotissimo. Tradusse i suoi scritti in olandese moderno e santa Teresa ebbe grande influenza su di lui, come si nota nel Poema scritto in carcere, in cui si parla di intimità con Gesù, di condividere le sofferenze di Gesù in croce. In quei versi appare l’uomo mistico, aspetto messo spesso in discussione perché padre Tito era iperattivo. Molti lo criticavano dicendo che era “disperso”.

In che senso?

Era professore all’Università, assistente ecclesiastico della stampa cattolica, scriveva, portava avanti la pastorale, aiutava gli immigrati italiani in Olanda. Gli hanno chiesto tantissime cose e lui ha sempre accettato con generosità. Disperso, sì, in mille attività e situazioni, ma al contempo un uomo che ha curato molto l’interiorità. Giovanni Paolo II nell’omelia della beatificazione disse infatti che un eroismo simile non si improvvisa ma è frutto di tutta una vita di intimità con Dio.

Ecco, proprio questo eroismo di Brandsma oggi è realizzabile? Guardando sempre all’attualità, vediamo tanti sacerdoti, tanti religiosi, che soffrono in Ucraina e restano sotto le bombe per non abbandonare la popolazione. Possono trarre spunto dalla figura del nuovo santo?

Tutti possono, anzi, tutti possiamo prendere ispirazione da padre Tito, in prima linea nella guerra o nella vita di tutti giorni. Tito Bransdma offre una testimonianza di fiducia in Dio, ma di fiducia attiva che si traduce nel darsi da fare. Anche nei lager, dove, come ci riportano le testimonianze dei sopravvissuti, le persone diventavano aggressive, lui ha mantenuto la calma e la serenità, ha incoraggiato a non perdere la speranza e anche il buonumore fino all’ultimo istante. Un carmelitano, anch’egli prigioniero, che lo accompagnò nell’infermeria dove poi gli fu somministrata l’iniezione letale, gli disse che era triste e padre Tito rispose: tranquillo, fratello, ad agosto saremo tutti a casa. Lui, è vero, è andato a casa, ma nella Casa del Padre.

NASCITA IN CIELO DI ELEONORA (NORA) MARCELLI ocds








IN RICORDO DI ELEONORA MARCELLI...

Cara Nora,

           Ieri, quando stavo cercando di raccogliere le idee per scriverti questa lettera, la prima cosa che mi è venuta in mente è stato un episodio personale che risale a 30 anni fa, quando avevo scritto alla Comunità OCDS di Monza, per chiedere informazioni sulla regola di vita del carmelitano secolare.

Ricordo che tu mi hai risposto, con la tua tipica verve, con una lettera del tipo "vieni e vedi!" invitandomi a partecipare alla sera ad uno dei vostri incontri. Allora la comunità  di Monza s'incontrava anche di sera per dare la possibilità a quelli che lavoravano di poter intraprendere il cammino nell'OCDS ( anche qui eri avanti di vedute!)


       Mi hai dato appuntamento una sera, qui sul piazzale della chiesa**  (** E' il Santuario di S. Teresa di Gesù Bambino a Monza)

Ricordo molto bene quell'incontro: sei stata la prima persona che ho conosciuto quando mi sono avvicinato all'Ordine Carmelitano Teresiano.

Il tempo poi mi avrebbe fatto capire che incontrandoti voleva dire incontrare una dei massimi esponenti del Carmelo Secolare Italiano.

Tu, per tanti decenni, sei stata la colonna portante dell'OCDS a livello provinciale,  a livello nazionale e anche a livello mondiale.

      Hai fatto la promessa definitiva il 26 ottobre 1969: 53 anni fa.

Cinquantatré anni di vita nel Carmelo Secolare. Se fossero stati anni di matrimonio, fra due anni avresti festeggiato le nozze di smeraldo.

Tu che sei stata vedova molto giovane e con tre bambini da accudire, quasi a ricordarci che una chiamata all'Ordine Secolare Teresiano, a volte, passa misteriosamente anche attraverso dolori strazianti che ti mettono con le spalle al muro.

       Sei stata per tanti anni presidente provinciale; il nostro Statuto Provinciale, strumento tanto utile per accompagnare la vita delle nostre comunità,  è frutto anche della tua esperienza, dei tuoi consigli e dei tuoi suggerimenti.

Anche a livello nazionale, sei stata una protagonista; hai dato il tuo prezioso contributo in quello che oggi sono i nostri testi legislativi, la nostra regola di vita;  e se oggi esiste il coordinamento interprovinciale OCDS, l'organismo che aiuta e sostiene il cammino delle comunità OCDS d'Italia, è dovuto grazie anche al tuo supporto e alle tue intuizioni.

Hai partecipato nel 2000 al Congresso Internazionale OCDS in Messico dove si sono messe  le basi  per  la formazione del carmelitano secolare adeguandola ai tempi rappresentati dal nuovo millennio.

       La formazione. Nora, la formazione era la tua principale preoccupazione. 

Sei stata per più di 30 anni  incaricata della formazione della tua comunità di Monza.

Come una mamma che aiuta il proprio bambino a camminare sulle proprie gambe, così tu, con i tuoi formandi,  avevi la preoccupazione di aiutarli a vivere la propria vocazione di carmelitani secolari con maturità, con piena consapevolezza, capaci di assumersi le proprie responsabilità nella Chiesa, nell'Ordine Carmelitano e nella vita sociale e civile.

      Ci hai aiutato a vivere il nostro essere laici nella chiamata alla santità senza per questo essere mezzi frati o mezze monache.

Anche nella formazione dobbiamo ricordare quanto sia stata importante la tua esperienza per definire il percorso di formazione di un carmelitano secolare.

Se oggi abbiamo un iter formativo nazionale lo dobbiamo anche a te.

     Cara Nora, oggi siamo qui tutti presenti.

Siamo qui a ringraziarti per tutto quello che hai fatto per il Carmelo Secolare e per tutto l'Ordine Carmelitano.

Quello che noi siamo oggi lo dobbiamo anche a te.

        Cara Nora,  siamo qui tutti presenti per salutarti, ma non per dirti addio ma arrivederci.

Sì, arrivederci in paradiso.

Quando tutti noi insieme potremo contemplare il nostro amato Signore faccia a faccia e vivere eternamente alla sua presenza con tutti i santi carmelitani.

E' la bellezza della nostra fede.

Poter guardare la morte in  faccia e non considerarla come la fine di tutto, ma il passaggio alla vita eterna.

Questa è la nostra fede.

Questa è la nostra forza.

Nel frattempo cara Nora, noi pregheremo per te e tu ricordati di pregare per noi perché i tempi sono diventati cupi e difficili.

 Cara Nora, concludo questa lettera con una frase di S. Paolo, che adesso è anche la tua frase:

"Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede. Ora mi resta soltanto la corona di giustizia che il Signore, il giudice giusto, mi consegnerà in quel giorno” (2Tm 4,8)

Cara Nora, quel giorno è arrivato, è sono sicuro che il Signore di dirà:

"Vieni servo buono e fedele, entra nella gioia del tuo Signore" (cfr. Mt 25,21)

Ciao Nora,

Arrivederci in Paradiso.

Maria madre e Regina del Carmelo,

prega per noi.

                                                    Angelo Berna OCDS

                                                           Presidente Provincia Lombarda

                                                                                               

sabato 14 maggio 2022

LE VENDITRICI DI SABBIA E LA FESTA DELLE DONNE A NIAMEY (Niger) di P. MAURO ARMANINO


Le venditrici di sabbia
 e la Festa delle Donne a Niamey


 Festa delle Donne


 Donne che raccolgono sabbia per venderla


Qui la donna trasporta acqua ma, con lo stesso sistema, porta anche la sabbia da vendere al mercato. Pare strano, poiché di sabbia nel Sahel ce n'è in gran quantità, però le donne la setacciano, ripulendola, in modo da venderla a chi si occupa di edilizia. 
§§§§§


Questo giorno è l’anniversario della marcia delle donne. Siamo il 13 maggio del 1991, ai preparativi della Conferenza Nazionale Sovrana che avrebbe costituto la più grande opportunità democratica vissuta dal giovane stato del Niger fino allora. Le donne furono migliaia, quel giorno, a marciare fino alla sede della Primatura, per esigere una più consistente rappresentazione femminile nella commissione preparatoria della Conferenza citata. L’anno seguente, il 25 novembre del 1992, la data del 13 maggio sarebbe diventata giornata nazionale della donna nigerina. La strada dell’emancipazione delle donne è affascinante.
La storia e la vita quotidiana del Paese passano da loro. In casa, al mercato, in scuola, all’ospedale, nelle cliniche, negli uffici statali, nei sindacati, tra i vigili e nelle Forze Armate, le donne rispondono presente all’appello. Più ancora, nelle zone rurali del Paese sono esse a trasformare terra e campi in opportunità di cibo per l’indefinita famiglia a loro carico. Legna, acqua, mercato, cucina e molto altro ancora costituiscono spesso la giornata, il passato e anche il futuro delle numerose donne contadine. Nello nostro stesso Paese, più ancora che altrove, coesistono vari paesi che sovente si ignorano o più spesso fingono di non conoscersi.
Secondo dati recenti della Banca Mondiale, infatti, il Niger, con un’economia poco diversificata, dipende dall’agricoltura per il 40 per cento del suo Prodotto Interno Lordo, PIB. Il livello dell’estrema povertà tocca, nel 2021, il 42 per cento della popolazione, circa 10 milioni. Il Paese si trova a gestire l’arrivo di rifugiati dalla Nigeria e da Mali, entrambi per motivi di sicurezza. L’Ufficio di Coordinazione delle Nazioni Unite per gli Affari Umanitari ha recensito 250 mila rifugiati e oltre 276 mila sfollati. Molte ragazze, per motivi economici, si sposano prima di 15 anni.
Una particolare parabola di questi mondi che si passano accanto è costituita dalle ‘venditrici di sabbia’. Il settimanale dell’area di maggioranza politica, il ‘Sahel Dimanche’, in edizione speciale per la festa dei diritti delle donne nigerine, ne parla verso la fine del giornale. Si chiama ‘Tagala’ il bastone portato sulle spalle coi due recipienti alle estremità, riempiti di sabbia raccolta alla riva del fiume Niger o in altri siti propizi. La sabbia o talvolta la ghiaia, è raccolta, passata al setaccio per eliminarne le scorie, e versata nei due secchi posti alle estremità del bastone e tenuti in equilibrio da corde. Poi si gira in città per vendere la sabbia.
Fa 200 franchi locali, circa 30 centesimi di euro alla ‘tazza’. Le donne che vendono la sabbia arrivano dai villaggi dei dintorni di Niamey ed è per sopravvivere al quotidiano che esercitano questo mestiere. Partono al mercato e vendono la sabbia ai muratori o ad altri acquirenti interessati al prodotto. Le donne in questione lasciano le loro famiglie al villaggio e cercano in città quel poco che serve per sfamare o prendere cura della salute dei figli. Nella Festa delle Donne, le venditrici di sabbia di Niamey, sono, forse senza saperlo, qualcosa di unico. Appesi a corde, tenuti in equilibrio sulle spalle, i secchi contengono molto più della sabbia o della ghiaia. Sono un segno eloquente che il mondo, così com’è, riposa sulle spalle delle donne che lo costruiscono ogni giorno, di sabbia.

                            Mauro Armanino, Niamey, 13 maggio 2022



Dedicato al Mese di Maggio, mese di Maria e delle rose.

Padre Nicola Galeno ama, appena può, visitare i cimiteri dei dintorni. Gli piace fotografare le opere d'arte ivi custodite. Questa immagine della Vergine Maria, veramente bella, è stata scattata nel camposanto di Mozzate. A farle compagnia, una serie di fiori fotografati, sempre dal Padre,  presso la Scuola per l'Infanzia dei Padri Carmelitani a Legnano, tra i tanti, ho scelto quelli che splendevano maggiormente. 


















BENVENUTO|

Il Paradiso non può attendere: dobbiamo già cercare il nostro Cielo qui sulla terra! Questo blog tratterà di argomenti spirituali e testimonianze, con uno sguardo rivolto al Carmelo ed ai suoi Santi