AFORISMA

Meglio aggiungere vita ai giorni, che non giorni alla vita
(Rita Levi Montalcini)

Nostra Signora del Carmelo

Nostra Signora del Carmelo
colei che ci ha donato lo scapolare

domenica 17 luglio 2011

BUONE VACANZE

BUONE VACANZE!!!

Si comincia a partire per monti e per mari, o per viaggi all’estero. Tutti noi abbiamo bisogno di riposo, in quanto la vita diventa sempre più frenetica, preoccupazioni e lavoro assorbono gran parte del nostro tempo. Ho detto riposo, non un ulteriore affaticarsi in una frenetica ricerca di evasione. La nostra mente, il nostro spirito e la nostra psiche hanno bisogno di uno stacco decisivo, sia esso di pochi giorni o di un tempo più lungo. Non ci si può rigenerare se ci si sfinisce anche durante le vacanze, si torna al solito tran-tran più stanchi di prima.
Cambiar aria ed ambiente è salutare, ma occorre cambiare anche stile di vita. Riposo: tempo dedicato ad un sonno più lungo, buone letture (quelle che non si riesce mai a portare a termine in tempi normali), passeggiate, cibo sano e leggero e…cibo per l’anima! Preghiamo di più, abbiamo più tempo per farlo, andiamo alla Messa anche dove ci troviamo perché il Signore non va mai in vacanza, magari visitiamo qualche bel santuario o luogo sacro, così insieme allo spirito, nutriamo anche la nostra conoscenza artistica. (le opere più belle non si trovano solo nei musei, ma anche nelle cattedrali e nelle chiesette). Chissà perché si pensa che le vacanze siano un’invenzione solo per dilettare corpo e mente, mentre è soprattutto lo spirito – l’anima – ad aver bisogno di essere nutrita ed accudita?
Non desidero annoiarvi con predicozzi, il mio è un consiglio da amica, perché io stessa l’ho messo in pratica e mi accorgo di quanto bene porti nella mia esistenza un “riposo rigenerante” delle parti più nobili della  persona: spirito ed intelletto. Siatene certi, una volta depurata da scorie nocive la nostra anima, anche il corpo ne otterrà beneficio. Tutto diventa più luminoso: pensieri, azioni, sguardo e di conseguenza anche il nostro involucro esterno, a cui molto spesso si dà più importanza del nocciolo interno. I Buddisti curano anima e corpo contemporaneamente, per il benessere fisico, noi cristiani possiamo fare la stessa cosa, ma in relazione con Gesù e Maria, pregando e vivendo il Vangelo, staremo bene con noi stessi e con il prossimo! Gesù non vuole le nostre sofferenze, ci ha offerto la Felicità e ci ha indicato la strada per raggiungerla!!
Sentieri di montagna o bagnasciuga lungo il mare, tutte le strade portano a Dio, basta vederne la Luce!!!
Allora, buone vacanze, se portate con voi l’Amico e la Sua dolce Mamma, avrete sempre un’ottima compagnia!!  E sorridiamo con Gesù!

sabato 9 luglio 2011

BEATA VERGINE DEL CARMELO

Ad ognuno di voi, auguro la protezione colma di tenerezza di Maria, Regina sorella e madre del Carmelo.
Come avrete notato, ho inserito uno slideshow contenente molte immagini della Madonna del Carmine, in attesa della Festa della Beata Vergine del Carmelo, che sarà sabato prossimo, 16 luglio. 
Ricordate che lo scapolare del Carmine non è un segno magico o scaramantico, ma il ricordo della promessa che la Madre di Dio fece a San Simone Stock. Indossarlo significa appartenere a Maria, e amarla di amore filiale.
BUONA FESTA A TUTTI I CARMELITANI!

CRISTIANI: GENTE FELICE?


Avvenire, 5 maggio 2010
Che senso ha oggi leggere le beatitudini? Perche meditare su queste paradossali parole di Gesù? Innanzitutto, credo, per una ragione umanissima. Nel contesto socioculturale in cui viviamo, noi cristiani siamo chiamati, oggi più che mai, a mostrare con la nostra vita cammini di umanizzazione e di salvezza percorribili da tutti gli uomini. Ora, la maniera più efficace per scoprire questi cammini consiste nel praticare la ricerca del senso, esercizio che ai nostri giorni pare sempre più raro: è diventato difficile, soprattutto per le nuove generazioni, dare senso alla vita e alle realtà che la costituiscono, tanto che da più parti si levano voci che denunciano la «crisi del senso». In questa situazione noi cristiani dovremmo saper mostrare a tutti gli uomini, umilmente ma risolutamente, che la vita cristiana non solo è buona, segnata cioè dai tratti della bontà e dell'amore, ma è anche bella e beata, è via di bellezza e di beatitudine, di felicità.
Chiediamocelo con onestà: il cristianesimo testimonia oggi la possibilità di una vita felice? Noi cristiani ci comportiamo come persone felici oppure sembriamo quelli che, proprio a causa della fede, portano fardelli che li schiacciano e vivono sottomessi a un giogo pesante e oppressivo, non a quello dolce e leggero di Gesù Cristo (cfr. Ml 11,30)? In realtà mi pare che spesso ci meritiamo ancora il rimprovero rivolto ai cristiani da Friedrich Nietzsche oltre un secolo fa: I cristiani dovrebbero cantarmi canti migliori perché io impari a credere al loro redentore: più gioiosi dovrebbero sembrarmi i suoi discepoli! Certamente la via cristiana è esigente, richiede fatica e sforzo al fine di «entrare attraverso la porta stretta» (Lc 13,24; cfr. Mt 7,13) ed essere conformi alla chiamata ricevuta. Non serve ricordare le tante esortazioni pronunciate da Gesù in questo senso, condensate nel suo monito: «Se qualcuno vuoi venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua» (Mc 8,34 e par.). D'altra parte, secondo l'insegnamento di Gesù e, ancor prima, secondo il suo esempio, la vita di chi si pone alla sua sequela non solo vale la pena di essere abbracciata ma è causa di beatitudine, è fonte di felicità. E proprio qui che si situa l'annuncio delle beatitudini, che potremmo definire il cuore dell'etica cristiana: un'etica va detto con chiarezza che non è tanto una legge o, peggio, una morale da schiavi, quanto uno spirito e uno stile, quello annunciato e vissuto da Gesù nella libertà e per amore, quello in cui Gesù ha trovato la felicità.
Si, le beatitudini sono una chiamata alla felicità. Sappiamo bene che solo quando gli uomini conoscono una ragione per cui vale la pena perdere la vita, cioè morire, essi trovano anche una ragione per spendere quotidianamente la vita e, di conseguenza. sono felici. Ebbene, le beatitudini aiutano a scoprire questa ragione e così consentono di dare un senso alla vita, anzi conducono al «senso del senso: Gesù proclama beati uomini e donne i quali vivono alcune precise situazioni in grado di rendere pieno il senso il loro cammino umano sulla terra e, per quanti hanno il dono della fede, in grado di facilitare il loro cammino verso la comunione con Dio. Ma il primo e più elementare senso delle beatitudini lo ribadisco è la felicità, la gioia di scoprire che grazie all'assunzione consapevole di un atteggiamento, di un comportamento, si può vivere un'esistenza che, pur a caro prezzo, ha i tratti di una vera e propria opera d'arte: la povertà in spirito, il pianto, la mitezza, la fame e la sete di giustizia, la misericordia, la purezza di cuore, l'azione di pace, la persecuzione subita a causa della giustizia, sono situazioni capaci di produrre beatitudine già qui, in questa vita, e poi nel «mondo che verrà», quello in cui Dio regna definitivamente.
Insomma, per rendere realtà la buona notizia del Vangelo occorre vivere le beatitudini. A tale riguardo, lungo i secoli c'è sempre stato chi si è interrogato sull'attuabilità delle beatitudini, sull'effettiva possibilità che queste fossero qualcosa di più di semplici parole utopiche, prive cioè di un «luogo», di una realizzazione storica, a livello personale o comunitario. Vi è chi ha affermato che le beatitudini valevano solo per i contemporanei di Gesù e per la prima generazione cristiana, ossia per coloro che hanno vissuto in modo irripetibile l'urgenza escatologica; vi è chi, in seguito alla svolta costantiniana e poi con particolare insistenza nel secondo millennio, ha letto le beatitudini come «consigli» riservati solo ai monaci e ai religiosi, coloro che «abbandonano il mondo»; e potremmo continuare nell'elenco di queste interpretazioni riduttive.
Oggi, come in ogni generazione, siamo chiamati a lasciar risuonare la nuda domanda: è possibile vivere le beatitudini qui e ora? A mio avviso tale interrogativo ha sempre ricevuto e può ancora ricevere una risposta positiva, non però in modo trionfale o sovraesposto, non attraverso forme celatanti che si impongano agli occhi degli altri uomini, bensì nelle vite quotidiane, sovente nascoste, di tanti uomini e donne: persone che, nonostante le loro contraddizioni e il loro peccato, hanno cercato e cercano di seguire il Signore Gesù vivendo il suo stesso stile di vita, lo stile «scandaloso» delle beatitudini. Si, è sempre stato e sempre sarà possibile vivere le beatitudini.
Enzo Bianchi 

venerdì 8 luglio 2011

LA FINE DEL MONDO?

I “catastrofisti”  prevedono nel 2012 l’evento che porrà fine all’umanità; anche nell’ambito religioso si moltiplicano i messaggi sulla effettiva  fine imminente……invece altri che vedono positivamente un  futuro di coabitazione pacifica fra tutti i popoli e nazioni della terra….
Stiamo andando verso un mondo migliore o verso la fine del mondo?
Se i nostri bisnonni e i nostri avi avevano come prospettiva il combattere una guerra contro l’esercito del vicino, oggi la prospettiva (almeno per noi europei) è la pace!
Nelle nuove generazioni si stanno 
affermando valori e ideali  (pur nelle contraddizioni che sempre accompagnano la storia dell’uomo): pace, fratellanza, ecologia, salvaguardia della natura, cura delle malattie, volontariato sociale, impegno politico……..
Ma il nostro Dio da che parte sta? E’ un Dio che vuole punirci, che attende la “fine del mondo” per sedersi sul trono di giudice o invece è un Dio- Padre che vuole il bene dei suoi figli? (e quale padre non vorrebbe per i suoi figli la salute, la gioia, la felicità?)

articolo di padre A. Maggi ( Nigrizia n. 5)

Che ci sia la fine del mondo, per molti è indiscutibile, perché l’ha dichiarato più volte Gesù;
si tratta solo di sapere quando avverrà. È dall’anno Mille in poi che puntualmente giungono
predizioni certissime su questa fine, di volta in volta rimandata a causa di un ripensamento del
Padreterno, o per merito delle preghiere, delle penitenze e dei digiuni dei suoi figli migliori.
Attualmente la fine è stata fissata, salvo proroghe o ripensamenti del Signore, per il 21 dicembre
2012. Ne fanno fede calendari maya, profezie, visioni certe e affidabili. Disastri naturali, quali
sconvolgenti terremoti e spaventosi tsunami, sono solo un piccolo anticipo di quel che accadrà con
l’imminente fine del mondo.
Se è così, conviene prepararsi in tempo all’avvenimento, che non trovi gli uomini
sprovveduti, come consigliava un uomo del calibro di San Paolo, che, pienamente convinto della
fine imminente, cercò, inascoltato, di allertare le comunità cristiane: “Il tempo si è fatto breve; d’ora
innanzi, quelli che hanno moglie, vivano come se non l’avessero; quelli che piangono, come se non
piangessero; quelli che gioiscono, come se non gioissero; quelli che comprano, come se non
possedessero; quelli che usano i beni del mondo, come se non li usassero pienamente: passa infatti
la figura di questo mondo!” (1 Cor 7,29-31).
Eh, sì, Paolo ne era più che certo: “Passa la figura di questo mondo!”. Invece ha fatto in
tempo a passare Paolo, sono passati i destinatari dei suoi avvertimenti, e sono passati tutti quelli
che, convinti o meno, hanno annunciato, sperato o temuto la fine del mondo.
Chi non è passato è Gesù. E il suo messaggio, la buona notizia, si conferma più valido e
attuale che mai. Appunto perché buona notizia, il suo insegnamento è tutto indirizzato alla felicità
degli uomini, perché questa è la volontà del Padre, che tutti siano felici, qui, in questa esistenza
terrena. E la buona notizia contiene anche gli elementi di una piena felicità: essa consiste in quel
che si fa per gli altri, e ciò è possibile a tutti (“Si è più beati nel dare che nel ricevere!”, At 20,35).
La buona notizia di Gesù non contiene minacce di catastrofi o di fine imminente del mondo,
bensì il contrario. In nessun brano del vangelo si annunzia o profetizza una fine del mondo. Anzi!
Scrive Giovanni nel suo vangelo che “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio,
l’unigenito…”, e che “Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il
mondo sia salvato per mezzo di lui” (Gv 3,16-17), e sarebbe ben strano che un Dio, che invia il suo
unico Figlio per salvare il mondo, poi lo voglia distruggere.
Gesù non ha mai annunciato la fine del mondo, ma profondi cambiamenti che lo miglioreranno e lo
renderanno di volta in volta più umano. Questi mutamenti sono la fine di tempi, epoche, cicli, che
sembravano eterni tanto erano radicati nella storia, e invece si sono tutti dissolti. A vantaggio
dell’umanità.
Il Creatore ama la sua opera, il creato.
Dio crea, non distrugge.
Il racconto della creazione, narrato nel Libro della Genesi, non è il rimpianto di un paradiso
perduto, ma la profezia di un paradiso da costruire. E l’uomo è chiamato a collaborare e a portare a
compimento questa creazione (“Il Padre mio opera sempre e anch’io opero”, Gv 5,17).
E proprio nel Libro della Genesi viene smentita ogni previsione catastrofica di fine del
mondo. Con la narrazione del diluvio, infatti, l’autore vuole correggere la credenza che metteva in
relazione fenomeni atmosferici con l’ira divina, e il Signore stesso assicura che “Non sarà più
distrutto nessun vivente dalle acque del diluvio, né più il diluvio devasterà la terra” (Gen 9,12). A
riprova della verità della sua dichiarazione, il Signore… depone le armi: l’arco di guerra, lo
strumento che serviva a Dio per lanciare le saette e punire gli uomini, viene definitivamente
deposto. L’arco del Signore non solo non servirà più per punire le persone, ma diventerà il segno
dell’alleanza tra Dio e l’umanità: “Pongo il mio arco sulle nubi ed esso sarà il segno dell’alleanza
tra me e la terra” (Gen 9,13).
Da sempre il messaggio del Signore dona serenità, non la toglie.
Gesù non ha mai annunciato alcuna fine del mondo. Le sue parole finali, nel vangelo di
Matteo, sono “Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine dei tempi” (Mt 28,1), espressione con la
quale Gesù non indica una scadenza, ma l’intensità della sua presenza, “per sempre/eternamente”,
secondo il significato del vocabolo greco aiôn/tempo/epoca, (mentre mondo è kosmos).
Se purtroppo, come spesso avviene, in qualche Vangelo il versetto viene tradotto con “fine
del mondo”¸ è solo un problema di traduzione e non una verità di fede. Nella nuova traduzione della
CEI (2008), sorprendentemente, riappare questa espressione (che era scomparsa nell’edizione
intermedia del 1997, dove si traduceva “fino a quando questo tempo sarà compiuto”), traduzione
che viene smentita dalla nota de “la Bibbia di Gerusalemme”, nella quale si chiarisce: “Non
significa la fine del mondo, della terra, ma piuttosto la fine dell’epoca attuale della storia della
salvezza, dell’era della Chiesa”. Era migliore la traduzione latina, che riportava “usque ad
consummationem saeculi” (fine dei secoli).
Non c’è alcuna fine del mondo da temere, ma fine di epoche storiche da desiderare.
Quando Gesù rivela che “il sole si oscurerà, la luna non darà più il suo splendore, le stelle
cadranno dal cielo e le potenze dei cieli saranno sconvolte” (Mt 24,29), non annuncia calamità che
colpiranno la terra, e non si accenna ad alcun terrore per gli uomini. Il sole e la luna erano
considerate divinità, e in quanto tali adorate dai popoli pagani (Dt 4,19), e con stelle si indicavano i
potenti, che ambivano alla condizione divina, e per questo risiedevano nei cieli (“Come mai sei
caduto dal cielo, astro del mattino, figlio dell’aurora?”, Is 14,12). La catastrofe non minaccia il
mondo, ma i cieli, considerati l’habitat di ogni potente.
Quelle di Gesù sono parole che suscitano non orrore, ma speranza: “Quando cominceranno
ad accadere queste cose, alzatevi e levate il capo, perché la vostra liberazione è vicina” (Lc 21,28).
L'annuncio del vangelo, la “buona notizia” del vero Dio da parte dei discepoli, chiamati a
essere “luce del mondo” (Mt 5,14), provocherà un'eclissi delle false divinità e, con questa, la caduta
dei regimi che su esse si poggiavano e delle potenze che dominavano gli uomini.
Tali testi pertanto non riguardano alcuna fine del mondo, ma la fine definitiva di epoche che
sembravano eterne, immutabili. La storia continuerà, però il mondo avrà cambiato d’aspetto.
Gesù annuncia che dopo la distruzione di Gerusalemme e del suo Tempio (che avverrà nel 70 ad
opera dei Romani) inizia una nuova tappa nell’umanità. La caduta e la scomparsa dell’istituzione
religiosa giudaica non sono la fine, ma una prima tappa di quel processo irreversibile nella storia
che vedrà la caduta di tutti quei poteri che si oppongono alla realizzazione del regno di Dio. Ogni
regime basato sul potere e sul dominio sugli uomini ha già in sé il germe della propria distruzione,
come un gigante dai piedi di argilla (Dn 2,33).
La caduta di un regime che sembrava eterno può sembrare la fine del mondo, ma non è la
fine del mondo, bensì di un mondo. Lo stesso Sant’Agostino, nel 429, vedendo scricchiolare
l’impero sotto le insidie dei Vandali comandati da Genserico, pensò che fosse imminente la fine del
mondo: per lui non era concepibile il mondo senza l’impero romano.
Pertanto non c’è da temere alcuna apocalisse, ma solo da realizzarla. Il termine greco
tradotto con apocalisse non significa altro che rivelazione. E qual è questa rivelazione? Non di
catastrofi spaventose che terrorizzano gli uomini, ma la rivelazione che Dio sta sempre dalla parte
degli oppressi e mai degli oppressori, dei perseguitati e mai dei persecutori. È questa la rivelazione
che anima e incoraggia la comunità cristiana e le dà la forza di portare avanti il messaggio della
buona notizia in una società avversa, con la certezza che ogni regime oppressore vedrà la sua fine.

mercoledì 6 luglio 2011

SANTA TERESA D'AVILA: Cammino di Perfezione Cap. XXI


CAPITOLO 21
Quanto importi cominciare a darsi all'orazione con grande risolutezza e a non far conto degli ostacoli che il demonio frappone

1 - Non spaventatevi, figliuole, se molte sono le cose a cui bisogna attendere per cominciare questo viaggio divino.
E’ la strada reale che conduce al cielo, sulla quale si guadagna un'infinità di beni, e non è certo strano che ci debba sembrare gravosa.
Ma verrà giorno che innanzi a un bene così prezioso ci parrà tutto da nulla quanto si sarà fatto.

2 - Torno dunque a coloro che vogliono battere questa strada senza più fermarsi fino a che non siano giunti all'acqua viva.
Importando molto conoscere come incominciare, dico che si deve prendere una risoluzione ferma e decisa di non mai fermarsi fino a che non si abbia raggiunta quella fonte.
Avvenga quel che vuol avvenire, succeda quel che vuol succedere, mormori chi vuol mormorare, si fatichi quanto bisogna faticare: ma a costo di morire a mezza strada, scoraggiati per i molti ostacoli che si presentano, si tenda alla meta, ne vada il mondo intero!
Accade spesso che si dica: « Per questa strada vi sono tanti pericoli. La tale per di qui si è perduta; la tal'altra si è ingannata; colei che faceva tanta orazione è caduta; in questo modo fate torto alla virtù, non è cosa per donne che si lasciano illudere facilmente; le donne è meglio che filino; non han bisogno di queste finezze; basta il Pater noster e l'Ave Maria ».

3 - Sì, l'affermo anch'io, sorelle: e come basta!
Fondare la nostra orazione sopra una preghiera che è uscita da una tal bocca, qual'è quella di nostro Signore, non è certo da poco.
In ciò hanno ragione; e se la nostra debolezza non fosse così grande e non così tiepida la nostra devozione, non avremmo bisogno d'altre formule, né d'alcun libro d'orazione.
Per questo, dovendo parlare ad anime che non possono raccogliersi nella meditazione dei misteri, per i quali sembra che siano necessari grandi sforzi, mi par appunto opportuno fondare sul « Pater noster » alcune regole, circa il principio, il progresso e la fine dell'orazione, tanto più che vi sono spiriti così esigenti che non si contentano di nulla.
E così, anche se vi toglieranno tutti i libri, avrete sempre il « Pater noster » che è preferibile a tutti.
Le mie considerazioni non saranno sublimi, ma studiando il «Pater noster» e perseverando in umiltà, non si avrà bisogno di nulla.

4 - Amo molto le parole del Vangelo. Esse mi raccolgono di più che non i migliori fra i libri.
Questi, anzi, quando non sono di autori molto raccomandati, non mi invogliano neppure.
Mi avvicino, dunque, al Maestro della sapienza; ed Egli mi suggerirà qualche pensiero che forse vi piacerà.
Dichiaro intanto che non è mio intento esplicarvi le divine petizioni del Pater: non ardisco.
L'han già fatto molti altri. Comunque, sarebbe una stoltezza farlo io. Vi esporrò soltanto qualche considerazione sulle parole del Pater, perché molte volte sembra che con tanti libri si vada perdendo la devozione di una preghiera di cui importa molto essere devoti.
Quando un maestro insegna una lezione, evidentemente si affeziona al suo discepolo, gode che il suo insegnamento gli piaccia e lo aiuta a impararlo.
Altrettanto farà con noi il nostro Maestro divino.

BENVENUTO|

Il Paradiso non può attendere: dobbiamo già cercare il nostro Cielo qui sulla terra! Questo blog tratterà di argomenti spirituali e testimonianze, con uno sguardo rivolto al Carmelo ed ai suoi Santi