AFORISMA

Meglio aggiungere vita ai giorni, che non giorni alla vita
(Rita Levi Montalcini)

Nostra Signora del Carmelo

Nostra Signora del Carmelo
colei che ci ha donato lo scapolare

mercoledì 29 giugno 2016

Refrigerio per gli occhi

Padre Nicola Galeno è un fotografo davvero in gamba! 
Un po' di refrigerio per gli occhi, e pace nel cuore, nell'ammirare questi magnifici doni floreali della natura! 













Tu devi parlare al mondo della Sua grande Misericordia

Tu devi parlare al mondo della Sua grande Misericordia



Suor Faustina Kowalska riporta nel suo diario una ventina di apparizioni della Vergine oltre ad una trentina di visioni di Cristo, angeli e defunti. Così scrive il 25 marzo 1936 : «Oh, quanto è cara a Dio l'anima che segue fedelmente l'ispirazione della Sua grazia! Io ho dato al mondo il Salvatore e tu devi parlare al mondo della Sua grande Misericordia e preparare il mondo alla Sua seconda venuta. Egli verrà non come Salvatore misericordioso, ma come Giudice Giusto». (Diario, 295) 
Qualche mese più tardi: «Durante la santa Messa l'ho vista così splendente e bella, che non ho parole per poter esprimere almeno in piccola parte la Sua bellezza. Era tutta bianca, cinta da una sciarpa azzurra; anche il manto azzurro, la corona sul capo e da tutta la Sua persona s'irradiava uno splendore inconcepibile. "Sono la Regina del cielo e della terra, ma soprattutto la vostra Madre". Mi strinse al Suo Cuore e disse: «Ti sono sempre vicina nelle sofferenze ». Sentii la potenza del Suo Cuore Immacolato che si trasmise alla mia anima». (Diario, 295)
 
MISERICORDIA DI DIO-Sassi sull’acqua
Il potente re Milinda disse al vecchio sacerdote: "Tu dici che l'uomo che ha compiuto tutto il male possi-bile per cent'anni e prima di morire chiede perdono a Dio, otterrà di rinascere in cielo. Se invece uno com-pie un solo delitto e non si pente finirà all'inferno. È giusto questo? Cento delitti sono più leggeri di uno?". 
Il vecchio sacerdote rispose al re: "Se prendo un sassolino grosso così, e lo depongo sulla superficie del lago, andrà a fondo o galleggerà?". "Andrà a fondo", rispose il re. "E se prendo cento grosse pietre, le metto in una barca e spingo la barca in mezzo al lago, andranno a fondo o galleggeranno?". "Galleggeranno". "Allora cento pietre e una barca sono più leggere d'un sassolino?". 
Il re non sapeva che cosa rispondere. E il vecchio spiegò. "Così, o re, avviene agli uomini. Un uomo anche se ha molto peccato ma si appoggia a Dio, non cadrà nell'inferno. Invece l'uomo che fa il male anche una volta sola, e non ricorre alla misericordia di Dio, andrà perduto"

Opere e misericordia di Dio.
Una buona cristiana si presentò alla porta del Cielo.
Era tutta intimorita. San Pietro la ricevette cordialmente. Cercò di rassicurarla, ma le disse serio: 
«Per entrare in Paradiso, ci vogliono cento punti». 
La brava donna cominciò a elencare: 
«Sono stata fedele a mio marito per tutta la vita. 
Ho educato cristianamente i miei figli; 
non ci sono riuscita tanto, ma ho fatto tutto quel che ho potuto. 
Sono stata catechista per ventidue anni. 
Ho fatto volontariato per le Missioni e ho dato una mano alla “Caritas”. 
Ho cercato sempre di sopportare le persone che mi erano accanto, specie il parroco e i miei vicini di casa... ». 
Quando si fermò a tirare il fiato, San Pietro le disse: «Due punti e mezzo!». 
Per la donna fu un pugno nello stomaco. 
Allora riprovò: «E. .. Ah sì! Ho assistito i miei vecchi genitori. 
Ho perdonato a mia sorella che mi faceva la guerra per via dell'eredità ... E... Ecco! 
Non ho mai saltato una Messa la domenica, eccetto che per la nascita dei miei figli. 
Ho anche partecipato a dei ritiri e alle conferenze quaresimali... 
Ho recitato sempre le preghiere ... E il rosario nel mese di maggio ... ». 
San Pietro le disse: «Siamo a tre punti». 
La donna si demoralizzò. 
Come poteva arrivare a cento punti? 
Aveva detto l'essenziale e le riusciva difficile trovare ancora qualcosa. 
Con lacrime agli occhi e voce tremante, disse: 
"Se è così, posso contare solo sulla misericordia di Dio!..."
"Cento punti! Prego, si accomodi, la stavamo aspettando!" esclamò San Pietro...

Anche se avessi sulla coscienza, tutti i peccati che si possono commettere, andrei, col cuore spezzato dal pentimento, a gettarmi tra le braccia di Gesù, poiché so quanto egli ami il figliol prodigo che ritorna a lui. (Santa Teresa di Lisieux)
Dio – dà gratis.

DIO DA' GRATIS

Preoccupato del senso della vita e dell'ultimo giorno, e soprattutto del Giudizio Finale – a cui prima o poi certamente sarebbe andato incontro –, un uomo fece un sogno.
Dopo la morte, si avvicinò titubante alla grande porta della casa di Dio. 
Bussò e un angelo sorridente venne ad aprire. Lo fece accomodare nella sala d'aspetto del Paradiso.
L'ambiente era molto severo. Aveva il vago aspetto di un'aula di tribunale. 
L'uomo aspettava, sempre più intimorito.
L'angelo tornò dopo un po' con un foglio in mano su cui, in alto, campeggiava la parola “conto”. 
L'uomo lo prese, e lesse:
«Luce del sole e stormire delle fronde, neve e vento, volo degli uccelli ed erba. Per l'aria che abbiamo respirato e lo sguardo alle stelle, le sere e le notti... ». 
La lista era lunghissima. 
« …il sorriso dei bambini, 
gli occhi delle ragazze, 
l'acqua fresca, 
le mani e i piedi, 
il rosso dei pomodori, 
le carezze, 
la sabbia delle spiagge, 
la prima parola del tuo bambino, 
una merenda in riva ad un lago di montagna, 
il bacio di un nipotino, 
le onde del mare ...». 
Man mano che proseguiva nella lettura, l'uomo era sempre più preoccupato. 
Quale sarebbe stato il totale? Come e con che cosa avrebbe mai potuto pagare tutte quelle cose che aveva avuto?
Mentre leggeva con il batticuore, arrivò Dio.
Gli batté una mano sulla spalla. «Ho offerto io» – disse sorridendo–«fino alla fine del mondo. È stato un vero piacere!».

Dio conosce solo la parola "gratis"...


martedì 28 giugno 2016

65 anni di sacerdozio di Benedetto XVI


Francesco: “Lei continua a servire la Chiesa”.
Benedetto: “La sua bontà mi protegge”. Poi l’abbraccio
Posted by Salvatore Cernuzio on 28 June, 2016

Una cerimonia sobria, carica di affetto e ricordi, quella che si è svolta oggi nella Sala Clementina dove il Papa regnante, Francesco, e il Papa emerito, Benedetto XVI, hanno celebrato insieme il 65° anniversario dell’ordinazione sacerdotale di Ratzinger avvenuta il 29 giugno 1951 nella cattedrale di Frisinga.
Un “piccolo atto”, come aveva annunciato lo stesso Francesco sull’aereo di ritorno dall’Armenia, perché lui, Benedetto, “preferisce una cosa piccola, molto modesta”. Pochi quindi gli ospiti presenti: solo alcuni cardinali e capi Dicastero e i membri della ‘Fondazione Vaticana Joseph Ratzinger’; pochi i discorsi: quello di Bergoglio e i due indirizzi di saluto da parte dei cardinali Sodano e Muller, intervallati dai canti eseguiti dal Coro della Cappella Sistina.
Tante, però, le parole di elogio sulla figura e l’opera del Papa che ha deciso tre anni fa di rinunciare al ministero petrino e di continuare a vivere nel cuore del Vaticano, nel nascondimento e nella preghiera. È proprio così, però, che “Lei, Santità – ha affermato Papa Francesco nel suo intervento – continua a servire la Chiesa, non smette di contribuire veramente con vigore e sapienza alla sua crescita”.
“Lo fa da quel piccolo Monastero Mater Ecclesiae in Vaticano che si rivela in tal modo essere tutt’altro che uno di quegli angolini dimenticati nei quali la cultura dello scarto di oggi tende a relegare le persone quando, con l’età, le loro forze vengono meno”. “È tutto il contrario e questo permetta che lo dica con forza il Suo Successore che ha scelto di chiamarsi Francesco!”, aggiunge, “perché il cammino spirituale di San Francesco iniziò a San Damiano, ma il vero luogo amato, il cuore pulsante dell’Ordine, lì dove lo fondò e dove infine rese la sua vita a Dio fu la Porziuncola, la ‘piccola porzione’, l’angolino presso la Madre della Chiesa”.
Allo stesso modo, afferma ancora il Santo Padre, “la Provvidenza ha voluto che Lei, caro Confratello, giungesse in un luogo per così dire propriamente ‘francescano’ dal quale promana una tranquillità, una pace, una forza, una fiducia, una maturità, una fede, una dedizione e una fedeltà che mi fanno tanto bene e danno tanta forza a me ed a tutta la Chiesa. E anche mi permetto anche da Lei viene un sano e gioioso senso dell’umorismo”.
Voltandosi indietro, e guardando a quella Messa nella Cattedrale di Freising di 65 anni fa, durante la quale fu ordinato prete anche il fratello Georg, Papa Francesco individua una “nota di fondo” che “percorre questa lunga storia” e che “la domina sempre più” fino ad oggi. È l’amore al Signore che si sintetizza nelle parole di Simone a Cristo nell’ora della chiamata definitiva: ”Signore, tu sai tutto, tu sai che ti amo”.
Questa nota “domina una vita intera spesa al servizio sacerdotale e della teologia che Lei non a caso ha definito come ‘la ricerca dell’amato’” osserva il Papa; “è questo che Lei ha sempre testimoniato e testimonia ancora oggi: che la cosa decisiva nelle nostre giornate — di sole o di pioggia —, quella solo con la quale viene anche tutto il resto, è che il Signore sia veramente presente, che lo desideriamo, che interiormente siamo vicini a lui, che lo amiamo, che davvero crediamo profondamente in lui e credendo lo amiamo veramente”.
Questo amare “ci riempie il cuore”, questo credere “è quello che ci fa camminare sicuri e tranquilli sulle acque, anche in mezzo alla tempesta, proprio come accadde a Pietro” e che “ci permette di “guardare al futuro non con paura o nostalgia, ma con letizia, anche negli anni ormai avanzati della nostra vita”.
L’augurio di Bergoglio è quindi che il suo predecessore “possa continuare a sentire la mano del Dio misericordioso che La sorregge, che possa sperimentare e testimoniarci l’amore di Dio; che, con Pietro e Paolo, possa continuare a esultare di grande gioia mentre cammina verso la meta della fede!”.
Non sono mancati abbracci tra i due Papi, in segno dell’unità che li lega e contro tutte quelle congetture di una ‘diarchia’ in Vaticano che lo stesso Francesco ha smentito sempre sull’aereo Yerevan-Roma. Benedetto XVI, aveva dichiarato in quell’occasione ai giornalisti, “non è il ‘secondo Papa’”, “lui per me è il Papa emerito, è il nonno saggio, è l’uomo che mi custodisce le spalle e la schiena con la sua preghiera”.
Un sostegno reciproco avvertito da entrambe le parti, come hanno confermato le belle parole espresse da Ratzinger al termine della cerimonia. A braccio, con la consueta pacatezza e quell’accento tedesco che non risuonava da circa tre anni nei Sacri Palazzi, il Papa emerito ha ringraziato il Papa attuale per “la sua bontà”. “Dal primo momento dell’elezione – ha detto – in ogni momento della mia vita qui, mi colpisce, mi porta realmente, interiormente più che nei Giardini Vaticani, con la bellezza, la Sua bontà è il luogo dove abito: mi sento protetto”.
“Grazie anche della parola di ringraziamento, per tutto” ha aggiunto, esprimendo la speranza “che Lei potrà andare avanti con noi tutti con questa via della Misericordia Divina, mostrando la strada di Gesù, a Gesù, a Dio”.
Anche Benedetto si è poi lasciato andare ai ricordi, rammentando in particolare una parola greca che, 65 anni fa, un fratello ordinato con lui aveva deciso di scrivere sulla immaginetta di ricordo della prima Messa: Eucharisthomen, perché “convinto che con questa parola, nelle sue tante dimensioni, è già detto tutto quanto si possa dire in questo momento”.
Eucharisthomen”, ripete il Pontefice emerito, “dice un grazie umano, grazie a tutti” e richiama anche “la parola più profonda che si nasconde, che appare nella Liturgia, nella Scrittura, nelle Parole: Gratias agens benedixit fregit deditque”. “Eucharisthomen – prosegue – ci manda a quella realtà di ringraziamento, a quella nuova dimensione che Cristo ha dato. Lui ha trasformato in grazia e in benedizione la Croce, la sofferenza, tutto il male del mondo. E così fondamentalmente ha transustanziato la vita e il mondo e ci ha dato e ci dà ogni giorno il pane della vera vita, che supera il mondo grazie alla forza del Suo amore”.
Tutti noi – ha detto Ratzinger – “vogliamo inserirci in questo ‘grazie’ del Signore e così ricevere realmente la novità della vita e aiutare alla transustanziazione del mondo: che sia un mondo non di morte, ma di vita; un mondo nel quale l’amore ha vinto la morte”.
La gratitudine del Papa tedesco è andata anche al card. Sodano che, nel suo saluto, ha voluto rendergli “un doveroso omaggio a nome di tutta la Santa Chiesa, che ha goduto per 65 anni del suo ministero pastorale, prima come presbitero e successivamente come vescovo nella sede di München e Freising e poi come Vescovo di Roma, mater et caput omnium ecclesiarum”.
“Grazie a Lei, eminenza, per le Sue parole che hanno veramente toccato il cuore:Cor ad cor loquitur. Lei ha reso presente sia l’ora della mia ordinazione sacerdotale, sia anche la mia visita nel 2006 a Freising, dove ho rivissuto questo”, ha detto Ratzinger. “Posso solo dire che così, con queste parole che ha interpretato l’essenziale della mia visione del sacerdozio, del mio operare. Le sono grato per il legame di amicizia che fino adesso continua da tanto tempo, da tetto a tetto: è quasi presente e tangibile”.
Un grazie anche al card. Muller, prefetto della Congregazione per la Dottrina della  Fede, che ha curato l’antologia di testi del Papa bavarese sul sacerdozio edita da Cantagalli e prefata da Papa Francesco. “Grazie, per il Suo lavoro che fa per la presentazione dei miei testi sul sacerdozio, nei quali cerco di aiutare anche i confratelli a entrare sempre di nuovo nel mistero che il Signore si dà nelle nostre mani”.
Una copia di questa Benedetto ha voluto donarla a Francesco a conclusione della cerimonia. Poi è seguito un terzo abbraccio fraterno, non prima di essersi tolto lo zucchetto bianco dalla testa.


domenica 26 giugno 2016

LA LEGGENDA DEI CHIODI E ALTRI ANEDDOTI

1. LA LEGGENDA  DEI  CHIODI         




C’era una volta un ragazzo che aveva un brutto carattere.
Un saggio gli diede un sacchetto di chiodi e gli disse di piantarne uno nello steccato del giardino ogni volta che avesse perso la pazienza e litigato con qualcuno.
Il primo giorno il ragazzo piantò tredici chiodi nello steccato, ed ogni giorno piantava chiodi.
Nei mesi successivi imparò a controllarsi ed il numero dei chiodi piantati nello steccato diminuì: aveva scoperto che era meglio controllarsi che piantar chiodi.
Finalmente arrivò il giorno in cui quel ragazzo non piantò nessun chiodo nello steccato. 
Allora andò dal saggio e gli disse che in quel giorno non aveva piantato nessun chiodo.  Il saggio gli disse di levare un chiodo dallo steccato per ogni giorno in cui non avesse perso la pazienza e litigato con qualcuno. I mesi passarono e finalmente quel ragazzo poté dire al saggio che aveva levato tutti i chiodi dallo steccato.
Il saggio portò quel ragazzo davanti allo steccato e gli disse: “Figlio mio, ora ti sei comportato bene; ma guarda quanti buchi ci sono nello steccato. Lo steccato non sarà mai più come prima. Quando litighi con qualcuno e gli dici qualcosa di brutto, gli lasci una ferita come queste. Puoi pianta-re un coltello in un uomo e poi levarlo, ma rimarrà sempre una ferita. Non importa quante volte ti scuserai, la ferita rimarrà sempre. Una ferita verbale fa male quanto una fisica.
Gli amici sono gioielli rari: ti fanno sorridere e t’incoraggiano, sono pronti ad ascoltarti quando ne hai bisogno, ti sostengono e ti aprono il cuore.
Onora i tuoi amici e scusati con loro per i buchi che hai lasciato nel loro steccato”.
Questo vale anche per le ferite che ci facciamo, peccando...  Dio ci perdona, e con i nostro penti-mento vengono levati i chiodi... Ma rimangono i  “buchi”. Noi possiamo riparare anche i “buchi” fatti in noi (le cattive abitudini apprese, il raffreddarsi dell’amore verso Dio e verso gli altri...). Si rimedia attraverso la “penitenza”!  Pentirsi sinceramente e chiedere perdono a Dio e agli altri è fondamentale; ma poi bisogna ricostruire. Nessuno può affermare di non aver “rotto”, “rovinato” se stesso, gli altri, la Chiesa. Dio attraverso il confessore ci assolve, in proporzione al nostro pentimento, ma poi bisogna farne penitenza, per ricostruire: le solite 3 Ave Maria che ci sono prescritte, non sono altro che un segno di ciò che dobbiamo fare in seguito... Non crediamo d'aver tutto sistemato con una preghiera. I “buchi” in noi rimarranno sempre. Non sarà per questo che, nonostante le tante confessioni... ci troviamo sempre allo stesso punto?

2– Lo sfavillio di una stella-MISERICORDIA  



Nelle leggende dorate dei Padri del deserto, si narra di quel monaco che tutti i giorni doveva attraversare un’ampia zona sabbiosa per raccogliere la legna necessaria. Nel bel mezzo di quella distesa d’arena sorgeva una piccola oasi, al cui centro zampillava una fonte d’acqua cristallina, che mitigava il sudore e la sete dell’eremita. Un bel giorno l’eremita pensò di offrire a Dio questo sacrificio: avrebbe regalato a Dio la sofferenza della sete. Giunse la prima notte, dopo il suo sacrificio, e il monaco scoprì con gioia che nel cielo era apparsa una nuova stella. Da quel giorno, il cammino gli divenne più corto.
Così finché un giorno il monaco dovette fare quel cammino con un giovane novizio. Il ragazzo, sotto i pesanti fasci di legna, sudava e sudava… E quando scorse la fonte non poté reprimere un grido di contentezza: “Guarda, padre, una fonte!”. Per la mente del monaco attraversarono mille immagini: se avesse bevuto, quella notte la stella non si sarebbe accesa in cielo; però, se non avesse bevuto, neppure il ragazzo si sarebbe permesso farlo. Senza esitazione, l’eremita si chinò sulla fonte e bevve. Dopo di lui, il novizio, gioioso, beveva, beveva… Quella sera Dio non sarebbe stato contento con il monaco e non avrebbe acceso la sua stella. –– Al sopraggiungere della sera il monaco non osava neppure alzare gli occhi al cielo. Alla fine, non resistette e alzò gli occhi al cielo, pieno di tristezza. Soltanto allora s’accorse che nel cielo s’erano accese non una sola stella, ma due. (J. L. Martin Descalzo)
Dio preferisce la misericordia al sacrificio. È più importante condividere i sentimenti del prossimo e renderlo felice, che tutte le stelle che possano apparire in cielo.
Quando James Calvert e i suoi compagni si dirigevano verso le isole Fiji per portare il vangelo ai suoi abitanti, il capitano della nave s’opponeva, dicendo: “Sta esponendo la sua vita e quella dei suoi compagni, andando a vivere tra quegli antropofagi”. Calvert rispose: “Siamo già morti prima di venire qua”. Sempre chi ama, non guarda ai rischi, né misura la vita.
Vivere significa condividere in un amore gratuito tutto ciò che possiede: tempo, tavola, tetto, beni. Aiutare gli altri a portare il peso con tutta umiltà, dolcezza e pazienza, sopportandoli e accettandoli come sono (Efes. 4,2), perché, una volta per tutti, ha fatto suo questo precetto:
“Ama, e poi fai ciò che credi. – Se stai zitto, fallo per amore,  – Se parli, fallo per amore, – Se correggi, fallo per amore. – Se perdoni, fallo per amore. – Mantieni nel fondo del tuo cuore la radice dell’amore.
Da questa radice non può nascere che il bene” (S. Agostino).

3. OTTIMISMO–Dio-ogni cosa a fin di bene!   



Un giorno, una ragazza andò in cucina per parlare con sua madre, lamentandosi che nella vita tutto sembrava andare storto: la scuola, nonostante ce la  mettesse tutta, non andava come avrebbe voluto; il ragazzo, che segretamente amava, non aveva attenzioni che per un'altra; la migliore amica stava per trasferirsi in una città lontana e ultimamente le sue amicizie erano... beh, lasciamo perdere! E Dio nel frattempo cosa faceva? 
La mamma, durante tutto il discorso, ascoltò, in silenzio, la figlia. Quando la ragazza ebbe finito di parlare, la madre le disse: "Figlia mia, vuoi un po' di dolce?"
– "Certamente mamma! Vado pazza per i tuoi dolci!".
Allora la madre prese un bicchiere, ci versò dentro una dose di olio di semi, poi versò in una ciotola della farina, prese due uova dal frigo, del lievito, e un paio di scorze di limone. 
E disse: "Ecco il tuo dolce! Spero ti piaccia!".
La figlia, sbigottita e disgustata, le rispose: "Ma mamma, ma sei impazzita? Queste cose non sono il dolce! 
La mamma continuò: 
"Cara figlia mia, certo, tutte queste cose, prese da sole, non sono affatto il dolce, e prese da sole non sono nemmeno invitanti! Ma quando qualcuno le mette insieme, nel modo giusto e con esperienza, dopo il tempo di cottura adeguato, danno vita ad un dolce squisito!
Vedi, Dio lavora come una madre che prepara con amore un dolce delizioso per i suoi figli. 
Questi si chiedono come possano un uovo crudo, un po’ di zucchero, una scorza di limone, un bicchiere d'olio, un po' di farina, mescolati insieme, diventare un cibo così squisito, ma la mamma li sorprende ogni volta!
Allo stesso modo, ognuno di noi si chiede molte volte perché Dio ci lascia andare attraverso esperienze molto dolorose e tempi molto difficili, ma Dio sa che quando lui cucinerà tutte queste cose insieme, attraverso la sua ricetta e nei suoi modi, il risultato sarà sempre qualcosa di straordinario per i suoi amati figli e figlie.
Noi non dobbiamo fare altro che autorizzarlo a prendere gli "ingredienti" della nostra vita, "impastarli" e "cuocerli" come soltanto lui fare. Perché lui sa trasformare ogni male in un bene.
La figlia sorrise soddisfatta, e non soltanto perché il dolce era molto buono...
Dio sa trasformare ogni male in un bene e tutto concorre al bene di coloro che Dio ama... e che si lasciano "cucinare".

SOLTANTO SEMI-NON FRUTTI                                  
                             

Un giovane sognò di entrare in un grande negozio.
A far da commesso, dietro il bancone c'era un angelo.
"Che cosa vendete qui?", chiese il giovane.
" Tutto ciò che desidera", rispose cortesemente l'angelo.
Il giovane cominciò ad elencare: " Vorrei la fine di tutte le guerre nel mondo, 
più giustizia per gli sfruttati, 
tolleranza e generosità verso gli stranieri, 
più amore nelle famiglie, 
lavoro per i disoccupati, 
più comunione nella Chiesa e...e."
L'angelo lo interruppe: "Mi dispiace, signore.
Lei mi ha frainteso.
Noi non vendiamo frutti, noi vendiamo solo semi".

Un seme è un miracolo. Anche l'albero più grande nasce da un seme piccolissimo.
La tua anima è un giardino in cui sono seminate le imprese e i valori più grandi.

Li lascerai crescere?

DIACONESSE? BASTA BUGIE!


IL RUOLO DELLE DIACONESSE NELLA CHIESA PRIMITIVA
Mai le donne ricevettero il sacramento dell'ordine e S. Giovanni Paolo II nel 1994 chiuse definitivamente la questione

A leggere i principali quotidiani di oggi sembra proprio che il Papa abbia aperto alla possibilità delle donne-preti. In realtà, Papa Bergoglio, nell'udienza tenuta ieri in Vaticano con le superiore religiose ha semplicemente posto la possibilità di riaprire lo studio sul diaconato femminile.
Non può certamente sfuggire che il diaconato sia, per gli uomini, il passo immediatamente precedente il sacerdozio e che esso rappresenti il primo grado dell'Ordine Sacro. 
LA COMMISSIONE TEOLOGICA INTERNAZIONALE (2003)
La proposta del Santo Padre si basa sulla fondata conoscenza della presenza di diaconesse nella Chiesa primitiva. Nel 2003 la Commiss. Teolog. Internaz. dopo anni di studi sul caso, emanò un documento in cui si lasciavano aperte alcune esegesi circa il diaconato delle donne, ma si affermava anche molto chiaramente che tale ruolo era differente sia dall'attuale che da quello propriamente maschile. Nel documento si ricorda che le diaconesse erano delle laiche incaricate in modo permanente all'istruzione delle catecumene, alle opere di carità, e a aiutare le donne adulte a svestirsi e rivestirsi in occasione del loro battesimo.
Nelle “Costituzioni Apostoliche”, apparse intorno il 380 in Siria, le loro funzioni erano così riassun-te: «La diaconessa non benedice e non compie nulla di ciò che fanno i presbiteri e i diaconi, ma vigila le porte e assiste i presbiteri in occasione del battesimo delle donne, per ragioni di decenza». Tra le altre fonti antiche troviamo quella Epifanio di Salamina che (verso il 375) così si esprime: «Esiste nella Chiesa l'Ordine delle diaconesse, ma non serve per esercitare le funzioni sacerdotali, né per affidargli qualche compito, ma per la decenza del sesso femminile, al momento del battesimo».
Il documento della Commissione Teologica ricorda che lo stile di vita delle diaconesse si avvicinerà a quello delle claustrali già alla fine del IV secolo. È detta allora diaconessa la responsabile di una comunità monastica di donne, come attesta, tra gli altri, Gregorio di Nissa. "Ordinate badesse dei monasteri femmini-li, le diaconesse portano il “maforion”, o velo di perfezione. Sino al VI secolo, assistono ancora le donne nella piscina battesimale e per l'unzione. Benché non servano all'altare, possono distribuire la comunione alle ammalate. […] Le diaconesse sono semplicemente vergini consacrate che hanno emesso il voto di castità. Risiedono sia nei monasteri, sia in casa propria. La condizione di ammissione è la verginità o la vedovanza, e la loro attività consiste nell' assistenza caritativa e sanitaria alle donne".

GIOVANNI PAOLO II: QUESTIONE CHIUSA
Anche l'imposizione delle mani da parte dei vescovi aveva per esse la funzione di benedizione, ma non di ordinazione, vietandole qualsiasi accesso all'altare e al ministero liturgico. In Occidente non si trovano tracce di diaconesse nei primi V secoli, mentre alcuni Concili del IV e V secolo respingono ogni ministerium feminae e vietano ogni ordinazione di diaconesse. 
Il documento ci informa, in sintesi, che un ministero delle diaconesse è realmente esistito anche se in modo diseguale nelle diverse parti della Chiesa. Ciò che invece è comune è «che tale ministero non era inteso come il semplice equivalente femminile del diaconato maschile».  Sulla questione dell'eventuale ordinazione femminile si era espresso recentemente in modo contrario Paolo VI e la questione è stata chiusa definitiva-mente da Giovanni Paolo II nella Lettera apostolica Ordinatio sacerdotalis (1994). 
Quindi uno studio sul ruolo della donna nella Chiesa primitiva potrà certamente mettere in luce alcuni aspetti rimasti a tutt'oggi in ombra, ma non aprirà in alcun modo la strada al sacerdozio femminile. E questo Papa Francesco lo sa bene, a differenza della maggior parte dei giornalisti che insistono nello scrivere su questioni di cui hanno poca (o per nulla) conoscenza.
Il dibattito sulle donne diacono o sacerdote e il divieto della Chiesa cattolica a tale ordinazione non è di oggi. Non vi è dubbio che fin dalle origini le donne hanno avuto un ruolo importante nella diffu-sione del Vangelo. Alcuni esegeti, però, si spingono oltre, e sostengono che al tempo della prima evan-gelizzazione le donne hanno partecipato non solo alla missione, ma anche alla direzione delle Chiese domestiche. Questo primo periodo sarebbe stato per loro come una specie di "primavera", che però non  durò a lungo, perché prontamente riassorbita dal modello patriarcale di origine giudaica. 
Indi zio di tale regressione sarebbe il passo di 1 Cor 14, 33b-35, dove si ordina che le donne tacciano nelle assemblee. 

[Alcuni studiosi lo ritengono un'interpolazione, la cui portata restrittiva sarebbe rafforzata da 1 Tm 2, 11-12, che vieta alle donne di insegnare. Saremmo qui lontani da Gal 3, 28, con la sua affermazione che in Cristo, con il Battesimo, «non c'è più né maschio né femmina». Sarebbe questo il manifesto della mentalità egualitaria delle origini cristiane. Tale tendenza a escludere le donne dai posti direttivi si sarebbe poi rafforzata dal II secolo, con quella che è stata chiamata «la durissima e insofferente reazione cattolica». Di conseguenza, alcuni studiosi guardano con sempre maggiore simpatia ai gruppi gnostici ed eterodossi, nei quali si sarebbe meglio conservata «la prassi libera e liberante di Gesù».]
Certamente la Chiesa antica ha riconosciuto alle donne il dono dei carismi, in particolare quello profeti-co, e ha pure attribuito alle donne una qualche forma di ministero, come quello delle diaconesse, ma ha sempre escluso le donne dal ministero ordinato (episcopato, presbiterato, diaconato). Questo rifiuto appare motivato da un forte senso di fedeltà alla tradizione ricevuta da Cristo e dagli apostoli. Non fu però una presa di posi-zione irriflessa, sotto la pressione dalla cultura del tempo, ma scelta consapevole. Infatti, il problema dell'ac-cesso delle donne al ministero sacerdotale non è solo di oggi, ma era già presente nel loro tempo.
I “Canoni Ecclesiastici degli Apostoli” – opera fittizia del III secolo – immaginano una discussione tra gli stessi apostoli proprio sul ministero delle donne: la risposta che danno è negativa per quanto riguarda il ministero liturgico (l'offerta eucaristica), mentre è positiva rispetto al servizio di assistenza. La Tradizione Apostolica – opera anch'essa del III secolo –, riconosce che c'è l'ordine delle vedove, ma nega che ci sia una "ordinazione" per le vedove, dato che esse non hanno un ufficio sacerdotale e liturgico direttamente correla-to all'eucaristia, il che equivale a una esplicita esclusione delle donne dal ministero ordinato. 
Spesso s'invoca il fattore culturale: nel mondo antico, si dice, le donne erano relegate nella sfera privata, all'interno della famiglia, e la Chiesa non ha fatto altro che adeguarsi a tale mentalità. Sarebbe stato impen sabile che ci fosse stata una donna a capo di una comunità a presiedere l'Eucaristia, perché ciò sarebbe stato in contrasto con la cultura del tempo, segnata dalla dominazione maschile e patriarcale. C'è qualcosa di vero in queste affermazioni: l'inferiorità della donna rispetto all'uomo nella sfera pubblica era così radicata da essere considerata un dato naturale e non culturale

Ma ci sono altri aspetti da prendere in considerazione e che mostrano la complessità della questione.
1 – In primo luogo, quando si è in presenza di un divieto, come quello che impone alle donne di tacere nelle assemblee (1 Cor 14,33-35), o il divieto di insegnamento (1 Tm 2,11-12), va rilevato che tali divieti sono signifi-cativi solo se vanno contro una tendenza opposta. Il che significa che già al tempo di Paolo c'erano esponen-ti del sesso femminile che aspiravano ad avere libertà di parola nelle pubbliche assemblee. Tertulliano, più di un secolo dopo, dice che alcune donne rivendicavano il diritto di battezzare e insegnare adducendo l'esempio di Tecla, l'eroina del romanzo religioso che andava sotto il nome di Atti di Paolo. Forse, anche allora, da alcune donne, le restrizioni imposte dalla Chiesa nei loro confronti erano percepite come un ostacolo o come una discriminazione da superare. La prova ne è che al di fuori della Chiesa cattolica,[ come ad esempio nelle sette montaniste, gnostiche e marcionite], le donne occupavano subito senza problemi lo spazio che questi gruppi, liberi dai vincoli della tradizione, offrivano loro. Così non è raro trovare in questi gruppi donne in posizioni di responsabilità e di leadership, compresa la presidenza nel culto liturgico. Lo gnostico Marco – come riporta Ireneo di Lione alla fine del II sec. –, incitava le donne a profetizzare e le chiamava accanto a sé perché consacrassero anch'esse il calice del vino, in una parvenza di Eucaristia. Ed erano in molte a seguirlo. Nelle comunità gnostiche, a dispetto del dogma paolino, le donne potevano non solo profetare, ma anche insegnare e celebrare riti sacramentali in qualità di sacerdotesse. In sostanza, il ministero femminile era una bandiera delle sette eterodosse. Questa "apertura" dei gruppi settari verso le donne corrispondeva alla cultura del tempo, che attestava la presenza delle donne anche ai livelli più alti delle gerarchie religiose. 

 chiaramente contro-culturale 

Dal documento della Commissione Teologica Internazionale (istituita presso la Congregazione per la Dottrina della Fede) "Il diaconato: evoluzione e prospettive" del 2003 (capitolo II, sezione IV):

DIACONESSE 
(nella storia della Chiesa)

In epoca apostolica, diverse forme di assistenza diaconale agli apostoli e alle comunità esercitate da donne sembrano avere un carattere istituzionale. Così Paolo raccomanda alla comunità di Roma «Febe, nostra sorella, diaconessa (he diakonos) della Chiesa di Cencre» (cfr Rm 16,1-4).
Benché qui sia usata la forma maschile di diakonos, non possiamo concludere che essa indichi già la funzione specifica di «diacono»; da una parte, perché, in questo contesto, diakonos significa ancora, in un senso molto generale, servo e, d’altra parte, perché la parola «servo» non ha un suffisso femminile, ma è preceduta da un articolo femminile.
Ciò che pare certo è che Febe ha esercitato un servizio nella comunità di Cencre, riconosciuto e subordinato al ministero dell’Apostolo. Altrove, in Paolo, le stesse autorità civili sono chiamate diakonos (Rm 13,4) e, in 2 Cor 11,14-15, si parla di diakonoi del diavolo.
Gli esegeti sono divisi riguardo a 1 Tm 3,11. La menzione delle «donne», dopo i diaconi, può far pensare a donne-diaconi (stessa presentazione con «similmente»), o alle spose dei diaconi dei quali si è parlato prima. In questa Lettera non sono descritte le funzioni del diacono, ma solamente le condizioni della loro ammissione. Si dice che le donne non devono insegnare né dirigere gli uomini (1 Tm 2,8-15). Ma le funzioni di direzione e di insegnamento sono in ogni caso riservate al vescovo (1 Tm 3,5) e ai presbiteri (1 Tm 5,17), non ai diaconi.
Le vedove costituiscono un gruppo riconosciuto nella comunità, da cui ricevono assistenza in cambio del loro impegno alla continenza e alla preghiera. 1 Tm 5,3-16 insiste sulle condizioni della loro iscrizione nella lista delle vedove aiutate dalla comunità e non dice altro sulle loro eventuali funzioni. Più tardi, esse saranno ufficialmente «istituite», ma «non ordinate»; costituiranno un «ordine» nella Chiesa e non avranno mai altra missione che il buon esempio e la preghiera.
*  All’inizio del II secolo, una Lettera di Plinio il Giovane, governatore della Bitinia, menziona due donne, designate dai cristiani come ministrae, equivalente probabile del greco diakonoi (X 96-97).
*   Solamente nel III secolo compaiono i termini specificamente cristiani di diaconissa o diacona.
Infatti, a partire dal III secolo, in alcune regioni della Chiesa – e non in tutte – è attestato un ministero ecclesiale specifico attribuito alle donne chiamate diaconesse. Si tratta della Siria orientale e di Costantinopoli. 
  • Verso il 240 compare una compilazione canonico-liturgica singolare, la Didascalia degli Apostoli (DA), che non ha carattere ufficiale. Il vescovo vi ha i tratti di un patriarca biblico onnipotente (cfr DA 2,33-35,3). È a capo di una piccola comunità, che egli dirige, soprattutto con l'aiuto di diaconi e diaconesse.
Queste ultime fanno qui la loro prima apparizione in un documento ecclesiastico. Secondo una tipologia presa a prestito da Ignazio di Antiochia, il vescovo occupa il posto di Dio Padre, il diacono quello di Cristo e la diaconessa quella dello Spirito Santo (parola al femminile nelle lingue semitiche), mentre i presbiteri (poco citati) rappresentano gli Apostoli, e le vedove l'altare (DA 2,26,4-7). Non si parla dell’ordinazione di questi ministri.
La Didascalia mette l’accento sul ruolo caritativo del diacono e della diaconessa. Il ministero della diaconia deve apparire come «una sola anima in due corpi». Esso ha per modello la diaconia di Cristo, che ha lavato i piedi ai suoi discepoli (DA 3, 13, 1-7). Ma, non c’è uno stretto parallelismo tra i due rami del diaconato quanto alle funzioni esercitate. I diaconi sono scelti dal vescovo per «occuparsi di molte cose necessarie», e le diaconesse solamente «per il servizio delle donne» (DA 3, 12, 1). È desiderabile che «il numero dei diaconi sia in proporzione a quello dell’assemblea del popolo di Dio» (DA 3, 13, 1).
I diaconi amministrano i beni della comunità in nome del vescovo; e, come il vescovo, sono mantenuti da essa. I diaconi sono detti orecchie e bocca del vescovo (DA 2, 44, 3-4). Il fedele deve   –1–pas-are attraverso di essi per accedere al vescovo; allo stesso modo le donne devono passare attraverso le diaconesse (DA 3, 12, 1-4). Un diacono vigila gli ingressi nella sala delle riunioni, mentre un altro assiste il vescovo per l’offerta eucaristica (DA 2, 57, 6).
La diaconessa deve procedere all’unzione corporale delle donne al momento del battesimo, istruire le donne neofite, andare a visitare a casa le donne credenti e soprattutto le ammalate. Le è vietato am-ministrare il battesimo o svolgere un ruolo nell’offerta eucaristica (DA 3, 12, 1-4). Le diaconesse hanno preso il sopravvento sulle vedove. Il vescovo può sempre istituire vedove, ma esse non devono né insegnare né amministrare il battesimo (delle donne), ma soltanto pregare (DA 3, 5, 1-3; 6, 2).  
*  Le Costituzioni apostoliche (CA), apparse verso il 380 in Siria, utilizzano e interpolano la Didascalia, la Didachè e anche la Tradizione apostolica. Eserciteranno un influsso durevole sulla disciplina delle ordinazioni in Oriente, benché non siano state mai considerate una raccolta canonica ufficiale. Il compilatore prevede l’imposizione delle mani con epiclesi dello Spirito Santo non solo per i vescovi, i presbiteri e i diaconi, ma anche per le diaconesse, i suddiaconi e i lettori (cfr CA VIII 16-23).
La nozione di klēros è estesa a tutti coloro che esercitano un ministero liturgico, che traggono la loro sussistenza dalla Chiesa e godono dei privilegi civili che la legislazione imperiale concede ai chierici, in modo che le diaconesse fanno parte del clero, mentre le vedove ne rimangono escluse.
Vescovo e presbiteri sono visti in parallelo rispettivamente con il sommo sacerdote e i preti dell’antica Alleanza, mentre ai leviti corrispondono tutti gli altri ministri e stati di vita: «diaconi, lettori, cantori, ostiari, diaconesse, vedove, vergini e orfani» (CA II, 26, 3; VIII 1,21). Il diacono è posto «al servizio del vescovo e dei presbiteri», e non deve usurpare le funzioni di questi ultimi.
Il diacono può proclamare il Vangelo e guidare la preghiera dell’assemblea (CA II 57, 18), ma solo il ve-scovo e i presbiteri esortano (CA II 57, 7). L’entrata in funzione delle diaconesse si fa con una epithesis cheiron o imposizione delle mani che conferisce lo Spirito Santo, come per il lettore (CA VIII 20; 22).
Il vescovo pronuncia la seguente preghiera: «Dio, eterno, Padre di Nostro Signore Gesù Cristo, creatore dell’uomo e della donna, tu che hai riempito di spirito Myriam, Debora, Anna e Ulda, che non hai giudicato indegno che tuo Figlio, l’Unigenito, nascesse da una donna, tu che nella tenda della testimonianza e nel tempio hai istituito custodi per le tue porte sante, tu stesso guarda ora la tua serva qui presente, proposta per il diaconato, donale lo Spirito Santo e purificala da ogni impurità della carne e dello spirito perché compia degnamente l’ufficio che le è stato affidato, per la tua gloria e a lode del tuo Cristo, da cui a te gloria e adorazione nello Spirito Santo per i secoli. Amen».
Le diaconesse sono nominate prima del suddiacono, il quale riceve una cheirotonia come il dia-cono , mentre le vergini e le vedove non possono essere «ordinate» (VIII 24-25). Le Costituzioni insistono affinché le diaconesse non abbiano alcuna funzione liturgica, ma estendono le loro funzioni comunitarie di «servizio presso le donne» (CA III 16,1) e di intermediarie tra le donne e il vescovo. Si dice sempre che esse rappresentano lo Spirito Santo, ma «non fanno nulla senza il diacono» (CA II 26, 6). Devono stare agli ingressi delle donne nelle assemblee (Il 57, 10). Le loro funzioni sono così riassunte: «La diaconessa non benedice e non compie nulla di ciò che fanno i presbiteri e i diaconi, ma vigila le porte e assiste i presbiteri in occasione del battesimo delle donne, per ragioni di decenza» (CA VIII 28, 6).
A questa osservazione fa eco quella, quasi contemporanea, di Epifanio di Salamina nel Panarion (verso il 375): «Esiste nella Chiesa l’ordine delle diaconesse, ma non serve per esercitare le funzioni sacerdotali, né per affidargli qualche compito, ma per la decenza del sesso femminile, al momento del battesimo». Una legge di Teodosio del 21 giugno 390, revocata il 23 agosto successivo, fissava a 60 anni l’età di ammissione al ministero delle diaconesse. Il Concilio di Calcedonia (can. 15) lo riportava a 40 anni vietando loro il susseguente matrimonio.
Già nel IV secolo il genere di vita delle diaconesse si avvicina a quello delle claustrali. È detta al-lora diaconessa la responsabile di una comunità monastica di donne, come attesta, tra gli altri, Gregorio di Nissa. Ordinate badesse dei monasteri femminili, le diaconesse portano il maforion, o velo di perfezione. Sino al VI secolo, assistono ancora le donne nella piscina battesimale e per l’unzione.
Benché non servano all’altare, possono distribuire la comunione alle ammalate. Quando la prassi batte-simale dell’unzione del corpo fu abbandonata, le diaconesse sono semplicemente vergini consacrate che hanno emesso il voto di castità. Risiedono sia nei monasteri, sia in casa propria. – 2 –
La condizione di ammissione è la verginità o la vedovanza, e la loro attività consiste nell’assistenza caritativa e sanitaria alle donne.
A Costantinopoli, la più nota diaconessa nel IV secolo è Olimpia, igumena (badessa) di un mona stero di donne, protetta da san Giovanni Crisostomo, la quale mise i propri beni al servizio della Chiesa. Fu «ordinata» (cheirotonein) diaconessa con tre sue compagne dal patriarca. Il can. 15 di Calcedonia (451) sembra confermare il fatto che le diaconesse sono veramente «ordinate» con l’imposizione delle mani (cheirotonia). Il loro ministero è detto leitourgia, e ad esse non è più permesso di contrarre matrimonio dopo l’ordinazione.
Nel sec. VIII, a Bisanzio, il vescovo impone sempre le mani sulla diaconessa e le conferisce l’orarion o stola (i due lembi vengono sovrapposti sul davanti); le consegna un calice che ella depone sull’altare, senza far comunicare nessuno. È ordinata durante la liturgia eucaristica nel santuario come i diaconi. Nonostante le somiglianze dei riti di ordinazione, la diaconessa non avrà accesso né all’altare né ad alcun ministero liturgico. Tali ordinazioni riguardano soprattutto “igumene” (badesse) di mona-steri femminili.  
Precisiamo che in Occidente non troviamo tracce di diaconesse nei primi cinque secoli. Gli Statuta Ecclesiae antiqua prevedevano che l’istruzione delle donne “catecumene” e la loro preparazio-ne al battesimo fossero affidate alle vedove e alle claustrali «scelte ad ministerium baptizandarum mulierum». 
• Alcuni Concili del IV e V secolo respingono ogni ministerium feminae e vietano ogni ordinazione di diaconesse. Secondo l’Ambrosiaster (a Roma, fine IV secolo), il diaconato femminile era appannaggio degli eretici montanisti.
• Nel VI secolo, come diaconesse si indicano talvolta donne ammesse nel gruppo delle vedove. Per evitare ogni confusione, il Concilio di Epaona vieta «la consacrazione di vedove che si fanno chiamare diaconesse». Il Concilio di Orléans (533) decide di escludere dalla comunione le donne che avessero «ricevuto la benedizione del diaconato malgrado la proibizione dei canoni e che si fossero risposate». Diaconissae erano pure chiamate badesse o spose di diaconi, per analogia alle presbyterissae e perfino alle episcopissae.
  
** Questa rapida carrellata storica mostra che è veramente esistito un ministero di diaconesse che si è sviluppato in maniera diseguale nelle diverse parti della Chiesa
Sembra evidente che tale ministero non era inteso come il semplice equivalente femminile del diaconato maschile. 
Si tratta per lo meno di una funzione ecclesiale, esercitata da donne, talvolta menzionata prima del suddiacono nella lista dei ministeri della Chiesa.

Tale ministero era conferito con un’imposizione delle mani paragonabile a quella con cui erano conferiti l’episcopato, il presbiterato e il diaconato maschile?
Il testo delle Costituzioni apostoliche lo lascerebbe pensare, ma si tratta di una testimonianza quasi unica, e la sua interpretazione è oggetto di intense discussioni. L’imposizione delle mani sulle diaconesse dev’essere equiparata a quella compiuta sui diaconi o si situa piuttosto nella linea dell’imposizione delle mani fatta sul suddiacono e sul lettore?
 E difficile dirimere la questione partendo dai soli dati storici [...].

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