AFORISMA

Meglio aggiungere vita ai giorni, che non giorni alla vita
(Rita Levi Montalcini)

Nostra Signora del Carmelo

Nostra Signora del Carmelo
colei che ci ha donato lo scapolare

venerdì 1 marzo 2013

S. CLAUDIO LA COLOMBIERE


S. Claudio La Colombière 
1641 -1682
Claudio nacque nel Delfinato a Saint Symphorien d'Ozon il 2 febbraio, terzo figlio di Bertrand, notaio, che con la sua professione  garantiva  agiatezza e sicuro avvenire alla sua famiglia. A nove anni fu iscritto al Collegio dei Gesuiti di Lione dove si fece subito apprezzare per l'intelligenza, lo studio e la pratica di quei valori cristiani ricevuti dai genitori. Nulla faceva presagire la sua vocazione al sacerdozio, infatti in una lettera del 1679 (lett.70) ad una madre che riteneva stravagante la scelta religiosa della figlia scriverà: "Anch'io avevo una terribile avversione per la via nella quale mi sono impegnato, quando mi feci religioso". Claudio anche da adolescente ebbe cari gli affetti familiari, amò l'amicizia, apprezzò la letteratura, l'arte e tutti gli aspetti più positivi della vita sociale, eppure alla fine degli studi secondari chiese, a diciassette anni,  di entrare come novizio nella Compagnia di Gesù. Di questa scelta non si conoscono i motivi, senza essere sentimentale, fu il sì ad una chiamata che lo indusse a superare la giovanile avversione alla vita consacrata. Il 15 ottobre 1658 entrò nel Noviziato di Avignone da cui uscì con questo giudizio: "Claude La Colombière ha tre grandi doti: un raro buon senso, una prudenza spiccata, un' esperienza già molto sviluppata; il suo temperamento è pieno di soavità, le sue forze fisiche sono delicate". Aveva diciannove anni. "Ad omnia factus", che significava la sua capacità ad assumere qualsiasi compito nella Compagnia, concludeva l'elogio. Il 20 ottobre 1660 emise i primi voti e ritornò a Lione per la conclusione degli studi filosofici e per laurearsi in Letteratura e Grammatica. Per le sue riconosciute doti intellettuali unite alla  sua umanità nel 1666 ebbe l'incarico di precettore dei due figli di Colbert, allora ministro delle Finanze di Luigi XIV. Poteva essere l'inizio di una carriera prestigiosa  quando Colbert, curiosando fra le carte del precettore, scoprì che egli aveva trascritto una barzelletta fra le tante che circolavano sul suo conto. Claudio, solo per questo, fu espulso da Parigi con effetto immediato. Ordinato sacerdote il 6 aprile 1669 fu nominato professore di Retorica al Collegio di Lione e per disposizione del Rettore, P. De La Chaise, il futuro confessore del Re, si dedicò anche alla predicazione con la quale  infondeva serenità e fiducia in Dio. Il periodo tra il 1674 e il 1675 fu decisivo, aveva fatto il voto particolare di osservare tutte le regole della Compagnia, anche le più piccole per educarsi ad un'obbedienza sempre più pronta e generosa. Dopo la professione solenne del 2 febbraio 1675 fu mandato a Paray-Le Monial, sede modesta rispetto alle doti e al credito che tutti gli riconoscevano. Obbedì, a Paray lo attendeva un compito delicatissimo: un'umile religiosa del Monastero della Visitazione, Margherita Maria Alacoque, viveva da tempo un'angosciosa incertezza aggravata dalla diffidenza di molti perché fra le rivelazioni e visioni che Gesù le donava dei tesori del Suo Cuore ella aspettava che il Signore mantenesse la promessa di inviarle un suo "servo fedele e amico perfetto" che l'aiutasse nella missione alla quale Gesù la destinava: manifestare al mondo la profondità e le ricchezze imperscrutabili del Suo Cuore. A Paray-Le Monial si incrociarono due che erano, ma non si sapevano, santi.

La presenza di p. Claudio a Paray-le-Monial fu determinante per rassicurare la giovane suora Margherita Maria Alacoque che per cultura e ceto sociale era apparentemente la più insignificante delle quaranta suore del monastero della Visitazione. Ella era da tempo oggetto di forti contraddizioni e diffidenze per alcune sue visioni che la comunità riteneva del tutto discutibili e interpretava come allarmanti stranezze. Anche il priore di una vicina abbazia benedettina, richiesto di un parere, commentò: "Fate mangiare della buona zuppa a questa figlia, e tutto andrà meglio". Verso la fine di febbraio 1675 si era presentato in monastero qualche giorno dopo il suo arrivo,  fu allora che nel parlatorio suor Margherita Maria si sentì dire internamente: "Ecco colui che ti mando", così come il Signore le aveva precedentemente promesso. Dopo i primi incontri con lei egli riconobbe che quelle visioni mistiche, che avevano agitato la vita del monastero e che erano  relative al Sacro Cuore di Gesù e alla grandezza del Suo amore per gli uomini, non erano ubbie personali, il frutto di una mente visionaria, ma comprese che la giovane monaca era stata scelta, nella sua apparente insignificanza, a rivelarle e a diffonderle nella Chiesa e nel mondo. Mormorazioni e opposizioni  non cessarono e nemmeno l'accusa di un deliberato inganno della suora mutò il giudizio di p. Claudio che continuò a sostenerla dimostrandosi un vero padre e un ottimo direttore spirituale dotato di fine intuito e chiarezza di giudizio. P. Claudio La Colombière può a tutti gli effetti considerarsi determinante per l'affermarsi del culto del Sacro Cuore di Gesù, non solo per aver riconosciuto autentiche le rivelazioni, ma per esserne anche stato il primo propagatore opponendosi in tal modo al rigorismo fatalista e negatore della misericordia di Dio tipico dei Giansenisti del secolo,  fautori di un Dio rigoroso e negatori del libero arbitrio attraverso la loro "dottrina" della predestinazione. Le rivelazioni di Gesù a suor Margherita Maria rivelano un Dio capace di immenso amore e di infinita misericordia, il cui Cuore  si delinea come il simbolo più vivo con la bellezza e la profondità dei suoi sentimenti ed affetti per l'uomo peccatore. La missione di p. Claudio a Paray volgeva al termine, la sua  presenza aveva riportato alla fede cattolica anche molti protestanti del posto. Nel 1676 fu inviato in Inghilterra con l'incarico di predicatore della duchessa di York, Maria Beatrice d'Este, moglie di Giacomo II l' erede al trono. A corte  visse una vita ritiratissima consapevole dell'ostilità anti cattolica della corte e limitandosi a frequentare persone solo per necessità o per ragioni di ministero. Della pensione che godeva si serviva per aiutare poveri, malati o per soccorrere i convertiti. Alla duchessa predicava in francese, del resto ai sudditi inglesi  era stato proibito ascoltare la sua predicazione e frequentare la cappella, eppure seppe conquistarsi la fiducia di tutti. Aveva imparato l'inglese in breve tempo per meglio incoraggiare i cattolici e i religiosi in clandestinità. Nei diciotto mesi  di permanenza  a Londra ricondusse alla fede venticinque religiosi apostati e intere famiglie che per paura erano passate all'anglicanesimo, la religione di stato. Il clima londinese  evidenziò i primi sintomi della tubercolosi per cui i superiori gli consigliarono di ritornare in patria fu invece arrestato con l'accusa di  "complotto papista" con  duemila cattolici. Era la fine del 1678. P. Claudio fu imputato di aver ricevuto abiure, di aver organizzato la vita religiosa dei cattolici londinesi e sostenuto un monastero clandestino. Tre settimane di prigionia e di rigida reclusione nel terribile carcere di King's Bench aggravarono la tubercolosi. Alla fine fu espulso dall'Inghilterra per decreto reale per non urtare la suscettibilità del re di Francia Luigi XIV. Quando arrivò a Lione i superiori lo mandarono subito a curarsi in famiglia, poi venne incaricato della direzione spirituale degli studenti del collegio della Trinità. Con l'obbligo di avere più cura di sé p. Claudio si accusava di dare cattivo esempio, ma in realtà era ammirabile per la sua fedeltà alla Regola, l'umiltà, la pazienza e per la sua direzione spirituale soave e nello stesso tempo forte. Intanto si rendeva perfettamente conto dell'avanzare inesorabile della malattia, ma egli non solo la accettava, ma arrivò a considerarla come "una delle più  grandi misericordie che il Signore gli avesse usato". Anteponeva l'accettazione della malattia a ogni altra opera per la salvezza delle anime perché in essa vedeva chiara la volontà di Dio e faceva il sacrificio della sua. Nell'agosto del 1681 era a Paray, ma in uno stato di debolezza tale da non potersi più spogliare da solo. Quando pensava al beneficio di un cambiamento d'aria presso un fratello gli pervenne un biglietto di suor Margherita Maria  in cui gli scriveva: "Il Signore mi ha detto che vuole il sacrificio della vostra vita qui". P. Claudio comprese. Pochi giorni dopo lo assalì una febbre altissima, morì il 15 febbraio 1682 dopo una violenta emottisi. E' sepolto nella Cappella dei Gesuiti di Paray-le-Monial non lontano dal monastero dove riposa la sua diletta discepola. 
Roberto Arioli


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