SULLE CIME «OH… L’AMO! … DIO MIO... VI… AMO!»
Il fatto nuovo, che diede inizio ad un altro periodo di vita, fu l'elezione della sorella Paolina a priora del monastero. Paolina (suor Agnese) aveva 32 anni di età e 11 di vita religiosa. Era una priora giovane e decisa a rinnovare la vita comunitaria nella ricerca di maggior adesione allo spirito delle leggi carmelitane.
Giovane "Maestra" delle novizie [Fine febbraio 1893-1897]. Teresa rimase così in Noviziato.
Eletta priora il 20-2-1893, Agnese di Gesù, che ha intuito la ricchezza di vita interiore della “sorellina”, affianca – nella formazione delle giovani suore – Teresa alla ex-priora suor Maria Gonzaga (ora Maestra delle novizie). [Siamo a fine febbraio 1893-1897. Teresa non scende in comunità, rimase così in Noviziato.]
Nonostante la giovane età (ha 20 anni) lei è abbastanza matura da accorgersi «immediatamente» che si tratta di un lavoro di cooperazione divina, non soltanto difficile, ma «impossibile»; e pensa che non potrà compiere l'opera se non s’installerà «tra le braccia» del Signore (cfr. C–310/316).
Fra l'altro l’incarico comportava di trattare con giovani suore anche più anziane di lei! Teresa confesserà:
«Se mi fossi appoggiata, sia pur di pochissimo alle mie proprie forze, avrei ben presto reso le armi. Di lontano appare tutto rosa far del bene alle anime, far amar Dio più e meglio; insomma, modellarle secondo le nostre vedute e secondo i nostri pensieri personali.
Da vicino, è tutto il contrario: la tinta rosa è scomparsa; si sente che far del bene è tanto impossibile senza il soccorso del Signore, quanto far brillare il sole di notte. Si sente che bisogna assolutamente dimenticare i propri gusti, i nostri concetti personali, e guidare le anime sul cammino che Gesù ha tracciato loro, senza tentare di farle camminare sulla nostra via». (C-311)
E osserva acutamente: «Quello che mi costa più che tutto il resto è di osservare le mancanze, le imperfezioni più leggere, e scatenar contro di esse una guerra a morte... Nulla sfugge al mio sguardo e spesso mi meraviglio di vederci tanto chiaro... Preferirei le mille volte ricevere dei rimproveri, anziché farne agli altri; ma sento che è proprio necessario che ciò mi sia di sofferenza: e questo perché quando si agisce per natura, è impossibile che l'anima cui vogliamo rivelare le sue colpe capisca i propri torti. Essa vedrà una cosa sola: “La consorella incaricata di dirigermi è arrabbiata con me”, e tutto ricade su me, che sono animata dalle migliori intenzioni». (C-312)
Teresa è ben conscia che le sue novizie la «trovano severa», ma il suo amore per loro è così puro che non le importa che lo sappiano. Ha appreso per esperienza che ci sono molto più differenze tra le anime che tra i volti, anche se tutte le anime subiscono più o meno gli stessi combattimenti.
Ha imparato a trattare – secondo i casi – con dolcezza, a farsi lei stessa piccola; ma è pure convinta che
«per far del bene, occorre molta fermezza, e non tornar mai su ciò che è stato detto. Il Signore mi ha fatto la grazia di non farmi temere la guerra; debbo fare il mio dovere a qualunque costo». (C-314)
Ma soprattutto ha compreso che
«sono preghiera e sacrificio che formano tutta la mia forza: sono le armi invincibili che Gesù mi ha dato. Toccano le anime ben più che i discorsi: ne ho fatto esperienza spesso». (C-315)
– Il nuovo incarico non esentò Teresa dalle incombenze del monastero: ebbe, a tempi alterni, l'ufficio di sacre–stana, portinaia, refettoriera, lavandaia, ecc; non esercitò, invece, mai l'ufficio d’infermiera benché lo desiderasse.
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* È in queste disposizioni che ella apprende, il 29 luglio 1894, la morte del padre.
* Ma il 14 settembre, ha una grandissima consolazione: accoglie al Carmelo sua sorella Celina (suor Genoveffa del Volto Santo) per cui aveva tanto pregato.
* Nel gennaio 1895, dietro ordine della priora, madre Agnese di Gesù, Teresa inizia a scrivere la storia della sua anima (manoscritto A)
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• L'offerta all'AMORE MISERICORDIOSO (9 giugno 1895).
La festa della SS. Trinità (9 giugno) segna nella sua vita interiore un mutamento decisivo.
Durante la santa Messa ella riceve una nuova grazia: una grazia che non si riferisce più direttamente alle sue aspirazioni o ai suoi impegni, ma alla natura stessa di Dio e ai suoi pensieri.
Improvvisamente, infatti, ella comprende «più che mai quanto Gesù desideri essere amato».
L'immediata conclusione è che l'ideale del Carmelo ["berulliano"] non le può bastare. Offrirsi, cioè «quali vittime alla Giustizia di Dio per stornare ed attirare su di sé i castighi riservati ai peccatori» è senza dubbio generosità ammirevole, ma resta inadeguata a ciò che Dio è, a ciò che Egli vuole. Soltanto un’"offerta di olocausto all'Amore misericordioso” è in grado di ristabilire l'ordine spezzato dal peccato, rifiuto di quell'Amore.
«Da ogni parte [il Vostro Amore] è misconosciuto, respinto; i cuori ai quali desiderate prodigarlo si volgono verso le creature, chiedendo ad esse felicità col loro miserabile affetto, invece di gettarsi tra le vostre braccia e di accettare il vostro amore infinito.... Mi pare che se Voi trovaste anime che si offrissero come vittime di olocausto al vostro amore, voi le consumereste rapidamente; mi pare che sareste felice di non comprimere le onde d'infinita tenerezza che sono in voi» (A-238).
Teresa, dunque, sarà «quella felice vittima» che permetterà a Dio «di non più comprimere le ondate d'infinita tenerezza» che il disprezzo dei peccatori impedisce di sgorgare dal suo Cuore.
Con simile offerta Teresa non intende compiere un gesto “devozionale”, ma assumere un atteggiamento di totale adesione al disegno di Dio. Da questo momento, suo proposito è «di vivere in un atto di perfetto Amore» e, proprio in virtù di tale olocausto, divenire martire di questo Amore misericordioso.
* MARTIRE (9 giugno 1895 – 30 settembre 1897)
Poiché, per amar Dio come Lui desidera, occorre amare quest’Amore infinito con il Suo proprio amore, la "nuova vittima di olocausto", si abbandona in modo così totale a quest'Amore misericordioso, che lei ormai intende convincere gli uomini, – con la sua vita e con la sua morte –, che Dio è amore e misericordia.
Sarebbe, quindi, impossibile interpretare correttamente il senso dei ventisette mesi che le restano da vivere, e misurarne la portata, se ci si contentasse di descriverne i diversi elementi senza riferirli a tale intenzione sovrana: convincere gli uomini che Dio è Amore misericordioso.
[Pur rispettando la molteplicità dei dettagli rimarchevoli, è importante considerare tutto questo periodo in maniera unitaria, se si vuole afferrarne il significato profondo].
Ebbene, dal momento dell'“offerta” sino all'ultimo respiro, la vita di Teresa si dipana secondo due direttrici contraddittorie, di cui l'evidente incompatibilità, eroicamente superata, costituisce per l'appunto la materia del suo martirio.
a – Da una parte, sebbene consacrata all'Amore "misericordioso", ella si vede trattata non meno crudelmente che se si fosse offerta alla “giustizia di Dio” per espiare su di sé il male dei fratelli.
b – D'altro canto, non per questo lei cessa di perseverare nella propria certezza che Dio è Misericordia, e nella propria oblazione.
Soltanto portando in piena luce tale drammatico stato d'animo, si può capire di quale capitale verità suor Teresa del Bambino Gesù e del Volto Santo sia l'inconfondibile testimone.
* Le risposte del Signore (9 giugno 1895 – 2 aprile 1896).
1 – La prima risposta è completamente positiva.
• Durante dieci mesi, l'anima di Teresa, inondata di «oceani di grazie» – conosce una dilatazione, una gioia, una felicità inaudita: «Da quel giorno felice mi pare che l'amore mi compenetri e mi avvolga; mi pare che, ad ogni istante, quest’amore misericordioso mi rinnovi, mi purifichi l'anima e non lasci alcuna traccia di peccato ...». (A-238)
– Il 15 ott. 1895, madre Agnese accresce tale felicità affidandole un "fratello spirituale", il reverendo Maurizio Belliére, che diventerà poi "Padre bianco", missionario.
– Nella notte dal giovedì al Venerdì Santo (2-3 aprile) 1896, una prima emottisi le fa sperare d’entrare assai presto in cielo.
«Dopo essere rimasta al "sepolcro" fino a mezzanotte, rientrai nella nostra cella, ma avevo appena posato la testa sul cuscino che sentii un fiotto salire, salire quasi bollendo fino alle mie labbra. Non sapevo cosa fosse, ma pensai che forse sarei morta, e l'anima era colma di gioia... Tuttavia, la lampada era spenta. Dissi a me stessa che dovevo attendere sino al mattino per assicurarmi della mia felicità, perché mi pareva sangue quello che avevo vomitato. La mattina non si fece attendere molto. Svegliandomi pensai subito che avrei avuto una notizia allegra: mi avvicinai alla finestra, constatai che non mi ero ingannata: l'anima mia fu piena di consolazione grande. Ero persuasa intimamente che Gesù... volesse farmi udire il primo richiamo». (C-275)
L'emottisi si ripeterà la notte seguente. Tutto ciò è coerente, soddisfacente, rasserenante.
– Il 10 maggio 1896, un sogno consolante. La venerabile Anna di Gesù, la fondatrice del Carmelo in Francia, appare a Teresa, e le annuncia prossima la sua morte e la rassicura pienamente: “Il buon Dio non chiede altro da voi. È contento, assai contento!" –. Teresa sente allora che «vi è un Cielo e che questo Cielo è popolato di anime che la prediligono».
La bonaccia, tuttavia, è di breve durata.
– Sembra che Teresa non possa restar tranquilla. La vocazione stessa ad essere carmelitana, sposa di Gesù, madre di anime, sembra starle stretta. Sempre più intensamente si sente chiamata a tutte le forme, alle più diverse e più contraddittorie di apostolato esteriore ed attivo: combattente, sacerdote, apostolo, dottore, missionario, martire, ... dappertutto e sempre dall'inizio del mondo «fino alla consumazione nei secoli». (B-250/251). "Pazzie" certamente; ma si tratta di desideri così forti che richiedono una soluzione non illusoria.
Come per l'"ascensore", Teresa cerca una soluzione, una luce nella Scrittura. Ma stavolta la Scrittura non offre una risposta adeguata ed immediata. Senza scoraggiarsi Teresa continua
«la lettura, e trovai sollievo in questa frase: “Cercate con ardore i doni più perfetti, ma vi mostrerò una via ancor più perfetta”. E san Paolo spiega come i doni più perfetti sono un nulla senza l'Amore. La Carità è la via per eccellenza che conduce sicuramente a Dio» (B-253)
La Chiesa le si rivela così, come fornita di un cuore; ed è in questo cuore che risiede l'Amore eterno, Dio, principio unico di ogni vocazione. Irriducibilmente molteplici all'esterno, tutte le vocazioni vengono ad unificarsi in quest'Amore. Non è, quindi, impossibile essere “tutto”. Basta essere quest'Amore eterno.
«Capii che l'amore racchiude tutte le vocazioni; che l'amore è tutto, che abbraccia tutti i tempi e tutti i luoghi: in una parola, che è eterno. Allora, nell'eccesso della mia gioia delirante, esclamai: “Gesù, Amore mio, la mia vocazione l'ho trovata finalmente, la mia vocazione è l'amore!”» (B-254).
Orbene, l'“offerta all'Amore misericordioso” tendeva proprio a procurare tale unificazione. Fin dal 9 giugno 1895 Teresa aspirava a «vivere in un atto di amore perfetto». Facendo tale preghiera, però, ella non si rendeva ancora conto di tutta la sua ampiezza e.… delle conseguenze.
Le scopre nel momento stesso in cui Dio gliene mostra la natura ecclesiale. Per mezzo di questa fusione con l'Amore misericordioso, pur restando carmelitana, ella potrà vivere, nella Chiesa, tutte le vocazioni.
Nel cuore della Chiesa «sua Madre», ella sarà dunque Amore. E in questo modo sarà tutto.
Finalmente ha trovato la sua vocazione.
• La CARITÀ FRATERNA (1897).
Una volta pervenuta a tali profondità, Teresa riceve «la grazia di comprendere cos'è la carità». (C-288)
La carità fraterna non consiste semplicemente nell'amare il prossimo come se stessi. Questo semmai, era l'ideale sommo prima dell'Incarnazione. Ma dopo che Gesù ha dato “il suo comandamento” – specifica –:
«non si tratta più di amare il prossimo come se stessi, ma di amarlo come Lui, Gesù, lo ha amato, come Lui l'amerà sino alla consumazione dei secoli».
Ecco perché Teresa può affermare:
«La carità fraterna è tutto sulla terra; amiamo Dio nella misura in cui la pratichiamo». … «Capisco ora che la carità perfetta consiste nel sopportare i difetti degli altri, non stupirsi delle loro debolezze, edificarsi dei minimi atti di virtù che essi praticano; ma soprattutto ho capito che la carità non deve restare affatto chiusa in fondo al cuore... Mi pare che la carità [come una fiaccola] deve illuminare, rallegrare, non solo coloro che mi sono più cari, ma tutti coloro che sono nella casa, senza eccettuar nessuno». (C-289)
E lei la stava praticando. Si trovava ormai sfinita a letto dalla malattia, desiderosa soltanto di tranquillità, ma le consorelle continuavano a venire a visitarla. Confidò:
«Poco fa scrivevo riguardo alla carità, e ben spesso sono venute a disturbarmi. Ho cercato di non spazientirmi affatto, e di mettere io per prima in pratica ciò che scrivevo». (NV, 15 giugno 1897)
* «A TAVOLA COI PECCATORI» (aprile 1896 - 30 settembre. 1897)
Ma già, improvvisamente, «nei giorni così gioiosi del tempo pasquale», la gioia e la pienezza con Dio che l'avevano colmata, erano sparite. Il cielo non solo non si apriva più; si era annullato: «le tenebre più spesse» ne invadono l’anima. Il pensiero del Cielo così dolce per lei non è che argomento di lotta e di tormento».
Abbiamo appena visto come Teresa abbia scoperto la sua vocazione: "Nella Chiesa sarò l'amore!".
Si era consegnata all'Amore e ne ricevette la vulnerabilità. Verso chi l'Amore si sente più vulnerabile se non verso coloro che sono maggiormente privi d'amore, cioè privi di vita? Chi sono i più diseredati se non coloro che non credono all'Amore? Sono quindi esattamente questi peccatori a diventare suoi fratelli.
Ed i peccatori non parlano il suo linguaggio. Lei guarda il “cielo”; loro la sbeffeggiano: «Tu sogni la luce, una patria dai profumi più soavi; tu sogni di possedere eternamente il Creatore di tutte queste meraviglie, credi di uscire un giorno dalle brune che ti circondano. Avanti! Avanti! Rallegrati della morte che ti darà, non già ciò che speri, ma una notte ancor più profonda, la notte del nulla!». (C-278)
Aveva sognato il "deserto", ma non immaginava che potesse essere desolato fino a tal punto, perché ignorava che l'uomo potesse essere “solo” fino a tal punto...
Ora non sono più le parole di Gesù: "Ho sete!", a risuonare incessantemente; ma piuttosto i loro "Perché?", a riecheggiare nella notte. Il virus del sospetto, miasma del mondo contemporaneo, finisce con l'attaccarne la persona: “Rallegrati della morte, che ti darà non già ciò che speri, ma una notte ancora più profonda!”.
Ella giungerà persino a supplicare che non le si lasci a portata di mano una certa medicina, dicendo, appunto, di capire come, in determinati momenti, a chi è privo di fede, non resti che darsi alla morte. Tale vertigine di morte – che provoca oggi tante stragi –, non ha dunque risparmiato la cella di Teresa.
– Dove la speranza è morta, là c'è l'inferno: Teresa discende nel loro inferno. Se ancora ne dubitiamo, ebbene, ascoltiamo le sue confidenze fatte proprio poco prima della morte:
«Se sapeste quali spaventosi pensieri mi assediano! Pregate per me affinché non dia ascolto al demonio che vuole persuadermi di tante menzogne. Sono i ragionamenti dei peggiori materialisti che cerca-no di imporsi alla mia mente. Se non avessi la fede, non potrei sopportare tante sofferenze. Mi stupisce che non vi sia un numero maggiore di uomini che si danno la morte. Non vorrei neppure dirvi quanto sia nera la notte della mia anima per timore di contagiarvi con le mie tentazioni... Sapeste in quali tenebre mi trovo immersa! Non riesco a credere alla vita eterna. Mi sembra che dopo questa vita non ci sia nulla. Tutto è scomparso per me, non mi resta che l'amore». (Processo Apost.)
E Teresa benedice il Signore di averle inviato soltanto allora simile prova: «Se l'avessi avuta prima, sarei precipitata nello scoraggiamento». (C-280)
Esternamente nulla traspare; ma dirà: «Se si giudica dalle apparenze, può esserci un'anima meno provata della mia? Oh, se la prova che io soffro da un anno apparisse agli sguardi, che stupore!». (C-274) «Le sembrerò un'anima colma di consolazione, per la quale il velo della fede si è quasi squarciato, e tuttavia... non è più un velo, è un muro che si alza fino ai cieli e copre le stelle. Quando canto la felicità del Cielo, il possesso di Dio, non provo gioia alcuna, perché canto semplicemente ciò che voglio credere». (C-280)
Tale drammatica prova della propria fede e della propria speranza durerà fino al suo ultimo giorno.
• Tuttavia, non s'immagini una Teresa angosciata, inquieta, e neppure triste: mai è stata così sfavillante di gioia, così traboccante di umorismo! Nessuno suppone ciò che vive interiormente. Malgrado tale prova che le toglie ogni godimento, può tuttavia esclamare: «Signore. mi riempite di gioia con tutto ciò che fate».
VERSO LA GLORIA
(30 settembre 1897)
Nel 1894 suor Teresa fu colta da un persistente mal di gola che fu curato con cauterizzazioni al nitrato d'argento. Ne soffrì molto. Il 1° aprile del 1896, ebbe, come abbiamo visto, un'emottisi. Allora le fu ordinato del creosoto, e, per la gola, delle polverizzazioni.
Prima che terminasse la Quaresima del 1897 suor Teresa si ammalò gravemente. Le applicarono numerosi vescicanti e le praticarono frizioni con un guanto di crine, ma senza risultati apprezzabili. Perdette l'appetito e presto non riuscì più a digerire nulla. Ogni giorno, verso le tre del pomeriggio, l'assaliva la febbre alta. A più riprese la sottoposero a” punte di fuoco" al torace e le fecero spennellature di iodio. «Mi hanno liberata da qualsiasi incarico. Ho pensato che la mia morte non porterà il minimo disturbo alla Comunità».
Madre Agnese le chiede se le fa tristezza apparire alle sorelle come un membro inutile.
«Oh! Per questo! È l'ultima delle mie preoccupazioni. È proprio lo stesso per me!». (NV – 18-5-1897). Preferisco rimanere nella mia celletta, piuttosto che scendere nell'infermeria, perché qui non sentono quando tossisco e non disturbo nessuno, e poi, quando mi trovo curata troppo bene, non gioisco più». (NV-28 m.).
«Non lo so se andrò in Purgatorio. Non me ne angustio affatto. Ma se ci vado, non rimpiangerò mai di non aver fatto nulla per evitarlo; non mi pentirò mai d'aver lavorato soltanto per salvare le anime. Come sono stata felice sapendo che santa Teresa [d'Ávila, la fondatrice] la pensava così!». (NV - 4 giugno)
– Il 6 luglio 1897 ebbe nuove emorragie e il medico diagnosticò una gravissima congestione polmonare; proibì qualsiasi movimento, prescrisse ghiaccio, cataplasmi senapati, ventose, ecc. Teresa passò una pessima notte sul duro pagliericcio, travagliata da febbre intensa, oppressa da difficoltà respiratorie, profondamente prostrata, indebolita sempre più da sudori profusi.
«Il Signore, nel giardino degli Ulivi, godeva tutte le delizie della Trinità, eppure la sua agonia non fu meno crudele. È un mistero, ma le assicuro che ne capisco qualcosa per ciò che provo io stessa». (6 luglio).
Due giorni dopo fu trasferita giù, in infermeria. Era così debole che non riuscì più neppure a tenere la matita in mano.
– Fino al primo agosto le emorragie si ripeterono due o tre volte al giorno e le crisi di soffocazione furono terribili. L'oppressione era tale che neppure aspirando l'etere le giovava più. Tutti i giorni continuava a consumarla quella febbre ardente: ella ripeteva che si sentiva come in purgatorio. Dirà il 17 luglio:
«Sento di avviarmi al riposo. Ma soprattutto sento che la mia missione sta per iniziare: la mia missione di fare amare il Signore come io l'amo, e dare alle anime la mia piccola via. Se Dio misericordioso esaudisce i miei desideri, il mio paradiso trascorrerà sulla terra fino alla fine del mondo. Sì, voglio passare il mio Cielo a fare del bene sulla terra....».
Una consorella le aveva riferito questa riflessione fatta in ricreazione: – Non so perché si parla di suor Teresa di Gesù Bambino come di una santa; ha praticato la virtù, è vero, ma non era una virtù acquisita con le umiliazioni e le sofferenze –. Teresa: «E io che ho sofferto tanto fin dall'infanzia mia più tenera! Ah! come fa bene vedere l'opinione delle creature nel momento della morte!» (NV - 29 luglio).
Mostrando un bicchiere che conteneva una medicina amarissima, e che pure aveva l'aspetto di un liquore delizioso, mi disse: «Questo bicchiere è l'immagine della vita mia. Ieri una consorella mi diceva: – Spero che beviate un po' di liquore buono! –. Ed è la cosa più amara che io possa bere. Ebbene, madre mia cara, ecco ciò ch'è apparso agli occhi delle creature! È sembrato a loro, sempre, che io bevessi liquori squisiti, ed era amarezza. Ma no, anzi, la mia vita non è stata amara, perché ho saputo farmi gioia e dolcezza di tutte le amarezze». (NV - 30 luglio).
– Il 30 luglio ricevette l'Estrema Unzione e il Santo Viatico con fede e devozione ammirabili. Chiese perdono alla Comunità con parole così commoventi che le suore non poterono trattenere le lacrime.
– Le restavano ancora due mesi di martirio sulla terra, e li sopportò con pazienza eroica.
– Il 19 agosto riceve l'ultima Comunione. Era stata lì lì per sentirsi male, a causa della debolezza, quando intese salmodiare, sia pure a bassa voce, il "Miserere" prima della Comunione.
«Sto per perdere i sentimenti. Se sapessero che cosa provo! Stanotte, non ne potevo più: ho pregato la Vergine Santa che mi prendesse la testa fra le mani sue, per darmi forza di sopportare». (NV - 19 agosto)
– Rimase per vari giorni come muta per il dolore, e in un'angoscia indescrivibile: «Non avevo ancora passato una notte tanto cattiva... Mai avrei creduto di poter soffrire tanto». (23 agosto)
– Di quando in quando ci supplicava di pregare, e di far pregare per lei:
«Oh, quanto bisogna pregare per gli agonizzanti! Se si sapesse!». (25 agosto).
«Temo di aver avuto paura della morte! Ma non ho paura del dopo-morte... Solamente mi chiedo: Che cosa è questa misteriosa separazione dell'anima e del corpo? È la prima volta che ho provato questo, ma mi sono subito abbandonata al Signore misericordioso». (11 sett.)
«L'aria della terra mi manca! Dio misericordioso quando me ne darà del cielo...». (28 sett.)
• «MIO DIO, VI AMO!» (30 settembre 1897) – [Seguiamo da "Novissima Verba"].
Fin dalla mattina del 29 settembre pareva in agonia. Aveva un rantolo penosissimo; non poteva respirare. A mezzogiorno sussurrò alla Priora: «Madre mia, è l'agonia? Come farò a morire? Non saprò mai morire!».
Chiese che la lasciassero sola la notte, ma la Priora non volle acconsentire. Le sorelle, suor Maria del Sacro Cuore e suor Genoveffa (Celina) si divisero questa consolazione. Ricorda madre Agnese: “La mattina, l'assistei durante la Messa. Non diceva una parola: era sfinita, ansante. Le sue sofferenze, lo intuivo, erano inesprimibili. Per un momento giunse le mani e, guardando la santa Vergine posta in faccia al suo letto:
«Oh, l'ho pregata con un fervore! Ma è l'agonia pura, senza traccia di consolazione». E ancora:
«Se questa è l'agonia, che cosa è la morte?». «Sì, Dio mio, tutto quello che vorrete, ma abbiate pietà di me!»
«Sì, mi pare di aver cercato sempre la verità. Sì, ho capito l'umiltà di cuore»;
e fieramente, per due volte: «Non mi pento di essermi abbandonata all'Amore, anzi!». Poi:
«Non avrei mai creduto possibile soffrire tanto! Mai! Mai! Non posso spiegarmelo se non con i desideri ardenti che ho avuto di salvare le anime». Verso le 5 – racconta Madre Agnese – ero sola vicino a lei. Il volto cambiò ad un tratto; capii che l'agonia iniziava. Quando la comunità entrò nell'infermeria, lei accolse tutte le sorelle con un sorriso dolce. Stringeva in mano il suo Crocifisso e lo guardava continuamente.
Per più di due ore un rantolo terribile le squassò il petto. Il viso era congestionato, le mani, violacee; aveva i piedi ghiacci e tremava in tutte le membra. Il sudore abbondante cadeva a gocce enormi sulla fronte e scorreva sul volto.… Aveva la bocca tanto disseccata che Celina, pensando di darle sollievo, le pose sulle labbra un pezzettino di ghiaccio. Nessuno dimenticherà lo sguardo inesprimibile e il sorriso dolce ch'ella le rivolse in quel momento, come per consolarla e porgerle l'addio supremo.
– Alle 6, suonò l'Angelus. Lei alzò gli occhi verso la statua della Vergine. Com'era bello il suo sguardo! – Alle 7 e qualche minuto, la Priora, credendo stazionarie le condizioni, congedò la comunità. E la povera vittima sospirò: «Madre mia, non è ancora l'agonia? Non muoio ancora? ...». “Sì, figlia mia – rispose la Priora –, è l'agonia, ma il Signore vuole prolungarla, forse, di qualche ora…” .
Rispose coraggiosamente: «Ebbene.... Avanti! ... Avanti! Oh, non vorrei soffrire meno!».
E fissando gli occhi sul suo crocifisso: «Oh… l’amo! … Dio mio.... Vi… amo!».
Questa estasi durò pressappoco lo spazio di un Credo. Appena finita, Teresa rese l'ultimo sospiro.
– Dopo la morte, conservò un sorriso dolce. Era di una bellezza che rapiva.
– Teresa, stringeva così stretto il suo Crocifisso, che bisognò strapparglielo letteralmente dalle mani.
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