1 – Teresa e il Vangelo
Teresa, non ricevette mai una formazione teologica, a prescindere dal solito contesto di pietà e di libri di devozione proprie del tempo e dell’ambiente claustrale di allora.
Diremo semplicemente con la Santa stessa che:
«Solo Gesù mi ha dato lezione. Non è stato un libro o una teologia ad istruirmi...».
Con un sorriso un po' birichino confesserà in una lettera:
«Quando leggo certi trattati spirituali... il mio povero spirito è ben presto affaticato. Chiudo il dotto libro che mi spacca la testa e mi secca il cuore, e apro la Sacra Scrittura. Basta una sola parola perché scopra al mio animo orizzonti infiniti e la perfezione mi sembra facile».
È soprattutto il Vangelo a costituire la bussola, il compagno fedele di viaggio:
«Mi occupa durante la preghiera, trovandovi tutto quanto è necessario alla mia povera anima. Vi scopro continuamente luci nuove, significati nascosti e misteriosi». (A, 236)
Da tener presente che la presenza evangelica nella vita interiore di Teresa di Lisieux non si manifesta tanto sul piano di una conoscenza a livello conoscitivo.
È piuttosto un "sapere Christum", un '"assaporare Cristo", così che il “gusto” di Lui entra in lei e diventa il sostegno e la strada del camminare spirituale. Afferma la giovane e non letterata monaca di clausura:
«Mi basta anche un solo sguardo al Vangelo e subito respiro i profumi della vita di Gesù, subito so da quale parte correre». (C - 339)
Se poi vogliamo chiederci anche come i contenuti evangelici entrino nella sua vita, si deve riconoscere per lei una illuminazione interiore dello Spirito, che le fa leggere i testi con la “comprensione del cuore”, come afferma il Signore stesso nel Vangelo (Mt. 13,15). Una lezione, diremmo oggi, non teorica ma pratica, di un incontro “io-tu” con il Signore: intimo, profondo, silenzioso, personale, che tutto regola ed assorbe secondo una verità e certezza che è propria del Vangelo. Scrive Teresa:
«Gesù non ha bisogno né di libri né di maestri per istruire le anime; egli, il maestro dei maestri, insegna senza il rumore delle parole...
Non l'ho mai sentito parlare, ma io sento che Lui è in me, ogni momento.
Egli mi guida e m’ispira ciò che devo fare o dire. Proprio quando ne ho bisogno, io scopro delle verità che prima non avevo mai compreso». (A-236)
Certo: Teresa ha ben letto qualcosa d'altro e ha sentito ed interpellato diversi “maestri spirituali”, oltre alla Sacra Scrittura! Ma quanto più l'incontro con il Signore diventa dimensione profonda ed esperienza personale, tanto più la letteratura, la scienza umana si allontana e perde ogni significato:
«Quante luci ho trovate nelle opere del nostro Padre, san Giovanni della Croce!
All'età di diciassette e diciotto anni non avevo altro nutrimento spirituale, ma più tardi tutti i libri mi lasciarono nell'aridità, e sono ancora in questa condizione...». (A-236)
Non è disprezzo o noncuranza dell'umana scienza, ma esperienza d’una sapienza comunicata da un "Maestro interiore", Gesù.
«Senza mostrarsi, senza far sentire la propria voce, Gesù mi istruisce segretamente, non attraverso i libri, poiché io non capisco ciò che leggo» (B-241).
«Io capisco e so per esperienza che il regno di Dio è dentro di noi». (A-236))
•• Questo è il Maestro; e l'alunna Teresa?
L'alunna Teresa Martin si considerava piccola, debole, povera di risorse.
Si tratterà allora di trovare un sistema, un metodo, una via che permetta a lei, piccola, debole, povera, di entrare in rapporto, in sintonia con un tale maestro!
Ecco qui che si apre e si delinea la “sua” via, una via "nuova", la via della “piccolezza”!
L’ “Ascensore”
È sempre più che mai decisa a "diventare una grande santa", Teresa!
Ma pur non trovando in se stessa la forza di giungervi, lei non rinuncia affatto a tale ideale.
Il termine “impossibile” pare a lei sconosciuto; il desiderio di soffrire [come se la sofferenza rappresentasse la più totale possibilità di donazione] le appare la strada adeguata. La santità, in definitiva, sembra dipendere tutta dalla sua capacità di sofferenza…
Ma – ecco il problema! – Teresa si ritrova riportata coi piedi a terra, all'esperienza dell'impotenza. Tanto da giungere ad affermare il contrario del suo grande ideale giovanile:
«lo non sono una santa. Non ho mai compiuto le azioni dei santi» .
L'apparente contraddizione tra il suo impegno costante e quest'esperienza di debolezza sta nel fatto che Teresa va radicalmente cambiando il modello di santità.
La giovane entusiasta, “incrollabile”, capisce che non può farcela da sola se non falsando le cose... Ma
«Invece di scoraggiarmi, mi son detta: “Il buon Dio non può ispirare desideri inattuabili, perciò posso, nonostante la mia piccolezza, aspirare alla santità.
Diventare più grande mi è impossibile: debbo sopportarmi tale quale sono con tutte le mie imperfezioni. Nondimeno voglio cercare il mezzo di andare in Cielo per una via ben diritta, molto breve, una piccola via tutta nuova"». (C-271)
– Teresa ha sperimentato nel cammino spirituale diverse tappe: il desiderio forte della santità, la consapevolezza della povertà spirituale, il tentativo inadeguato dell'amore operoso. Ma simile cammino non potrà condurla ad amare Dio in modo adeguato! È una strada chiusa.
E allora lei ne cerca un'altra! È la stessa Teresa “bambina cocciuta!”.
Si rivolge alle Scritture per trovare una risposta, un “ascensore” che, elevandola “fino a Gesù”, la dispensi di «salire la rude scala della perfezione». La soccorre il Vecchio Testamento. Ha la gioia di scoprire nei Proverbi (IX, 4) queste parole: “Chi è molto piccolo venga a me”; e di apprendere da Isaia (LXVI, 13-12) quel che Dio prepara al piccolissimo che va da Lui: "Come una madre accarezza il suo bambino, così io vi consolerò, vi porterò sul seno e vi cullerò sulle ginocchia".
Ha trovato ciò che cercava. Interrompe la ricerca! E la conclusione sgorga immediata.
«L'ascensore che mi dovrà far salire fino al Cielo, sono le vostre braccia, o Gesù! (C- 271).
Non è necessario “crescere”; al contrario «bisogna che resti piccola, che lo divenga sempre più». (ib).
• Quali sono i tratti di tale "nuova via" per il cielo, che ha diretto ed ancora qualifica l'esperienza e la dottrina spirituale della Carmelitana di Lisieux?
«Felice di chiamarmi Teresa di Gesù Bambino» – aveva confessato. Perché Dio è un bambino...
Potrebbe sembrare una affermazione irriverente, ma soltanto
– se Dio non avesse voluto farsi davvero bambino;
– se Gesù non avesse affermato che per avvicinarsi a Lui abbiamo bisogno di diventare bambini;
– se Lui stesso, ancora, non si fosse degnato un giorno di abbracciare una schiera di piccoli, come quelli che davvero gli assomigliavano;
– se il suo Apostolo stesso poi non avesse ribadito la necessità di diventare piccoli,
– se vogliamo vivere la nostra vocazione cristiana.
Esiste poi nel bambino qualcosa di particolarmente meraviglioso, un qualcosa che a null'altro potrebbe esser rassomigliato se non ad uno stato divino. Sul suo volto – dove non si è ancora fermata l'ombra della nostra malizia, dei nostri egoismi, delle nostre preoccupazioni – risalta, invece una visione di innocenza, di sicurezza e di pace che non è affatto possibile trovare nella comune realtà umana: sembrerebbe quasi che il ricordo del paradiso, donde il piccolo è venuto da non troppo tempo, sia ancora presente e vivo nella sua anima e nel suo volto.
Per questo, forse, egli trova tanto facile il contatto con il mistero di Dio, quando, giungendo spontaneamente le sue manine, si pone a parlare col Cielo con la più grande dimestichezza.
Simile presenza del “divino” nell'infanzia fu particolarmente avvertita da santa Teresa di Gesù Bambino, al punto che lei pose a fondamento del suo ideale di perfezione lo sforzo di rimanere sempre piccola, nel senso inteso dal comandamento di Gesù.
Alcuni potranno esser tentati di scorgere in tale volontà di piccolezza – da cui la vita di Teresa fu fermamente conseguente –, il vezzo di una fanciulla malata di rachitismo.
Ma tale idea, non potrebbe scaturire se non da una grave ignoranza storica sia della costituzione fisica, robusta e slanciata, di Teresa, sia della sua tempra psicologica, ardente ed altera; e sia, infine, delle importantissimi lezioni di salvezza, che ella seppe ricavare per sé e per noi tutti da quella sua dottrina spirituale.
Basta ricordare una sola di tali lezioni.
Teresa osserva che il bambino, nella sua debolezza, è uno degli esseri più sicuri e più forti, e che il segreto della sua sicurezza e forza è appunto la stessa sua debolezza.
Perché? Perché proprio per questa, infatti, egli ha diritto alla tenerezza e al riguardo;
e proprio perché non è capace di nulla, ha il diritto a tutto.
Interpretando alla luce di simile realtà il comandamento di Gesù, Teresa si accorge che l’uomo può disporre di una grande sicurezza e di una grande forza davanti a Dio, se, avvicinandosi a Lui, sa riconoscere la propria piccolezza, cioè la sua estrema debolezza ed incapacità assoluta.
Così facendo, infatti, egli acquista il diritto a tutte le premure, a tutte le attenzioni e a tutto il compatimento dell'amore paterno di Dio.
Poste su questo piano le relazioni tra l'uomo e Dio, Teresa ne deriva, con la logica più sicura e disinvolta, le conclusioni più consolanti e più originali.
«Finché il bambino è piccolo – pensa la Santa – gli si dà ciò che è necessario. Ma appena è cresciuto, suo padre gli dice: “Lavora, adesso!”. “Puoi bastare a te stesso”. Per non udire mai questo, io non ho voluto diventare grande, sentendomi incapace di guadagnarmi la vita, la 'vita eterna'...».
In tal modo santità non diventa – come troppo spesso avviene – uno sforzo opprimente ed inutile di compiere qualche cosa di grande, che ci renda importanti ai nostri stessi occhi, ma piuttosto un riconoscimento umile e semplice della nostra impotenza, unito ad un'accettazione fiduciosa e riconoscente della bontà misericordiosa con cui Dio ci assiste e compatisce.
– Quanto più un'anima si riconosce misera, tanto più la luce la investe;
– quanto più si umilia, tanto più si avvicina alla sua rinascita;
– quanto più scompare ai suoi occhi, tanto più si svelano in lei le meraviglie della Grazia.
«Non crediate che sia l'umiltà ad impedirmi di conoscere i doni del buon Dio: io so che egli ha fatto in me grandi cose...».
Per un'anima “piccola”, quindi, non esiste più la preoccupazione delle opere: essa sa di non poter far niente e non sa contare se non sulle opere del buon Dio:
«Io non voglio accumulare meriti...
Al termine della mia vita, comparirò davanti a Voi a mani vuote...».
Persino il peccato, per quest’anima, ha perso ormai del suo mordente e non può più far gran male. «Perché i bambini cadono spesso, ma son troppo piccoli per farsi tanto male!».
Il peccato, anzi, può diventare un polo negativo che richiami quello positivo dell'amore di Dio.
«Tanto peggio per noi se ci bagniamo un poco – dice un giorno ad una novizia, che si sentiva incapace di superare una tentazione – Ci asciugheremo dopo al sole dell'amore!».
In fondo, non è la debolezza della caduta che offende Dio, quanto l'orgoglio del peccato...
Lei si chiamerà così: “Teresa di Gesù Bambino” ...
Noi uomini abbiamo tanta paura di farci bambini! Forse perché non ci siamo mai curati di vedere Dio stesso fatto bambino: nell'umiltà del presepio e nell' impotenza più umiliante del Calvario...
Eppure, dal momento che è vero che Dio è un bambino, non può esistere altra via per la nostra vera grandezza, che scendere dal piedistallo della nostra malizia, e ritrovare la sorgente della Vita, in cui possa finalmente operarsi la nostra rinascita.
– La "Piccola Via"
La via tutta nuova, breve, diritta è dunque quella dei "piccoli", dei fanciulli del Vangelo, cui appartiene il regno dei cieli: “Se non diventerete come fanciulli non entrerete nel regno dei cieli!” (Mt. 18,13). La novità è tutta quanta, fondamentalmente, in questa “piccolezza evangelica”.
I termini "petit" "petitesse", "piccole anime" ... ricorrono un'infinità di volte nella breve lettera che formerà il Manoscritto B – la magna carta della “piccola via” –, tanto da sembrare un'infatuazione.
Ma è ben altro! È l'ambiente vitale in cui cammina, cresce e si sviluppa la piccola creatura, che è Teresa, ed anche tutte le “piccole anime” per le quali descrive la sua “piccola dottrina”.
– Che cos'è, e che cosa comporta questa "piccolezza" evangelica?
La "piccola via" è la semplice via della "santità ordinaria"; la santità delle "virtù nascoste e ordinarie" (le "piccolissime cose", le "mie povere azioni").
Santità "comune", non riservata alle "aquile", ma alla portata di tutti.
La perfezione, infatti, consiste «nel fare la volontà di Dio, nell'essere ciò che Egli vuole che siamo» (A-5),
e dunque sta nel compimento esatto del proprio dovere, nel gran desiderio di far piacere al Signore.
[È "l'eroismo del terribile quotidiano", come si esprimeva Papa PIO XI].Ed essa comporta oblio totale di sé, che lascia ampio spazio all'azione di Dio; ed è nutrita da profonda umiltà, che è verità su se stessi, che è convinzione e confessione di una povera realtà fatta di “infedeltà”, di "debolezze", di "colpe".
Di propria iniziativa Teresa si pone alla testa di questa schiera di “piccoli”.
«Sono la più piccola; conosco la mia miseria e la mia debolezza» – confessa –,
perché lei non ha e non può offrire che «piccolissime cose». (C-328).
È persino convinta che farà rimanere perplesso il Signore al momento della morte, perché non ha opere da far valere davanti a Lui e si presenterà proprio a mani vuote (NV. 23 Giugno 317).
Ma è proprio questa "povertà" che la rinfranca e la riempie di sicurezza e di gioia:
«Non ho bisogno di crescere; al contrario bisogna che resti piccola, che lo divenga sempre più» (C-271).
«È proprio questo che fa la mia gioia: non avendo nulla, riceverò tutto da Dio». (NV 23 giugno).
** Questa "piccola via" è in fondo, la via che ogni uomo, ciascuno di noi, deve seguire.
Teresa sa che essa è percorribile e di fatto è percorsa da legioni di persone.
Tale mezzo di santificazione non è frutto dello sforzo umano, ma unicamente un dono che scende da Dio. Però, non illudiamoci: lungi dal procurare una santità ridotta, esso è dotato di un'efficacia superiore alla più generosa ascesi, poiché eleva «fino al cielo».
La cosiddetta “piccolezza”, la “povertà” spirituale non si oppone in nulla alla magnanimità della santità. La santità della "piccola via"– quella ordinaria, comune, che ogni piccolo e povero può e deve perseguire, non è una santità diminuita, dimezzata, edulcorata – come troppo spesso e con eccessiva superficialità si è voluto pensare e far credere –
È la santità che promana nella sua vitalità da quella realtà che racchiude ogni espressione e dimensione di vita: l'amore! E l'amore – e quello che "compra" – non è mai "a basso costo"!
• Lasciamoci amare da Dio!
Il desiderio di amare Dio sino alla pienezza è stata una realtà intensa nella vita di Teresa.
Ma, unita al desiderio, c'è stata una profonda ed umile consapevolezza dell'incapacità di giungere da sola là dove intende giungere l'amore: Dio. E, alla banca dell'amore di Dio, spiega Teresa, saremo sempre dei debitori, e avremo sempre il conto in rosso!
Stando così le cose, che cosa rimane? Ecco: non rimane che la speranza e la preghiera che sia Dio stesso a colmare il dislivello ed a saldare il debito:
«Signore dammi il tuo amore; fa crescere nel mio cuore il tuo amore. Anzi, dammi il tuo stesso cuore e allora potrò amarti come mi hai amato» (Poesie 21.24).
«Fin dalla mia infanzia il tuo amore mi ha prevenuto – puntualizza lei –, ed è cresciuto con me; ed ora è un abisso di cui non posso sondare la profondità» (C-236).
«O mio Dio, sei andato ben oltre la mia speranza ed io voglio cantare le tue misericordie». (C- 272)
È l'annuncio gioioso dell’“amore di Dio per l'uomo”, per questa creatura debole, piccola, bisognosa di essere sollevata. Il "canto" si arricchirà di altre voci scritturiste, ma nella ricchezza di contenuti ed esigenze è già tutto qui.
Teresa può senz'altro intonarlo e proclamare che:
– Dio si china su noi come una madre sul suo piccolo. Si abbassa per sostenerlo nei suoi tentativi di sali-re verso Lui, lo stringe in un abbraccio che consola, unisce e lo fa partecipare alla sua vita di amore.
– e la massima espressione dell'amore di Dio, Cristo, si protende con le sue braccia, e come un ascensore sicuro e veloce innalza il piccolo e il debole sino alle altezze luminose e calde del cielo di Dio.
– la debolezza e la piccolezza soprattutto, attirano l'azione e forza di Dio nel suo amore per l'uomo.
E il "piccolo" può allora abbandonarvisi senza paure, così come il bimbo si addormenta nelle braccia del padre, e il peccatore, sia pure il più grande dei peccatori, potrà sempre ritornarvi con la fiduciosa speranza che il Padre è sempre pronto a riabbracciare il figliol prodigo.
• Da bimba voleva "farsi santa"; da novizia nel 1890 affermava ed insegnava di “non conoscere altro mezzo per giungere alla perfezione che l'amore» (Lt 109).
Quando il “vangelo della misericordia” le si rivela, capovolge tutto: questa è la via e la vita:
«La mia via è fatta tutta di fiducia e d'amore… La perfezione mi sembra facile: vedo che basta riconoscere il proprio nulla ed abbandonarsi come un bimbo nelle braccia del buon Dio». (Lt. 202)
La "povertà spirituale" – che inizialmente era umiltà e impotenza – diventa ora ricchezza di forze, perché l'amore di Dio può e vuole agire in modo speciale proprio nel vuoto e nella piccolezza da ricolmare.
Il “tentativo di amare” è diventato apertura all'amore, in un abbandono di completa fiducia in Chi solo può prevenire e dare forza di amare.
«Gesù ha voluto mostrarmi l'unica strada che porta a questa fornace divina, ed è quella dell'abbandono del bambino che si addormenta senza paure nelle braccia del Padre suo».
Quando le si chiede in che cosa consista, in ultima istanza, la sua famosa "piccola via",
ella risponde:
«È il cammino della fiducia e dell'abbandono»,
una via di “fiducia amorosa”,
di “speranza fiduciosa”.
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