Teresa a 15 anni poco prima di incontrare il Papa
RISPOSTA AD UNA CHIAMATA
“Corsa ad ostacoli”
La vocazione religiosa si manifestò presto, e andò gradualmente chiarendosi fino ai 14 anni, quando fece i primi passi per realizzare il suo disegno.
Dopo la grazia di Natale, [vittoria sulla sua estrema sensibilità] la vita religiosa le apparve come un mezzo per salvare le anime. In un primo momento aveva pensato di divenire suora missionaria.
Poi scelse il Carmelo nella convinzione di salvarne un numero maggiore con la preghiera e il sacrificio.
A 14 anni era certa della vocazione; non sentiva bisogno di una particolare direzione spirituale; ricorreva al confessore soltanto per l'assoluzione e per il permesso di comunicarsi.
La certezza della chiamata di Dio la sostenne nelle difficoltà che dovette incontrare per realizzarla. Nell'ascesa verso il Carmelo niente più potrà arrestarla. E gli ostacoli non mancheranno.
«Babbo, voglio entrare nel Carmelo!»
Il primo, e il più terribile per il suo cuore è la tenerezza del papà: egli non si sarebbe opposto, ma era prevedibile che ne avrebbe sofferto assai.
Per manifestargli ciò che era tanto difficile ed imbarazzante da confessare sceglie il giorno adatto: Pentecoste (29 maggio 1887).
«Soltanto nel pomeriggio, tornando dai vespri, trovai l'occasione per parlare al mio Babbo carissimo; era andato a sedersi sul bordo della vasca, e, con le mani giunte, contemplava le meraviglie della natura... Il bel volto del Papà aveva un'espressione celeste, sentivo che la pace gl'inondava il cuore.
Senza dire una parola mi sedetti accanto a lui, gli occhi pieni di pianto.
Mi guardò con tenerezza, mi prese la testa, l'appoggiò sul suo cuore, dicendomi: "Che cos'hai, reginetta? Confidamelo”. Poi, alzandosi come per nascondere la propria emozione, camminò lentamente tenendomi sempre la testa appoggiata sul suo cuore.
Tra le lacrime gli confidai che desideravo entrare nel Carmelo.
Allora le lacrime sue si unirono alle mie, ma non pronunciò una parola per distogliermi dalla mia vocazione; si contentò di farmi osservare che io ero molto giovane per prendere una decisione così grave. Ma io difesi la mia causa tanto bene che Papà, con la sua natura semplice e dritta, fu convinto ben presto che il mio desiderio era di Dio stesso, e, nella sua fede profonda, esclamò che Dio gli faceva un grande onore chiedendogli così le sue figlie». (A–143)
Tutto sembrava ormai sistemato, ed invece stava iniziando la "via crucis"!
Al Carmelo le monache non erano contrarie all’ingresso di Teresa, ma il canonico Delatroette, delegato del Vescovo per il monastero, oppone un veto risoluto, motivandolo per la sua giovane età.
Teresa, benché in lacrime, non era però più quella di una volta:
«Ero risoluta a raggiungere il mio scopo…; sarei andata perfino dal Santo Padre se Monsignore [il vescovo] non mi avesse permesso d'entrare nel Carmelo a quindici anni…». (A-146)
Il 31 ottobre il sig. Martin e Teresa si recano a Bayeux per ottenere una risposta favorevole dal vescovo mons. Hugonin. Vivacissimo il racconto di questa visita, che certamente restò impresso nella mente di Teresa in modo particolare – fra l'altro ricorda che si era fatta tirar su i capelli per sembrare più grande di età...! –.
Il vescovo però, pur mostrandosi molto cortese ed amabile, non vuole interferire negli ordini del superiore diretto del monastero, don Delatroette.
«L'anima era sommersa nell'amarezza – conclude Teresa –, ma anche nella pace, perché cercavo soltanto la volontà di Dio». (A – 151/155)
** Queste parole sono il segno più bello della sua maturità umana: sofferenza, consapevolezza del dovere compiuto, pace in un comportamento forte e dignitoso **.
[Lettura dell’episodio A- 1515-155. VEDI NOTA)]
Ai piedi del Papa
Padre e figlia decidono allora di ricorrere addirittura al Santo Padre. Un pellegrinaggio diocesano a Roma, in occasione delle nozze d'oro sacerdotali di Leone XIII, rende immediatamente possibile quel passo. Li accompagna Celina.
I pellegrini attraversano, in treno, la Svizzera ed entrano in Italia.
Ciò che colpisce nel vivace racconto che ne fa Teresa è la freschezza tutta sbarazzina da ragazza di 15 anni. Sono pagine intrise di umorismo, di battute, di episodi ilari, di comportamenti che rasentano la spregiudicatezza, che confermano la sua riacquistata pienezza di personalità.
«La prima città che visitammo fu Milano e il duomo tutto di marmo bianco, col suo popolo di statue innumerevoli». E con Celina salì «fino alla punta dell'ultimo campanile di marmo: la gente laggiù somigliava a un minuscolo formicaio». (A-162)
Restò ammirata dal Palazzo ducale di Venezia, che le parve un po' "triste", e pregò sant’Antonio a Padova. Bologna, però, non le lasciò un bel ricordo per un piccolo "incidente". Scendendo dal treno, i pellegrini si trovarono in mezzo a numerosi studenti di cui la città era piena. Nella confusione, uno di loro fece presto a sollevare Teresa fra le braccia...! Ma Teresa gli lanciò un'occhiataccia tale che questi lasciò immediatamente la preda....
Commossa la visita alla "Casa di Loreto", e Celina e Teresa non mancarono di «grattar furtivamente» i muri per avere una reliquia.
Finalmente, ecco Roma! Era il 13 novembre.
In attesa della visita papale... il giro turistico alla città. Teresa rimase impressionata dalle catacombe e specialmente dal Colosseo. Nonostante il divieto della guida, di nascosto, lei con Celina scavalcò la staccionata, fece una rapida discesa tra le macerie fingendo di non sentire i richiami del babbo e non facendo nessun conto delle proibizioni e del possibile scandalo dei “nobili” pellegrini: voleva baciare il pavimento del Colosseo,
«segnato da una croce come quello su cui combattevano i martiri...
Ci inginocchiammo su quella terra sacra... Mi batteva il cuore forte quanto avvicinai le labbra alla polvere arrossata dal sangue dei primi martiri». (A-168)
E finalmente, ... il grande giorno!
Il 20, domenica, i pellegrini ascoltano la santa Messa celebrata dallo stesso Pontefice, e poi l'udienza.
Secondo il rigido cerimoniale, i pellegrini dovevano, in processione, passare a turno dinanzi al Papa, baciargli la mano e il piede e, ricevuta la benedizione, rialzarsi ed allontanarsi.
Lasciamo parlare Teresa:
«Prima di penetrare nell'appartamento pontificio ero ben decisa a parlare, ma mi sentii mancare il coraggio quando vidi alla destra del Santo Padre "Monsignor Révérony" [il vicario del suo vescovo, che faceva parte del medesimo pellegrinaggio!]. Quasi nel medesimo istante ci fu detto da parte sua che era proibito parlare a Leone XIII...(!).
Mi volsi verso Celina cara, per conoscere il suo parere: “Parla!”, mi disse.
Un minuto dopo ero ai piedi del Santo Padre; baciai la pantofola, egli mi porse la mano, ma io, invece di baciarla, giunsi le mani mie e alzai verso lui gli occhi piedi di lacrime: “Santo Padre – dissi – ho da chiedere un grazia grande”.
Allora il Sommo Pontefice abbassò la testa verso di me, in modo che il mio volto quasi toccava il suo, e vidi i suoi occhi neri e profondi fissarsi su di me: parve che penetrasse in fondo all'anima. “Santo Padre – sussurrai – in onore del vostro giubileo, permettetemi di entrare nel Carmelo a quindici anni!” L'emozione certo mi fece tremare la voce, cosicché il Santo Padre, volgendosi a monsignor Révérony, il quale mi guardava meravigliato e scontento, disse: “Non capisco bene”.... “Beatissimo Padre – rispose il Vicario generale – è una bambina che desidera entrare nel Carmelo a quindici anni, ma i superiori stanno esaminando la questione”. “Ebbene, figlia – rispose il Santo Padre guardandomi con bontà – fate ciò che vi diranno i superiori”.
Allora, appoggiando le mani sulle sue ginocchia, tentai un ultimo sforzo e dissi con voce supplice: "Oh! beatissimo Padre, se voi diceste "sì", tutti sarebbero d’accordo!”.
Mi guardò fissamente, e pronunciò queste parole, appoggiando su ciascuna parola: “Bene..., bene... Entrerete, se Dio lo vorrà...”. [...]
Poiché la bontà del Santo Padre mi dava animo, volli parlare ancora, ma le due guardie nobili mi toccarono gentilmente per farmi alzare; e vedendo che ciò non bastava, mi presero per le braccia, e mons. Révérony le aiutò a sollevarmi, perché io restavo ancora con le mani giunte appoggiate alle ginocchia di Leone XIII, e mi strapparono di peso dai suoi piedi....
Nel momento in cui mi trasportarono via così, il Santo Padre posò la sua mano sulle mie labbra, poi l'alzo per benedirmi. Allora gli occhi mi si riempirono di lacrime, e mons. Révérony poté contemplare per lo meno altrettanti "diamanti" quanti ne aveva visti a Bayeux». (A-173/174)
Se in fondo al cuore c’era una gran pace, l'amarezza tuttavia le attanagliava l'anima. Si sentiva sola. Gesù pareva assente. Si ricordò, allora che da qualche tempo si era offerta a Gesù Bambino per «essere il suo giocattolino», una pallina senza valore che può essere lasciata da parte, "bucata"....
«Gesù a Roma bucò il suo giocattolino; volle vedere che cosa ci fosse dentro, e, dopo averlo visto, contento della sua scoperta, lasciò cadere la pallina e si addormentò"». (A-177)
Un modo "infantile", questo, per esprimere però un distacco ed una fede “adulta!”. E capì che «è meglio rivolgersi a Lui [Dio] che ai suoi santi». (A-182)
Il comportamento coraggioso dimostrato da Teresa aveva, tuttavia, fatto un'impressione favorevole allo stesso vicario generale della diocesi, mons. Révérony, che promise d'intercedere.
E Teresa continuò il pellegrinaggio a Napoli, Pompei, Assisi. Firenze, Pisa, Genova.
Il 2 dicembre i tre “pellegrini” rientrano a Lisieux.
** L’attesa continua, apparentemente senza speranze.
Ma nella notte di Natale Teresa scopre il metodo di Gesù: mettere alla prova gli amici più fedeli prima di ricompensare la loro fiducia:
«[Gesù] mi fece capire che concede miracoli a coloro la cui fede uguaglia un granello di senape, e fa mutar di posto le montagne per rendere salda questa fede così piccola; ma per i suoi intimi, per sua Madre, non fa miracoli prima di avere messo alla prova la loro fede... Così agì Gesù verso la sua Teresa: dopo averla lungamente provata, colmò tutti i desideri del cuore di lei». (A-187)
Infatti, il 28 dicembre, il vescovo, mons. Hugonin, accorda il tanto invocato permesso! Dovrà, pur attendere sino al termine della Quaresima, ma non ha importanza: Teresa ne approfitterà per prepararsi con una vita «seria e mortificata» ...
Immediatamente però precisa:
«Quando dico: "mortificata", non è da credere ch'io facessi penitenze...
Non ne ho mai fatte! Le mie mortificazioni consistevano nel rompere la mia volontà, sempre pronta ad imporsi; nel trattenere una battuta di risposta; nel rendere servizietti senza farli valere, nel privarmi di appoggiare il dorso quand'ero seduta, ecc, ecc». (A-190)
Tre mesi passarono veloci…
Il sogno si avvera...
Lunedì 9 aprile 1888, dopo tre mesi di attesa, Teresa entra nel Carmelo di Lisieux.
La mattina del gran giorno, dopo aver lanciato un ultimo sguardo ai Buissonnets, «partii al braccio del mio caro Re per salire la montagna del Carmelo". (A-192)
Il suo contegno nella circostanza fu di una fierezza e compostezza "adulta":
«La mia emozione non si tradì all'esterno. Dopo aver abbracciato tutti i miei, m'inginocchiai dinanzi al mio incomparabile Padre, chiedendogli la benedizione. Per darmela, si mise in ginocchio e mi benedisse piangendo. Dopo qualche istante le porte dell’“arca santa” si chiusero dietro di me, e là ricevetti gli abbracci delle [con]sorelle...
«Sentivo nell'animo una pace così dolce e profonda che non posso esprimerla, e da sette anni e mezzo questa intima pace è stata la mia parte e non mi ha mai abbandonata, neppure tra le più grandi prove». (A-193)
• La pace è il segno dell'assestamento e del consolidamento del suo spirito.
Il paradiso con tutti santi ... non esiste sulla terra!
Un accenno all'ambiente monastico che accolse Teresa è doveroso per comprendere la logica degli atteggiamenti pratici assunti e fatti propri, in seguito, dalla giovane suora.
Le testimonianze sono concordi nell'affermare che la comunità godeva stima e reputazione presso clero e laici. Essi sono pure consenzienti nell'attestare che all'interno neppure allignavano abusi tali da determinare impedimenti alla vita religiosa.
Molti, però, rilevano il fatto che non esisteva tutto quello spirito di perfezione che sarebbe stato auspicabile. Non erano, infatti, assenti gli inevitabili attriti tra persone di temperamento diverso, e le immancabili frizioni tra persone di diversa estrazione sociale e funzionalità.
E si notava anche la presenza di “partiti”, ossia di un gruppo di monache che faceva capo alla priora ed un altro in cui erano presenti le sorelle Martin.
[Riguardo a quest’ultimo punto bisogna notare che non si trattava di animosità personali,
ma di diversa impostazione della vita religiosa].
Per riassumere:
Non mancavano, quindi, solide strutture e un discreto funzionamento di prassi religiosa, ma esse non erano tali da rendere facile il cammino a chiunque, particolarmente a Teresa: ella era giovanissima, senza una larga esperienza della vita, tanto meno di quella religiosa, e con l'aggravante della presenza delle sorelle di sangue nella comunità, le quali potevano condizionare logicamente la sua appartenenza al loro gruppo, e, in tal modo, da renderla invisa alle altre...
Teresa avrebbe potuto “lasciarsi portare” come le altre; seguire, cioè, la corrente e fare le cose non importa come. Se avesse scelto tale strada... certamente molte spine non le sarebbero cresciute intorno.
Ma lei aveva dinanzi una meta ben individuata: era venuta al Carmelo
«per salvare le anime, e soprattutto a pregare per i sacerdoti» (A-195),
e ne conosceva i mezzi adatti: soffrire, occultare a tutti le proprie sofferenze, sperimentandone un crescendo continuo:
«Per cinque anni quella fu la mia strada;
ma di fuori nulla rivelava il mio patire,
tanto doloroso in quanto lo conoscevo io sola». (A-195) (A-192)
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APPUNTI
VISITA AL VESCOVO (A– 151-155)
151 – «Pioveva a torrenti quando arrivammo a Bayeux. Papà non voleva veder la sua reginetta entrare nel vescovado con la sua bella toilette tutta intrisa, e perciò la fece salire sopra un omnibus, fino alla cattedrale. Là cominciarono i guai: Monsignor e tutto il clero assistevano ad un funerale solenne. La chiesa era piena di signore in lutto e tutti guardavano me, il mio vestito chiaro e il cappello bianco; avrei voluto usciere dalla chiesa, ma non c’era da pensarci a causa della pioggia, e per umiliarmi ancor più il buon Dio permise che il Papà, nella sua semplicità patriarcale, mi facesse arrivare fino in cima alla cattedrale; non volendo fargli dispiacere mi risolsi a farlo di buon grado e procurai quella distrazione ai bravi abitanti di Bayeux che avrei desiderato non aver mai incontrati…
Potei finalmente respirare a modo mio in una cappella dietro l’altare maggiore, e mi trattenni lungo tempo, pregando con fervore, mentre aspettavamo che spiovesse, e ci fosse possibile uscire. Attraversando di nuovo la chiesa, Papà mi fece ammirare la bellezza dell’architettura, lo spazio pareva più ampio ora che era vuoto, ma quanto a me, un pensiero unico mi dominava, e io non potevo prender gusto a nulla. Andammo direttamente da mons. Révérony (Vicario generale della diocesi), il quale era edotto del nostro arrivo, poiché aveva fissato lui stesso il giorno del viaggio; ma non c’era. Fummo costretti perciò, a vagare per le strade, che mi parvero ben tristi.
Finalmente ritornammo verso la curia, e Papà mi fece entrare in un bell’albergo ove non feci onore al bravo cuoco.
Povero caro Babbo mio, aveva per me una tenerezza quasi incredibile: mi diceva di non affliggermi, ché certamente Monsignor avrebbe acconsentito.
152 – Ci riposammo e poi tornammo da mons. Révérony; nello stesso tempo arrivò un signore, ma il vicario generale gli chiese gentilmente di voler attendere, e ci fece entrare per primi nel suo studio (quel povero signore ebbe il tempo di annoiarsi, perché la visita fu lunga).
Mons. Révérony si mostrò molto amabile, ma credo che il motivo del nostro viaggio lo meravigliò assai; dopo avermi guardata sorridendo, ed avermi fatto qualche domanda, ci disse: “Vi presenterò a monsignor Vescovo, vogliate seguirmi”. Vedendo che avevo le lacrime agli occhi, mi disse: “Ah! … vedo dei diamanti…, Non bisogna mostrarli al Monsignor Vescovo!”. Ci fece attraversare varie stanze ampie, ornate a ritratti di vescovi. Vedendomi in questi saloni, mi facevo l’effetto di una formica piccina piccina, e mi domandavo cos’avrei saputo dire a Monsignor Vescovo.
Egli passeggiava in mezzo a due sacerdoti in una galleria: vidi Mons. Révérony che gli diceva qualche parola, poi tornarono verso di noi.
Noi attendevamo nello studio; tre poltrone enormi erano collocata davanti al camino, e il fuoco era vivace ed altro. Vedemmo entrare Sua Eccellenza; papà s’inginocchiò accanto a me per ricevere la benedizione, poi Monsignore Vescovo fece accomodare Papà in una poltrona, si mise egli stesso in faccia a lui, e Mons. Révérony volle farmi occupare la poltrona in mezzo. Rifiutai gentilmente, ma insisté, dicendomi se sapevo obbedire; mi sedei subito senz’altre riflessioni ed ebbi la confusione di vedere che lui prendeva una sedia, mentre io mi trovavo sprofondata in un seggio nel quale sarebbero state comodamente ben quattro come me (più comode di me, perché io ero ben lungi dal sentirmi tale!).
Speravo che Papà cominciasse a parlare, ma invece mi disse di spiegare io stessa a Monsignore lo scopo della nostra visita; lo feci con tutta la possibile eloquenza, ma” Sa Grandeur”, abituato all’eloquenza, non parve granché commosso dai miei ragionamenti; in sostituzione di questi, una parola sola del reverendo superiore mi avrebbe giovato di più; sventuratamente non ne potevo produrre, ed anzi, l’opposizione di lui non patrocinava certo la mia causa.
153 – Monsignor Vescovo mi chiese se da lungo tempo aspiravo al Carmelo. “Oh, sì, Eccellenza! Da ben lungo tempo!”. “Vediamo – mi rispose ridendo Mons. Révérony –. Non potrà dirci che ha questo desiderio da quindici anni!”. – È vero – risposi sorridendo anch’io –; ma non ci sono molti anni da defalcare, perché ho desiderato farmi religiosa fin dal risveglio dell’intelletto, ed ho desiderato il Carmelo, appena l’ho conosciuto bene, perché trovavo che in quell’Ordine, sarebbero appagate tutte le aspirazioni dell’anima mia”. Non so, Madre mia, se dissi proprio così: credo di essermi spiegata anche peggio, ma insomma, il senso era questo.
Monsignor Vescovo, credendo far piacere a Papà, cercò di farmi trattenere ancora qualche anno presso lui, e rimase non poco stupito e edificato vedendo che Papà stesso abbracciava la mia causa e intercedeva affinché ottenessi il permesso di volar via a quindici anni. Tuttavia, tutto fu vano; il Vescovo disse che, prima di decedere, gli era necessario un colloquio col Superiore del Carmelo. Io non potevo ascoltar parola più penosa, perché conoscevo l’opposizione netta di Nostro Padre, perciò, senza tener conto della raccomandazione di Mons. Révérony, feci ben più che mostrare i miei diamanti a Monsignor Vescovo; gliene detti, e quanti! Vidi che era commosso: mi fece appoggiare la testa sulla sua spalla e mi confortò con tanta bontà come – pare –non aveva fatto mai con nessun altro.
Mi disse che tutto non era perduto, che egli era ben contento del mio viaggio a Roma: avrei potuto assodare la mia vocazione, e intanto dovevo rallegrarmi invece di piangere: aggiunse che la settimana seguente lui stesso, poiché doveva andare a Lisieux, avrebbe parlato col reverendo parroco di san Giacomo, e certamente io avrei ricevuto la sua risposta in Italia. Capii che era inutile insistere; del resto, non avevo altro da dire, poiché avevo esaurito tutte le risorse della mia eloquenza.
154 – Monsignor Vescovo ci riaccompagnò fino al giardino. Papà lo divertì molto raccontandogli che mi ero fatta tirar su i capelli per sembrargli più grande di età … (E ciò non andò perduto perché Monsignor Vescovo non parla della sua “figlioletta” senza raccontar la storia dei capelli…).
Mons. Révérony, ci volle accompagnare fino in fondo al giardino, e disse a Papà che una cosa simile non si era mai vista: “Un padre altrettanto premuroso di dar sua figlia al Signore, quanto questa fanciulla lo era di offrire se stessa!”.
Papà gli chiese varie spiegazioni riguardo al pellegrinaggio, tra l’altro in quel modo bisognava vestirsi per comparire dinanzi al Santo Padre. Lo vedo ancora voltarsi a Mons. Révérony, dicendogli: “Sto abbastanza bene, così? … Aveva anche detto a Mons. Vescovo che se non mi avesse permesso di entrare nel Carmelo, io avrei chiesto questa grazia al Sommo Pontefice. Era ben semplice nelle parole e nei modi, il mio caro Re, ma era tanto bello…; aveva una distinzione proprio naturale che dovette piacere molto a Monsignore Vescovo, avvezzo a vedersi circondato da personaggi i quali conoscevano tutte le regole in uso nei salotti, ma non il “Re di Francia e di Navarra in persona, con la sua “reginetta”.
155 – Quando mi trovai per la strada, le lacrime ricominciarono, non tanto a causa del dispiacere mio, quanto perché vedevo il mio Babbo carissimo che aveva fatto un viaggio inutile. Lui si sarebbe fatto una festa di inviare al Carmelo un telegramma per annunciare la risposta favorevole di Mons. Vescovo: e ora invece era costretto a rincasare senza risposta alcuna… Com’ero addolorata! …
L’anima era sommersa nell’amarezza, ma anche nella pace, perché cercavo soltanto la volontà di Dio».
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