“LA BARBA DEL PACIFICO” (Circolare d’ottobre 1985 ai miei parrocchiani bolognesi)
LA MONTAGNA DEI MARTIRI (OTOME-TOGE)
Prime defezioni – “Le creature non mi fanno paura” –
L’ombra della rivolta di Shimabara
Dopo un successivo trasferimento il numero dei cristiani imprigionati sale ad 83. Jinsaburo ed altri cinque con i piedi e le mani legate dietro le spalle vengono tenuti sospesi con delle corde fino a tanto da sembrare morti. Il truce spettacolo ottiene l’effetto desiderato dalle autorità. Tutti rinnegano la propria fede e all’indomani possono lasciare la prigione. Soltanto Seremon non cede.
Il ritrovarsi solo non lo scoraggia. Personalmente ritengo che un pensiero lo abbia sostenuto: “Anche il Cristo fu lasciato solo!”. Naturalmente le pressioni da parte degli aguzzini non mancano.
Un giorno Seremon fa loro questo ragionamento. “L’anima io l’ho ricevuta da Dio; non posso perciò rinunciare alla mia fede. Dell’uomo io non ho paura: è Dio che temo. Come io non mi sentirei più forte se fossero in cento a sostenermi, così non mi sento più debole se restassi solo. Tanto la mia anima non potete ucciderla!”.
Tutti naturalmente rimangono di stucco. Le parole di Seremon, a parte la fede, sono quelle di un degno samurai, disposto ad andare a combattere anche da solo, pur di servire il suo signore. “La nostra determinazione ad essere leali nel combattimento corrisponde al tuo impegno di servire Dio!”. E con una mossa a sorpresa lo rispediscono a casa. Mai libertà fu più insperata!
Quando l’undici ottobre fa il suo ingresso ad Urakami, la folla che gli si stringe intorno grida compatta: “Hai conservato la fede o hai rinnegato?”. E Seremon risponde: “Grazie a Dio ed alle preghiere vostre e dei sacerdoti ho potuto conservare la fede”.
Al sentire ciò le famiglie di quanti erano tornati prima per via dell’abiura esclamarono; “Chi ha rinnegato non rimetta piede in casa!”. E le porte furono sbarrate per quanti avevano ceduto sotto il peso dei supplizi. Unica eccezione Seremon.
I PENTITI SI AUTODENUNCIANO
Anche a Jinsaburo fu impedito di tornare tra i suoi. Per tre giorni e tre notti egli vagò tra le montagne in preda al pianto. Finalmente con l’aiuto della Vergine torna al villaggio e raduna quanti avevano abiurato, suggerendo loro di ritrattare e di prepararsi al martirio. Il coraggio di Seremon brilla davanti ai loro occhi!
All’indomani Jinsaburo ed altri trentotto si presentano all’ufficio del Magistrato, che però li rispedisce a casa nell’attesa che arrivi una decisione da Tokyo. E così il caso di Urakami rimase sospeso fino al 10 novembre del 1867, quando dopo 260 anni di ininterrotto potere cadde lo Shogunato dei Tokugawa. Nel dicembre successivo nasceva il Governo Meiji.
Nel prendere in considerazione il caso di Urakami i nuovi governanti di Tokyo non potevano non ripensare ad un precedente storico: la rivolta di Shimabara nel 1637. In quell’anno circa 39.000 cristiani, esasperati dalle tasse e dalla persecuzione religiosa, decisero di ribellarsi piuttosto che vivere in quelle condizioni, ma furono sconfitti. Temendo perciò una nuova rivolta cristiana a distanza di oltre duecento anni, le autorità di Tokyo ripristinarono tutte le antiche sanzioni contro i cristiani. Da buoni giapponesi perciò tentarono prima di convincere i capi di Urakami a cambiare idea.
Visto però che la “gentile persuasione” non sortiva alcun effetto, il tribunale di Nagasaki varò una politica di tre fasi. Nella prima i cristiani dovevano essere intimiditi a parole. Poi si sarebbe passati all’uccisione dei capi. Da ultimo deportazione di tutti i cristiani in campi di concentramento disseminati qua e là per il Giappone. I più strenui sostenitori di queste misure furono un certo Koremi Kamei e Bisei Fukuba, entrambi di Tsuwano.
NAGASAKI, ADDIO!
Il 10 luglio del 1868 un primo gruppo di 114 cristiani partiva per l’esilio con destinazione Tsuwano, Fukuyama e Choshu. Naturalmente il viaggio non fu una crociera! Seremon sempre instancabile durante il tragitto riesce a battezzare quattro persone.
Quelli destinati a Tsuwano furono temporaneamente confinati nel Tempio di Omomichi. Da buoni cristiani dopo cena cominciarono a recitare insieme le preghiere della sera. Subito le guardie, sguainate le spade, gridarono: “Morte a chi prega!”. Solo con fatica Seremon e Jinsaburo con altri riuscirono a spiegare che non si trattava di magia, ma di un’abitudine dei cristiani. Finalmente le sentinelle si convinsero che non si stava tramando un complotto!
Quasi due settimane rimasero in quel Tempio. Poi vennero trasferiti a Hiroshima e di là al Tempio di Korinji di Tsuwano con una penosa marcia che richiese tre giorni e tre notti.
P. Nicola Galeno, ocd
(NB: La traduzione libera è stata effettuata sul testo inglese “Otome-Toge” a cura del Missionario gesuita P. Alexander Horvath, S.J.)
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