ESISTENZA “DURA”
(9 aprile 1888 - 19 febbraio 1893)
È il periodo in cui Teresa costruisce tenacemente «la strada dritta che porta alla cima del «monte della perfezione»; è il periodo in cui un'anima religiosa o pone il fondamento di una pratica ascetica chiara e ferma, oppure rischia di accomodarsi un programma ascetico che, pur salvaguardando la forma e un minimo di contenuto, non la renderà testimone “vera” della maggior gloria di Dio.
È da ricordare che il detto del Signore: "Lo spirito è pronto, ma la carne è debole", trova applicazione in termini, direi, ancor più sconvolgenti nell'ambito della clausura – anche se resta dominante l'amore a Cristo ed è ribadita la volontà di cooperare alla salvezza del mondo. Si ripete quanto nella passione del Signore accadde agli apostoli e ai discepoli.
Teresa, «senza illusioni», aveva trovata «la vita religiosa così come se l'era immaginata»: «Nessun sacrificio mi ha meravigliato». «La sofferenza mi ha teso le braccia, e mi sono gettata con amore».
Aveva le idee ben chiare in proposito: «Quando si vuole raggiungere uno scopo, bisogna prenderne i mezzi». (A-195)
Il suo scopo? «Voglio farmi santa!». E per questo
«voglio dare tutto a Gesù, non voglio dare alle creature nemmeno un atomo del mio amore...
Egli vuole che tutto gli appartenga!... Ebbene, tutto gli apparterrà, tutto». (LT 76).
E tale determinazione è stata una luce tanto intensa da rischiare di accecarla, quasi rendendola – almeno nelle prime tappe della sua via – preda di una certa forma di volontarismo esigente, minuzioso. Per questo si dà da fare e si sente impegnata a battere, diremmo noi, il "record" dell'amore, in gara con tutti i santi, persino la sua Madre fondatrice, santa Teresa d'Ávila.
«Vorrei amarlo tanto...! Amarlo come ancora non è stato amato». (LT 74).
«Facciamo della nostra vita un sacrificio continuo, un martirio d'amore per consolare Gesù». (LT 96)
E il giorno della sua Professione formulerà questa preghiera:
«Che io cerchi e non trovi mai che te solo... Che le cose della terra non possano mai turbare la mia anima... Gesù, non ti chiedo che l'amore, l'amore infinito, senza altro limite che te…, l'amore che non sia più io, ma Tu».
Con tale determinazione affronta la vita “dura” di carmelitana. Fin da bambina «non aveva mai negato nulla a Gesù», e così continuerà. Sa che qualsiasi cosa compiuta e donata per amore, serve a «consolare Gesù”.
1. Le sofferenze che dovette sostenere furono molte e di natura diversa.
• Fisicamente sperimentò le ristrettezze dell'austerità carmelitana, che per lei divenne più affliggente sia a causa della sua persona non ancora fisiologicamente assestata, sia per l'insufficienza qualitativa e quantitativa di nutrimento, di sonno e di riposo, di riparo dal freddo invernale e dal caldo estivo.
– Soffrì moltissimo il freddo, ma non disse nulla e lo si seppe soltanto più tardi. Teresa stessa confessa di averne sofferto tanto che «credo sia impossibile soffrirne di più». [Test. della sorella Maria della Trinità].
– Soffrì per il cibo non adatto. Andava al refettorio come ad un supplizio. Siccome non si lamentava mai di nulla, alcune religiose, vedendola così paziente, le passavano i cibi avanzati dalle altre, mentre per la sua età avrebbe avuto bisogno di molte energie. Soltanto nell'ultima malattia confessò che alcuni cibi le facevano male.
– Se a tutto ciò si aggiungono le penitenze della legislazione carmelitana (astinenza perpetua dalle carni, i frequenti e prolungati digiuni, le tre auto-flagellazioni settimanali, la recita notturna di una parte della liturgia delle ore... e le piccole mortificazioni proprie del Carmelo (l'abito di panno rozzo, la biancheria di ruvida tela, il pagliericcio...) si può concludere che la salute di Teresa non avrebbe resistito a lungo.
• Ma c'erano altre sofferenze più intime. Teresa era conscia di essere osservata, chiacchierata, fraintesa... sicché iniziò ben presto a trovare imbarazzo a dialogare con il confessore del monastero e difficoltà di rapporti all'interno della comunità. Andava scemando anche la confidenza verso la Priora, che pur aveva caldeggiato la sua entrata.
[Questo periodo corrisponde, infatti, ai due successivi priorati della madre Maria di Gonzaga. Questa possedeva doti notevoli, un cuore d'oro, momenti di grande pietà, ma accompagnati da carattere instabile che causava sofferenze a molte religiose. Tutto dipendeva dall'umore del momento].
Verso Teresa, la priora Maria di Gonzaga tanto aveva stima di lei quanto si mostrava costantemente severa: [«Il buon Dio permetteva che, senz'accorgersene, fosse molto severa – scriverà Teresa –: non potevo incontrarla senza baciar terra e lo stesso accadeva nei rari colloqui di direzione che avevo con lei». (A-197)
Avesse almeno trovato comprensione nella madre Maestra, l’incaricata delle Novizie: invano.
Ma Teresa riconosce che questo modo d’essere trattata è stato la sua salvezza: «Cosa sarei diventata io se, come credevano le persone del mondo, fossi stato il "giocattolo" della comunità?». (A-197).
Le monache avranno pensato che a consolare Teresa ci fossero le sue due sorelle Maria e Paolina. Certamente queste pensavano a Teresa e qualcosa più delle altre avranno sospettato circa le sue sofferenze, ma, a parte le norme di separazione fra novizie e professe, c'era una circostanza proibitiva che veniva posta da Teresa stessa: ora che era al Carmelo non doveva preferire nessuna di loro.
Ella, infatti, si era proposta deliberatamente di mantenersi in un costante autocontrollo, tale che di rado si lasciò sfuggire qualche segno di reazione negli eventi più angosciosi. In questa giovane monaca la padronanza delle emozioni, il contenimento delle sensazioni, il dosaggio delle manifestazioni affettive, la voluta privazione di conforto risultano talmente elevati da indurre a giudicarla, a volte, eccessivamente dura e abitualmente inalterabile, traeva in errore le consorelle, tanto che queste si abituarono a ritenere “dolce” la sua vita in monastero, e senza patimenti. Soltanto più tardi si riuscì a interpretare la sua impassibilità... al rovescio: “Quando noi vedevamo Teresa più allegra in ricreazione – affermò Paolina –, più solerte nel suo lavoro, si poteva concludere che ella sottostava a qualche sofferenza”.
• A questo punto può sorgere l'obiezione: “All’ascesi cristiana non sembra indispensabile una presa di posizione affettiva come quella di Teresa nei confronti del prossimo e delle sorelle di sangue”.
Ciò è vero. “Tuttavia, bisogna rilevare ... che Teresa aveva sperimentato – fino alla saturazione e oltre – l'affetto dei familiari, e che al condizionamento derivatone si era sottratta con fatica; e poi aveva per reazione – anche se inconsapevolmente – iniziato a far da sé e con l'aiuto di Cristo soltanto. Inoltre, Teresa non voleva creare difficoltà alle sorelle e alla priora Maria di Gonzaga, suscitando tra loro qualche moto di gelosia”.
• Una confessione generale fatta al padre Pichon (24-28 maggio) tranquillizza la giovane postulante. Egli la assicura che non ha mai commesso un peccato mortale; ma aggiunge che doveva ringraziare Dio di ciò che operava in lei, perché se l'avesse abbandonata, invece di essere un piccolo angelo, lei sarebbe diventata un piccolo demonio... E le raccomanda di tenere sempre come suo Superiore e Maestro di noviziato nostro Signore.
• Ma l'attende un’acuta sofferenza: il 23 giugno, colpito da amnesia, il signor Martin – il suo "re" – sparisce da casa per quattro giorni; poi, il 12 agosto, è colpito da paralisi.
A causa di tale malattia la Vestizione è ritardata fino al 10 gennaio 1889. Il papà si rimette un po' in salute e può, così, esser presente alla cerimonia. Uscita dalla clausura in abito da sposa per assistere in mezzo alla famiglia alla cerimonia esterna, Teresa, che ha sempre amato tanto la neve, ha la gioia di vedere un biancore intorno a sé: nonostante la temperatura mite, era nevicato, come tanto aveva desiderato!
In quel giorno, al nome religioso di suor Teresa di "Gesù Bambino", viene aggiunto "del Volto Santo".
2. Le "pratiche ascetiche" di Teresa
– «Durante il mio postulandato – confesserà – ero contenta di avere delle cose graziose per mio uso, e di trovare sottomano tutto ciò che mi occorreva. Il mio "Direttore" [Gesù] sopportava ciò pazientemente, perché non gli piace mostrare alle anime tutto nello stesso momento: generalmente dà la sua luce a poco a poco... Una sera, dopo compieta cercai inutilmente la nostra piccola lampada sulle tavole destinate a quell'uso; era "gran silenzio” [o “silenzio rigoroso”, da non romperlo se non per gravi motivi].
Capii che una suora, credendo di prendere la sua lampada, aveva preso la nostra, di cui avevo gran bisogno; invece di provar dispiacere essendone privata, fui ben felice, sentendo che la povertà consiste nel vedersi privi non soltanto delle cose piacevoli, bensì anche di quelle indispensabili; così nelle tenebre esteriori fui illuminata interiormente». (...)
– «Fui presa in questo tempo da un vero e proprio amore per gli oggetti più brutti e meno comodi; così vidi con gioia che mi veniva tolta la bella brocchina della nostra cella, e che mi veniva data una brocca grossa e tutta sbocconcellata». (A-209)
– «Facevo anche veri sforzi per non giustificarmi; cosa che mi pareva ben difficile…
– «Causa la mia scarsa virtù quelle pratiche mi costavano molto, e avevo bisogno di pensare che nel giudizio universale tutto sarebbe stato rivelato, perché facevo quest’osservazione: quando si fa il proprio dovere senza mai giustificarsi, nessuno lo sa; al contrario, le imperfezioni appaiono subito».
– «M'impegnavo soprattutto a praticare le virtù piccole, non avendo il destro per praticare le grandi; così mi piaceva ripiegare le cappe dimenticate dalle consorelle, e rendere a quest'ultime tutti i piccoli servizi che potevo».
– «Mi fu dato anche l'amore della mortificazione e fu tanto grande in quanto niente mi era permesso per soddisfarlo. La sola piccola mortificazione che facevo nel mondo, e che consisteva nel non appoggiare il dorso quand'ero seduta, mi fu proibita a causa della mia propensione a curvarmi.
– [Le penitenze] che mi permisero, senza che io le chiedessi, consistevano nel mortificare il mio amor proprio: ciò mi procurava molto maggior vantaggio che non le penitenze corporali». (A-211)
E porta qualche esempio gustoso. «Ricordo che, quand'ero postulante, avevo talvolta delle tentazioni così violente di entrare da lei, Madre [Maria di Gonzaga], per trovare qualche po' di conforto, da esser costretta a passare rapidamente davanti all'ufficio [studio della madre Priora] ed aggrapparmi alla ringhiera delle scale. Mi veniva in mente una folla di permessi da chiedere; insomma... trovavo mille ragioni per contentare la mia natura».
(La sua sofferenza era accentuata da uno stato abituale di aridità, dalle difficoltà che incontrava nell'orazione. Non sentiva, infatti, attrattiva per le cose spirituali; compiva il suo dovere soltanto per piacere a Dio, con uno sforzo costante sostenuto dalla grazia).
«Come sono soddisfatta d'essermene privata fin dall'inizio della vita religiosa!» – confesserà (C-309)
• Aveva una sua tattica: la "diserzione"!
La Priora era a letto ammalata. Un mattino piano piano Teresa, che era sacrestana, va a riportarle le chiavi della grata che veniva aperta per la Comunione alle monache.
«In fondo – ammette – non ero affatto contrariata per quell'occasione di vederla; ne ero anzi molto contenta, ma mi guardai bene dal farlo notare. Una consorella [...] vedendomi entrare da lei, madre mia, credette che l'avrei svegliata, e volle prendermi le chiavi. Ma io ero troppo smaliziata per dar-gliele e cedere i miei diritti. Le dissi con la maggior cortesia possibile che anch'io desideravo non svegliarla, e che stava a me restituire le chiavi. Capisco ora che sarebbe stato ben più perfetto cedere a quella consorella… Volendo [comunque] assolutamente entrare dietro a quella, nonostante che lei mi spingesse la porta per impedirmi di passare, ben presto il guaio che temevamo, accadde: il rumore che facevamo le fece aprire gli occhi. Allora, madre mia, tutto ricadde sul mio capo. La povera consorella, a cui avevo resistito, si mise a tirar fuori tutto un discorso il cui senso era questo: “È suor Teresa di Gesù Bambino che ha fatto rumore... Mio Dio, com'è sgradevole!” ...ecc... Io, che sentivo in me tutto il contrario, avevo una gran voglia di difendermi.
Fortunatamente mi balenò un'idea luminosa: mi dissi che certamente, se avessi cominciato a giustificarmi, non avrei potuto mantenere la pace dell'anima; sentivo altresì che non avevo abbastanza virtù per lasciarmi accusare senza dir nulla; perciò, l'ultima tavola di salvezza era la fuga. Pensare e fare fu tutt'uno: partii senza tamburo né tromba, mentre la consorella continuava il suo discorso che somigliava alle imprecazioni di Camilla contro Roma.
Il cuore mi batteva tanto forte che mi fu impossibile andar lontano, e mi sedetti sulle scale per goder in pace il frutto della mia vittoria. Non era un atto di gran valore, è vero, ma credo sia meglio non esporsi alla battaglia quando la sconfitta è sicura». (C- 293)
• Famoso è l'episodio con suor San Pietro.
Data la sua età avanzata, questa sorella bisognava accompagnarla dal coro al refettorio. Teresa si offrì per questo servizio, benché le costasse molto poiché la sorella era molto esigente. E «ci volle del bello e del buono» affinché accettasse un'accompagnatrice tanto giovane.
Teresa ne dipinge un quadretto delizioso, col sorriso sulle labbra.
«Ogni sera, quando vedevo suor San Pietro scuotere la sua clessidra, sapevo che quel gesto voleva dire: Partiamo! È incredibile come mi costava scomodarmi, specie all'inizio…
E poi cominciava la liturgia. Bisognava smuovere e portare il panchetto in un certo qual modo, soprattutto senza fretta; dopo aveva luogo la passeggiata. Si trattava di seguire la povera inferma sostenendola alla cintola; lo facevo con quanta più dolcezza mi era possibile, ma se, per disgrazia, ella muoveva un passo falso, le pareva subito che io la reggessi male e che stesse per cadere. “Ah, Dio mio! lei va troppo svelta, mi fracasserò”. Se tentavo di camminare ancor più lentamente: “Ma faccia attenzione, mi segua! Non la sento più la sua mano; m'ha lasciata andare, casco! Ah, lo dicevo io che lei è troppo giovane!”. Finalmente arrivavamo senza incidenti al refettorio; là sopravvenivano altre difficoltà: si trattava di far sedere suor San Pietro, e di agire destramente per non ferirla. Bisognava tirarle su le maniche (anche questo, in un certo modo), e dopo, finalmente, ero libera, potevo andare.
Con le sue povere mani storpiate, sistemava il pane nella ciotola, come poteva. Me ne accorsi, e ogni sera, prima di lasciarla, le facevo anche questo piccolo servizio. Siccome lei non me l'aveva chiesto, fu molto commossa per la mia premura, e con questo mezzo che io non avevo cercato, guadagnai del tutto le sue buone grazie e, soprattutto (l'ho saputo più tardi) perché, dopo averle tagliato il pane, le facevo il mio più bel sorriso, prima di andar via» (C-325).
– La sua abitudine di mortificarsi si estese a tutte le cose. Non chiedeva mai notizie. Se vedeva un gruppo di suore conversare con la Priora, non si avvicinava per sapere che cosa dicessero. Si esercitava a trattenere una parola di risposta; a rendere piccoli servizi senza farlo notare, a compiere dei lavori senza attrattiva, a vin-cere antipatie naturali. Quando le sue sorelle si recavano in parlatorio senza di lei, non chiedeva loro informazioni, anche quando le interessavano.
Quasi non bastasse questa volontaria "mortificazione" degli affetti, Teresa si faceva premura di preferire la compagnia di quelle monache che più mettevano alla prova la sua carità paziente e sorridente. Pareva ricercare le occasioni per soffrire a causa di antipatie nei suoi confronti, per atteggiamenti di caratteri difficili, per contrasti d'umore, per gelosie, per certi modi di fare che la ferivano. Persino le accuse false non la turbavano, esternamente, e non la inducevano a scusarsi. Ma non lasciava trasparire all'esterno lo sforzo che compiva per mortificarsi. Appariva abitualmente calma, serena. Dissero di lei che praticava la virtù con tanta disinvoltura che la si credeva inondata di consolazioni spirituali.
3. La sua preghiera
Scriverà al termine della vita: «Al di fuori dell'ufficio divino... non ho il coraggio di sforzarmi a cercare nei libri le belle preghiere: ciò mi fa venire il mal di testa» (C-317).
E confesserà: «Ho avuto tanta difficoltà, per tutta la vita, a dire il Rosario» ... «Ho un bell'impegnarmi nel meditare i misteri del rosario: non arrivo a fissare il mio spirito... [...] Per lungo tempo mi sono afflitta [per questo]. Ora me ne cruccio meno: penso che la Regina del Cielo è mia madre; vede certo la mia buona volontà e se ne contenta» (C-318). Qualche volta, se il mio spirito è in aridità così grande che mi è impossibile trarne un pensiero per unirmi al buon Dio, recito molto lentamente un "Padre Nostro" e poi il saluto angelico; allora queste preghiere mi rapiscono, nutrono l'anima mia ben più che le avessi recitate precipitosamente un centinaio di volte» (C-318).
§ Altro che mistiche esperienze in senso consolatorio! La giovane monaca, bersagliata da ogni parte, sperimentò nel suo intimo una vera siccità di consolazioni spirituali. –
• Nel 1890, anche la Professione le era stata ritardata.
Quando, finalmente, venerdì 29 agosto, Teresa iniziò il ritiro spirituale in preparazione della professione religiosa, fece una dolorosa constatazione. Furono giorni di "aridità" (come successe in tutti i suoi ritiri spirituali). Si sentiva sola, senza fervore: il Signore sembrava "dormire" nella sua anima.
– Chi non è assuefatto ai problemi della vita interiore, può farsi un'idea della natura dell'aridità riflettendo sull'esperienza di quella situazione intima che può succedere ad un lungo e dolce rapporto amicale con altra persona. Può accadere che alla sicurezza sperimentale d'avere un amico, al desiderio di trovarsi uniti, di stare insieme, subentrino indifferenza, assenza di desiderio di stare insieme…. pur avvertendo che tutto ciò si concreta in un impoverimento personale. E, per di più, tale stato non è chiaramente voluto: è più forte del proprio interesse; anzi si mantengono gli stessi impegni. Ciò che scompare è quel clima vitale che rende piacevole la relazione.
Teresa, da una parte sua, aveva interrotto tutti quei rapporti che erano estranei ai suoi interessi religiosi. Ebbene, anche quella parte che avrebbe dovuto darle sicurezza, soddisfazione di quanto stava compiendo, conforto (Messe, comunioni, meditazioni, ritiri, esercizi spirituali…) non le procurava nulla di tutto questo. Eppure, ella s’impegnava, fin nei minimi particolari, con tutta la volontà. –
– Tornando ai giorni di preparazione alla Professione... come reagisce Teresa? Gesù «dormiva»? Non sarà certamente lei che tenterà di svegliarlo! Anzi, «.... invece di addolorarmi, ciò mi fa un piacere immenso».
«In verità, .... invece di rallegrarmi, dovrei attribuire [l’aridità] al mio poco fervore e alla mia scarsa fedeltà; dovrei sentirmi desolata perché dormo (da sette anni) durante le mie orazioni ... Ebbene, non mi affanno per questo. Penso che i bimbi piccoli piacciano ai loro genitori quando dormono come quando sono svegli; penso che, per fare delle operazioni i medici addormentano i malati. Infine, penso che il Signore vede la nostra fragilità, e si ricorda che noi siamo soltanto polvere» (A-215). ••
•• Teresa ci offre alcuni dettagli del suo travaglio interiore.
Non soltanto non le riuscì di superare i soliti banali disagi della contemplazione (distrazioni nei riti religiosi, divagazioni nell'orazione, sonnolenza nelle ore di coro, turbamenti di coscienza, ecc.), ma ebbe anche la prova del dubbio che la sua scelta vocazionale fosse errata. Infatti, la sera stessa della vigilia «... la mia vocazione mi apparve come un sogno, una chimera…
Trovavo bellissima la vita del Carmelo, ma il demonio m'ispirava la certezza che non fosse fatta per me, che avevo ingannato le superiore procedendo per una strada alla quale non ero chiamata. Le mie tenebre erano così grandi che vedevo e capivo una soltanto cosa: non avevo la vocazione! ...». (A-217)
Fu tentata di non aprirsi alla Maestra per timore d’essere impedita di emettere i Voti…, ma si vinse e «piena di confusione le esposi lo stato della mia anima».
Quell'atto di umiltà compì il miracolo: aveva appena terminato di parlare che i dubbi scomparvero e lasciarono libero il cuore per un giorno di pace.
E in quella pace pronunciò i voti, la mattina del 8 settembre 1890.
– Nonostante l'abituale assenza di “consolazioni spirituali”, la sua unione con Dio era continua, anche in mezzo alle occupazioni più distraenti.
Una novizia testimoniò: “Quando vedeva che mi lasciavo assorbire dal lavoro materiale, mi diceva: «Che state facendo? Siate più raccolta; occupatevi in primo luogo di Gesù, anche durante il lavoro».
E un'altra: “Nulla di affrettato nel suo atteggiamento; ma era un piacere vedere questa giovane penetrata dalla presenza di Dio”.
Un giorno le fu chiesto: “Come fa a pensare sempre al Buon Dio?”. «Non è difficile – rispose –. Si pensa naturalmente a chi si ama».
Un giorno le si chiese se non perdesse mai la presenza di Dio. «Oh no! – rispose. Credo di non essere mai stata tre minuti senza pensare a Dio».
• Tra l’8 e il 15 ottobre 1891, afflitta da prove interiori d’ogni specie, fino a chiedersi talvolta «se esiste un cielo», Teresa sperimentò un'enorme consolazione.
Sappiamo che gli Esercizi spirituali non “andavano molto giù” a Teresa: i predicatori non erano sulla sua stessa onda. Quella volta, però, accadde il contrario. Il francescano predicatore padre Alexis Prou (apprezzato soltanto da lei!) la «lanciò a vele spiegate sulle onde della confidenza e dell'amore» che l'attiravano così fortemente e su cui non osava lanciarsi! Le confermò che le sue colpe «non addoloravano il Signore, e aggiunse – come suo rappresentante e a nome suo –, che Dio era molto contento» di lei. (A-227)
Tale assicurazione le aveva allargato il cuore.
• Il 12 maggio 1892, ultima visita al Carmelo del signor Martin, che riesce a dire soltanto: "Al cielo!".
Ndr. Sono state scelte tre immagini fotografiche di Santa Teresina, che la rappresentano nella sua fanciullezza: sorriso e sguardo ancora bambino!
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