AFORISMA

Meglio aggiungere vita ai giorni, che non giorni alla vita
(Rita Levi Montalcini)

Nostra Signora del Carmelo

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colei che ci ha donato lo scapolare

domenica 23 novembre 2014

Lo zoo di pezza

Non amo gli uccellini in gabbia, così come non mi piacciono i rettili nel terrario, il criceto che corre nella ruota. Odio le prigioni, non metterei mai in galera un animale. Quando vado al parco, porto le noccioline agli scoiattoli, che vengono a prenderle direttamente dalla mia mano e subito si allontanano per mangiarle ad una certa distanza da  me.

Gli animali domestici sono fatti per vivere in casa, da “domus”.
I cani e i gatti, se sono randagi, se non hanno dimora presso l’uomo, mi fanno tanta pena. Incorrono in malattie, per carenza di cibo, o rischiano di finire sotto le ruote di un’auto, se non essere addirittura torturati da qualche vandalo crudele.
Anche gli animali della fattoria hanno bisogno di vivere in simbiosi con l’uomo. Nel giusto modo.
Vivevo a Milano, e fino al 1990, nei giardini pubblici di Piazza Cavour, c’era lo zoo. L’ho frequentato da piccola, e vi ho portato i miei figli.
Non vi andavo per vedere animali esotici. Ricordo Bombay, un docile gigantesco elefante, che suonava la campanella, l’organetto e l’organo a bocca, e si esibiva in tanti altri esercizi insegnatili dal suo domatore. Poi alla fine, con la proboscide allungata, faceva il giro degli spettatori, e se gli davano noccioline, le portava alla bocca, se erano monetine, le consegnava al suo istruttore. Ora Bombay, dopo lunghi anni di lavoro come attrazione per i visitatori dello zoo, è nel paradiso degli animali buoni, e la sua testa si trova, imbalsamata, al Museo di Scienze Naturali, che costeggia i giardini pubblici, in via Palestro.
Neppure questo, però, era il motivo per cui mi recavo volentieri allo zoo. Lì, c’era una grande voliera, che imprigionava uccelli rapaci: avvoltoi, condor, aquile, nibbi, falchi, sparvieri, bianconi, poiane…ma quello che più mi ha attirava era caracara.
 Il caracara striato(Phalcoboenus australis J.F.Gmelin, 1788) è uccello rapace appartenente alla famiglia dei Faconidi, diffuso nelle aree costiere meridionali dell’Argentina e del Cile e nelle Isole Falkland. Entrambi i sessi hanno il medesimo piumaggio che negli adulti è quasi interamente nero, mentre le gambe e le membrane sono di colore arancio e il collo è chiazzato di grigio. Durante il primo anno di vita i giovani sono di color castano con la parte inferiore tendente all'arancio o rossastra, colore che perdono dopo la prima muta del piumaggio. La livrea da adulto maturo è acquisita solo al quinto anno.
Le dimensioni vanno dai 55 a 62 cm, con un peso che arriva a 1,2 kg.
Dalle dimensioni, si può notare che è un volatile un po’ più grande di una gallina. E dal colore, si capisce se si tratta di un esemplare giovane o adulto.
Mi avvicinavo alla voliera, e lui immediatamente veniva vicino e si faceva grattare il capo. Non so come sia potuto accadere questo fatto, si è trattato di una reciproca simpatia? Non saprei che dire, Decidemmo di dargli un nome, e lo chiamammo Pipetto. Nulla però mi toglie dalla mente che se San Francesco parlava con i lupi e gli uccellini, è possibile che avesse trovato il modo di instaurare con loro un rapporto di parità – ognuno di loro, Francesco compreso erano creature di Dio. Questo concetto, ha permesso che si creasse reciproca fiducia. Gli animali temono l’uomo da tempi atavici, quando fin da quando era cavernicolo, li uccideva per proprio tornaconto: cibo e pellame.


Appena arrivati allo zoo, ci dirigevamo subito da lui, e non appena lo chiamavamo per nome, scendeva dai trespoli posti in alto, che erano un fax-simile del suo habitat, e si avvicinava per farsi accarezzare. La gente restava sbalordita, mai che si azzardasse ad aprire il becco per farci del male, e il suo becco è un rostro ben forte! I miei figli sono cresciuti con lui. Di domenica, non c’era verso, dovevamo portarli allo zoo solo per salutare Pipetto. “Altrimenti – dicevano - lui diventa triste e piange!”.
La passione per gli animali dello zoo era tanta, anche se a me piangeva il cuore vedere i felini impazzire, muoversi avanti e indietro in gabbie di pochi metri quadri, dove neppure un gattino avrebbe avuto lo spazio sufficiente per viverci agiatamente. La stessa prigionia per gli orsi bruni, neri e il grizzly, e così per le giraffe e per ogni altra specie di animali selvatici, che a mio avviso, dovrebbero vivere nelle estese praterie del loro naturale habitat.
Fu così che mi rallegrai, quando 24 anni fa lo zoo cittadino venne demolito ed i suoi abitanti, trasferiti negli zoo safari dislocati in Italia. Certo, anche lì non trovarono il loro ambiente naturale, e grandi spazi, ma oramai non saprebbero, dopo anni in cattività, difendersi e procacciarsi il cibo. In ogni caso, negli zoo safari non ci sono gabbie piccole, anzi, gli animali selvatici dispongono di vasti spazi, dove è stato creato un habitat non troppo dissimile da quello dove di norma dovrebbero vivere.


Carissimi, se volete creare uno zoo, fatelo con gli animali di pezza, quelli di peluche, che non sono viventi e ben felici di dormire nel lettino con i vostri piccoli cuccioli d’uomo, facendo loro buona compagnia quando la notte i bambini si sentono soli. Lo storico Teddy Bear insegna.
Danila Oppio

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