AFORISMA

Meglio aggiungere vita ai giorni, che non giorni alla vita
(Rita Levi Montalcini)

Nostra Signora del Carmelo

Nostra Signora del Carmelo
colei che ci ha donato lo scapolare

mercoledì 3 aprile 2013

NELLE FALESIE DELL'ANIMA

PRESENTIAMO CON IMMENSO PIACERE LA NUOVA
SILLOGE POETICA DI GAVINO PUGGIONI


ll leitmotiv che ha ha ispirato il disegno in copetina,  di Debora Cabboi è la poesia
IL BAMBINO CON LA CHIAVE


L'avevo visto quel bambino
son passati tanti anni ormai
l'avevamo visto noi tutti
quel bambino in compagnia
della sua solitudine
migrare da una terra all'altra
con quella chiave simbolica
nelle sue mani

a voler aprire
a voler dire
a voler urlare
al mondo intero

Apritemi quella porta!

che nessuno osava sfiorare

Apritemi quella porta!
dietro di essa
c'è il mio mondo
c'è la mia speranza
quella che mi avete rubato
quella che state uccidendo
quella che io voglio salvare

Apritemi quella porta!

Con me ci sono milioni di bambini
guardateli! ascoltateli!
sono i miei compagni
siamo i vostri figli
in questa vita che tale ancora non è

Apritela! quella porta
la Terra è nostra
vogliamo viverla!


Gavino Puggioni
22 novembre 2012


Una nuova raccolta di poesie di Gavino Puggioni è sempre una sorpresa. I temi che si rincorrono appaiono a prima vista gli stessi delle sillogi precedenti: tanti nella quantità, certo, eppure molto “alti” nella qualità. Andando a scandagliare tra gli interstizi dei suoi versi, il lettore può rendersi conto, ad un esame più approfondito, che Gavino Puggioni non si ripete per niente. Così il manifesto poetico della silloge, “Il bambino con la chiave”, ci riporta alle tematiche che più stanno a cuore all’autore: l’infanzia, i bambini che osservano con stupore e delusione gli adulti, ma anche un passato che non c’è più e l’incredulità per il mondo che scivola verso l’abisso. “Nel silenzio dei rumori” e “Le nuvole non hanno lacrime” sono stati i due titoli che hanno preceduto “Nelle falesie dell’anima”. E allora la chiave apre la porta per il mondo rubato, per la speranza sottratta al futuro. Perché “la Terra è nostra vogliamo viverla”.

Ma i versi di Gavino Puggioni hanno anche un’altra caratteristica, legata ad un sapiente uso della punteggiatura, assente per sottolineare lo sgomento per una realtà amara. La poesia diventa allora una lama sottile che taglia la cute dell’anima, la fa a pezzi per ricomporla in un secondo momento, sotto le stelle e il cielo della vita. «Una compagnia di cani randagi ulula la sua fame con la paura», ma gli umani sono più disperati, perché la loro miseria è interiore e non può trovare nutrimento. Ma la natura viene in soccorso, con un fiore, che però nasconde un bambino, che, ecco il risvolto negato in agguato, è piegato, spezzato dalle intemperie. «Oggi, vento di tramontana, non l’ho visto», ammette il poeta. Perché la natura stessa è spesso crudele. Disegna colori e pregevoli dipinti ma poi li spazza via. «E il cielo sopra, azzurro e cupo». Ma c’è la luna, che ridona speranza, nel buio della notte, con i suoi occhi, gli occhi di un bambino.

“Nelle falesie dell’anima” è un passo in avanti. Anche il titolo si fa meno negativo. Perché stavolta c’è il suono, materialmente palpabile. Nessun silenzio ossimorico dei rumori, nessuna nuvola senz’acqua o lacrima. E la speranza è lì, a vincere sull’angoscia quotidiana dell’uomo.

Prefazione di Luca Foddai




Il titolo racchiude tutto il pensiero filosofico dell’Autore. Non servono luoghi e spazi di tempo, di come sia giunto a comporre l’attuale silloge, occorre percorrere le falesie dell’anima, per svelare il senso delle poesie di Puggioni, è comunque importante conoscere il motivo per cui ha scritto questi versi, e quali emozioni li hanno dettati. Le falesie sono coste con pareti rocciose che scendono a picco sul mare. Quelle dell’anima, sono le poesie che scendono a picco nell’interiorità dei poeti, per riversarsi nel mare calmo e profondo della scrittura.

L’Autore si è definito “una maschera dipinta – in una vita mascherata – da emozioni infinite”. Appare evidente l’input che fa scaturire i versi del Poeta, da addebitare alle sensazioni che gli affiorano nell’animo. La vita interiore, così intuisco, pare sia l’unica capace di donargli pienezza di sentimenti, che esterna con vera maestria, attraverso la liricità dei suoi versi.
Il suo amore incondizionato per la Terra, questo nostro Pianeta tanto maltrattato, e per l’intera umanità, soprattutto quella sofferente, strappa al Poeta urla di sconforto, versi di disperazione che cadono come lacrime sopra i fogli di carta, sui quali verga le sue composizioni.
Il ricordo del passato, della sua infanzia felice, gli fa cantare una nenia malinconica e insieme sublime, di quella vita vissuta accanto ai suoi affetti familiari, ai luoghi che l’hanno visto bambino. Si accorge che il tempo è implacabile, inflessibile, e che la vita vissuta ha lasciato una scia di ricordi che, pur facendo parte del trascorso, ritornano nel presente, come il relitto di una nave, affiorato sulla superficie del mare tanto amato dal Poeta. I giorni sono colmi di ricordi che lasciano una sensazione di vuoto apparente, poiché già il ricordo riempie mente e cuore.
In HO SOTTERRATO PIETRE, chiude con questi versi: ”Non ho sotterrato la memoria – che veglia su di me – pegno d’amore – per una vita semplice – dedicata a tutto – piena di niente”. E’ come se dopo aver vissuto occupandosi di mille cose, l’Autore si fosse accorto che in fondo non erano così importanti. Non è un po’ così per tutti noi? Il tempo scorre, e dalla solita umana indifferenza, si ritrova in un pomeriggio in cui il vento del deserto sibila nel silenzio, un boato del nulla infranto alle porte dell’infinito.
Scrive, il Poeta, del pomeriggio di una giornata ventosa, ma anche del meriggio della sua esistenza.. La parabola discendente della vita, non si può chiamare sera. Non fino a che vive nel cuore la speranza: speranza in un mondo migliore, della sopravvivenza di sentimenti colmi di umanità, in un’apoteosi di consapevolezza che vale ancora e sempre la pena di essere vissuta. Non è sera, fintanto che dietro una porta chiusa se ne apre un’altra, che si spalanca su nuove meraviglie, poiché la vita non è sempre triste, perché ci sono ancora musiche infinite da ascoltare, e la primavera che rifiorisce ancora e sempre.
Puggioni è un poeta amareggiato, a volte proprio arrabbiato per come gira il mondo, a causa delle guerre, della fame che dilania i popoli, dei bambini maltrattati, un mondo che diventa sempre più indifferente ai veri bisogni dell’umanità.
Il Poeta s’identifica, quindi, come una pallina: “Sono una pietra dura – scalfita – consumata – sbattuta come una pallina – sempre a rotolar – tra pensieri impervi – viali di una vita – che scorre e corre lenta – verso la sua meta”. C’è molto realismo in questi versi, e una sottile rassegnazione, che però spesso scompare, illuminata da un rivolo di speranza.
L’Autore termina la silloge con questo lirismo: “…lassù, soli – ci abbraccerà il vento – che spazzerà il male – dall’universo…e la vita ritornerà”.
Rimane ancora molta positività dentro gli armoniosi versi dell’Autore, che con occhio attento dipinge la Vita com’ è realmente, piena di contraddizioni, di bellezza e di fango, ma che lascia aperta la porta alla Dea Spes, che come tutti sappiamo, se dovesse proprio morire, sarebbe davvero l’ultima.

Prefazione di Danila Oppio





Il libro potrà essere ordinato direttamente all’indirizzo email dell’autore:puggioni.gavino@tiscali.it  al costo di euro 13.  L’autore sarà felice di inviarvelo, se lo desiderate, con una dedica personalizzata.


I disegni nel testo, sono elaborazioni grafiche di Danila Oppio.





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