LE CONFERENZE DI P. CLAUDIO TRUZZI ocds
Sono così chiare che mi sono permessa di pubblicarne una parte, adeguata alla Quaresima che stiamo vivendo oggi.
DIO E IL DOLORE
Parlando con “persone di chiesa” può capitare di sentirsi dire che le prove della vita (malattie, disgrazie, catastrofi, ecc.) dobbiamo accettarle come volontà di Dio; la stessa morte di Cristo sarebbe stata voluta da Dio, ecc. Ma in che senso? Affermazioni di questo genere possono sconcertare e far pensare ad un Dio piuttosto sadico.
C'è un fondo di verità in esse? E quale sarebbe?
Tentiamo – solo tentiamo! –una risposta:
Vorrei partire da alcune costatazioni che sono alla portata di tutti.
– è un fatto che la sofferenza, la difficoltà e la prova fanno parte della nostra condizione umana, che è la condizione di creature, cioè di esseri limitati. Non potremmo pensare ad una condizione umana autentica senza il dolore. Il dolore è iscritto nelle leggi e nelle strutture del mondo in cui attualmente ci troviamo. (La Rivelazione ci dice che questa fase un giorno sarà superata).
– Ed è pure vero che, per quanto refrattaria sia la nostra sensibilità di fronte al dolore, alla luce dell'esperienza storica, esso si presenta a noi come un coefficiente ed un mezzo indispensabile del progresso umano, il quale sarebbe quindi inconcepibile senza di esso.
La sofferenza, la prova stimolano l'uomo e lo fanno progredire in tutti i campi: in quello tecnico e scientifico, ma soprattutto in quello morale e spirituale. La sofferenza aiuta l'uomo a prendere meglio possesso della sua dimora terrena, a comprendere meglio il senso della propria esistenza e del proprio destino; può affinarlo in vista di una convivenza sempre più umana.
Questo fatto può aiutarci a capire espressioni della lettrice.
Le prove della vita “vengono da Dio”, nel senso che Egli ci chiede d’accettarle, in quanto fanno parte della nostra esistenza ed hanno questa funzione educativa così profonda: Dio desidera innanzitutto che noi accettiamo bene la nostra esistenza con i rischi e le sorprese che essa può riservare. La grandezza e la dignità dell'uomo consistono nell'accettare la realtà, e non già nel fuggirla.
Per noi credenti, inoltre, s’aggiunge un'altra considerazione ancora più profonda, che ci proviene dall'esperienza umana di Cristo Gesù. Dai Vangeli restiamo colpiti dal modo con cui Egli affrontò il dolore. Cristo lo accettò non come una pena ed una condanna, ma come la conseguenza normale della condizione e delle scelte che aveva abbracciato. Cristo sapeva che il farsi “uno di noi” per portarci il messaggio della salvezza, significava fare i conti con la fatica e con la morte, con l'inerzia e la lentezza della mente e del cuore umano, con l'incomprensione, la cattiveria e l'opposizione da parte degli uomini alla sua luce e bontà. Il Padre “volle” la sofferenza e la morte del Figlio suo, nel senso che “volle” che egli accettasse tutte queste prove come conseguenza dell'essersi fatto nostro fratello, in tutto solidale con noi. E Cristo abbracciò pienamente questo disegno del Padre.
Ma ecco il frutto di questa sua sottomissione alla volontà del Padre: col suo atto d'amore Cristo rovesciò il dolore e la morte. Dalla passione e morte vediamo scaturire la resurrezione ed il rinnovamento del mondo.
Mi sembra, allora, di riuscire a capire, dall'esperienza di Cristo, la risposta che Dio ha voluto dare al problema del dolore: dietro il dolore si nasconde l'amore di Dio, nel senso che attraverso vie misteriose lo fa convergere al nostro bene.
Voleva, soprattutto, darci la forza d’accettarlo, di trasformarlo, facendone il mezzo più potente di elevazione del mondo.
Mi sembra, quindi, che l'esperienza di Cristo, lungi dal farci pensare ad un Dio “sadico”, dovrebbe farci pensare ad un Dio che ama infinitamente l'uomo. Lo ama al punto da consegnare al mondo il suo figlio perché sia al fianco di ciascuno di noi.
E Cristo, adesso, è in grado d’alleggerire, di soffondere di serenità il nostro dolore, e di trasformare anche un'esistenza apparentemente inutile, in un'esistenza costruttiva oltre ogni nostra immaginazione.
E là, quindi, sulla Croce, che appare una pista di risposta; ma non con parole, però, che si possano scrivere o leggere in un foglio.
Dio non fornisce una spiegazione a coloro cui offre la sua umanità: Lui semplicemente viene a farsi solidale della sofferenza dell’uomo, della sua ricerca, dei suoi “Perché?” fino alle ultime conseguenze.
Seguire Lui, il Signore, e condividere quella solidarietà può essere un cammino di risposta.
Fino ad oggi balza agli occhi questo contrasto:
1. alcuni, istallati nel Primo Mondo, affermano di non credere in un Dio che non spiega il perché del male,
2. mentre altri donano la loro vita, la compromettono lavorando per la dignità delle persone, per la pace ed i suoi nuovi nomi – giustizia, sviluppo, dialogo –, e si ritrovano nelle mani e nel cuore qualcosa più grande di ciò che si possa esprimere, e danno la testimonianza del fatto che Dio si rende specialmente presente fra gli ultimi, fra quelli che nel nostro mondo non hanno voce. Vale la pena di seguirli.