Quale patria per i ‘senza’
La vita dei “senza” – che siano persone senza permesso di soggiorno, senza domicilio, senza cittadinanza, senza una terra, senza diritti –la possiamo comprendere solamente in relazione alla vita dei “con”, per così dire, ovvero coloro che beneficiano di queste cose generalmente date per scontate, in una relazione mediata dall’insieme delle istituzioni che contribuiscono a legittimare e mantenere tali disuguaglianze. (Didier Fassin)
Li ho visti, scoperti, conosciuti e, talvolta accompagnati, in Costa d’Avorio, in Argentina, in Liberia, nel Niger e a Genova in una Patria che mi è sempre più difficile riconoscere come tale. Si tratta dei SENZA di cui parla Didier Fassin nel suo libro ‘Le vite ineguali’. Senza la pace da decenni. Senza la parola da sempre. Senza rappresentanza nella politica. Senza una storia meritevole di menzione secondo i criteri dominanti. Senza identità per le statistiche della Banca Mondiale o degli Stati. Senza un volto.
Senza un passato degno di essere raccontato. Senza autorevoli testimoni del misfatto. Senza voce in capitolo nelle scelte dell’economia. Senza uno spazio degno nelle religioni ufficiali. Senza strade, monumenti o piazze a loro dedicate. Senza un nome da tramandare alle generazioni che verranno. Senza lacrime da vendere sul mercato dell’umanitario. Senza sapere quello che accadrà domani. Senza nessuna certezza da offrire ai propri figli. Senza una Terra Promessa verso cui andare.
Li ho visti, scoperti, conosciuti perché ne faccio parte. Si tratta dei CON che menziona il sopracitato Fassin. Con la possibilità di viaggiare ovunque. Con documenti in regola. Con una casa da abitare e un giardino da accudire. Con i vecchi da custodire e i testamenti da lasciare. Con una scuola per imparare come diventare docili sudditi e occasionalmente cittadini. Con sempre meno tempo a disposizione per vivere troppe cose alla volta. Con la possibilità di scegliere cosa mangiare e che fare per divertirsi.
Con una malattia che colpisce la fantasia e che rende superflui i bambini. Con la tristezza di chi ha smarrito il sentiero della vita. Con gli occhi troppo spesso incapaci di leggere il mondo. Con la bocca che fatica a dire parole vere. Con l’udito sordo al grido che attraversa il mare. Con le mani che hanno dimenticato di aprirsi. Con la memoria svenduta alla lista della spesa. Con il cuore diventato oggetto di speculazione edilizia. Con la paura di ciò che riserverà loro il passato. Con un conto in banca.
Ubi bene, ibi patria, la patria è dove si sta bene e dunque dove la vita è degna di essere vissuta. Si tratta di una frase latina attribuita a vari autori. Una patria, tutta da inventare perché appartiene di diritto ai ‘senza’. Il futuro, loro sottratto dall’inizio del mondo, fornirà il primo materiale di costruzione. Una patria dove l’ingresso sarà tassativamente vietato ai ‘con’. Potranno entrare a condizione che alzino gli occhi e tendano le mani, mendicanti, ai ‘senza’ della storia.
Mauro Armanino, Genova, ottobre 2025
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