Sanremo: conferenza
Normalizzare la violenza: la mobilità criminalizzata
Non è casuale. La deportazione dei migranti, rifugiati e richiedenti asilo si è estesa alla stessa velocità della globalizzazione delle merci e dei capitali. In molti dei Paesi occidentali e, gradualmente anche nel Sud del mondo, i campi di raccolta, identificazione, transito ed espulsione si sono moltiplicati. Fare poi appello a Paesi terzi ritenuti ‘sicuri’ in quanto a rispetto dei diritti umani è una pura finzione giuridica senza fondamento. Le violenze insite nelle sinistre operazioni citate, per la loro pervasività e soprattutto per le collusioni coi poteri politici, sono da tempo ‘normalizzate'. Non fanno notizia, non danno scandalo, non sono pietra di inciampo, non fanno vergognare, non destano reazioni notabili, non generano sconcerto e non lasciano, apparentemente, traccia.
Non è casuale. La mobilità, per la sua intrinseca carica sovversiva, è stata ‘criminalizzata’. Rivendica un’insopprimibile scorta di futuro da inventare per società dove una delle caratteristiche fondanti è, appunto, il controllo dei cittadini. Diventa insopportabile, per il sistema che va per la maggiore, saltare gli schemi che hanno creato frontiere armate per fronteggiare l’arrivo dei ‘barbari’. Per i greci i barbari erano coloro le cui parole erano incomprensibili, forse non erano parole ma solo suoni selvaggi da cui distinguersi. La libertà di movimento e cioè la mobilità, seppur affermata al numero tredici della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, è notoriamente riservata solo ad una parte degli umani che popolano la terra.
Non è casuale. Infatti, a ben vedere, il mondo si divide tra quelli che possono viaggiare e quelli che dovrebbero sottostare a residenza sorvegliata. Tutto dipende da dove e da chi si nasce, tutto lì. Il resto sono corollari che la natura stessa ha pensato bene di catalogare. Ci sono i viaggiatori onesti per lavoro, i turisti, i pellegrini e i popoli nomadi. Arrivano poi coloro che, viaggiando senza chiedere permesso alle frontiere sono definiti clandestini, illegali, irregolari e, senza alcun dubbio, criminali. Le persone che dovrebbero scomparire in silenzio dove il destino li ha posti, ribellandosi apertamente alla stanzialità, diventano dunque il bersaglio favorito dei poteri. Sono visti e considerati come una minaccia permanente al disordine stabilito.
Non è casuale. E, di fatto, non c’è nulla di peggio, nella vita, che abituarsi, normalizzare, ‘naturalizzare’ l’esclusione sistematica di coloro che sono portatori di un nuovo soffio al presente. Assumere come tedioso fatto di cronaca la sparizione di migliaia di cercatori di mondi nuovi non potrà che incentivare una cultura votata alla morte. Sarebbe un errore credere di passare indenni la ‘banalizzazione’ della violenza di cui i campi di detenzione e le frontiere armate sono espressione. Ogni società che usa la violenza come metodo per dirottare, frenare e, in ultimo, tradire la mobilità, smarrirà irrimediabilmente il senso della vita e la sterilità sarà la sua sorte. Solo se ci accorgeremo che le nostre vite sono appese le une alle altre potremo, forse, aiutarci a sognare un altro mondo.
Mauro Armanino, Torino, ottobre 2025
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