Lettera al padre
Partito oggi ma nel passato millennio. Il 16 ottobre dello stesso anno della malattia di tuo figlio che avrebbe dovuto partire prima di te. Invece no. Dicevi che quello che avevi sofferto in quel mese di luglio dell’ottantadue non si poteva dire a parole. Solo col cuore si poteva e per questo, nella notte di quel giorno, il tuo si è fermato quanto basta. Erano passati cinquantasei anni dalla tua stessa nascita. Gli anni di lavoro nella fornace dei mattoni di Pila sul Gromolo a Sestri Levante, oggi inghiottita dal nulla, avevano fatto anch’essi la loro parte. Un lavoro di manualità e col forno per cuocere i mattoni e il refrattario all’antica. Pochi gli indumenti di lavoro e ancora meno le protezioni. Il motivo per cui le dita delle mani erano consumate dal calore e la ruvidezza del prodotto. A poco servivano le gomme ritagliate delle camere d’aria di moto e biciclette. La pelle era consumata, come la vita da partigiano.
Nel libro ‘Sguardi di libertà’, pubblicato dall’Anpi di Casarza Ligure, Val Petronio e Alta Val di Vara, si ricorda che, nato nel ventisei hai raggiunto la formazione partigiana nel mese di agosto del quarantaquattro. Avevi 18 anni quando integrasti il gruppo combattente fino alla conclusione, il venticinque aprile dell’anno seguente. Testimonianze probanti assicurano che tu, il partigiano Kent, così il tuo nome di battaglia, aveva rifiutato di imbracciare il mitra ‘sten’ propostogli. Ti eri in cambio specializzato per condurre gli indispensabili muli sulle montagne di confine tra lo spezzino e il parmense. Non sono molti i ricordi che hai voluto lasciare di questo periodo breve e intenso della tua vita. Solo conservavi e, con pudore, trasmettevi la memoria di un vissuto che avrebbe marcato il resto della tua vita.
Il tuo impegno sindacale nella Filca Cisl, Federazione italiana lavoratori costruzioni e affini, appare in continuità con l’esperienza partigiana. Da delegato di base visitavi i cantieri edili e, all’interno della ‘Fornace’ ti industriavi perché i diritti dei lavoratori fossero riconosciuti e rispettati. Leggevi spesso ‘Il lavoro’, noto quotidiano genovese nato nel 1903 e chiuso nel 1992, dieci anni dopo il suo transito terreno. Entrambi i tuoi due figli seguirono le tue orme e si impegnarono nelle vicende e lotte sindacali di quegli ‘anni di piombo’, come vennero in seguito chiamati. Nostra madre, tua sposa di estrazione contadina, non era sempre favorevole al nostro coinvolgimento sindacale. Amante com’era della giustizia e della verità non poteva che, segretamente, apprezzarci. Nondimeno l’ambito nel quale si sviluppò la continuità maggiore con la tua esperienza partigiana fu la famiglia.
Orfano assai presto di padre e, in modo drammatico di madre, percepisti il valore unico e insostituibile della famiglia. Una vita non facile, marcata dalla disoccupazione post-bellica e condizioni di vita povere e degne allo stesso tempo. Mentre, col tempo e la tenacia, la tua famiglia incontrò maggiore serenità anche economica. La cosa più bella, tra noi, era proprio l’esperienza concreta di quella libertà alla quale ti eri dissetato nei lunghi mesi partigiani tra stenti, paure e certezze. Il mondo nuovo era a portata di mano. Questa era ciò che noi figli abbiamo respirato per gli anni che ci sono stati concessi di condividere in famiglia e che continuano a ispirare i nostri sentieri. Non è stato casuale che, il giorno della tua sepoltura nel piccolo cimitero di collina, nel paese dove ti eri sposato con nostra madre, piovesse forte. Dio aveva forse voluto darti, a suo modo, l’ultimo sguardo di libertà.
Mauro Armanino, Casarza Ligure, 16 ottobre 2025


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