AFORISMA

Meglio aggiungere vita ai giorni, che non giorni alla vita
(Rita Levi Montalcini)

Nostra Signora del Carmelo

Nostra Signora del Carmelo
colei che ci ha donato lo scapolare

domenica 9 novembre 2025

LE ULTIME REALTA' . IL GIUDIZIO PARTICOLARE - terza conferenza di Padre CLAUDIO TRUZZI OCD

LE ULTIME REALTÀ  – [I “NOVISSIMI”]

3 – IL GIUDIZIO particolare

Chiesa - Catechismo

– «La morte pone fine alla vita dell'uomo come tempo aperto all'accoglienza o al rifiuto della grazia divina apparsa in Cristo. Il Nuovo Testamento parla del giudizio principalmente nella prospettiva dell'incontro finale con Cristo alla sua seconda venuta, ma afferma anche, a più riprese, l'immediata retribuzione che, dopo la morte, sarà data a ciascuno in rapporto alle sue opere e alla sua fede.  [1020]  

– «Ogni uomo fin dal momento della sua morte riceve nella sua anima immortale la retribuzione eterna, in un giudizio particolare che mette la sua vita in rapporto a Cristo, per cui o passerà attraverso una purificazione, o entrerà immediatamente nella beatitudine del cielo, oppure si dannerà immediatamente per sempre. «Alla sera della vita, saremo giudicati sull'amore». [1022]

–  IL TEMA DELL’ESAME – L’AMORE

 «Il Signore ci pone in una situazione “delicata”: da una parte Egli s’impegna a soprassedere ai nostri peccati, e dall’altra richiede la nostra collaborazione: il perdono nostro verso il prossimo! Una condizione che pone sì in risalto la nostra dignità di creature, ma dall’altra tocca un tasto “delicato”. Non è così?».

Al Signore sta a cuore la nostra salvezza-felicità, tanto da suggerirci nella “Sua” preghiera di chiedere al Padre che ci “promuova” [Rimetti i nostri debiti] ed anche ci indica la via che porta a questo fine (al superamento dell’“esame”): «Rimetti a noi i nostri debiti, come noi…».

«Rimetti, o Padre, i nostri debiti»

Abbiamo iniziato a pregare il Padre nostro con una confidenza audace: “Padre, Abba-papà!”. 

Ma sebbene rivestiti della veste battesimale, noi non cessiamo, purtroppo di peccare, di allontanarci da Dio.

Ora – ed è cosa tremenda – questo flusso di misericordia non può giungere al nostro cuore finché noi non si abbia perdonato chi ci ha offeso. Nel rifiuto di perdonare ai nostri fratelli e alle nostre sorelle, il nostro cuore si chiude e la sua durezza lo rende impenetrabile all'amore misericordioso del Padre; soltanto nella confessione del nostro peccato, il nostro cuore si apre alla sua grazia.

Questa domanda è tanto importante che è la sola su cui il Signore torna, sviluppandola nel Discorso della Montagna: «Se avrete rimesso agli uomini le loro mancanze, rimetterà anche a voi il Padre vostro che è nei cieli. Qualora invece non rimetterete agli uomini, neppure il Padre vostro rimetterà le vostre mancanze» (Mt 6,14-15): «Se dunque tu sei per deporre sull’altare la tua offerta e là ti ricordi ha qualcosa a tuo carico. Lascia la tua offerta davanti all’altare e va’ prima aa riconciliarti con tuo fratello; dopo verrai ad offrire il tuo dono» (Mt 5,23-24).

 – «Come noi li rimettiamo ai nostri debitori»

Questo “come” non è unico sulle labbra di Gesù. «Siate perfetti “come” è perfetto il Padre vostro celeste» (Mt. 5,48): «Siate misericordiosi “come” è misericordioso il Padre vostro” (Lc 6,36); «Vi dò un comandamento nuovo; che vi amiate gli uni gli altri; “come” io vi ho amati, così amatevi anche voi» (Gv 13,14).

All'uomo è impossibile soddisfare tale cruciale esigenza; ma «tutto è possibile a Dio» – rassicura Gesù! È impossibile osservare il comandamento del Signore, qualora si trattasse d’imitare il modello divino dall'esterno. Si tratta invece di una partecipazione vitale che scaturisce “dalla profondità del cuore”, alla Santità, alla Misericordia, all'Amore del nostro Dio. Soltanto lo Spirito, che è la nostra Vita. può fare “nostri” i medesimi sentimenti che furono in Cristo Gesù. Allora diventa possibile l'unità del perdono, perdonarci “a vicenda “come” Dio ha perdonato” a noi “in Cristo” (Ef. 4,32).

Così prendono vita le parole di Gesù sul perdono. La parabola del servo spietato (Gv. 13,1ss), termina con queste parole: «Così anche il mio Padre celeste farà a ciascuno di noi, se non perdonerete di cuore il vostro fratello». È lì, infatti, “nella profondità del cuore” che tutto si lega e si scioglie..

Non è in nostro potere non sentire più il torto, dimenticare l'offesa; ma il cuore che si offre allo Spirito Santo tramuta la ferita in compassione e purifica la memoria trasformando l'offesa in intercessione.

La preghiera cristiana giunge fino al perdono dei nemici. Il perdono è un culmine della preghiera, il dono della preghiera non può essere ricevuto che in un cuore in sintonia con la compassione divina. 

Il perdono sta anche a testimoniare che, nel nostro mondo, l'amore è più forte del peccato. I martiri di ieri e di oggi rinnovano questa testimonianza di Gesù. [Testimonianza – in appendice]

Il perdono è la condizione fondamentale della nostra riconciliazione con il Padre e gli uomini tra loro. Non c'è né limite né misura a questo perdono essenzialmente divino. 

Se si tratta di offese (di “peccati” secondo Lc 11,4 o di “debiti” secondo Mt 6,12), in realtà noi siamo sempre debitori. «Non abbiate alcun debito con nessuno, se non quello di un amore vicendevole» (Rm 13,8).

 – QUEL LADRO “FORTUNATO” ACCANTO A GESÙ

«Uno dei fatti più belli del Vangelo ha come protagonista un ladro. Un ladro fortunato – ammettiamolo –, perché s’è trovato sulla croce accanto a Gesù [“nel posto giusto al momento giusto”]. Il dialogo si chiude con l'incredibile affermazione di Gesù: «Oggi sarai con me in paradiso!». Se penso al Purgatorio assi-curato, alle Messe dei defunti, alle indulgenze, agli Anni santi, tutte cose che hanno carattere espiatorio, mi chiedo se quel ladrone fu semplicemente "fortunato", o se Gesù perdona più facilmente della Chiesa».  

La difficoltà mi sembra derivi da una non-esatta interpretazione dell'attività della Chiesa. 

Le Messe dei defunti, le indulgenze, gli Anni Santi (Giubilei) non rivestono necessariamente un significato di espiazione, nel senso di far scontare una pena imposta da Dio per il peccato. 

Occorre distinguere accuratamente tra gesti religiosi ed atteggiamenti che gli uomini assumono nel compierli, come occorre distinguere tra vita sacramentale ed interpretazione che di essa è data. Cioè?

Riguardo al rapporto Dio-uomo, negli ultimi secoli era molto diffusa l'interpretazione offerta da sant'Anselmo (1033-1109) nell'opera “Perché un Dio uomo”. La sua argomentazione poggiava su due cardini: 

– il concetto di peccato come offesa a Dio, e

– il concetto di soddisfazione come riparazione, restituzione dell'onore conculcato di Dio.

Il Vangelo, però, attribuisce a Dio proprio l'atteggiamento che sant'Anselmo considerava "empio", quello, cioè, di una misericordia gratuita. «Coraggio, figliolo, ti sono rimessi i tuoi peccati» (Mt 9,2), dice Gesù al paralitico. «Neanch'io ti condanno; va', e d'ora in poi non peccare più», afferma all'adultera (Gv 8,1 I). 

Il volto di Dio, quale Gesù rivela, non è scontroso ed irato per i peccati degli uomini, ma benevolo e misericordioso. Dio non vuole la sofferenza degli uomini, ma che godano della loro vita in pienezza. E più l'uomo s’è abbandonato al male, più l'amore di Dio si esprime come misericordia: «Questo mio figlio [il "figliol prodigo"] era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato» (Le 15,24).  Festeggiamo!

I cambiamenti di vita che il perdono di Dio sollecita, non devono essere pensati come tributi offerti a Dio per compensarlo degli sgarbi precedenti. 

In questa luce, anche la passione e la morte di Gesù acquistano un significato particolare. Esse non sono un tributo “pagato a Dio” in compenso dei peccati umani, ma sono la conseguenza della fedeltà di Gesù al progetto del Padre, di offrire salvezza a tutti gli uomini. Quando questi hanno rifiutato l'offerta ed hanno creduto doveroso eliminare il suo messaggero, Gesù non s’è tirato indietro, ma ha continuato ad amare, a manifestare la misericordia di Dio e ad esercitare il perdono. Ha vissuto così in piena libertà la sua morte.  

Il malfattore perdonato da Gesù non è più “fortunato” di tutti noi, né dei molti malvagi dei nostri giorni. 


A tutti infatti viene offerta misericordia, senza che sia richiesto nessun compenso o riparazione.

•  E così, l’“opera buona” o la preghiera, che viene imposta nel sacramento della Riconciliazione come “penitenza”, non è un prezzo offerto a Dio per il dono ricevuto, ma l'espressione della sincerità di conversione, quasi il segno visibile del rinnovamento accolto da Dio. 

•  Circa la metafora del “prezzo” – usata anche nel Nuovo Testamento per parlare della morte di Gesù (“Siete stati comprati a caro prezzo”, 1Cor 6,20; e 7,23) –, recita il “Catechismo degli adulti”: «Quando Paolo e Pietro parlano del nostro riscatto "a caro prezzo", alludono chiaramente alla grandezza dei patimenti che Cristo ha sofferto per liberarci dalla nostra schiavitù. Non certo a un prezzo esoso da pagare a Dio [“Signore, da chi andremo?”, p. 10]. 

Ciò vale anche per la nostra vita. Non dobbiamo credere che le opere buone o le pratiche religiose compiute siano un “prezzo” offerto a Dio per compensare il male nostro o altrui. Esse sono lo spazio attraverso cui permettiamo a Dio di esprimere il Suo amore in noi e la Sua misericordia ai fratelli. 


□ – GIUDIZIO SEMPRE SUL NEGATIVO?

«Quando si sente parlare del Giudizio, ho l’impressione di trovarmi dinanzi ad un implacabile esaminatore di tutte le magagne compiute da noi nella vita! Lo temiamo – perché tutti abbiamo la coda di paglia, come si sul dire –, ma non mi sembra una presentazione completa. Se è un “esame”, non si dovrebbe tener presente anche la parte positiva? Non si corre il rischio di considerare il Signore un “pubblico ministero”?».

Osservazione pertinente. Quando Gesù parla del giudizio finale, loda e chiama benedetti coloro che – nel caso specifico – hanno avuto un cuore buono gli altri; e nella parabola del seminatore approva coloro che hanno aperto il cuore alla Parola di Dio e il seme ha dato il trenta, il quaranta, o il cento per uno. Cioè non contrappone fra il 100 sbagliato e il 100 buono. Anche chi ha dato frutto il 30% è lodato!

Tutto il Nuovo Testamento (e specie le parole di Gesù) sono una incitazione a puntare al meglio – la presentazione di un ideale che fa balenare dinanzi agli occhi, al cuore, all’audacia dell’uomo! 

«Tutto quello che è vero, nobile, giusto, puro, amabile, onorato, quello che è virtù e merita lode, tutto questo sia oggetto dei vostri pensieri» (Fil 4,8).

Ma non disprezza chi, pur con tutte le sue debolezze, s’impegna a scalare anche soltanto una collinetta! Lui guarda ed apprezza ogni piccolo sforzo! E ne tiene conto nel giudizio finale della vita!

«Bravo, servo fedele: sei stato fedele nel poco, entra nel gaudio del tuo Signore!». La cartina è di tornasole del giudizio è la carità. «La carità è paziente, è benigna la carità; non è invidiosa la carità, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell'ingiustizia, ma si compiace della verità. Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta» (1 Cor 13,4.  Stupendo; ma chi l’ha vissuta sempre così? E chi ha ottemperato sempre e senza macchia ai Comandamenti? E per finire: «I frutti dello Spirito sono perfezioni che lo Spirito Santo plasma in noi come primizie della gloria eterna:” amore, gioia, pace, pazienza, longanimità, bontà, benevolenza, mitezza, fedeltà, modestia, continenza, castità» (san Paolo). Ma quanto abbiamo fatto di bene, quanto di positivo nella vita! Nulla sarà scartato o sottostimato! Il Signore ha troppo a cuore la nostra “promozione”! Neppure un bicchier d’acqua dato per amor suo sarà sottovalutato (parole sue!) E nel caso ci sarà (e molto probabile!), farà di tutto per non “bocciarci”, ma ci darà la possibilità di “ricuperare” (Purgatorio).


 – QUALE “PECCATO” NEI NEONATI?

«Si dice che l'uomo nasce in peccato. Ma come può nascere in peccato un neonato irresponsabile? Nascere è essere creati da Dio: e, allora, da un atto di Dio come può nascere un peccatore? Si afferma pure che il Battesimo rende l'uomo figlio di Dio. Ma l'uomo è già figlio di Dio in quanto sua creatura: come può Dio “adottare” un figlio già suo?».

La domanda solleva due problemi: 

a– quello del peccato originale, portato da ogni uomo di questo mondo; 

b– quello del rapporto di figliolanza dell'uomo con Dio.

Da una parte: è certo che il bambino non ha commesso un peccato personale, né lo si può imputare d’un peccato che non ha compiuto, poiché è ancora incapace d’una libera opzione. Non è neppure “peccatore” per il fatto dell'atto generatore dei suoi genitori, perché esso è moralmente buono.

D'altra parte: Paolo afferma che tutti gli uomini hanno bisogno del Cristo redentore (cfr Rom 5). 

Come conciliare queste due affermazioni? 

a)  Ora, se si parla di peccato (nel caso di neonati o creature poi abortite) occorre subito precisarne il senso: 

– nel neonato non c'è colpevolezza personale;

– gli si trova però in una condizione precaria, nel senso che rimane in lui una tendenza all’egoismo terreno, non a causa dell'atto creatore, ma causa un fallimento umano sopravvenuto prima di lui;

– infine, anch’egli necessita della grazia della salvezza di Cristo: grazia conferita normalmente dal battesimo, o anche da un altro mezzo, che soltanto Dio conosce.

b) Si può parlare, sì, di “figliolanza”, tenendo presente, tuttavia, che essa gode di livelli diversi di profondità: 

– dalla creazione stessa, l'uomo è già ad immagine e somiglianza di Dio, Padre di tutti gli uomini. 

– Ma la figliolanza adottiva del Battesimo comporta una più grande intimità con Dio.

“Adozione” significa qui che Dio, per mezzo di un'elezione assolutamente gratuita, e non semplicemente in virtù dell'atto creatore o di un atto giuridico, introduce l'uomo ad un'intimità di vita che fa di lui un essere nuovo: cioè che vede, giudica e ama, come Dio vede e ama. Il figlio adottivo diventa erede di Dio, coerede di Cristo, partecipa a tutti i beni della grazia e della salvezza, compresa la visione di Dio (cf Rm 8,15-16). 

Sì, c'è più vita e figliolanza nel Battesimo che nella creazione. Tramite la creazione, l'uomo nasce alla vita; per mezzo del battesimo, rinasce (cf Gv 3,5), entra in una condizione di vita nuova e superiore. 

Il Concilio afferma: «Chiamati da Dio e giustificati in Gesù Cristo... nel battesimo della fede, i seguaci di Cristo sono stati fatti veramente figli di Dio e compartecipi della natura divina, e perciò realmente santi». 

NOTA.  Ad un livello di profondità – questa volta unica – parliamo del Figlio di Dio: «Vero Dio nato da Dio, non creato, della stessa natura del Padre» (Concilio di Nicea-325). Il Cristo è questo Figlio unico del Padre. L'intimità con Dio si approfondisce in ognuno di questi tre livelli. Questo terzo appartiene al solo Figlio di Dio per natura. A noi Dio conferisce, attraverso la grazia, una figliolanza “adottiva”.

– IL PROBLEMA DEL LIMBO

«Ho sentito parlare del Limbo, per i bambini morti senza aver ricevuto il Battesimo. Non hanno peccato, e quindi, perché non il Paradiso? Mi pare che non sia un dogma, e quindi posso anche non crederci?».

Chiariamo. Chi pone la questione ha una idea non chiara della Fede e delle sue condizioni. 

–  In primo luogo, oggetto della fede è Dio e la sua azione salvifica nella storia. Quindi è oggetto di fede solo ciò che è rivelato dalla Parola di Dio o della Tradizione (degli Apostoli). 

–  Ora, non sempre ciò che la “dottrina comune” della Chiesa contiene, è rivelato.

–  Inoltre, egli sembra supporre che “dottrina comune” della Chiesa sia il “complesso” delle verità proposte in un determinato periodo della sua storia. In realtà, dottrina comune da ritenersi per Fede, è quella che, come tale è stata proposta dalla Chiesa.

•   Ora, l'esistenza del Limbo non è mai stata considerata oggetto di rivelazione di Dio, ma è stata proposta nel Medioevo come conclusione teologica. Cioè, riflettendo sulla giustizia divina, i teologi non ritennero sostenibile l'opinione precedente secondo cui tutti coloro che morivano senza Battesimo (anche se innocenti) fossero esclusi dal Paradiso. Simile opinione s’era diffusa sotto l'influsso di sant'Agostino che, nella polemica contro i Pelagiani* [cfr. Nota 1], era pervenuto a tali posizioni. Perciò nel concilio Provinciale di Cartagine (418) fu autorevolmente negata l'esistenza del “Limbo” come luogo intermedio di beatitudine tra il regno di Dio e la dannazione. Ed ancora nel concilio di Firenze (1439) si affermava: «Le anime di coloro che muoiono in stato di peccato mortale o con il solo peccato originale, scendono all'inferno, ma punite con pene diverse».

Fra l’altro, il termine "Limbo" appare in documenti ufficiali del magistero solo tardivamente. Ancora nel 1794 Pio VI parla del «luogo, che i fedeli abitualmente designano con il nome di “Limbo dei bambini”».

Conclusione semplice di queste riflessioni è:   

• il Limbo non è oggetto di fede,  

• e né fa parte neppure della dottrina comune della Chiesa, anche se in certi tempi la convinzione della sua esistenza s’è diffusa fra il popolo cristiano e fu recepita in documenti autorevoli come il catechismo di Pio X.


 – IL MISTERO DELLA PREDESTINAZIONE

"Si dice qui che Dio non può volere il male di nessuno. Ma come si mette allora la faccenda della predestinazione? Uno si salva e un altro no, secondo la religione cristiana. Si sostiene: è vero che ciò dipende dai suoi peccati, dalla sua non corrispondenza alla grazia, e che quindi è libero. Però Dio sa già, prima che un uomo nasca, come andrà a finire. Questo, fa pensare che già in partenza sia predestinato a salvarsi o no. E questo non è giusto! Non soltanto; ma insinua il dubbio che non vi sia una vera libertà di scegliere, e che l'adesione alla grazia sia una cosa che non dipende tanto dall'individuo, ma dal fatto che il suo destino è già fissato da prima". Che cosa rispondere ad un’obiezione come questa»?

Ecco un problema che è veramente serio, che ha appassionato e tormentato eminenti teologi lungo i secoli. 

Innanzitutto: Che cosa s’intende per “predestinazione”? S’intende il disegno concepito da Dio per condurre la creatura razionale al suo fine soprannaturale, che è la vita eterna (o anche la sua dannazione).

–  Da una parte, l’insegnamento della Sacra Scrittura ci afferma che la Buona Novella della redenzione deve essere annunciata a tutti. San Paolo afferma: «Dio vuole che tutti gli uomini si salvino e giungano alla conoscenza della verità». E secondo l'insegnamento della Scrittura, Dio non esige l'impossibile, e pertanto rende realmente possibile a tutti l'osservanza dei suoi precetti.

– Ci sono, tuttavia, anime che per loro colpa si perdono: anime che magari sono state assai vicine al Salvatore, e ciò non avviene senza una permissione di Dio, in vista di un bene superiore, come è la libertà dell'uomo

–  Altre, invece, saranno – secondo il Vangelo – infallibilmente salvate: quelle cioè che, mediante la grazia, osservano i comandamenti e ottengono il dono della perseveranza finale.

•   La difficoltà di capire la predestinazione consiste proprio nel non comprende come essa si possa conciliare con la volontà salvifica universale. Cioè, non si comprende come Dio voglia salvare tutti gli uomini, se non tutti sono di fatto "predestinati". 

•  Presentata in simili termini la difficoltà, potrebbe sembrare difficile giungere ad una soluzione. 

La teologia non cerca di spiegare il mistero – poiché di mistero si tratta –, ma si limita a dimostrare la non evidente impossibilità di questa rivelazione.  I principi superiori che si armonizzano sono da una parte: 

Dio vuole salvare tutti gli uomini, e non chiede mai l'impossibile». Dall'altra: 

L’amore che Dio ha per noi è causa di ogni bene: nulla abbiamo noi che non ci sia stato dato. 

Questi due principi sono assolutamente certi, ma il legame che c'è tra loro rimane oscuro in questa vita.

S. Francesco di Sales consiglia che “occorre non indagare mai troppo perché la sapienza di Dio diede la grazia a Pietro e non a Giuda; non ci è dato, infatti, di comprendere le vie di Dio nella distribuzione della grazia; ma è certo che Egli rende possibile a tutti l'osservanza dei suoi comandamenti».

È soprattutto il mistero del male permesso da Dio per un bene maggiore, che supera la nostra intelligenza, e di cui Dio solo è giudice. [Problema che riapparirà crudamente riguardo all’Inferno]

Concludo con le parole di un sommo predicatore: «Credete fermamente che Gesù Cristo è Salvatore e tutte le contraddizioni svaniranno». (Bossuet, 1627-1704) 

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