Illustrazione di Gustave Doré per la Divina Commedia di Dante
LE ULTIME REALTA’ [I “NOVISSIMI”]
5 – INFERNO
► Ma l’Inferno è così?
Da anni, durante le prediche, non sento più agitare lo spauracchio dell’inferno. Quand'ero ragazzo, negli Anni Cinquanta, il parroco del mio paese indugiava spesso e volentieri sull'inferno e sui suoi inimmaginabili tormenti eterni. A distanza di oltre trent'anni ricordo ancora con inquietudine quelle cupe disquisizioni. Oggi noto che l'argomento è quasi scomparso: è effettivamente così o mi sbaglio?
Mia moglie,... ricevette in omaggio L'imitazione di Cristo, dove, a pagina 65, leggo: «... Colà i pigri saranno incalzati da pungoli infuocati; e i golosi saranno tormentati da grande sete e fame. Colà sui lussuriosi e sugli amanti dei piaceri saranno versati in abbondanza pece ardente e zolfo fetido, e gli invidiosi, per il gran dolore, daranno in ululati, quali cani rabbiosi. Non ci sarà vizio che non abbia il suo speciale tormento... Un'ora trascorsa colà, nella pena, sarà più grave di cento anni passati qui in durissima penitenza».
Ora mi domando, e le domando: in base a che cosa è possibile una descrizione tanto dettagliata e decisa dei tormenti infernali? Non le pare eccessivamente dantesca quella pagina?
Nel 1979 mi trovavo in vacanza in Scozia con una comitiva di cui faceva parte un sacerdote di grande cultura e preparazione. Un giorno, contemplavamo un lago sulla cui superficie scintillavano pagliuzze luminose, e tutto appariva dolce, acquerellato. Gli chiesi: «Padre, lei crede veramente nell'inferno?». Mi guardò sorpreso, meditò un attimo la risposta, quindi disse: «È un argomento tutto da studiare, approfondire». La sua risposta non mi bastò, perciò aggiunsi: «Lucia, la pastorella di Fatima, dice chiaramente che durante la terza apparizione la Vergine aprì le mani e i pastorelli si trovarono di fronte a una visione terrorizzante. Videro l’inferno e in esso le anime dei demoni e dei dannati». Il sacerdote non si scompose e aggiunse: «Lucia vide il “suo” inferno, lasciando intendere la soggettività della visione. Poi concluse: «Resta ancora un argomento tutto da discutere, studiare, analizzare. Un dibattito nuovo». Se è così, padre, che cosa si aspetta ad aprirlo?» N.N di Pavia
• Alla tradizionale predicazione sull'inferno è accaduto di ritrovarsi fra le mani parole, frasi ed immagini ormai consunte, che non riescono più ad esprimere il messaggio lanciato da Gesù sulla sorte finale dell'uomo. Questa è senz'altro la ragione del diffuso silenzio sul tema. Anche se bisogna riconoscere che a volte la mancanza della parola "inferno" non coincide con il silenzio: di ogni cosa si può parlare in tanti modi diversi.
Ora, il fenomeno della consunzione degli strumenti espressivi della fede è un dato abbastanza diffuso nella nostra cultura. Dipende dal fatto che l'uomo di oggi non ha più quella visione mitica del mondo in cui le cose e i fatti dell'esperienza quotidiana sembravano nascondere in sé significati misteriosi. Allora l'uomo combinava audacemente cose spirituali e materiali, accavallava i fatti più disparati l'uno sull'altro e si serviva del fantastico complesso che ne risultava, con il suo alto potenziale emotivo, per indicare le cose sublimi della fede che altrimenti non riusciva ad esprimere.
Pure Gesù usò più volte il linguaggio mitico: per esempio quando – proprio a proposito del nostro problema – parlò della possibile ultima rovina dell'uomo come d’un essere precipitato nella Geenna [che era la fossa-discarica dove si bruciavano i rifiuti di Gerusalemme]; parlò del «fuoco inestinguibile», che è riservato a chi sino alla fine della vita rifiuta di credere e di convertirsi, e dove possono perire sia l'anima che il corpo. Gesù annunzia con parole severe: «Il Figlio dell'uomo manderà i suoi angeli, i quali raccoglieranno [...] tutti gli operatori di iniquità e li getteranno nella fornace ardente» (Mt 13,41-42), ed Egli pronunzierà la condanna: «Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno!» (Mt 25,41).
Delle cose, ormai, l'uomo moderno ne conosce assai l'interno ed esterno, il diritto e il rovescio: esse sono sempre meno misteriose e quindi sempre meno manipolabili per indicare altre realtà più grandi di lui. Ecco perché oggi pensare il diavolo con le corna e le zampe di capra o l'inferno di fuoco, pece e zolfo appare ridicolo. Come ugualmente ridicolo è immaginare Dio Padre con la barba seduto in trono sopra l'arco del cielo.
Il problema, quindi, non consiste nell'abbandono, ormai definitivamente avvenuto, della effervescente massa d’immagini con cui s’illustrava l'inferno, ma piuttosto nella necessità di cogliere il senso del messaggio che Gesù e la tradizione della fede ci hanno inteso trasmettere in proposito.
Non si può, però, pretendere di dare una risposta a tutte le curiosità – pur naturali – dell'uomo sull'Aldilà.
La rivelazione biblica è particolarmente avara di notizie, ed avventurarsi oltre il poco che troviamo nelle Sacre Scritture, inseguendo le visioni o le cosiddette "rivelazioni private" di questo o quel personaggio – per quanto illustre in santità –, è molto rischioso. Diceva molto bene quel sacerdote, sulla panchina, in Scozia, a proposito della veggente di Fatima: «Lucia vide il suo inferno».
► Qual è, allora, il significato del discorso di Gesù sulla sorte finale dell'uomo?
– Gesù, prima di tutto intende renderci responsabili della nostra vita. Ricordiamo le parabole? L'erbaccia cresciuta fra il grano verrà strappata e bruciata; i pesci raccolti nella rete del Regno di Dio verranno selezionati e quelli cattivi scartati via; le ragazze con la lampada spenta non saranno ammesse alla festa di nozze; il ricco impietoso finirà nel fuoco, mentre il povero Lazzaro sarà beato «nel seno di Abramo»; il ladrone pentito sarà con Gesù in Paradiso; chi avrà sfamato, vestito, accolto e consolato il povero e il sofferente sarà accolto dal Padre nel Regno, mentre chi si sarà rifiutato sarà spedito «nel fuoco eterno» ... eccetera.
• Molti obiettano – a simile visione delle cose – l'estrema debolezza dell'uomo e suoi molteplici condizionamenti. Troppa la responsabilità di cui Dio vorrebbe caricata la nostra coscienza!
Ma, in realtà, nel Vangelo è pure evidente che Dio conosce le sue creature ed ha compassione dei peccati degli uomini. Per Gesù, Dio è un padre che giudica il cuore, la profondità delle intenzioni dell'uomo e non i suoi successi od insuccessi esternamente appariscenti. La sua giustizia è fatta di misericordia senza fine.
Però, se il messaggio evangelico non rendesse noi responsabili della nostra esistenza, neppure avrebbe qualcosa da dire sulla storia degli uomini; né potrebbe voler cambiare in essa alcunché: si ridurrebbe ad un puro messaggio consolatorio. Per Gesù, invece, ogni istante dell'esistenza dell’uomo, con la sua libertà giocata nella scelta delle cose da fare o evitare, ha la capacità di “costruire” la nostra eternità. Gesù si paragona ad un ladro che viene di notte. Curiosa, a prima vista, ed antipatica, immagine, ma ricca di significato: essa sottolinea che ogni cosa che l'uomo realizza nella libertà della sua coscienza, ha un tale valore che Dio stesso potrebbe volerla per sé; cioè che ogni momento terreno ha tale grandezza da poter diventare eterno.
Naturalmente quanto simile discorso è entusiasmante nel suo risvolto positivo, tanto suona terribile nel suo lato negativo. Gesù ci lascia con questo sconcerto. Egli, però, non ritratta una sola virgola della sua rivelazione della buona, clemente, perdonante paternità di Dio.
► Che cosa ci insegna la Chiesa, sull’Inferno? (Cfr. Catechismo 1033-1037 – IV. L'inferno)
1 – Non possiamo essere uniti a Dio se non scegliamo liberamente di amarlo. Ma non possiamo amare Dio se pecchiamo gravemente contro di Lui, contro il nostro prossimo o contro noi stessi: «Chi non ama rimane nella morte. Chiunque odia il proprio fratello è omicida, e voi sapete che nessun omicida possiede in sé la vita eterna» (1 Gv 3,14-15) ... Morire in peccato mortale senza essersene pentiti e senza accogliere l'amo-re di Dio, significa restare separati per sempre da Lui per nostra libera scelta. Ed è questo stato di definitiva auto-esclusione dalla comunione con Dio e con i beati che viene designato con la parola «inferno».
2 – Gesù parla ... della «geenna», del «fuoco inestinguibile» ... riservato a chi sino alla fine della vita rifiuta di credere e di convertirsi, e dove possono perire e l'anima e il corpo. Gesù annunzia con parole severe: «Il Figlio dell'uomo manderà i suoi angeli, i quali raccoglieranno tutti gli operatori di iniquità e li getteranno nella fornace ardente» (Mt13,41-42), ed egli pronunzierà la condanna: «Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno!» (Mt 25,41).
3 – La Chiesa afferma l'esistenza dell'inferno e la sua eternità. Le anime di coloro che muoiono in stato di peccato mortale, dopo la morte discendono immediatamente negli inferi, dove subiscono le pene dell'inferno, il fuoco eterno». La pena principale dell'inferno consiste nella separazione eterna da Dio, nel quale soltanto l'uomo può avere la vita e la felicità per le quali è stato creato e alle quali aspira.
4 – Le affermazioni della Sacra Scrittura e gli insegnamenti della Chiesa riguardanti l'inferno sono un appello alla responsabilità con la quale l'uomo deve usare la propria libertà in vista del proprio destino eterno. Costituiscono nello stesso tempo un pressante appello alla conversione: «Entrate per la porta stretta, perché larga è la porta e spaziosa la via che conduce alla perdizione, e molti sono quelli che entrano per essa; quanto stretta invece è la porta e angusta la via che conduce alla vita, e quanto pochi sono quelli che la trovano!» (Mt 7,13-14).
► Se Dio è Amore, perché l’Inferno?
«Come si può concepire Dio-Amore, se permette la perdizione di esseri da Lui creati per amore? Nel Vangelo, a proposito di giudizio finale, Gesù afferma: "Andate lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e gli angeli suoi".
Da tale espressione sembra che Dio sapesse che angeli e uomini avrebbero disobbedito, per cui già preparò per loro la pena eterna. Se così fosse, come si concilia con l'amore infinito di Dio?».
Il problema che si pone è cruciale anche oggi: perché mette in crisi l'oggetto stesso della fede cristiana: cioè: Dio-Amore e la sua buona novella di salvezza in Gesù, per tutti gli uomini. [Il tema “Predestinazione” ]
Il nostro Dio si è rivelato pienamente e definitivamente come Amore, come Padre.
Infatti: «Dio usa pazienza verso di noi, non volendo che alcuno perisca, ma che tutti abbiano modo di pentirsi». «Se ci amiamo reciprocamente come Gesù ci ha amato, Dio rimane in noi, e l'amore di Lui è perfetto in noi... E questo amore scaccia il timore» (2Pt. 3,91 – Gv. 4, 12,17-18;).
Gesù è proprio morto e risorto per la salvezza di tutti gli uomini; è partito da questo mondo per “andare a prepararci un posto nel suo paradiso”.
Certo, il peccato continua ad essere commesso dagli uomini; la tendenza al male è sempre attiva nella storia dell'umanità e catastrofi del cosmo. E l'uomo con la sua libertà, terribile e meravigliosa, corre il rischio di ostacolare tale disegno di salvezza, di fallire il suo destino, di costruirsi il “suo inferno”: cioè questo dolore indicibile, che lo tiene separato per sempre dal suo Dio che lo ama, estraneo a tutti i suoi fratelli, in una orrenda solitudine, che si auto-genera eternamente, in opposizione al senso della sua vita nel mondo.
Per questo il magistero della Chiesa, fondato sulla Parola di Dio, da sempre ha affermato «l'esistenza dell'inferno», cioè la possibilità reale di fallimento definitivo dell'uomo.
A tale riguardo, essa cita giustamente una frase, che trae dalla drammatica rappresentazione dell'ultimo giudizio dei popoli, fatta da Gesù. (cfr. Mt. 25, 31-46)
[Il genere letterario di questo testo rimanda alla cultura apocalittica, predominante al tempo del Signore: il testo di Gesù, pertanto, va letto come un discorso con tante figure, che rivela il criterio della ricompensa eterna nel giudizio finale; non quindi come descrizione, cronaca di ciò che accadrà alla fine dei tempi come il lettore sembra intenderlo]
Questa lettura va accordata con la dottrina della morte eterna affermata in altri testi del Nuovo Testamento, in cui il giudizio di condanna di Dio va inteso esplicitamente come auto-giudizio del peccatore stesso. Non è necessario che Cristo condanni qualcuno; l'uomo basta a se stesso per perdersi, quando si sottrae all'offerta di salvezza (cfr. Gv. 3, 16-19:12, 47-50). I rigettati di cui si parla nel Vangelo di Matteo sono tali; non perché il Signore li collochi in quello stato – costruisca, cioè, per loro l'inferno –, ma perché loro stessi si sono preparati un destino di condanna, chiudendosi alle opere dell'amore fraterno verso gli ultimi, con i quali Gesù si identifica.
La difficoltà espressa dal lettore, insomma, nasce da un pensare che egli non tiene sufficiente-mente conto che Dio non vuole o crea l'inferno, ma che è l'uomo, con il suo libero e definitivo peccare, che si crea l'inferno.
Certo, Dio è l'eterno presente dell'Amore vivente per l'uomo, per la sua storia, per il suo fine. Dio è onnisciente ed onnipotente, ma questi attributi sono radicati nell'amore. Dio, in Gesù, non poteva amare di più la sua creatura-capolavoro, che chiedendo e donando la libera decisione nell'adesione al suo messaggio d'amore e di salvezza sconfinata. Dio vuole e lavora con la sua grazia per la salvezza; si aspetta la salvezza dell'uomo senza esclusioni.
È significativo che la Chiesa – mentre sancisce, con la canonizzazione dei santi, la salvezza definitiva dei fedeli – mai ha osato emettere un verdetto di condanna definitivo per alcuno, [neppure su Giuda!).
Così possiamo pensare ed augurarci che nessun uomo sia giunto a quel destino tremendo, e dobbiamo lavorare e pregare affinché nessun uomo vi giunga.
► SCOMUNICATI ANCHE NELL'ALDILA’?
«Vorrei sapere dove vanno a finire nell'aldilà coloro che muoiono scomunicati senza pentimento, come colui che dai pulpiti era detto il “diavolo in carne e ossa”, cioè Martin Lutero. Cambierà forse “appartamento", ora che la Chiesa l’ha riabilitato? … Più serenamente: Non vi pare che queste riabilitazioni postume siano una concessione al gusto corrente, col rischio di confondere le anime semplici?».
Occorre distinguere bene tra peccato e pena giuridica, per districarsi nei problemi posti dalla domanda.
– La scomunica è una pena giuridica, riguarda cioè il buon ordinamento della vita comunitaria ecclesiale. In quanto tale, la scomunica non esclude la possibilità di salvezza eterna, e neppure la santità di una persona. In altre parole, la scomunica viene inflitta per gravi atti che provocano disordini o scandali. Con essa un fedele viene estromesso temporaneamente dalla comunione con la Chiesa, ed è privato di alcuni beni spirituali.
Ma anche se l'azione punitiva (la scomunica) è considerata giusta o anche doverosa da chi la commina, la pena inflitta non suppone necessariamente un peccato (= cioè che il soggetto sia un peccatore, un delinquente).
E ben vero che il Codice di Diritto Canonico sancisce che «nessuno è punito se la violazione esterna della legge o del precetto da lui commessa non sia gravemente imputabile per dolo o per colpa» (can.1321 par. 1). Ma è pure stabilito che «posta la violazione esterna, l'imputabilità si presume, salvo che non risulti altrimenti» (ib. Par.3). Il che significa, in parole povere, che l'autorità può infliggere una pena quando vi è una grave violazione della legge, e che il colpevole può non riuscire a provare la sua buona fede o la retta intenzione.
Tutto ciò nella storia è capitato varie volte. Si pensi ad esempio alla scomunica inflitta dal papa Alessandro VI al domenicano Girolamo Savonarola (1452-1498). Questi fu condannato dai commissari apostolici come «eretico e scismatico» e consegnato al braccio secolare per essere arso vivo. Ciò non è sufficiente perché egli debba essere considerato un peccatore. Anzi ben presto molti conventi toscani ne celebrarono la festa liturgica ed alcuni domenicani hanno avanzato la richiesta all'Ordine affinché sia avviata la procedura per ottenere la sua canonizzazione. Anche le recenti affermazioni fatte dal Papa sulla religiosità di Lutero non sono entrate nel merito del giudizio storico sulla scomunica comminatagli. Essa aveva un significato disciplinare e riguardava il buon ordinamento della vita ecclesiale di quel tempo. Ciò non significa che la scomunica fosse la via migliore per regolare la vita comunitaria. Tant’è vero che l'attuale Codice di Diritto Canonico sancisce che «il legislatore non costituisca censure, soprattutto la scomunica, se non con la massima moderazione e soltanto contro i delitti più gravi» (canone 1318). In altri tempi s’era più inclini a comminare pene, con risultati aleatori, come la storia insegna. In ogni caso, anche oggi scelte come quelle di Lutero non sarebbero accolte con molto entusiasmo, e qualche pena gli sarebbe certamente comminata.
Ma per uscire dal terreno storico e tornare all'aspetto teorico della domanda, la scomunica non significa dannazione eterna, anche se chi è morto non ha sconfessato le azioni per cui è stato condannato. E quando la storia rivede giudizi o sentenze formulati in altri secoli, non v’è nessuna necessità che gli interessati debbano “cambiare appartamento”. La giustizia di Dio non conosce i limiti o i ripensamenti degli uomini.
► Cristo discese negli Inferi
«Quando recitiamo in Credo, proclamiamo che Gesù risorto “discese negli Inferi”. Che significa: discese agli Inferi? Mi sembra una cosa strana, se così fosse. E a fare che cosa?. Mi può schiarire le idee?».
È uno dei numerosi casi in cui ripetiamo formule della fede, senza comprenderne la sostanza, il senso, le implicazioni. Non è sempre colpa dei semplici fedeli; tutt’altro!
Cerchiamo di essere concisi e possibilmente chiari, seguendo ciò che il Catechismo ci illustra (n. 632-635)
Le frequenti asserzioni del Nuovo Testamento secondo cui Gesù «è risuscitato dai morti» (1Cor15, 20) presuppongono che, prima della risurrezione, egli abbia dimorato nel “soggiorno dei morti”.
È il senso primo che la predicazione apostolica ha dato alla discesa di Gesù agli “inferi”: cioè, che Gesù ha conosciuto la morte come tutti gli uomini e li ha raggiunti, con la sua anima, nella “dimora dei morti”.
La Scrittura chiama inferi (Shéol) il “soggiorno” dei morti dove Cristo morto è disceso, perché quelli che vi si trovavano erano privi della visione di Dio. Naturalmente noi immaginiamo un “luogo”, perché siamo abituati così, avendo un corpo che occupa spazio, ma le anime sono spirito! Più rettamente dovremmo parlare di “condizione”, di “stato”. [Ciò si applica anche a “inferno”, “paradiso”, “limbo”, ecc.]
Tale infatti era, nell'attesa del Redentore, la sorte di tutti i morti – cattivi o giusti –.” Tutti”, d’altra parte, non significa che la loro sorte fosse identica, come dimostra Gesù nella parabola del povero Lazzaro: soltanto lui accolto nel «seno di Abramo». «Furono soltanto le anime di questi giusti in attesa del Cristo ad essere liberate da Gesù disceso all'inferno». Gesù, infatti, non discese agli inferi per liberare i dannati né per distruggere l'inferno della dannazione, ma per liberare i giusti che l'avevano preceduto.
In proposito, il Catechismo:
634 «La Buona Novella è stata annunciata anche ai morti...», scriverà san Pietro (1Pt 4,6). La discesa agli inferi è... la fase ultima della missione di Gesù, fase condensata nel tempo ma che si estende a tutti gli uomini di tutti i tempi e di tutti i luoghi, perché tutti coloro i quali sono salvati sono stati resi partecipi della redenzione.
635 Cristo, quindi, è disceso nella profondità della morte affinché i «morti» udissero «la voce del Figlio di Dio» (Gv 5,25) e, ascoltandola, vivessero. Gesù, «l'Autore della vita», ha ridotto «all'impotenza, mediante la morte, colui che della morte ha il potere, cioè il diavolo», liberando «così tutti quelli che per timore della morte erano soggetti a schiavitù per tutta la vita» (Eb2,14-15). Ormai Cristo risuscitato ha «potere sopra la morte e sopra gli inferi» (Ap 1,18) e nel nome di Gesù ogni ginocchio – si piega – nei cieli, sulla terra e sottoterra» (Fil 2,10)
► Come possiamo immaginare il PURGATORIO?
«Rev.mo Padre, mi interessa molto sentire parlare del Purgatorio, soprattutto per il dubbio che ho, cioè che molte persone a me care possano esserci... Non le nascondo anche qualche dubbio sulla stessa esistenza del Purgatorio: è difficile capire come la misericordia di Dio permetta questo stato di sofferenza, e un gruppo di protestanti mi ha aumentato tale dubbio. Poi, mentre per l'Inferno il Vangelo ha delle precisazioni (parla di fuoco, pianto, stridore di denti...), resta più difficile immaginare le pene del Purgatorio». Ferrara
Innanzitutto, mi preme sottolineare la sicura esistenza di questo stato provvisorio, molto impor tante da tener presente per le nostre preghiere di suffragio e anche di impetrazione, dal momento che si tratta di anime in grazia di Dio, che hanno una grande forza d’intercessione per noi, con le loro preghiere.
La Bibbia non ne parla direttamente, ma contiene vari accenni che ne suppongono l'esistenza, tanto che Leone X condannò la tesi di Lutero, secondo cui l'esistenza del Purgatorio non potrebbe essere provata dalla sacra Scrittura (Denz. 777). Molte volte la Bibbia ribadisce il concetto che, anche dopo che un peccato è stato rimesso, restano da espiare delle pene temporali. Ed insegna pure che, quando tali pene non sono state scontate in questa vita, si scontano nell'altra.
E molto chiaro, a questo proposito, è quanto si legge nel libro dei Maccabei (Il Macc. 12,43 e seg.). All'indomani di una battaglia vittoriosa, il condottiero che guidava la rivolta contro il tentativo di “paganizzare” i Giudei, Giuda Maccabeo scoprì che, sotto gli abiti dei suoi soldati caduti in combattimento, vi erano degli oggetti idolatrici, che essi avevano rubato durante il saccheggio, contravvenendo alle disposizioni della legge. Guida, allora fece una colletta e la mandò a Gerusalemme, affinché fosse offerto un sacrificio in espiazione per quei peccati. Agì così perché, da uomo pio e religioso qual era, credeva nella resurrezione della carne: se infatti non avesse avuto questa certezza, sarebbe stato inutile pregare per i morti.
Il sacro autore approva l'operato del grande condottiero e vi aggiunge una propria osservazione: «È un pensiero santo e salutare quello di pregare per i morti, perché siano liberati dai loro peccati».
Anche nei Vangeli leggiamo che il Signore allude al Purgatorio quando afferma che vi sono dei peccati (i peccati veniali) che possono essere perdonati nell'altra vita (Mt 12,32). E pure chiaro il testo di s. Paolo (2 Cor 3,11-15) ove si afferma che Cristo, al giudizio, vaglia le nostre opere: quelle difettose ne soffriranno danno, ma l'autore di esse «sarà salvo, come passando per il fuoco». (Da qui alcuni autori hanno pensato che anche in Purgatorio ci fosse un fuoco purificatore).
• Si noti che la fede della Chiesa nel Purgatorio risale ai primi tempi e troviamo un'esplicita definizione di questa realtà fin dal Medio Evo. Nella professione di fede dell'imperatore Michele Paleologo, che fu accettata dal 2° Concilio di Lione (a. 1274), si dichiara che «le anime separate dal corpo nel pentimento e nella carità, dopo la morte, vengono purificate con pene purificatrici». Tale dichiarazione fu ripetuta dal Concilio Fiorentino (a. 1439) e più tardi dal Concilio di Trento (a. 1545-1563) che, per combattere la negazione dei protestanti, riaffermò l'esistenza del Purgatorio (Denz. 983).
Non ci pare neppure difficile conciliare questo stato con la misericordia di Dio che ci vuole tutti salvi, ossia tutti in Paradiso. È proprio un grande atto di bontà quello di offrire la possibilità, a quanti non hanno completato la loro purificazione sulla terra, di potervi rimediare nell'altra vita.
Certo, l'esistenza del Purgatorio è pure un invito per noi a non commettere peccati veniali, a purificarci per le nostre mancanze dovute a debolezza, e quindi ad attuare una continua conversione.
Che ciò avvenga con sofferenza, fa parte di quel mistero che trova nella Croce la più alta espressione.
• Piuttosto, è più arduo farci un'idea delle pene del Purgatorio, come non possiamo farci un'idea dello stato futuro, se non per via di qualche analogia.
Un'osservazione che ci pare molto suggestiva è quella di un Vescovo, che è fu impressionato, studiando le sofferenze descritte dai mistici, quando parlano della «notte dei sensi e dello spirito» [san Giovanni della Croce]. Il vescovo pensa che tale “notte” possa dare un'idea delle pene del Purgatorio. Si tratta infatti di uno stadio di purificazione, in cui l'anima si sente immensamente distante da Dio, di cui intuisce la santità assoluta, mentre d'altro canto prende coscienza piena della propria miseria, dello squilibrio che il peccato ha prodotto in lei. Ella, perciò, sperimenta il bisogno impellente, quasi tormentoso, di purificarsi per potersi riunire al suo Signore.
È una pallida idea dello stato del Purgatorio e, ripetiamo, può valere solo come analogia, perché non esiste un paragone adeguato tra lo stato nostro presente e quello dell'altra vita. Ma ci pare che veramente la «notte dello spirito» ci possa offrire un po' di luce su quelle che possono essere le pene del Purgatorio.



Nessun commento:
Posta un commento