Spiccioli di Pensieri (31-1-2004)
ROTTO L’ACCERCHIAMENTO
Forse qualcuno si chiederà: “Ma il Padre non è in Giappone? E perché allora usa termini militari che si addicono più ad un Afganistan o ad un Iraq?”.
Bisogna sapere che quest’inverno è stato per la nostra isola uno dei più rigidi degli ultimi anni. Comunque mi consolo al pensiero che le nostre Monache di Tokachi nell’isola più settentrionale (ad una latitudine non molto superiore a quella di Roma) si spanciano dalle risa al sentirci lamentare per i quasi tre gradi sotto zero toccati nei giorni scorsi. Loro erano già a meno... venti ed il peggio deve ancora venire. Certi anni infatti hanno toccato addirittura i trenta!
Sta di fatto che io, appena messo piede in Giappone, sono entrato in ... cassa malattia! Mi ci è voluto più di un mese per riabituarmi al clima. E dire che quello invernale è il migliore da noi, essendo quasi sempre sereno, molto ventilato e quindi molto secco! Col ritorno della primavera ai primi di marzo l’umidità sarà nostra dolce compagna fino a tutto novembre, toccando il massimo tra giugno ed agosto e riservandosi poi di darci l’addio con un contorno di tifoncini al ritmo di uno ogni dieci giorni.
Posso dire di aver fatto veramente l’eremita. Ultimamente ho battuto il mio primato di vita certosina con ben nove giorni senza mettere il naso fuori del recinto del nostro Convento. Se un tempo della donna ideale si diceva “tutta casa e chiesa”, con me avrebbero potuto usare quattro parole tutte con la “c”: cella, cucina, chiesa e ... computer! Effettivamente questo è stato il mio unico oblò sul mondo esterno, a parte la splendida visuale che godo dalla mia finestra: abbraccio infatti la vallata del fiume Oita dal corso sonnolento, le ultime colline, che ci impediscono di vedere il mare, e montagne che si spingono per una profondità di decine di chilometri. La sera poi lo scenario sembra tutto un presepe illuminato!
Ma veniamo alla giornata di ieri. Avevo letto che un grosso supermercato di materiale elettrico ed elettronico lanciava una tre giorni di prezzi scontati. La cosa mi interessava alquanto, ma dovevo sempre fare i conti con due “inquilini” piuttosto “rissosi”. Il primo è la mia... pancia! Io ormai da troppo tempo prendo più ordini da lei che dal... Superiore! Mi sembra non borbotti e questo lascia sperare bene.
Il secondo inquilino è quello da me più odiato: il freddo! Ed in convento se ne prende tanto, perché secondo la mentalità nipponica corridoi, scale, servizi igienici e bagni sono sempre a temperatura... ambiente, cioé non riscaldati! Soprattutto di notte, dovevo essere un centometrista per non divenire un... ghiacciolo!
Le previsioni dicono che oggi dovremmo toccare i dodici gradi. In genere qui azzeccano più che in Italia, ma è sempre meglio essere circospetti. Devo comunque mettermi avanti col pranzo, essendo oggi giorno di riposo per la nostra cuoca. Opto per un risottino, che poi il superiore riscalderà se dovesse tardare. Come secondo, taglio alla mia maniera (non ho ancora acquisito tutta la finezza nipponica) del “sashimi” (pesce crudo) e ricupero degli enormi ravanelli da unire a poche foglie di insalata, anche questa del nostro orto. Mi lascio poi prendere da viscere di misericordia e metto avanti il sugo per due settimane, aprendo due grosse scatole di pelati per complessivi cinque chili di rosso fiammante (Due sono i rossi che tollero: quello dei pelati e della ... Ferrari! Tutti gli altri mi fanno diventare un torello, a cominciare dai semafori. Credo che il Giappone da solo abbia più semafori che non l’intera nostra nostra Europa! Provate a venire per crederci).
Alle 9.25, intabarrato ed incappellato col passamontagna confezionatomi da mia sorella, scendo allegramente. Perché scendere? Eh, già! Noi siamo sulla sommità di una collinetta e, se stupendo è il panorama, ansimante si fa la salita al ritorno per un pedone come il sottoscritto.
Tra parentesi, mi dimenticavo di dirvi che per il momento (cioé fin dal 21 dicembre sera) non guido più. Pertanto ora nel definire le distanze da un posto all’altro, uso come unità di misura il... rosario! Sì: tre rosari voglion dire che in un’ora a piedi ci si arriva comodi. La distanza programmata di oggi contempla quattro rosari, essendoci anche il ritorno.
Sul ponte non resisto alla tentazione di fotografare il nostro Convento che fatica ad aprirsi un varco tra i maestosi bambù di un cimiterino sottostante. A svettare meglio è soprattutto il campaniletto e vi confesso che mi piace molto questo camminare rimanendo sempre sotto il suo sguardo, che assomiglia un po’ a quello della Mamma. A me almeno infonde tanta sicurezza. In una direzione lo si distingue anche a parecchi chilometri di distanza.
Mi prendo anche la briga ci controllare la larghezza del fiume a questo ponte di Akegawara: cinquanta lunghi passi, quindi quasi cinquanta metri. Qui è uno dei posti dove si fa più stretto, tanto che parecchi anni fa temetti potesse travolgere lo stesso ponte, avendolo un tifone gonfiato enormemente. Poi nella sua corsa verso il mare si distende in un letto molto più spazioso. Alla confluenza col torrente Nanase per me tocca gli ottocento metri buoni.
Dovremmo imparare dai giapponesi a trasformare i fiumi in un paradiso ideale per pedoni e ciclisti. Qui siamo addirittura doppiamente fortunati. Sull’argine lungo la riva sinistra corrono addirittuttura due piste: una di parecchi metri superiore alla sede stradale e l’altra molto più in basso, collegata alla prima con parecchie gradinate ogni trecento o quattrocento metri. Io amo quest’ultima perché il rumore del traffico risulta molto più attutito.
Per il primo chilometro il mio campaniletto fa buona guardia. Poi il fiume ha una grande ansa ed io mi sento come un pulcino che sfugga all’occhio di mamma chioccia...
Mi incuriosisce un cartello che ritorna a distanze fisse. Non solo lo osservo, ma lo fotografo addirittura perché voglio offrire la prova lampante che i cagnolini giapponesi sono molto più ... istruiti dei nostri! Come tutti sanno, in Giappone è sconosciuto l’analfabetismo, ma anche tra i cani deve avere un livello bassissimo! Infatti si vede la sagoma nitida di un cagnolino, tutto mortificato perché colto in fragrante accanto al frutto del suo... metabolismo! La scritta dice: “Stop inu no fun” (Basta con la popò dei cani!). E seguono altre istruzioni dettagliate per i loro padroni... Non ho purtroppo il tempo di aspettare per fotografare la reazione di un piccolo quadrupede dinanzi a tanta dovizia di istruzioni!
Nell’avvicinarmi al ponte di Funai vedo dei giovanotti che si esercitano al lancio di palline da baseball. C’è anche un anziano signore, che nel cestello posto all’altezza della ruota posteriore della sua bicicletta ha anche la mazza da golf. Mi sembra quasi lo stesso che il mese scorso in una delle mie prima rare uscite vidi armeggiare con lanci non proprio da campione. Mirava sempre verso dove c’è una grossa protezione di reti metalliche per fermare le palline. Quelle lanciate erano già una ventina. Certo che da lontano mi fece molto ridere il vedere uno che percuoteva l’aria con quella mazza... Poi vidi anche le palline.
Il ponte di Funai è molto più recente ed ha un aspetto più signorile del nostro. Qui la larghezza del fiume arriva ad ottanta passi e sembra molto pulito, dato che riesco a scorgerne bene il fondo.
L’unica rabbiolina è rappresentata dal fatto che io, pur vedendo il supermercato a cinquecento metri da me, debbo percorrere i tre lati di un rettangolo, non avendo le ali come questo gabbiano che sembra fare apposta a passarmi sulla testa per ricordarmi la sua superiorità.
Al di là del ponte faccio per innestarmi sulla pista ciclabile che corre lungo la riva destra, ma trovo una sorpresa. Cartelli variopinti ti dicono delicatamente che a causa della riasfaltatura della pista è vietato passarvi. Io, che sono straniero e quindi non dovrei capire tutti questi ideogrammi, ubbidisco mentre una donna in bicicletta ed signore a spasso col suo cagnolino al guinzaglio se ne infischiano...
La strada sottostante è molto trafficata ed alquanto stretta. Cammino rasente alla scarpata, ma ogni tanto le punte delle scarpe finiscono dentro i bucherelli dei tombini per lo scarico dell’acqua piovana.
Entro nel supermercato. Dal fatto che ci sia poca gente arguisco che gli sconti non debbano essere rilevanti e così è. Per prima cosa comunque mi tolgo il giaccone perché il caldo eccessivo mi fa sudare. In un quarto d’ora mi sbrigo, acquistando il programma fotografico più economico. Ritorno all’aperto col dilemma: rifare la stessa strada o percorrere solo per un tratto la pista ciclabile sull’argine destro? Il pensiero però di sorbirmi tanto traffico senza marciapiede mi induce a ripetere il percorso di prima.
Quando sono sul ponte di Funai, mi soffermo a fotografare una scolaresca delle superiori che sta facendo la sua piccola maratona. Stavolta opto per la pista superiore, anche se debbo sopportare il rumore delle automobili. Il traffico comunque in questa direzione è diminuito di molto.
Da lontano mi sembrano due nonni in bicicletta col loro prezioso carico: uno con la nipotina sul seggiolino della ruota anteriore e l’altro col cagnolino al guinzaglio. Li fotografo naturalmente.
Trovo poi un cartellone che riporta le fotografie corredate di relative didascalie sulle almeno sedici specie di uccelli che stanziano tra il fiume Oita ed il torrente Nanase. Mi fa piacere vedere che il latino tanto disprezzato in Italia si rifà in Giappone: di ogni uccello infatti viene data la denominazione scientifica in latino!
Costeggio ora il Carcere di Oita. E’ davvero molto esteso. Sono in corso lavori di abbellimento del muro perimetrale esterno. Essendo inverno, le piante molto spoglie di fronde mi consentono di sbirciare un po’ al di là del muro e mi pare di vedere dei detenuti al lavoro nei campi.
Prima di affrontare la ripida salita che porta al convento, trovo una duplice sorpresa. Una clinica specializzata per cani e gatti con tanto di decorazione esterna allettante per questi quadrupedi (si vede una gattina infermiera che sostiene un nonno cane tutto anchilosato e pieno di cerotti) mi costringe ad estrarre nuovamente la macchina fotografica digitale. Inquadro naturalmente anche il grosso cane all’ingresso che mi sarebbe sembrato vero, se non fosse stato troppo fermo soprattutto con la coda. Ed è stato un bene per me che inquadrassi quella scena, perché se avessi rivolto la macchinetta verso la collina avrei finito per diventare io oggetto della caccia della polizia.
Proprio sotto di noi passa l’autostrada, che per un bel tratto corre sopraelevata, e sotto uno di questi piloni c’era appostata la polizia. Chi viene lateralmente deve assolutamente osservare lo stop, essendo la visibilità pessima. Rischia infatti di venire centrato in pieno soprattutto da chi scende, che per quanto vada adagio ha sempre una certa velocità per via della notevole pendenza.
Io vorrei attraversare la strada, ma vedo un taxi che viene da destra piuttosto allegramente e freno coi tacchi. “Si fermerà sicuramente” – penso tra me, conoscendo per esperienza quanto siano ligi ai regolamenti gli autisti giapponesi. Il cartello del “Tomaré” (Stop) è talmente grosso che bisognerebbe essere ciechi per non vederlo...
Il tassista frena leggermente e visto che dalla destra non viene nessuno riaccelera. Certo non poteva scorgere la gazzella della polizia, nascosta dal pilone. Si vede che questa aveva già il motore acceso. Parte di colpo, ma per via dell’incrocio deve pure frenare, per evitare a sua volta di essere investita da altri autisti imprudenti. Ha poi davanti a sé un furgoncino che viaggia rispettando il limite dei 40 orari. Con l’autoparlante gli ordina di accostarsi per lasciarla passare. Io vedo che il tassista, accortosi d’essere inseguito dalla polizia, gira subito a sinistra in una viuzza laterale, avendola vista sgombra; non ci passano infatti due macchine contemporaneamente. Se nello sbucare sulla statale è così fortunato da non trovare traffico proveniente da destra e vede contemporaneamente verde il semaforo prima del ponte, potrebbe anche tentare di farla franca.
Vi confesso che in quel momento non avrei voluto trovarmi nei suoi panni. Se lo beccano, interrogatori a non finire e penalizzazioni maggiori sulla patente, vuoi perché non si è fermato e vuoi perché come tassista più degli altri doveva sentirsi tenuto ad una guida sicura...
Mi è passata un’altra volta la voglia di guidare! E questo pensiero rende ancora più faticosa la mia salita... Nello svoltare a sinistra per lo strappo finale, vedo che un nostro vicino sta ancora lisciando la sua macchina come se dovesse mandarla ad un concorso di bellezza. E’ veramente ossessionato! Dipendesse da me, potrebbe aspettare degli anni. Ma c’è una ragione: quando nell’aprile del 1976 a Bologna feci lavare la macchina, poche ore dopo me l’avevano già rubata... E da allora conclusi che un moglie brutta non la vuole nessuno e pertanto non la lavai più!
Controllo l’orologio del refettorio. Mancano ancora trenta minuti al pranzo... Sarei tentato di andare subito a scaricare sul computer le foto appena scattate, ma poi mi ricordo che sul risotto ci vuole il formaggio. Se il mio superiore non vede una bella nevicata di parmigiano reggiano dappertutto, non è contento. Comincio pertanto a grattuggiarlo e come modica compensazione dello sforzo, che faccio quasi sempre io, anche a... “grattarlo”!
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Oita 31-1-2004, Padre Nicola Galeno
ANCHE IL CANE SI RICORDI DELLA BUONA EDUCAZIONE!
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