AFORISMA

Meglio aggiungere vita ai giorni, che non giorni alla vita
(Rita Levi Montalcini)

Nostra Signora del Carmelo

Nostra Signora del Carmelo
colei che ci ha donato lo scapolare

domenica 22 marzo 2020


21 MARZO – BENTORNATA PRIMAVERA!
IERI, PRIMA DI ADDORMENTARMI, MI E’ CADUTO L’OCCHIO SU UN POST CHE NON COMMENTO, MA CHE LASCIO AL VOSTRO GIUDIZIO. ALLE 22.30 DI IERI SERA IL POST AVEVA AVUTO 28 LIKE. IL MIO PIU’ GRANDE DESIDERIO E’ DI POTER CONTRIBUIRE A CHE QUESTO POST ABBIA MILIONI DI LIKE E, VISTO CHE DOBBIAMO STARE IN CASA, QUALCUNO SI PRENDA LA BRIGA DI TRADURLO IN INGLESE, FRANCESE, TEDESCO, SPAGNOLO……E LO DIFFONDA.
MI AUGURO CHE L’AUTRICE DEL POST (KIARA TORCHIO) NON SE NE DOLGA. D’ALTRA PARTE NON POSSIAMO LASCIAR FINIRE NEL TRITACARNE DELLA DIMENTICANZA CERTE PAROLE CHE CORRISPONDONO AI DESIDERI DEL CUORE
Gigi Caimi
  Non voglio che tutto riprenda come prima.
Voglio che questo momento porti a una vera rivoluzione.
Dentro e fuori di noi.
Voglio imparare la lezione da questo periodo difficile, non farmi sfuggire il più piccolo insegnamento, voglio portare dentro di me le emozioni, le riflessioni e i pensieri che mi genera e far sfociare in me un profondo cambiamento di vita.
Voglio che ogni lavoro sia celebrato, rispettato e tutelato:. dal medico all’infermiere, dal giornalista all’insegnante, dall’operaio all’impiegato, dall’inserviente al muratore. Non esiste un lavoro più degno di un altro: come stiamo sperimentando ora anche la cassiera di un supermercato è un’eroina perché sta svolgendo in questo momento un compito fondamentale.
Voglio che ogni persona sperimenti il tempo per sé come lo stiamo vivendo ora. Senza un tempo lento, semplice e dilatato nessuna persona al mondo può scoprirsi, riposarsi davvero e ricaricarsi. E mettere in atto la propria creatività. E scoprire i propri doni.
Voglio che ognuno di noi diffonda nel mondo il proprio dono, proprio come sta accadendo ora dove sono nati corsi, video, iniziative delle più svariate, per poter dare un pezzetto di noi (il migliore!) in questa emergenza.
Voglio che ritorniamo a vivere dell’essenziale, a fare la spesa nei nostri paesi, a comprare solo ciò che ci serve davvero.
Voglio che l’automobile sia utilizzata il meno possibile, solo per necessità e non per svago o per comodità.
Voglio che impariamo a ritirarci dal mondo e ad ammirarlo senza il nostro disturbo e il nostro rumore.
Voglio che le nostre case diventino nidi e non luoghi di passaggio. Voglio che siano il centro delle nostre giornate, che siano curate, vissute e amate come luoghi sacri.
Voglio che sia ristabilito il tempo dei bambini. Soprattutto dei più piccoli che senza spostamenti e impegni quotidiani riescono a indirizzare liberamente le proprie energie nel gioco e nella creatività. E sono più sereni. E più calmi. E più veri.
Voglio che sia favorito laddove si può il lavoro da casa. Perché in questo modo tante risorse (economiche, fisiche ed ecologiche) siano conservate.
Voglio che siano considerate preziose le passeggiate vicine a casa e ci si renda conto che una vacanza lontana comporta costi ambientali, fisici ed economici molto grandi e, forse, ne possiamo fare a meno o comunque diminuirle molto considerandole un vero e proprio lusso.
Voglio che sia mantenuta una certa distanza. Tra le persone. Perché è solo in questo modo che ogni persona riesce a tracciare i propri confini e a non con-fondersi con l’altro. Ed è solo così che possiamo essere empatici e portare sollievo. Se invece ci fondiamo ci perdiamo e non siamo di nessun aiuto, nemmeno a noi stessi.
Voglio che i baci e gli abbracci non vengano regalati a chiunque. Sono un contatto fisico molto intimo e profondo da donare con cura e attenzione per non disperderne tutto il valore.
Voglio che gli anziani ritornino ad avere il ruolo che da sempre appartiene a loro. Custodi di storie, di memorie e di saggezza. I più vicini al divino e al mistero della vita.
Voglio che regni il rispetto, la solidarietà, la fratellanza con chiunque. Rimanendo a casa rispettiamo noi stessi ma anche la salute degli altri. Stiamo aiutando i più deboli attraverso spese e iniziative bellissime. Abbiamo iniziato anche a conoscere i nostri vicini, persone fino ad ora salutate e basta.
Voglio che la morte ritorni a essere presente come ora nelle nostre vite. Perché è la paura della morte che fa emergere l’angoscia. Perché solitamente ce ne dimentichiamo, perché la rifiutiamo. Voglio che diventi un accadimento doloroso ma sacro come lo è la nascita, entrambi parti dello stesso ciclo. Dobbiamo ritornare a venerare la morte come un dio, a parlarci, a non temerla, a considerarla come la porta che ci conduce a un mondo diverso. Come una nuova rinascita.
Tutto questo non può venire da un decreto o da una costrizione. Nasce dentro ad ognuno di noi, Dopo aver vissuto insieme un’esperienza così forte.
E’ l’ora della svolta.
E’ ora che ognuno di noi faccia la propria parte davvero.
Non per riprendere tutto come prima.
Ma per ricominciare in un altro modo.
Più creativo.
Più responsabile.
Più consapevole
Più vero.
Non voglio più la normalità.
Voglio il capolavoro.


Brava Kiara, ma sai quanti di simili post sto leggendo in questi giorni? Sai quanta gente sensibile sta riscoprendo i veri valori dell'esistenza, in questo terribile momento? Sono tutte considerazioni che nascono spontanee. Ma lasciami qualche dubbio...quando tutto questo sarà finito - se mai finirà - temo che ognuno riprenda a vivere come prima, anzi che  la prolungata clausura dentro le mura di casa, faccia riprendere con maggior vigore quello che si è fermato, per recuperare il tempo perso. Perché, nonostante i buoni propositi, la gente dimentica facilmente. Dimentica le guerre, le carestie, i disastri ecologici e ambientali, o quelli naturali. Mi auguro che non avvenga tutto questo, ma che ognuno diventi consapevole di quanto tempo abbiamo speso in azioni inutili dei quali possiamo farne a meno. 

Sono con Kiara. Anch'io desidero il capolavoro. 

Pare che le coincidenze siano davvero incredibili.
Ieri ho ricevuto il testo di una conferenza di Padre Claudio Truzzi  OCD.
L’ho pubblicata poco fa.

Ma vorrei evidenziare un passaggio che rispecchia il pensiero che nasce in questi giorni nella mente e nel cuore di molti.

Danila Oppio

UN UOMO A COLLOQUIO COI SUOI BENI. (Ricco sazio e stolto)
«Le terre di un uomo ricco avevano dato un buon raccolto.
Egli ragionava tra sé cosi: “Ora non ho più dove mettere i miei raccolti: che cosa farò? E disse: “Farò così: demolirò i  miri magazzini e ne costruirò altri più grandi, così che raccoglierò tutto il grano e i miei beni. Poi dirò a me stesso: Anima mia, hai disposizione molti beni, per molti anni; riposati, mangia, bevi e divertiti”. Ma Dio gli disse: “Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita e a chi andranno le ricchezze che hai accumulato?”.
Così accade a chi accumula ricchezze solo per sé e non si arricchisce davanti a Dio».     Luca 12. 16-21
Ciò che colpisce maggiormente in quest'uomo ricco e avido della parabola evangelica è la sua solitudine. Qualcosa di tetro, terrificante. Nessuno è solo come quest'uomo che è circondato, quasi soffocato dai suoi beni. Può contare le sue rendite; lo vediamo a colloquio con le cifre. La sua voce ha il suono dei soldi.
È un individuo senza nome, senza volto [Come il ricco epulone, non ha moglie, figli, amici. L'unico legame stretto sono i suoi beni materiali. S'identifica con le proprie ricchezze. Lui stesso diventa campo, granaio, frumento, magazzino, portafoglio. Non è più un uomo. È una cosa in mezzo alle cose.
I beni, invece di essere veicolo di relazione con gli altri, per lui sono cose da accumulare, conservare, proteggere, difendere. Invece di essere mezzi [anticamente si diceva, giustamente, che uno aveva tanti “mezzi”], diventano fine cui si sacrifica tutto.
Quest'uomo squallido è un prigioniero. Può anche ampliare i magazzini. Ma non ne uscirà più.
È un uomo chiuso, senz'avvenire. Proprio lui che s'illude di stare al sicuro per molti anni.
Allorché viene pronunziata la terribile sentenza: «Questa notte stessa ti sarà richiesta la tu vita», in realtà lui è già morto da un pezzo. La sentenza l'ha pronunziata lui stesso su di sé. Giustamente è stato rilevato [A. Maillot] che «più che una punizione, è un esaudimento».
•  Lo si definisce “stolto”. Perché?
–  Perché fonda la propria sicurezza sull'avere e non sull'essere.
–  Perché s'identifica con le cose, e non le trasforma in sacramento di comunione con i fratelli.
–  Perché crede che molto denaro significhi molta vita.
–  Perché pensa che il possesso egoistico dia gioia.
–  Perché non sospetta che, anche se i conti tornano, la sua esistenza è un fallimento.
–  Perché non capisce che “l'io non ha altra protezione che il darsi, il perdersi” (A. Paoli).
–  Perché non si rende conto che non è possibile riempire il vuoto con l'ingombro.
–  Perché non si avvede che la vita va riempita di amicizia, di dono, di relazioni, non di cose.
       Proviamo, ora a trarre alcune conseguenze.
   *  Il possesso è sempre una limitazione. “Chiunque acquista un campo e lo recinge, si priva del resto della natura, s'impoverisce di tutto il resto.” (E. Cardenal).
   Il possesso è soprattutto limitazione di libertà. «Non avete mai notato che essere ricco si traduce sempre in un impoverimento su un altro piano? Basta dire: Possiedo questo orologio, è mio!”, e rinchiudere la mano su di esso per avere un orologio, e aver perduto una mano» (A. Bloom). Il nostro spirito, il nostro cuore, tendono a rimpicciolirsi, a restringersi alle dimensioni degli oggetti sui quali si rinchiudono, alle dimensioni dei beni sui quali si ripiegano.                                                                         
* La ricchezza è falsificazione delle cose, perché falsa i rapporti con esse. Il ricco crede che il suo certificato di possesso lo leghi intimamente ai beni.
Ma è una colossale illusione. Le cose, come le persone, hanno una “soglia d'inviolabilità”, un “limite d'invalicabilità che non possono essere forzati da un diritto derivante semplicemente dal denaro. Una cosa non si lascia “violare dal portafoglio (le persone, qualche volta, sì...). Per questo, anche se mi appartiene, essa rimane inviolata nella sua essenza più vera, e mi lascerà sempre insoddisfatto.
La cosa mi rimane ostinatamente “estranea”; mi sfuggirà di mano anche se la trattengo, anzi, proprio perché pretendo afferrarla, tenerla, mi sorriderà beffarda, intatta, intoccabile.
Per entrare in unione intima con un bene creato, la proprietà legata ai soldi, al diritto, può costituire un ostacolo.
La facoltà di possedere si colloca al livello più profondo di noi stessi, là dove un oggetto esterno può entrare soltanto interiorizzandosi.                                       
Per possedere veramente una cosa, bisogna stabilire con essa non un rapporto di possesso, di aggressività, ma di partecipazione, di meraviglia, di contemplazione.
Le mani mi sono state date per dare. Chi le usa, abitualmente, soltanto per prendere, tenere, arraffare, non ha ancora imparato ad adoperarle, anche se è molto avanti negli anni. Soprattutto non ha ancora guatato la gioia più grande: la gioia di donare.
Ci si preoccupa d'insegnare a camminare; e il giorno in cui il bambino muove i primi passi segna un grosso avvenimento in famiglia. Bisognerebbe far festa quando il bambino inizia a usare le mani nell'unica maniera corretta, che è la maniera di dare.
Ci si preoccupa delle mani sudicie. In realtà, le mani sono sporche soltanto quando “trattengono” qualcosa.
I nostri conti, a differenza di quelli dello “stolto” della parabola, tornano, quando tornano i conti degli altri.


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