AFORISMA

Meglio aggiungere vita ai giorni, che non giorni alla vita
(Rita Levi Montalcini)

Nostra Signora del Carmelo

Nostra Signora del Carmelo
colei che ci ha donato lo scapolare

domenica 10 novembre 2019

BEATITUDINI . Parte quarta - Conferenze di P. Claudio Truzzi OCD




IV  (3°) – BEATI I MITI

Qui li chiamiamo “non violenti”; però distinte traduzioni della Bibbia ci offrono differenti appellativi per indicare i “destinatari” di questa beatitudine:  Beati
– i mansueti  – i gentili, i cortesi, affabili, accoglienti – quelli di “buon cuore”
– i sottomessi – i sofferenti, ecc.
Ad ogni modo, sembra che l’attitudine che soggiace a tutti questi soggetti sia la mansuetudine”. Un’attitudine citata unicamente da Matteo e che, in verità, non è proprio di moda nei tempi correnti.
O non è vero la confondiamo, forse, con l’“inettitudine”, la mancanza di voglia di trionfare, l’inerzia o persino come camuffamento della debolezza e della codardia?
Ma come si può essere miti, senza essere deboli?
Come può questa virtù integrarsi in un carattere forte e virile come certamente era quello di Gesù?
è vero.  – Come accennato, per mitezza spesso s’intende una totale passività ed arrendevolezza di spirito. Si crede che l'essere miti significhi rinunziare a qualsiasi idea personale, a qualsiasi iniziativa che possa comportare anche il più piccolo rischio di contrasto. Naturalmente questo conduce a non assumere responsabilità, a non impugnare mai una situazione, ad arrendersi supinamente alle vedute e alle proposte altrui, convinti che questo sia il modo migliore per assicurare la tranquillità e l'armonia sociale.     – Oppure si scambia la mitezza con una gentilezza sentimentale, con un modo di fare sdolcinato ed affettato, il quale, pur essendo ispirato nel migliore dei casi dal desiderio di venire incontro al prossimo, non convince, perché artificiale o quanto meno superficiale.
Tali atteggiamenti, tuttavia, sono ben lontani dalla vera mitezza cristiana. Essi scaturiscono da un falso amor di pace. Perciò non costruiscono. E si capisce come le persone, invece di sentirsi attirate, provino un senso di repulsione. Ma non c'è dolcezza senza forza. La dolcezza è una “forza dominata”. Anche se disarmata, la dolcezza resta sempre una grande forza. Gesù non è venuto a beatificare l'insipienza, l'insulsaggine o la mollezza. [Gesù parla di colombe, non di “polli”!!!].
Il cristianesimo non svirilizza l'uomo; non gli impone una mentalità da eterno sconfitto. Soltanto i violenti strappano il Regno. Il cristiano non è un essere passivo, inerte. La morale del Vangelo è fatta di “superamento”, esige vigore. Il Signore beatifica la dolcezza, la mitezza. Ma la sua dolcezza non ha niente a che vedere con l'immagine ... sdolcinata e superficiale che sovente ce ne facciamo.
Perché la mentalità corrente non apprezza molto quelle virtù che si collegano con la temperanza, come: il dominio di sé, la moderazione, il silenzio, la mansuetudine? Perché queste esigono atteggiamenti di estremo rigore ed esigenze nei confronti di se stessi. Impongono di andare contro corrente.
  Per comprendere la mitezza dobbiamo rifarci, appunto, al Vangelo.
Una delle poche volte in cui Gesù si propone come maestro [“Imparate da me...”], è per proclamare che era mite ed umile di cuore (Mt 11, 29). Tutto il Vangelo è pervaso da questa dolcezza del Cristo (nei confronti della folla, del peccatore, dei bambini...). Ma è soprattutto in occasione della Passione che Gesù presenta questo comportamento sconcertante: dinanzi ad Erode, a Pilato, al sommo sacerdote, tace. Non reagisce quando diventa trastullo della soldataglia e bersaglio dei giochi più volgari. Sulla croce: “Padre, perdona loro...”.
Dio appare nel Figlio e si manifesta non nella potenza, ma nella debolezza. Viene con un bambino, un men-dicante, a proporci una comunione. Chiama, sollecita, invita ma non impone: bussa, ma non sfonda la porta; rifiutato, se ne va [cfr. episodio dei Geraseni, dopo che il branco dei porci è andato alla malora, in Mc 5, 1 e ss.).
Gesù ce la illustra ponendola a confronto con il suo contrario, cioè: lo spirito di rivalsa, d'incomprensione, di rigetto istintivo dell'altro, di chi è diverso da noi, l'impazienza, la ruvidezza, la rigidezza nel trattare il prossimo ecc. «Se uno ti percuote la guancia destra, tu porgigli anche l'altra ».
• Ciò che qui ci raccomanda non è già un'arrendevolezza ad oltranza – che potrebbe essere scambiata per debolezza o pusillanimità – ma la rinuncia e la mortificazione a quell'istinto di ritorsione, che affiora in noi tutte le volte che riceviamo una sfida o un'ingiustizia.
Non è difficile rendersi conto che, nell'intenzione di Gesù, la mitezza comporta innanzi tutto:
   una grande fortezza contro noi stessi,
   una capacità di controllo del nostro istinto primitivo di aggressività, di pazienza e sopportazione delle molestie e delle ingiustizie, di cui possiamo essere oggetto, e soprattutto
   quella longanimità che ci fa andare di là dei torti ricevuti, vincendo il male con la bontà.
Tutto questo non significa, ovviamente, che si debba sempre tacere e subire passivamente l'ingiustizia.
Gesù stesso ce ne offre l'esempio, quando, colmo d'indignazione, rinfaccia agli avversari la loro malafede, scaccia i mercanti dal Tempio e, durante il processo, rimprovera la guardia del sommo sacerdote che ingiustamente l’aveva schiaffeggiato. Gesù, però, non reagisce perché vuole rivalersi sull'avversario per il torto subìto. Egli soffre per l'animo cattivo di cui gli avversari danno prova e che egli vorrebbe guarire.
Nonostante tutto, certo è che Gesù non soltanto dichiara beata tale gente, ma le promette il dominio della terra intera. … Però...


Chi sono i “mansueti”?
Nell’Antico Testamento li vediamo citati, per esempio, in Proverbi (14,30) “Il cuore mansueto è vita del corpo; l’invidia, al contrario, è carie delle ossa”.
E nel medesimo libro, riferendosi, in altro contesto, alle doti del marito, assicura che: “Se nel suo linguaggio c’è tenerezza e mansuetudine”, non sarà già come gli altri uomini” (36, 23).
Ma nessuna citazione è tanto chiara come quella che ci offre il salmo 37, in cui, specie al versetto 11, riproduce testualmente questa beatitudine. Il salmista cerca di tranquillizzare i pii israeliti che si turbano di fronte alla prosperità degli empi. Egli contrappone la condotta e il destino degli uni e degli altri, rilevando che, a differenza degli empi, i giusti finiranno per avere un’immensa pace e prosperità (“Erediteranno la terra”), [cioè, nel linguaggio biblico, possedere la terra in eredità, è simbolo della pienezza, della felicità, della sicurezza, della pace].
Gli scrittori del Nuovo Testamento raccolgono tutte le connotazioni che l’Antico Test. fa su tale tipo di persone, ma l’arricchiscono presentando la “mansuetudine” come: uno dei doni dello Spirito Santo (Gal. 5, 22; 6, 1).
– Un’attitudine necessaria per mantenere l’unità della Chiesa (Efesini 4, 1-6; Colossesi 3, 12).
– Imprescindibile nell’ora della correzione fraterna (1Cor 4, 21; 2Tim. 2, 23-25).
– Una disposizione necessaria nel dialogo con i non cristiani (1Piet. 3, 1-4; 14-16).
Una caratteristica essenziale della sapienza (Giacomo 3, 13-8).
– Una caratteristica singolare della medesima persona di Gesù (Mt 11, 29; 21, 5).
Fra gli evangelisti, Matteo è colui che maggiormente pone in rilievo la mansuetudine di Gesù. Dettaglio curioso, se teniamo presente che Matteo allo stesso tempo, pone in maggior risalto la Sua maestà, tanto che il Gesù che ci presenta è considerato il “Cristo Pantocràtor” dei mosaici bizantini.
– In altro testo, applicando a se stesso un passo profetico dell'Antico Testamento, Gesù si presenta come l'inviato del Padre, l'annunciatore della Buona Novella, il quale «non spezzerà la canna incrinata e non spegnerà il lucignolo fumigante».  Qui viene in luce la mitezza di Gesù come:
   comprensione, amabilità ed immedesimazione con i deboli e gli oppressi di ogni genere;
   delicatezza che non esaspera mai, ma anzi lenisce e copre le ferite avvilenti della colpa;
   lungimiranza e sconfinata fiducia nella possibilità di recupero di chi si era allontanato.
Tutto ciò balza agli occhi negli incontri di Gesù con i poveri, i malati, i peccatori, che rappresentano il cuore di tutto il Vangelo.
• Anche qui, tuttavia – unita a una grande comprensione – troviamo in Gesù altrettanta fermezza per invitare gli uomini alla conversione ed a rompere con tutti i legami del peccato.
è sorprendente notare come in Gesù si armonizzino meravigliosamente sentimenti e atteggiamenti che sembrano in contrasto tra loro: la mitezza e la fortezza, la misericordia e la fermezza.
La spiegazione di ciò si trova nell'Amore puro che egli incarna. Gesù è totalmente distaccato da se stesso e proiettato nel compimento della volontà del Padre, la quale coincide con la ricerca del vero bene dell'uomo.
La mitezza in Lui scaturisce da quest'amore, che mentre lo rende
   sommamente comprensivo ed amabile verso i deboli,
   è pure forte ed irremovibile quando si tratta di prendere posizione contro la falsità e l'ingiustizia.
Riusciremo a integrare la mitezza in un carattere forte e virile, se sapremo modellare la nostra personalità su quella di Gesù lasciandoci guidare dall'amore verso il prossimo che risalta in lui.
Ora, già possiamo anticipare che la “mansuetudine”, nella Bibbia, è un’attitudine interiore che qualifica e determina le relazioni essenziali dell’essere umano “con se stesso“, “con gli altri” e “con Dio”.
1 – Rispetto a se stessi, essere “mansueti” implica il dominio degli impulsi, tendenze e desideri naturali.
2 –  In relazione agli altri, sono “mansueti”, coloro che:
*  non si lasciamo trascinare dai sentimenti d’avversione o d’antipatia;
*  sempre sono disponibili all’ascolto e al dialogo. [la riuscita del dialogo non consiste nell'avere l'ultima parola. L'ideale non consiste nell'avere l'argomento decisivo capace di chiudere la bocca all'avversario, ma nel comunicare, attraverso il silenzio, una verità più alta cui lo scambio reciproco ci permette di accedere];
*  Sanno reprimere l’indignazione e l’irritabilità davanti all’ingiustizia. [Il che non c'impedisce di chiamare il male col suo nome. Non si tratta di nascondere il male. Lo si scopre e poi si cerca di sconfiggerlo con una forza più grande, La dolcezza e la misericordia, che vengono da Dio. La severità eccessiva, il gridare, il tuonare, possono soffocare, invece di far nascere],
*  non saltano come energumeni quando sono contraddetti, né si lasciano trascinare dalla collera quando gli si rende la vita difficile.
* Infine, coloro che non passano da una querela giudiziaria ad un’altra.
3 L'aggettivo qualificativo di “mansueto”, implica pure una determinata attitudine di fronte a Dio.
Essenzialmente, “mansueti” sono coloro che “pongono la loro speranza nel Signore”, chi confida in Dio; chi lascia riposare il suo cuore in Dio. E tutto ciò, fino al punto di essere certi che soltanto un fermo orientamento verso Dio renderà possibile la “mansuetudine”.
Nulla come l’esempio stesso di Gesù “mite ed umile di cuore” ed aperto contemporaneamente in tutto al Padre nella relazione filiale, dimostra che tale attitudine-virtù deve avere come fondamento la nostra relazione filiale con Dio.
MEDITIAMO
Tre punti di riflessione. [Ce li presenta il card. Martini in un prezioso commento alle Beatitudini].
  Con la beatitudine dei “mansueti” Gesù condanna tutte le forme di prepotenza.
La prepotenza non è produttiva; finisce per perdere. Lo possiamo comprovare in moltissime situazioni, tanto a livello personale, come familiare, sociale e politico. I miti disprezzano la furberia, gli artefici della forza, la propaganda, il martellamento della pubblicità.
  Con la beatitudine dei “mansueti” Gesù condanna tutte le forme di violenza.
Il messaggio di Gesù promuove, infatti, il valore della “non-violenza”. I Padri della Chiesa che hanno commentato le Beatitudini, vedono la “mansuetudine” proprio come la condanna e il rigetto più chiaro a ogni forma di violenza, confidenza nella forza e, non diciamo nulla dello spirito vendicativo. Il mite possiede una forza tranquilla: non ha bisogno di “forzare”.
È importante, infine, conservare in ogni momento lo spirito di dolcezza, di mansuetudine e di pace. “Mansuetudine” è pure aumentare la nostra capacità di credere nella forza trasformante dell’amicizia.
DOLCEZZA
  «Amo la “Salve Regina, e la recito spesso. Mi soffermo sulle parole [le dico in latino che mi sembrano più efficaci]: “dulcedo”. Sì, nel mondo d'oggi così aspro, c'è bisogno soprattutto di dolcezza... La dolcezza non è affare esclusivo di donne e di monache. Dovrebbero essere la caratteristica di un prete» [e di un … frate, perché no?).
  «Potrei dire come la vecchia maestra descritta da Giovannino Guareschi: “Io sono sicuro di andare in paradiso”.
E mi spiego, a scanso di equivoci. Ho assistito all'agonia di un'anziana signora nella Casa di Riposo. Negli ultimi venti giorni era quasi in coma (non saprei quale termine medico impiegare).
Io continuavo ad accarezzarle le mani e la fronte. Le parlavo. Le affidavo dei messaggi per l'aldilà.
Gli infermieri mi compativano: «È tutto inutile. Tanto lei è assente». Di fatto taceva, sembrava non capisse nulla.
Alla fine, una decina di minuti prima di morire, ha miracolosamente aperto gli occhi, sussurrandomi:
«Lei è sempre stato così gentile con me ...».
Ecco perché sono sicuro che lassù la signora di cui ho detto e altre persone che ho assistito nell'ultimo passo, avranno la “gentilezza” di preparare un posticino per me.
Le vie del Signore sono infinite. E una passa certamente per la gentilezza» (Pronzato, Un prete si confessa)
–– Lo stesso autore [card. Martini] ci propone a spunti di riflessione, pure tre punti per l’azione:
  Non vogliamo sempre dire l’ultima parola nelle discussioni. Sarebbe molto bello imparare la beatitudine di colui che, in un momento determinato, sa stare zitto in umiltà, lasciando che – chissà – sia l’altro ad uscire vincitore. Perché … alla fin fine, quasi mai importa tanto risultare vincitore.
  Non rispondiamo mai al male con male.
E per “male” non intendiamo unicamente la violenza fisica, ma anche quella malignità spicciola che intuiamo in coloro che ci parlano d a cui cerchiamo di rispondere “pan per focaccia”.
Qualsiasi allusione piccante, replicata con più o meno la stessa intenzione; qualsiasi insinuazione peggiorativa restituita con un’altra; ogni allusione con doppio senso ripagata con interesse... Tutto questo va contro la mansuetudine cristiana.
  Ed infine, per vivere la mansuetudine, è necessario prestare grande attenzione ai più deboli, che sono “mansueti per natura”, giacché sono incapaci di difendersi, almeno di fronte a noi.
Sempre, però, teniamo ben presente la medesima cosa:
quest'attitudine evangelica,
anch’essa è “un dono dello Spirito”,
una grazia che dobbiamo chiedere:

TOLLERANZA
Quel parroco predicava su come dobbiamo essere noi cristiani:
dobbiamo, cioè, cercare di essere “tolleranti”;
e, all’uscita dalla chiesa,
molti fra gli ascoltatori obiettavano
che questo – della tolleranza –
non è un’idea, ... come dire, … molto cristiana.
Lo è? … Non lo è? …  Certo che lo è!
Là, dove si predica il Vangelo;
dove di ripetono le parole di Gesù che dichiarano “beati” i “mansueti”;
là bisognerà proclamare pure “beati” i … “tolleranti”.
Facci comprendere, Signore, che un cristiano “tollerante”
non è l’ignorante disposto ad ingoiare qualunque cosa;
né il debole che non osa confrontarsi;
e neppure il tiepido, che transige su tutto;
e, men che mai, il superficiale che banalizza ogni cosa.
Necessitiamo tutta la luce del tuo Spirito, Signore, per essere “tolleranti”.
Perché il cristiano “tollerante” è colui che è sicuro della “tua verità”.
Verità, che per essere tua,
essa sola può dimostrare, infondere ed assicurare “Te”.
Noi, se siamo tolleranti,
l’unica cosa che possiamo fare
con chi non crede a ciò cui noi aderiamo
è … facilitargli il commino come fece quel Padre del Figliol Prodigo (Lc 15, 11).
Però, facilitarglielo sperando, comprendendo,
ascoltando, dialogando, uscendogli incontro.
Cioè, essendo … “tolleranti”.
Preghiera per gli “intransigenti
Signore, gli “intransigenti” sono convinti, pienamente convinti
che soltanto essendo come loro, si è cattolici.
Più ancora, soltanto loro sono la tua rocca e il tuo baluardo;
la fortezza in cui soltanto uno può sentirsi in salvo.
I tuoi “ultras”, Signore!
Essendo intransigenti, non tollerano neppure l’aggettivo “cristiano”.
Loro, sono “cattolici”! 
Quella verso i “cristiani” è una tolleranza eccessiva, che abbiamo in riserva per i “protestanti”.
Signore, fino a quando cammineranno per la vita
con il loro portamento sospettoso, aggressivo, battagliero, cupo?
Quando capiranno che l’atteggiamento che Tu ci chiedi
è quello di un cuore “mansueto e umile” come il Tuo?
Dove ripongono attitudini e virtù di stampo tanto cristiano
come la pazienza, la comprensione, l’indulgenza e altre?
In che fiasco di essenze cristiane
hanno trovato quell’aroma
che converte il loro preteso apostolato
in qualcosa di “paramilitare”?
Almeno, Signore, non giudicarli un giorno
con la medesima moneta con cui loro misurano…

Oggi siamo colpiti dalla violenza, dalla durezza.
Ci riesce difficile intuire quale forza dominata
ci sia dietro la dolcezza...
I miti non sono granché accettati nel nostro mondo,
perché il loro atteggiamento
costituisce un giudizio ed una condanna per noi.
In un mondo in cui si grida,
ci s'impone,
si vuole trionfare sugli altri,
la dolcezza è fuori moda.
Per essere miti
occorre andare contro corrente!

Padre Claudio Truzzi OCD

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