AFORISMA

Meglio aggiungere vita ai giorni, che non giorni alla vita
(Rita Levi Montalcini)

Nostra Signora del Carmelo

Nostra Signora del Carmelo
colei che ci ha donato lo scapolare

domenica 21 dicembre 2025

LE ULTIME REALTÀ [I “NOVISSIMI”] 9 – PARADISO- SANTI/DEFUNTI ultima conferenza di Padre CLAUDIO TRUZZI OCD

LE ULTIME REALTÀ [I “NOVISSIMI”] 
– 9 PARADISO- SANTI/DEFUNTI


► È DIO CHE CI ELARGISCE GRAZIE E MIRACOLI – I SANTI SONO INTERCESSORI

Il culto dei santi e della Madonna a livello popolare sembra rifarsi a pratiche pagane. Così la devozione a figure "in odore di santità" , alle quali ci si rivolge chiedendo grazie e miracoli.
Ma non è Dio colui che dispensa i doni alle sue creature? E perché la Chiesa non interviene? N. N.

Sfogliando una rivista di spiritualità, mi colpisce il titolo: "Residui pagani nella pratica cristiana” e si punta il dito sui Santi ridotti a "produttori di grazie e taumaturghi".
Precauzione evangelica
Nella pratica devozionale sono noti agli studiosi alcuni gesti che fanno pensare a residui pagani, come toccare e baciare un oggetto, accendere candele e recitare determinati numeri di preghiere. Su di essi è lecito avanzare riserve, ma un giudizio globale di condanna sembra eccessivo. Sono i Vangeli a suggerire precauzione, evidenziando la fede dove sembrerebbe manifesta la superstizione. Caso tipico: l'emorroissa, che si avvicinò a Gesù e gli toccò il mantello, certa di guarire. Gesù non la rimproverò, ma le disse: «Coraggio, figliola, la tua fede ti ha salvata» (Mt 9, 21-22). Rimproverò invece duramente quanti chiedevano soltanto segni prodigiosi senza fede e senza conversione (Mt 12,38-42) mentre lodò la fede del centurione che aveva chiesto la guarigione del servo appoggiandosi alla sola parola di Gesù (Mt 8,8).
La posizione della Chiesa di fronte a comportamenti errati, ad abusi ed eccessi o difetti [si pensi a rivelazioni presunte con messaggi ripetuti e generici] è richiamata anche dal Concilio nella Costituzione sulla Chiesa con l'esortazione ai responsabili di toglierli e correggerli «e tutto ristabiliscano per una più piena lode di Cristo e di Dio». «Insegnino – prosegue il testo – «che il vero culto dei santi consiste non tanto nella molteplicità degli atti esterni, quanto nell'interiorità del nostro amore fattivo, cercando dalla loro vita esempio, dalla comunione con loro la partecipazione e dalla loro intercessione l'aiuto» (n. 51).

L'intercessione (cioè la richiesta del loro appoggio presso Dio) è il termine appropriato. È Dio il vero aut- ore dei miracoli; i santi ne sono gli strumenti: non sono funzionari di Dio, ma i suoi amici, partecipi della vita divina e insieme nostri fratelli e benefattori. Non tutti i santi – specie nell'antichità – operarono miracoli eppure furono canonizzati. Per loro noi rendiamo grazie a Dio e alle loro preghiere ci rivolgiamo per ottenere protezione mediante Gesù Cristo, Signore nostro e «corona di tutti i santi», come insegna il Concilio.
Per comprendere la figura e la funzione dei santi, per vivere il nostro rapporto con loro, la Chiesa ha proposto la loro memoria o festa in determinati giorni dell'anno nella liturgia.
La loro memoria avviene entro la grande "memoria di Cristo", nella celebrazione eucaristica, in cui si attua il mistero pasquale della morte e risurrezione del Signore. Cristo è il vero e il “solo santo”; gli altri ne sono un riflesso, una parziale realizzazione. Si è scelto il giorno della loro morte quale "nascita alla vera vita", per sottolineare che, dopo essere vissuti per Lui, ora sono glorificati con Lui.
Il santo viene ricordato, ma non invocato. La preghiera sale sempre al Padre per la mediazione di Cristo, e soltanto per l'intercessione dei santi. L'esemplarità della loro vita è il secondo motivo della memoria. A parte le modalità contingenti, è la loro conformità fedele a Cristo che li rende esemplari a tutti. Perciò - e questo è il terzo elemento – la Chiesa implora, per i loro meriti, i benefici di Dio, in quanto graditi a Dio e amici nostri.
Comunione di persone
Un punto fermo della riforma del calendario è stata la veridicità storica del santo, perciò sono state cancellate quelle figure non storicamente accertate. I santi non sono miti, non sono personaggi astratti, ma persone vive – vissute in determinati luoghi e tempi e non sono stereotipi; per questo vengono ricordati nella loro funzione esercitata sulla Terra: apostolo, martire, pastore, religioso, vergine, coniugato, missionario ecc. Testimoni qualificati di Cristo e rappresentanti di comunità locali, essi costituiscono quell'assemblea celeste con la quale noi siamo in comunione.
La Chiesa forma un'unica realtà, nella fase terrestre e nella fase celeste: per questo si ha una comunione di santi; tra loro e noi esiste uno stretto legame e uno scambio profondo.

► SANTI-VENERAZIONE – QUANTE DOMANDE!
Ho una gran confusione nel cervello. Non avevo mai dato ascolto né agli Evangelisti, né ai Testimoni di Geova,
né ad altri, rimanendo legata alla mia religione cattolica.
Ma l'anno scorso un’amica ha abbandonato la nostra religione per seguire la dottrina evangelica. A questo punto non potevo più evitare di parlare con lei. Ecco in breve le cose che mi sono sentita ripetere tante volte: 
a  non si deve credere ai santi, né pregarli; le loro apparizioni sono solo          opera di Satana;

b pregare i santi è sacrilegio: essi non possono pregare per noi. Dobbiamo     solo pregare Dio; Dio non ha bisogno di altri mediatori; 

c  Io mi sono chiesta: perché noi preghiamo i santi più di Dio stesso?
d  Non ci si deve inginocchiare davanti a una statua di un santo, perché è   un atto di idolatria. E noi non facciamo questo? Non attribuiamo a loro         le grazie ricevute?
e  Affermano ancora: è "peccato" confessare i peccati a un altro uomo,           ossia al sacerdote, perché solo Dio può perdonare le nostre colpe e dicono: «Maledetto l'uomo che si confessa ad un altro uomo».    Mi potrebbe aiutare a rispondere a queste difficoltà? Mille grazie. Maria- S.
• Abbiamo appena toccato il tema dei Santi, ma soffermiamoci ancora.
Sono convinto che ognuno di voi sarebbe in grado di rispondere. Forse ci si trattiene soltanto per timore di non saperlo fare bene. Nella dottrina che ha studiato per la Prima Comunione e poi per la Cresima c'erano già le risposte. I preti poi, quando predicano, le dicono spesso queste cose. Ad ogni modo ora le riprendiamo.
Prima vorrei correggere una termine usato in modo inesatto. Il fedele ha scritto “evangelisti”, ma avrebbe dovuto scrivere “Evangelici” [così è indicata questa setta protestante *]; e poi, parla di "dottrina evangelica", ed è più esatto " degli Evangelici", perché anche la nostra è dottrina evangelica (cioè, scaturita dal Vangelo)!
Ecco ora le risposte alle difficoltà espresse.
• Inizio dall'ultima (la lettera “e”): «È peccato confessare i propri peccati...».
I cattolici sono arci-convinti che soltanto Dio può perdonare le nostre colpe e non si sono mai inventati che
l'uomo possa perdonare al posto di Dio. Quando il sacerdote dà l'assoluzione al peccatore, è sempre Cristo che perdona; anche allorché versa l'acqua sul capo del battezzando, è sempre Cristo che battezza. Il sacerdote – come si dice – è solo il ministro del sacramento ed agisce in nome di Cristo; ma chi “opera” nel peccatore il miracolo stupendo del perdono è sempre e soltanto Dio.
Tuttavia, non è peccato confessare i peccati al sacerdote, perché altrimenti s. Giacomo non avrebbe affermato «Confessate perciò i vostri peccati gli uni agli altri...» (Giac. 5,16) e Gesù non avrebbe detto agli apostoli: «Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi, a chi non li rimetterete resteranno non rimessi» (Giov. 20,22-23). Ora, come avrebbero fatto a rimettere i peccati senza conoscerli? Gesù leggeva nei cuori, ma gli apostoli e i sacerdoti non ci leggono sempre!
La Chiesa ha fatto molto cammino sull'uso di questo sacramento e non posso qui neppure sintetizzarlo. Del resto quella signora ed i suoi “Evangelici” che affermano questo, non hanno poi timore di recarsi dallo psicanalista a “confessare” tutti i loro peccati affinché siano rimossi dal subconscio e dall'inconscio per raggiungere la liberazione ad opera del transfert. Quando i Protestanti hanno eliminato i confessori [e pure i cattolici...], hanno immediatamente aumentato il lavoro agli psicoanalisti; (e questi lo fanno a pagamento!).
••• Le questioni che si pongono in a-b-c- d non sono molto diverse una dall'altra, ma strettamente collegate. Si potrebbero tutte sintetizzare in una con questa frase: «È lecita la venerazione dei santi?». I protestanti
dicono quasi tutti “No”; i Cattolici affermano, invece, “Si”.
Ne abbiamo trattato appena sopra, e ci basta riassumere in poche righe:
1 – I fratelli protestanti sostengono “no”, perché pensano che la venerazione dei santi sia in antagonismo con il culto di Dio, e che tale venerazione non sia autorizzata dalla Bibbia. Noi sosteniamo che la venerazione dei santi è lecita, perché non si contrappone, né si antepone a Cristo.
2 – I santi – per noi – non sono divinità, né sostituiscono Cristo; essi sono semplici amici di Dio, cui Cristo stesso ha concesso di pregare ed intercedere per altri amici che sono ancora pellegrini sulla terra. Questa è una delle cose belle che si trovano nella solidarietà della Comunione dei Santi.
3 – I cattolici non "adorano" i Santi; neppure quando si pongono in ginocchio dinanzi ad una statua. E un semplice gesto di supplica. È un gesto che si fa anche fra uomini per ottenere un favore o dal romantico appassionato che cerca la compiacenza dell'amata, ecc. L 'adorazione è invece tutto un altra cosa.
4 – I miracoli (le “grazie”) poi, non li fanno i santi, ma Dio solo, per rispondere ai suoi amici e compiace- re quelli che lo pregano, come un papà. Pensiamo al miracolo dello storpio presso la porta "bella" del tempio, raccontato dagli Atti (3,4,8-12).
Ora, ne sapete più di me, per rispondere a tono (se ce ne fosse bisogno) o tranquillizzare e ridonare pace.
* EVANGELICI – Si tratta di un movimento molto ampio, con varie ramificazioni, più o meno istituzionalizzate. Essi sono spesso considerati vicini al fondamentalismo cristiano. Principi fondamentali: la fede, la grazia, la Scrittura e Cristo come unico mediatore tra Dio e gli uomini. Altri riformatori più radicali, com Calvino, rifiutarono tutti i sacramenti in blocco [Battesimo e Cena del Signore] e la presenza delle immagini nelle chiese. Non riconoscono il Papa come vicario di Cristo o che abbia qualche autorità sugli altri cristiani. Secondo loro, Dio ci salva solo in Gesù – la croce (la morte di Gesù) è sufficiente per la nostra salvezza. Mentre per noi cattolici la croce è necessaria ed è l’inizio della salvezza, ma non basta ed è possibile ed è possibile e bisogna fare altre cose che aggiungono a quello che Cristo ha compiuto sulla croce.
               
► «CI AIUTERÀ PIÙ CHE SE FOSSE VIVO»? – COMUNIONE CON I DEFUNTI
«Capita, nel caso della morte prematura di un genitore che lasci dei figlioletti orfani in tenera età, che qualcuno esclami: "Dal cielo ci aiuterà più che se fosse vivo". È vero?». G.C. - Sondrio
«Dal cielo ci aiuterà più che se fosse vivo» è un'espressione che affonda le sue radici nella verità della "comunione dei santi e defunti in Purgatorio". Con essa si esprime la fede non solo nella sopravvivenza dopo la morte, ma anche nella realtà di rapporti tra noi e quelli che, come si usa dire, "si sono addormentati nel Signore". La morte non spezza, ma sublima e potenzia i rapporti onesti che ci legavano sulla terra.
• «Ma il desiderio di consolare o consolarsi per la morte prematura di una persona ancora necessaria su questa terra, può attribuirvi un valore che, alla prova dei fatti, può dimostrarsi illusorio. In che senso?».
La morte prematura dei genitori continua ad essere una delle disgrazie più cariche di conseguenze negative per i figli, anche quando quei genitori hanno vissuto da cristiani.
Ma, venendo al caso specifico degli "orfani in tenera età", va detto che per lo sviluppo della personalità del bambino è necessaria la presenza d’ambedue i genitori. Nella triste eventualità della morte dell'uno o dell'altro, il bambino non può accontentarsi della frase: "Ci aiuta dal cielo": ha bisogno di sperimentare questo "aiuto dal cielo" nel senso che la presenza spirituale del genitore defunto sia resa visibile e tangibile in presenze concrete. L'amore del genitore defunto l’avvolge in modo concreto ed efficace nell'amore delle persone con le quali vive. È una realtà sperimentata, ovunque il Vangelo è preso sul serio
Continuiamo quindi a compiere opere buone o a rivolgere preghiere a Dio per noi e per i defunti, ma non per "compensarlo" del male compiuto, quanto piuttosto per accogliere da lui forza di vita ed annullare o riparare le distruzioni che il male, il peccato, hanno prodotto in noi e nella storia degli uomini.
► LO SPIRITISMO E L’EVOCAZIONE DEI DEFUNTI
Sull’evocazione dei morti o, più in generale, degli spiriti – mediante tavolette parlanti o scriventi, pendolino, scrittura automatica, etc. – c’è da dire che “vari casi sottoposti all’esame dei sacerdoti esorcisti dimostra- no chiaramente come le tecniche dello spiritismo possono aprire la strada a infiltrazioni del demonio. «Uno dei suoi molteplici inganni è anche quello di servirsi – in presenza di cattolici – del trucco di presentare nel corso delle sedute spiritiche, messaggi bellissimi, in perfetta sintonia con la dottrina cattolica, e nel frattempo, nascondendo la sua vera identità, radicare sempre di più la sua influenza malefica» (Esorcista F. Bamonte, I danni dello spiritismo,). Non sono neppure rari i casi di persone che, dopo aver preso parte a sedute spiritiche anche solo come semplici astanti, si sono poi ritrovate vittime, a distanza di anni, di gravi disturbi diabolici (Demonologo padre Moreno Fiori, O.P.). «Gli spiritisti e i medium si prodigano nell’invocazione degli spiriti superiori o degli spiriti dei defunti; in realtà si sono consegnati corpo e anima a forze demoniache senza neppure rendersene conto» (padre G. Amorth, Un esorcista racconta).
Alcuni spiritisti sostengono che siano le stesse “entità” evocate a desiderare un “contatto spiritico” con gli uomini. A tale riguardo bisogna sapere che se anche ci fossero delle entità che sperano in un contatto spiritistico, queste sarebbero sempre e comunque delle entità “maligne”.
Il motivo è molto semplice: le entità “benigne” – che sono gli Angeli, e le anime sante del Paradiso o del Purgatorio – non cercano di mettersi in contatto con noi per mezzo dello Spiritismo, perché andrebbero contro la volontà di Dio chiaramente espressa nel Libro del Deuteronomio (Dt 18, 10-14).
A riprova abbiamo anche un chiaro esempio fornitoci dall’Antico Testamento. Quando il re Saul fa evocare il profeta Samuele da una medium, e questi per permissione di Dio sembra rispondergli, Samuele, che è stato evocato, rimprovera letteralmente Saul per averlo fatto evocare. Leggiamo nel Libro di Samuele: – Allora Samuele disse a Saul: «Perché mi hai disturbato e costretto a salire?» (1Sam 28,15).“Perché mi hai disturbato”, è questa la prima frase che Samuele – evocato dal mondo dei morti – rivolge a Saul. Saul, facendo evocare Samuele – “disturbandolo” – palesemente andò contro la volontà di Dio, che proibisce tale tipo di contatti.
E nel “Libro delle Cronache” leggiamo che «Saul morì a causa della sua infedeltà al Signore, perché non ne aveva ascoltato la parola e perché aveva evocato uno spirito per consultarlo» (1 Cr 10, 13).
Lo spiritismo è una pratica proibita da Dio e fonte di grave peccato. Il motivo è semplice: Dio ci è padre, e cerca di proteggerci dagli inutili pericoli ammonendoci con le Sacre Scritture che cosa possiamo o non dobbiamo compiere. Evocare gli Spiriti o le anime dei morti è un grande rischio, perché ci espone a influssi e disturbi di tipo malefico. Non è, infatti, logico pensare o supporre che gli Angeli – che sono spiriti fedeli a Dio e posti al suo santo servizio – possano desiderare che gli uomini facciano dello spiritismo. Gli angeli sono spiriti che Dio ha posto a nostra difesa e a nostra guida, come ad esempio gli angeli custodi: potrebbero mai desiderare che noi commettessimo un peccato così grave? Certamente no. Ecco perché se ci sono degli spiriti che desiderano essere evocati, questi sono certamente degli spiriti maligni. (www.manenterosari.com/)
Spiritismo. Dottrina che, sulla base del riconoscimento dello dottrina dell’esistenza di Dio e dell'immortalità dell’anima, afferma la possibilità di contatti tra gli spiriti dell’aldilà e i vivi, ed attribuisce all’intervento di spiriti di defunti molti fenomeni parapsichici e medianici. La seduta spiritica medianica [attraverso il medium] è una delle pratiche più famose usate dallo spiritismo. Essa è una riunione di persone che hanno in comune il desiderio di entrare in contatto con entità spirituali, – sopratutto defunti – allo scopo di rivolger loro domande specifiche.

□ – COME POSSIAMO IMMAGINARE IL PURGATORIO?
«M’interessa molto sentire parlare del Purgatorio, perché molte persone a me care possano essere là. Non le nascondo pure qualche dubbio sulla sua stessa esistenza: è difficile capire come la misericordia di Dio permetta questo stato di sofferenza, e un gruppo di Protestanti mi ha aumentato questo dubbio. Poi, mentre per l'Inferno il Vangelo ha delle precisazioni (parla di fuoco, pianto, stridor di denti...), resta più arduo immaginare le pene del Purgatorio». Ferrara
♦ Prima di tutto mi preme sottolineare la sicura esistenza di tale stato “provvisorio”, da tener presente per le nostre preghiere di suffragio e anche di impetrazione, dal momento che si tratta di anime in grazia di Dio, che possiedono una grande forza d’intercessione per noi, con le loro preghiere.
È vero. La Bibbia non ne parla direttamente, ma contiene vari accenni che ne suppongono l'esistenza, tanto che Leone X condannò la tesi di Lutero, secondo cui l'esistenza del Purgatorio non potrebbe essere provata dalla sacra Scrittura. Molte volte la Bibbia ribadisce il concetto che, anche dopo che un peccato è stato rimesso, restano da espiare delle pene temporali. Ed insegna pure che, quando tali pene non sono state scontate in questa vita, si scontano nell'altra.
Molto chiaro, a tal proposito, è quanto si narra nel libro dei Maccabei (Il Macc. 12,43 e seg.).
All'indomani di una battaglia vittoriosa, Giuda Maccabeo scoprì che, sotto gli abiti dei suoi soldati caduti in combattimento, vi erano degli oggetti idolatrici, di cui si erano impadroniti durante il saccheggio, contravve- nendo alle disposizioni della Legge. Allora Guida fece una colletta e la inviò a Gerusalemme, affinché fosse offerto un sacrificio in espiazione per quei peccati. Agì così perché, da uomo pio e religioso qual era, credeva nella resurrezione della carne: se infatti non avesse avuto questa certezza, sarebbe stato inutile pregare per i morti. L’ autore sacro approva l'operato del grande condottiero e vi aggiunge una sua osservazione: «È un pensiero santo e salutare quello di pregare per i morti, affinché siano liberati dai loro peccati».
Anche nei Vangeli leggiamo che il Signore allude al Purgatorio quando afferma che vi sono dei peccati (i peccati veniali) che possono essere perdonati nell'altra vita (Mt 12,32). E pure chiaro il testo di s. Paolo (2 Cor 3,11-15) ove si afferma che Cristo, al giudizio, vaglia le nostre opere: quelle difettose ne soffriranno danno, ma l'autore di esse «sarà salvo, come passando per il fuoco».
[Da qui alcuni autori hanno pensato che anche in Purgatorio ci fosse un fuoco purificatore].
• Si noti che la fede della Chiesa nel Purgatorio risale ai primi tempi della sua esistenza, e troviamo un'esplicita definizione di questa realtà fin dal Medio Evo. Nella professione di fede dell'imperatore Michele Paleo- logo, che fu accettata dal 2° Concilio di Lione: – Si dichiara che «le anime separate dal corpo nel pentimento e nella carità, dopo la morte, vengono purificate con pene purificatrici» (1274). Tale dichiarazione fu ripetuta dal Concilio Fiorentino (1442) e più tardi dal Concilio di Trento (1545-1563) che, per combattere la negazione dei protestanti, riaffermò l'esistenza del Purgatorio.
• Non ci pare neppure difficile conciliare questa realtà con la misericordia di Dio che ci vuole tutti salvi, ossia tutti in Paradiso. È proprio un grande atto di misericordia quello di offrire la possibilità, a quanti non hanno completato la loro purificazione sulla terra, di potervi rimediare nell'altra vita.
Certo, l'esistenza del Purgatorio è pure un invito per noi a non commettere peccati veniali, a purificarci per le nostre mancanze dovute a debolezza, e quindi ad attuare una continua conversione.
Che ciò avvenga con sofferenza, fa parte di quel mistero che trova nella Croce la sua più alta espressione.
• Piuttosto, è più arduo farci un'idea delle pene del Purgatorio, così come non possiamo farci un'idea dello stato futuro, se non per via di qualche analogia.
Un'osservazione che ci pare molto interessante è quella di un Vescovo, che fu colpito studiando le sofferenze descritte dai mistici, quando parlano della «notte dei sensi e dello spirito». Egli pensò che tale doloroso stato dell’anima possa dare un'idea delle pene del Purgatorio. Si tratta infatti di uno stadio di purificazione, in cui l'anima si sente immensamente distante da Dio, di cui intuisce la santità assoluta, mentre d'altro canto prende conoscenza piena della propria miseria, dello squilibrio che il peccato ha prodotto in lei. Perciò sente il bisogno impellente, quasi tormentoso, di purificarsi per potersi riunire al suo Signore.
È una pallida idea dello stato del Purgatorio e, ripetiamo, può valere solo come analogia, perché non esiste un paragone adeguato tra lo stato presente e quello dell'altra vita. Ma ci pare che veramente la «notte dello spirito» ci possa offrire un po' di luce su quelle che possono essere le pene del Purgatorio. ...................
    

Dottrina della Chiesa

I. LA COMUNIONE DELLA CHIESA DEL CIELO E DELLA TERRA (954–959)

954 I tre stati della Chiesa. «Fino a che il Signore non verrà nella sua gloria e tutti gli angeli con lui e, distrutta la morte, non gli saranno sottomesse tutte le cose, alcuni dei suoi discepoli sono pellegrini sulla terra, altri che sono passati da questa vita stanno purificandosi, altri infine godono della gloria contemplando» chiaramente Dio uno e trino, qual è »: « Tutti però, sebbene in grado e modo diverso, comunichiamo nella stessa carità di Dio e del prossimo e cantiamo al nostro Dio lo stesso inno di gloria. Tutti quelli che sono di Cristo, infatti, avendo il suo Spirito formano una sola Chiesa e sono tra loro uniti in lui ».

955 «L'unione quindi di coloro che sono in cammino coi fratelli morti nella pace di Cristo non è minimamente spezzata, anzi, secondo la perenne fede della Chiesa, è consolidata dalla comunicazione dei beni spirituali».

956 L'intercessione dei santi. «A causa infatti della loro più intima unione con Cristo, i beati rinsaldano tutta la Chiesa nella santità [...]. Non cessano di intercedere per noi presso il Padre, offrendo i meriti acquistati in terra mediante Gesù Cristo, unico mediatore tra Dio e gli uomini. [...] La nostra debolezza quindi è molto aiutata dalla loro fraterna sollecitudine»: «Non piangete. Io vi sarò più utile dopo la mia morte e vi aiuterò più efficacemente di quando ero in vita». «Passerò il mio cielo a fare del bene sulla terra». (Teresina)

957 La comunione con i santi «Non veneriamo la memoria dei santi solo a titolo d'esempio, ma più ancora perché l'unione di tutta la Chiesa nello Spirito sia consolidata dall'esercizio della fraterna carità. Poiché come la cristiana comunione tra coloro che sono in cammino ci porta più vicino a Cristo, così la comunione con i santi ci unisce a Cristo, dal quale, come dalla fonte e dal capo, promana tutta la grazia e tutta la vita dello stesso popolo di Dio »: « Noi adoriamo Cristo quale Figlio di Dio, mentre ai martiri siamo giustamente devoti in quanto discepoli e imitatori del Signore e per la loro suprema fedeltà verso il loro Re e Maestro; e sia dato anche a noi di farci loro compagni e condiscepoli ».




958 La comunione con i defunti. «La Chiesa di quelli che sono in cammino, riconoscendo benissimo questa comunione di tutto il corpo mistico di Gesù Cristo, fino dai primi tempi della religione cristiana ha coltivato con una grande pietà la memoria dei defunti e, poiché "santo e salutare è il pensiero di pregare per i defunti perché siano assolti dai peccati" (2 Mac 12,46), ha offerto per loro anche i suoi suffragi». La nostra preghiera per loro può non solo aiutarli, ma anche rendere efficace la loro intercessione in nostro favore.

959 Nell'unica famiglia di Dio. «Tutti noi che siamo figli di Dio e costituiamo in Cristo una sola famiglia, mentre comunichiamo tra di noi nella mutua carità e nell'unica lode della Trinità Santissima, corrispondiamo all'intima vocazione della Chiesa».

venerdì 19 dicembre 2025

DATE AL DOLORE LA PAROLA di Padre MAURO ARMANINO

 

Trieste - Piazza della Libertà

Date al dolore la parola

La piazza è la stessa di 87 anni fa. Era il 18 settembre del 1938. Giorno nel quale Benito Mussolini, all’apogeo della sua effimera gloria, annunciava la necessità del razzismo e il varo delle misure legislative antisemite. Si chiamava Piazza dell’Unità prima di essere ribattezzata Piazza d’Unità D’Italia nel 1955. Una piazza ‘imperiale’ dove risuonarono parole indegne che avrebbero provocato sofferenze, discriminazioni e deportazioni. Dare al dolore la parola dovrebbe essere il compito di tutta politica. Missione delicata, forse impossibile perché solo chi abita il dolore o allora forse solo il silenzio perché il dolore non parla, tace in attesa delle parole smarrite o quelle da creare per la circostanza. A questo dovrebbe servire una piazza degna di questo nome e luogo per antonomasia della politica intesa come partecipazione e possibile cura del dolore collettivo e personale, cioè unico. Dare al dolore la parola sapendo che il dolore non parla. In questa tragica dicotomia si gioca la credibilità di ogni politica che non sia una tragica e aggiornata continuazione di leggi razziali.

Il dolore sussurra al cuore oppresso perché il dolore, ogni dolore, è inedito e non riproducibile. Il cuore degli ebrei che avevano convissuto per decenni tra mille difficoltà. Un cuore è oppresso dal dolore perchè a poche centinaia di metri da questa piazza ce n’è un’altra. L’hanno chiamata con un nome che avrebbe dovuto accogliere coloro arrivano per salvarci. Si chiama Piazza della libertà per chi sfida il tempo, le frontiere, la geografia, la storia e la libertà che si traduce in giustizia, ascolto e condivisione. Tra Piazza dell’Unità d’Italia e i magazzini abbandonati dove a stento sopravvivono i rifugiati, in linea d’aria sono poche centinaia di metri. Si tratta nondimeno di due mondi paralleli, uno imperiale e l’altro marcato dal dolore che cerca senza fine le parole per essere udibile. Finché il dolore diventa silenzio, quello della morte, così come accaduto qualche settimana or sono. Uno dei mondi è finto e l’altro tace perché pochi sanno raccoglierne l’eredità.

E gli dice di spezzarsi che poi sarebbe l’unica risposta degna per chi rischia di permettere al dolore di creare, appunto, parole spezzate. Sono le frontiere delle storie crocifisse e cioè spezzate da un dolore che arriva senza annunciarsi. Parole che avrebbero potuto evitare di tradire chi scompare nei deserti, nel mare e sulle mille rotte della libertà. Nel Sahel, a Gaza, nel Sudan e nel Congo e nelle altre guerre dimenticate solo dolori senza parole, mutilate per sete di potere e il dio denaro, necrofilo.

 Date al dolore la parola, il dolore non parla, sussurra al cuore oppresso e gli dice di spezzarsi                             

 (William Shakesperare, Macbeth, IV, 3)


La Piazza d’Italia imperiale, dell’Unità d’Italia a Trieste, in un giorno annuvolato, avvolge turisti e passanti con una musica da valzer, come fosse già la festa di Capodanno a Vienna. Una coppia di sposi novelli profitta per esibire gli abiti di cerimonia con qualche foto ricordo. Poco lontano, alcuni amici africani propongono improbabili libri da vendere alla distratta platea di mattina. Accanto al molo passa un giovane con la famiglia e il capo rivestito di alloro. Certamente un neolaureato fiero del suo percorso accademico. Rimane la bella piazza imperiale che, il 18 settembre del 1938, era gremita di persone che a migliaia acclamavano le parole, senza dolore, di Mussolini.


     Mauro Armanino, Trieste, 18 dicembre 2025

domenica 14 dicembre 2025

L’organetto e i piedi in piazza di Padre MAURO ARMANINO

 

                    L’organetto e i piedi in piazza

Siamo a Trieste. Giusto davanti alla stazione ferroviaria si trova la nota e spaziosa Piazza della Libertà. Perché sia tale occorre però condividerla con chi la porta da lontano. Adesso la piazza è stata ribattezzata informalmente ‘Piazza del Mondo’. Proprio in quello spazio è nato e continua da anni l’incontro e lo scambio della libertà condivisa con centinaia di giovani che cercano un luogo dove ricostruire una vita persa e ritrovata dal viaggio. Arrivano dall’Afghanistan, dai Pakistan, dal Bangladesh, dal Nepal e da altri distanti paesi che la geografia e la politica hanno, col tempo, reso più vicini. Mesi e talvolta anni sono passati viaggiando di Paese in Paese e di frontiera in frontiera per arrivare su questa piazza creata come avvenimento che contribuisce a ‘rimanere umani’.
Ci sono i nuovi arrivati, che si mettono con disciplina da una parte ad ascoltare i consigli di un mediatore culturale. Indica loro come districarsi in questo mondo dove i documenti, gli uffici e i servizi eventuali fanno parte dell’iniziazione. Ascoltano con attenzione il giovane che si fa capire nella loro lingua madre e poi attendono, anch’essi, un tè caldo, un poco di riso e frutta quando c’è. Tutto ciò è condiviso con i ben più numerosi ‘anziani’ della piazza, seduti o in piedi attorno alla statua di bronzo che osserva il tutto con malcelata invidia. Mentre si parla tra vicini e connazionali o si conversa con la famiglia altrove tramite telefono si ascolta, leggero, pacato e dolce il suono di un organetto.
La giovane signora, che suona questo strumento di fabbricazione artigianale d’altri tempi, sembra non dare importanza all’apparente distrazione e al rumore di fondo che ne sembra soffocare il suono. Del tutto inutile ‘sembra, suonare mentre si parla, mangia e si cercano soluzioni per passare la notte con qualche coperta in più a causa del freddo di stagione. Le cose belle e importanti sono spesso inutili come la musica, rivestita di modestia, dell’organetto. Lei passa da un gruppo all’altro e pochi davvero, almeno apparentemente, danni segni di attenzione o apprezzamento. Rossella, il nome della signora dell’organetto, si ritira come chiedendo scusa per avere osato suonare, in silenzio, il mondo.
Poi ci sono i piedi dei richiedenti asilo. Feriti, fieri, nudi, fragili, dimenticati, spezzati, testimoni e pudici come tutto ciò che si trova in basso, nella polvere. Piedi che hanno corso, camminato, attraversato montagne, pianure, reticolati, commissariati di polizia, detenzione amministrativa e fragili vittorie. Piedi che ricordano, registrano, piangono, ridono e dimenticano per andare avanti fino alla prossima frontiera. Piedi che fanno la storia e che si raccontano anche nel nome di coloro che non sono mai arrivati a destinazione. Piedi comuni perché assomigliano a tutti gli altri piedi che nascondiamo perchè poco appariscenti. Sono questi piedi che la cofondatrice dell’associazione ‘Linee d’Ombra’ e all’origine, col suo compagno, delle Piazza del Mondo, pone sul suo grembo.
 Con timore, quasi si trattasse di un bimbo che sta per nascere, se ne prende cura con reverenza. Pulisce, medica, lenisce le ferite, si mette in ascolto di ognuno di loro, i racconti scritti sui piedi, per rispettare e dare quella dignità che, confiscata alle frontiere, ricostruisce e riscrive la storia, quella che si fa, appunto, coi piedi. La Piazza della Libertà si chiama per molti a Trieste ‘Piazza del Mondo’, grazie a loro, i piedi profumati e custoditi sulle ginocchia di una donna.











    Mauro Armanino, Trieste, 14 dicembre 2025


LE ULTIME REALTÀ [I “NOVISSIMI”] - Ottava conferenza di Padre CLAUDIO TRUZZI OCD


LE ULTIME REALTÀ [I “NOVISSIMI”]
8 – I “CIELI” e “TERRA NUOVA”

□ – Il CIELO, non è un luogo fisico ma un’immagine della gloria che ci attende
«Assieme a miei amici ci siamo chiesti che cosa significhi “Maria assunta in cielo”, dal momento che il cielo non è un luogo... E ancora, che cosa vuol dire l'espressione: «Gesù salì al cielo». 
Vorremmo perciò che ci spiegasse queste frasi ricorrenti nella Bibbia».
Spontaneamente e da sempre l'uomo ha considerato il cielo come l'area divina: non è forse sopra il nostro orizzonte ed a noi inaccessibile? Proprio per questo si costruivano sui monti i santuari: per mostrare la meta verso cui si dirige la fede, cioè l'infinito di Dio. Il sogno del patriarca Giacobbe, che ebbe luogo ove sarebbe sorto il santuario di Betel [in ebraico "casa di Dio"], è significativo: «Una scala poggiava sulla terra, mentre la sua cima raggiungeva il cielo e gli angeli di Dio salivano e scendevano su di essa» (Genesi 28,12).
•    La meta dell'umanità – È quasi l'osservatorio da cui Dio «si china a guardare l'umanità per vedere se esista almeno un saggio, uno che cerchi Dio» (Sal. 14,2). L’Incarnazione stessa del Figlio di Dio è rappresentata come un viaggio di andata e ritorno cielo-terra-cielo. Cristo diventa "il pane disceso dal cielo" per offrire all'umanità la vita eterna, e, poi “ritorna” al cielo nella gloria pasquale: «Nessuno è asceso al cielo se non colui che è disceso dal cielo» fa notare Gesù a Nicodemo (Gv. 3,13). Anzi, Gesù raffigura la meta dell'intera storia umana come "il Regno dei cieli", invitando a pregare così: «Padre nostro che sei nei cieli...». 
S’intuisce, allora, il significato delle due rappresentazioni teologiche dell'ascensione di Gesù risorto e dell'assunzione di Maria. Esse sono anticipate dall'esperienza di Elia profeta, rapito al cielo in un cocchio di fuoco (2Re 2, 1-18), e tale ascesa diventa immagine del destino dei giusti che, dopo la morte, sono condotti tra le braccia di Dio, come canterà il Salmo: «Tu non abbandonerai la mia vita nel sepolcro, né lascerai che il tuo santo veda la corruzione. M’indicherai il sentiero della vita, gioia piena nella tua presenza, dolcezza senza fine alla tua destra» (Sal 16, vv. 10-11).
Tali parole le Pietro applicherà alla risurrezione di Cristo (Atti 2, 24-28); risurrezione che spesso Giovanni e Paolo raffigurano come un “innalzamento" verso l'alto, una "esaltazione" celeste. Il significato dell'Ascensione – descritta da Luca, nel Vangelo (24,51) e negli Atti degli Apostoli (1,9) – è allora chiaro: sotto l'immagine dell’“innalzamento” dalla terra al cielo s’intende la realtà profonda della Pasqua del Signore. 
L'ascensione-assunzione è, quindi, l'indicazione della meta ultima di Cristo, ma pure di tutti i giusti. Il "cielo", perciò, è un segno di grande rilievo, purché sia spogliato da interpretazioni "astro-nautiche" o troppo letterali [come oggi le concepiamo] riportato al suo valore religioso e "pasquale".  
□ – COME RISORGEREMO? 
«Io risorgerò; ma con la faccia rifatta secondo un certo "maquillage" spirituale? Non è feticistica la faccenda? Eppure, il corpo risorgerà. Allora: con Cristo che cosa tornerà in vita di noi? Qualcuno forse, come me si chiederà: «Ma come risuscitano i morti? Quale aspetto avranno?"».        
La domanda è di grande interesse, poiché tocca un punto centrale della fede cristiana; d’altra parte, è una questione difficile. Si tratta di una dimensione completamente nuova dell'esistenza. Sarà la nostra un giorno. Naturale quindi che vengano formulate domande “sul corpo della risurrezione”
Dopo tutto Gesù Cristo è il Precursore di tutti noi. È stato risuscitato, e tutti noi saremo risuscitati, con corpi come il suo, un giorno. Egli è una realtà sconcertante. Pensiamo alle apparizioni “post-risurrezione”. «Toccatemi e verificate – Gesù fece notare ai discepoli – Un fantasma non ha carne ed ossa come me».   Si tratta di una dimensione completamente nuova dell'esistenza. Sarà la nostra, un giorno.           
Come possiamo essere certi che avverrà una cosa simile?  
La nostra certezza si fonda su Gesù Cristo: «Io sono la risurrezione e la vita», disse a Marta: «Chi crede in me, anche se muore, vivrà; anzi, chi vive e crede in me non morirà mai». È una promessa non meno meravigliosa di un'altra ripe¬tuta ben quattro volte: la promessa che Cristo risusciterà tutti coloro che saranno suoi nell'ultimo giorno.          
Può, tuttavia, quella dimensione dell'esistenza essere meno reale, meno appagante di quella che sperimentiamo adesso?
No, certo. Sarà una vita potenziata oltre le nostre possibilità di comprensione. Il meglio, ciò che di gran lunga è il meglio, deve ancora venire!  
Come saranno i corpi risorti?  
Come il corpo glorioso di Gesù. Saranno quindi riconoscibili (come lo era quello di Gesù) ma con poteri insoliti.  
Attenzione, però: il corpo di Cristo, per quanto spirituale, era sempre capace di stare sulla terra. È immaginabile che ci sia una differenza tra il corpo che i suoi discepoli videro dopo la risurrezione e il nostro corpo glorificato di Cristo in Paradiso. 
[Noi, tuttavia, non sappiamo se simile differenza fra Cristo e noi esista realmente]. 
Quindi gli eventi ultimi includono come un elemento essenziale: la risurrezione. Il corpo risorgerà, ma anche qui è necessaria la prudenza riguardo al "come". In noi tornerà in vita, con Cristo, tutto quello che siamo. Tutto il nostro essere sarà pieno di Cristo e del suo Spirito. 
Proprio per rispondere a simili domande san Paolo scriveva ai cristiani di Corinto: «Si semina corruttibile e risorge incorruttibile; si semina ignobile e risorge glorioso, si semina debole e risorge pieno di forza; si semina un corpo animale, risorge un corpo spirituale» (I Cor. 15, 42-49). 
Paolo non ci illustra direttamente come saremo. Sottolinea, però con chiarezza che sparirà tutto ciò che in noi è debolezza e corruttibilità per essere simili al Signore risorto. Infatti, la vita che noi speriamo non è altro che la comunione con Gesù, «il quale trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso» (FiI 3,21).            
Il nostro corpo risuscitato sarà simile al nostro corpo terreno?  Sarà simile al nostro corpo terrestre – con vera continuità, ma con un'importante differenza: sarà un corpo perfetto, glorioso, come quello di Gesù; non ci saranno processi di decadenza o invecchiamento. Sarà – con san Paolo – un "corpo spirituale". 
“Corpo–spirituale”: a noi sembra una contraddizione di termini. Ma allorché inizierà il nuovo ordine, i corpi che saranno dati ai seguaci di Cristo saranno “adatti” alla “nuova” dimensione. 
Gesù affermò: «Dove sono io potete essere anche voi». È la presenza glorificata del Signore che dominerà la prossima vita. La Bibbia non scende ai particolari. Ciò che vale è la meravigliosa prospettiva indicata da questi versetti della Bibbia: «Quel che nessuno ha mai visto e udito, quel che nessuno ha mai immaginato, Dio lo ha preparato per quelli che lo amano».        
 ♦   La risurrezione è più che una lontana speranza.                 
La vita della risurrezione inizia nel momento in cui si accetta Cristo come Salvatore. Noi siamo già “risuscitati con Cristo”. La nuova vita con Lui è già realtà, grazie alla fede ricevuta nel Battesimo.         
– Viviamo, già, un’“altitudine diversa”. Possiamo anche vivere in un quartiere-formicaio con enormi palazzi dovunque, ma la nostra vita, rafforzata dalla comunione con Gesù nella preghiera,, ci dà la possibilità di vivere e di sollevarci sopra le pressioni che ci assalgono da ogni lato. "Mirate al Paradiso" – è stato osservato con acutezza – e prenderete anche la terra; se mirate alla terra, non prenderete un bel niente”.
–  Vediamo, già, le cose da una prospettiva diversa. «Pensate alle cose del cielo» – esorta Paolo – e non a quelle della terra».  Ancora: «Perché voi siete già come morti, e la vostra vera vita nascosta con Cristo in Dio».  La prima parte della vita cristiana è un libro chiuso. È morta. Gesù è morto per noi e noi siamo morti con Lui. Ma Lui vive per sempre. I nostri destini sono legati al suo. È il mondo di Dio, durerà per sempre.            
– Guardiamo un orizzonte diverso. «Perché – dice Paolo –, quando Cristo, che la vostra vita, sarà visibile a tutti, allora si vedrà anche la vostra gloria, insieme con la sua». 
□ – RISORGEREMO SÌ, MA QUANDO?
Mi chiedo perché per noi si debba attendere la cosiddetta "fine del mondo". Per ognuno, quando muore, è la fine di tutto. Non è semplicistico pensare ad una messinscena di tutti i miliardi di morti e di quanti verranno? Non va letta diversamente l'Apocalisse?» Merano
♦ “A che ora è la fine del mondo?", si chiedeva Ligabue in una canzone del 1994, dove prevedeva: "Fine del mondo in mondovisione. Diretta da San Pietro per l''occasione".  Ma è da un po’ che il Duemila è iniziato, e Ligabue sbagliò senza dubbio indirizzo. A San Pietro e dintorni nessuno attese la fine del mondo imminente.
Mille anni or sono, al termine del primo millennio dell'era cristiana, l'Europa fu percorsa da un fremito di attesa e di paura: la fine del mondo era imminente?  Molte sono le Sette protestanti che ricorrono a tale tema, e pure i giornali riportano, decenni or sono, le tragiche conclusioni cui erano giunte. 
E ora? Salvando le distanze, oggi non si respira tale atmosfera. Si hanno troppe cose da pensare per credere che stia per capitarci in testa la “fine del mondo”; però è un fatto che, alla luce dei disordini in tutti i campi che colpiscono un po' dovunque e sotto le più svariate forme, c’è chi teme di avvicinarsi.
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– Due sole parole sugli “specialisti della fine del mondo”, che, nel secolo sorso, dopo averlo preannunciato varie volte, con date precise, oggi sembra che si siano po’ calmati, constatando che il mondo continua la sua vita. Intendiamo i Testimoni di Geova, chiamati in causa da una signora: «Caro Padre, qui ogni tanto vengono i Testimoni di Geova e mi raccontano tante cose: che viene la fine del mondo, ... e che risorgeranno tutti i morti...  Io rispondo loro che sono 26 anni che è morto il mio primo marito e non è ancora risorto, 4 anni che è morto il secondo e non è ancora risorto... Nella mia ignoranza dico che risorgerà l'anima, ma il corpo è già, marcito. Questo è giusto?».
  La risposta della signora, purtroppo, non è esatta. Quando noi cattolici parliamo di risurrezione, intendiamo ciò che insegna il Vangelo, quello, cioè, che è successo a Gesù stesso, con tutte le conclusioni tirate da san Paolo. Noi parliamo proprio di “risurrezione dei corpi”, anche se sono “marciti” [come nota la signora], ma non di “risurrezione dell'anima”. E questo perché? Perché l'anima per noi non è mai morta, ma è sempre in vita, perché spirituale. Quindi se è sempre in vita, essa non risorge. Sono invece i corpi che per l'onnipotenza divina risorgeranno, trasformati come quello di Cristo, per la gioia o per la pena eterna.
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Perché parlare ancora della fine del mondo? 
La risposta ci viene suggerita dalla natura sociale e cosmica dell’uomo. 
•  L’uomo è, infatti, un essere corporeo-spirituale, che è parte di questo mondo, anche se d'altra parte lo trascende. Non possiamo dunque pensare ad una pienezza totale dell'uomo che non includa la sua corporeità – e pure il cosmo in cui essa s'inserisce. [L’uomo non ha un ‘anima e un corpo, ma è anima e corpo]. 
•  Può ognuno di noi giungere alla perfezione senza gli altri? Siamo tutti consapevoli della dimensione sociale dell'uomo in tutti gli aspetti dell’esistenza. Tale elemento è anche di grandissima importanza per la nostra fede. Non possiamo dunque pensare che con la nostra morte si giunga alla fine di tutto senza tener conto degli altri, di tutta l'umanità. 
Per ciò, non si tratta, quindi, di una "messinscena" di tutti gli uomini, bensì di una realtà molto profonda: nel mistero della solidarietà di tutti gli uomini in Cristo, nella pienezza della Chiesa, affinché noi, come membri del “Corpo di Cristo”, possiamo partecipare pienamente alla vittoria del Capo. 
Naturalmente, non possiamo "descrivere'' in anticipo la modalità il mondo futuro, oppure ciò che accadrà alla fine dei tempi. Le stesse "descrizioni" degli eventi futuri che si trovano nel Nuovo Testamento (o nell’Apocalisse) non vanno intese in un senso letterale, ma sono modi di esprimere una realtà che supera la nostra capacità di capire e d'immaginare. La Chiesa mantiene con fermezza, e ribadisce, la certezza della risurrezione finale, ma è pure consapevole della propria “ignoranza” sul "come" e sul "quando" degli eventi ultimi (cfr. Concilio, Gaudium et spes, 39).
(E l’Apocalisse stessa non va interpretata come fosse la cronaca di un avvenimento normale). 
•   Per quanto riguarda il “dove si mettono i miliardi di defunti”:
1. Gli esseri “spirituali” – come saremo – non hanno un corpo come il nostro –, che occupa spazio.
2. Se anche fosse così, abbiamo un'idea di quanti miliardi di esseri umani potrebbe “ospitare” anche soltanto il piccolo [astronomicamente] sistema solare?

□ – GIUDIZIO FINALE: FANTASIA E REALTÀ
«Guardando una trasmissione sui restauri michelangioleschi della Cappella Sistina, ho pensato al Giudizio Universale, quello vero. Un prete mi diceva che si può credere che non vi è un distacco di tempo tra la morte del corpo e la sua risurrezione (che molti uniscono alla fine del mondo). Ma che il corpo con l’anima, risorge subito, glorificato, cioè in un'altra dimensione. Il cosiddetto Giudizio Universale sarebbe un simbolo della signoria di Dio, del suo giudizio (nel bene o per il male) per singoli e per l'umanità nel suo insieme. Lei che ne pensa?». P.  Gorizia
Nel libro di Daniele l'ultimo giudizio è descritto così: «Furono disposti dei troni, e un Anziano s’assise. Il suo vestito era candido come neve e come lana pura erano i capelli della sua testa. Il suo trono era di fiamme con le ruote di fuoco ardente. Un fiume di fuoco sgorgava e usciva davanti a lui. Mille migliaia lo servivano e miriadi di miriadi stavano in piedi davanti a lui. La corte si assise, e i libri furono aperti...» (Dan 7,9-10). 
–  La profezia descrive una scena che si può vedere con gli occhi. Ora, la maniera in cui il giudizio si svolgerà, sarà molto diversa dal modo in cui un'udienza di un tribunale umano si effettua, per la semplice ragione che il giudizio di Dio non si ambienta nel mondo materiale, non è accessibile ai nostri sensi. Dio non ha capelli, non ha veste, non è seduto su un trono e non ha bisogno di libro.
[C'è di più. Secondo la Lettera agli Ebrei, è stato stabilito che ognuno deve morire, dopo di che viene il giudizio (Ebr 9,27); ma secondo Giovanni, chi non crede è già giudicato, poiché il giudizio si svolge «ora», nel momento in cui ciascuno deve decidere di stare con Gesù o contro Gesù (Gv 12,31)]. 
Ciò mostra che il giudizio non è da considerarsi neppure come un evento limitato ad un attimo del tempo, con una chiara distribuzione dei diversi ruoli. La scena descritta da Daniele è piuttosto una rappresentazione drammatica, che esprime una realtà descritta in categorie accessibili alla nostra esperienza sensibile.
Che cosa è dunque questa realtà, espressa con la scena del giudizio? 
Mi sembra molto importante che la Scrittura insista che il giudizio sarà fatto «secondo le nostre opere» (cfr. Mt 16,27; Rm 2,6; Apoc 22,12). Il nucleo del discorso sul giudizio è che la nostra vita eterna è determinata dal modo in cui nella vita temporale, sotto l'attrazione della grazia, accettiamo la volontà dl Padre, per opera del Figlio, nell'unione con lo Spirito. San Giovanni afferma: «Quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio! E lo siamo realmente! Carissimi, noi fin d'ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato» (1 Gv 3,1-2). 
 La frase può servire per comprendere la realtà del "giudizio". 
Appena abbiamo ricevuto il dono del perdono, il Padre ci giudica giusti. 
Quando moriremo, sperimenteremo il dono che abbiamo, e sentiremo       il   suo immenso valore: questo sarà il nostro "giudizio particolare". 
Alla fine della storia della salvezza, il possesso e il valore della grazia       in noi (= che noi siamo di Dio e Dio è nostro Padre) saranno manifestati a tutto l'universo, e questo sarà il "giudizio universale". 
E, naturalmente, lo stesso discorso vale per il rifiuto del dono, e l'immenso male che è la mancanza della Vita che abbiamo respinto per il peccato. 
L'autore di questo "giudizio" è il Padre, che ha stabilito che il rapporto con il Cristo crocifisso vissuto sulla terra corrisponda al rapporto che avremo con il Cristo glorioso nell'eternità. Si può dire anche che colui che ci giudica è Cristo, perché il criterio secondo cui saremo destinati alla risurrezione gloriosa o alla risurrezione di sconfitta, sarà il nostro rapporto con Lui, pietra angolare, risurrezione o rovina per tutti (cfr. Lc 2,34). E se proprio vogliamo esprimere struttura organica e ordinata di eventi con mezzi immaginativi, sia pur "umani", quale migliore via potremmo trovare che i grandi affreschi del giudizio, che ornano le nostre chiese? [Z. Alszcghyj].
□ – PARADISO, ANCHE GLI ANIMALI?
«… L'altro giorno è successo una mezza tragedia in famiglia: è morto un cagnolino. Può immaginare le lacrime di mio figlio (sette anni!). Ha voluto che gli scavassimo una piccola fossa in giardino, per averlo sempre vicino... Ad un certo punto mi ha chiesto: «Mamma, anche i cagnolini vanno in paradiso?». Per consolarlo, gli ha risposto di sì, anche se non credo... Ma, com'è la storia?». (S.  Monza)
  Siamo proprio strani! C'è sempre più gente che nega l’esistenza stessa del paradiso, mentre altri ci vogliono mettere i cani e i gatti!
   Ebbene, su questo punto non c’è proprio nulla nella Rivelazione di Dio e quindi nella Chiesa! E, qualunque sia la risposta, si tenga ben presente che non si tratta certo del "paradiso" di cui si parla per gli uomini e che, per gli uomini, ha preparato Dio [Non risulta che Gesù Cristo sia morto per i "peccati" degli animali!].  
•  Ma, in proposito che cosa dicono i teologi?  
Dio ha creato tutte le cose per la sua gloria. Egli non crea mai le cose per distruggerle, ma solo affinché siamo più splendenti nel rispecchiare le sue perfezioni: "Quanto sono grandi, Signore, le tue opere! Tutto hai fatto con saggezza, la terra è piena delle tue creature" (Sal 36, 6).
Ma, allora – ci si potrebbe chiedere – perché Dio non risuscita tutti gli animali, selvatici e domestici, per renderceli presenti in paradiso, così che si possa goderne la compagnia e scoprire più perfezioni divine di quanto abbiamo scoperto negli animali limitati, incontrati sulla terra?  
   Dio può fare senz'altro qualunque cosa. Se il nostro cane o gatto prediletto ci davano una gioia grande, manifestandoci la bontà e la gloria divina, perché Dio non dovrebbe continuare a rivelare la sua bellezza nell’infinità quantità di altri animali, di piante, di stelle, di oceani, di montagne, immersi nella sua bontà e magnificenza, che non abbiamo ancora ammirato?
   Dio ci ha dato il potere su tutte le creature esistenti al di sotto di noi. Perciò in paradiso dovremmo aspettarci di trovare non un ricovero di individui inattivi, ma una continua creatività tra gli esseri umani e il mondo della bellezza divina presente in tutte le creature animate (animali, uccelli, pesci, piante, ecc.), e presente in quelli che noi chiamiamo esseri "inanimati", anche se li vedremo come manifestazione dell'energia vitale di Dio, sempre in movimento verso un unità più grande e più consapevole. 
   I nostri piccoli animali rappresenterebbero le prime fonti della nostra conoscenza celeste e troveremo in loro una traccia di Dio. Gusteremo simile bellezza sempre di più, man mano che matureremmo nella scoperta della bellezza divina presente negli altri animali. Li "addomesticheremmo", imparando a contemplare la straordinaria bellezza di Dio in questa o in quella particolare creatura”. – Questo è quanto.  
  • Ho citato un autore “favorevole” (!) a quel bambino e ai sentimenti di tanti altri umani... 
Personalmente, però, non sono della medesima opinione; ma ognuno è libero di pensarla come meglio crede – sempre tenendo presente le precisazioni fatte sopra e ricordando che non è un articolo di fede! Penso – sullo stile del Vangelo – che ad una simile domanda Gesù avrebbe risposto: «Pensate piuttosto a salvare l'anima vostra, e lasciate ogni altra cosa al Padre mio!». 
P. S. E perché solo gli animali che piacciono, e non anche gli altri? (Discriminazione? E la “par condicio” e l’“inclusione”?). Non credo che Gesù sia venuto in mezzo a noi per salvare l’anima degli animali...
Comunque, lasciamo fare al buon Dio? Lui sa che cosa sia meglio per tutti e per tutto, e stiamo in pace.



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Il Paradiso non può attendere: dobbiamo già cercare il nostro Cielo qui sulla terra! Questo blog tratterà di argomenti spirituali e testimonianze, con uno sguardo rivolto al Carmelo ed ai suoi Santi