Fragilità, ferite e un futuro possibile
Non basteranno i sistemi di sorveglianza più sofisticati, le aree video- controllate, le geolocalizzazioni o i controlli facciali. La vita è e rimane fragile per tutti ed è solo una questione di tempo. Una manciata d’anni o poco più. La metafora della sabbia o della polvere non sono mai fuori luogo e probabilmente più ancora laddove si cercano certezze e si finge l’impressione di perennità. Basta poco per destabilizzare piani, progetti e linearità. In questa fragilità che gli anni, le malattie, gli avvenimenti inaspettati ci impongono come ineludibile, appare qualcosa di grande che, in genere, rimane nascosto quando tutto sembra andare bene. Com’è noto le parole rivelano molto del nostro sentire attuale perché offrono (e nascondono allo stesso tempo) ciò che in realtà mettiamo prima di tutto, oppure abbiamo smarrito. Una di queste parole è la ‘sicurezza’ che, ormai da anni, si propone e impone come chiave di lettura di ogni politica che si rispetti. Nulla di nuovo sotto il sole. Qualcuno disse in una parabola che il proprietario, sazio degli affari, voleva ingrandire i suoi granai e poi godersi finalmente la vita. ‘Stolto’ dice il racconto, ‘questa notte stessa ti verrà chiesta la vita. Quello che hai accumulato a chi gioverà’. Così termina chi accumula per sé e non per la vita.
Anziani, ammalati e chi si attorta di solitudine nelle case per anziani. Gente col bastone, spingendo una carrozzella o condotta sottobraccio, spesso, da una straniera che talvolta trascura la sua propria famiglia per assistere gli infermi altrove. In tutto ciò si nasconde una grande verità e una silente ferita. La verità perché è proprio nei momenti di debolezza e fragilità che si smaschera ciò che si nasconde quando tutto sembra filare liscio e le forze illudono, come fanno i monumenti, di eternità. Mentre la ferita è quanto permette all’umano nascosto di emergere. Le ferite lo sappiamo, sono in realtà delle ‘feritoie’ attraverso le quali si infiltra l’umano che era stato confiscato, appunto, dall’apparente ‘sicurezza’ del momento. Le ferite, nelle nostre società, sono innumerevoli e in gran parte censurate da un sistema per il quale ogni debolezza, in quanto sintomo di mortalità, sarà da cancellare come una intrusa. Il tradimento ricorrente dei politici (o dei militari) al potere. L’economia studiata per escludere i deboli. Una scuola creata per perpetuare il sistema e un servizio sanitario ad eliminazione dei non abbienti. Tutto ciò e altro, congiura per rendere la debolezza, la povertà e ogni tipo di indigenza, come vergognoso e di cui parlare il meno possibile.
Perché, in fondo, non rimane che un’unica domanda che attraversa la fragilità e le ferite che ad essa vengono ricondotte. La domanda che si pone come orizzonte di ogni cultura, filosofia, religione o progetto politico. Si potrebbe formulare come un futuro nascosto nel presente o un presente che già contiene e genera il futuro. Che tipo di mondo stiamo creando quando crescono le esclusioni, le eliminazioni e le distruzioni in diretta sugli schermi televisivi come macabro spettacolo quotidiano di impotenza dinnanzi al male.
Un mondo di trincee, barriere, fili spinati, ponti inagibili o chiusi di proposito per perpetuare un sistema di potere che, lo sappiamo per esperienza, è foriero di morte e desolazione. Un mondo dove gli invisibili dovrebbero rimanere tali e dove le grida e la mobilità di chi non vuole scomparire senza lasciare traccia viene equiparato al terrorismo. Un mondo dove sono dichiarati beati coloro che calpestano i diritti e la dignità dei poveri. Che tipo di mondo abbiamo ereditato e che tipo di mondo lasceremo alle generazioni che verranno? E’ la sola domanda che valga la pena essere tradotta in tante lingue e poi affidata proprio a loro, i fragili e coloro giudicati non degni di prendere la parola. Solo dal silenzio, ascoltato, delle loro ferite aperte potrà rinascere un mondo nuovo.
Mauro Armanino, Genova, settembre 2025
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