AFORISMA

Meglio aggiungere vita ai giorni, che non giorni alla vita
(Rita Levi Montalcini)

Nostra Signora del Carmelo

Nostra Signora del Carmelo
colei che ci ha donato lo scapolare

lunedì 28 ottobre 2019

BEATITUDINI - parte terza - Conferenze di P. Claudio Truzzi OCD




3 [1] – BEATI I POVERI DI SPIRITO  
«Beati coloro che scelgono di essere poveri, perché hanno Dio per Re».
Sappiamo che il cammino di Gesù verso la felicità passa per l' “amore”.
Però, a sua volta, all'amore si giunge per mille cammini.
Nelle sue “Beatitudini”, Gesù pone in risalto come per giungere ad amare, il primo cammino sia di essere “poveri”. E allora noi...
Vediamo...  Chi sono i poveri?
Non basta consultare il dizionario per saperlo, né controllare il coefficiente della “rendita pro capite”, perché se Luca parla semplicemente di “poveri”, Matteo, secondo le diverse traduzioni, chiama “beati” ...
- “Coloro che scelgono di essere poveri”,
- “I poveri di spirito”,
- “Coloro che sono coscienti di essere poveri”,
- “Coloro che si sentono poveri dinanzi a Dio”.
Tali sfumature complicano un po' la possibile interpretazione circa i “poveri” che Gesù chiama “beati”.
Tuttavia, in qualcosa possiamo concordare. Esiste una povertà “materiale”: quella di chi è privo del necessario per vivere, dell'indigente e misero; e quell'altra di chi, pur possedendo il fabbisogno, si sente un nulla dinanzi a Dio.
Quindi, non c'è povertà nell'abbondanza; né dove esiste il superfluo. Neppure è povero chi, al solo aprire la bocca, vede compiersi tutti i suoi capricci.
Non è, tuttavia, alla povertà materiale che si riferisce Gesù. Una piaga sociale, un frutto del peccato com'é l'indigenza, non potrà mai essere la piattaforma di nessuna beatitudine o felicità.
Quando parla di “povero”, Gesù va più in là del “mendicante”.
Rifacendosi all'Antico Testamento, per san Matteo
– i “poveri” sono gli umili, i semplici, coloro che non contano sui propri mezzi per uscire da una triste
   situazione e confidano completamente nella Provvidenza divina che sanno non mancare mai;
– sono coloro che, non avendo nulla di cui gloriarsi e in cui appoggiarsi, si aprono alle promesse di Dio  e vivono la virtù della speranza. «Non c'è nulla tanto grande con la speranza del povero», recita un proverbio popolare.
Poveri”, infine, dovrebbero essere, oggi, in questo senso, coloro che – non vantando privilegi, non possedendo polizze di assicurazione, né rotondi conti correnti, né stupide superbie e altre facciate dietro di cui trincerarsi –, lungi dal rinchiudersi in se stessi, si aprono sempre più a ciò che Dio chiede ed a ciò che di nostro possono aver bisogno gli altri.
“Ricco”, invece, secondo il Vangelo, sarebbe l'opposto:
– chi crede di non aver bisogno di Dio né del prossimo; [Fariseo e pubblicano]
– chi afferma di possedere tutto ben stretto;
– chi non vede il senso di aspettare "la beatitudine del regno di Dio", né ora, né mai, perché tale benessere già sa fabbricarsela da solo quando lo voglia.
Approfondimento
Non siamo di fronte ad una specie di consacrazione della povertà, quasi fosse una condizione ideali per accogliere il regno di Dio. Sarebbe allora una legittimazione dell'ingiustizia e dell'avidità umane, che vengono invece smascherate e condannate nei quattro “guai a voi, ricchi” successivi.
E neppure si deve credere che dipenda dal fatto che i povero siano moralmente migliori dei ricchi.
Non c'è nessuna condizione sociale, e nessun merito da parte degli uomini che renda, di per sé, idonei al regno. Questo è un dono gratuito di Dio, non conquista dell'uomo. Dio non è un contabile.
In realtà, ciò che è in gioco, nelle beatitudini, è l'idea stessa che ci si fa di Dio.
«Gesù proclama che Dio ha deciso di stabilire il suo regno e di manifestare la sua potenza regale. Chi trarrà profitto da questo nuovo stato di cose? I poveri, gli oppressi, gli schiacciati. Se Dio è veramente un re degno di tal nome, eserciterà il suo potere proprio in favore dei poveri, dei piccoli, e per i poveri sarà un bene che Dio stesso si faccia loro protettore. Allora saranno felici. Per i poveri si apre una speranza meravigliosa» (J. Dupon). Per cui la beatitudine si potrebbe tradurre così: «Beati i poveri, perché Dio è stanco di vederli soffrire, perché Dio ha deciso di mostrare che vi ama».
Così bisogna evitare di utilizzare la beatitudine in chiave di rassegnazione o, peggio, come pretesto “religioso” per mantenere un ordine sociale ingiusto. Le beatitudini non devono servire a schiacciare i poveri, ma a liberarli. La povertà resta un male contro cui bisogna lottare senza tregua.
Il messaggio di Cristo non si riassume nell'amore alla povertà, ma all'amore ai poveri.
L'ideale non è la povertà, ma l'amore che si esprime nel gesto di condividere, nel trasformare i beni in sacramento di fraternità. D'altra parte, saremo giudicati proprio sull'atteggiamento che avremo adottato nei confronti di quelli che hanno fame, sete, sono senza vestiti, senza casa, malati, prigionieri (Mt 25). «Quello che avrete fatto a costoro, l'avete fatto a me» – dichiara Gesù.

MEDITIAMO...
Che attitudine ci richiede tale beatitudine? La medesima di Maria, all'Annunciazione.
“Povero” nel linguaggio biblico, furono gli "anawin", coloro che, non possedendo nulla, ponevano tutta la loro speranza nelle promesse di Dio. Maria fu l'ultima degli "anawin", colei che semplicemente disse: «Sì!», giacché nel povero comandano sempre i disegni di Dio. Maria non è colei che “fece”, ma che “la-sciò che Dio compisse in lei cose grandi” e che si convertì in piena “disponibilità” per il suo Dio e i suoi.
Questa dev'essere la nostra “attitudine” per meritare la felicità che Gesù promette ai poveri di spirito.
Però..., per quale motivo essere “poveri in spirito”?
*   Prima di ogni altra considerazione, ricordiamo la fondamentale: perché Gesù fu povero.
Dev'essere sempre l'imitazione del Signore ciò che ci spinge ad essere ed a vivere poveri: amiamo la povertà semplicemente perché Lui l'amò e come Lui l'amò.
*  San Paolo, nel suo cantico ai Filippesi (2, 5-8)
[«Cristo Gesù, pur essendo per natura Dio, non stimò un bene irrinunciabile l'essere uguale a Dio, ma annichilò se stesso prendendo la natura di servo, diventando simile agli uomini, ed essendo uomo, si umiliò facendosi obbediente fino ala morte, e alla morte di croce».],
descrive la povertà di Gesù come annichilazione, svuotamento, alienazione della sua condizione divina, come incarnazione ed obbedienza sino alla morte ed alla morte di Croce.
Quindi, se Lui, essendo ricco, si fece povero per amor nostro, è logico che io faccia altrettanto.
*   Dall'atra parte, essere povero secondo lo stile di Gesù, comporterà per me rinunciare non soltanto a possibili capricci, ma persino ai miei buoni desideri, diritti e piani personali. Tutto ciò in onore ad una piena disponibilità ai disegni ed al volere di Dio.
*   La povertà, inoltre, è favorita di, e, a sua volta, genera non poche virtù. Presuppone, infatti, una mortificazione costante, poiché significa dar la morte, giorno per giorno, ad un'infinità di desideri, creando, in tal modo, spazi ogni volta maggiori all'azione dello Spirito.
Di fronte a ciò di cui abbiamo bisogno e che non teniamo, inizia a chiederci pazienza e speranza.
Se il Signore mi dice: «Esci dalla tua terra e dalla tua patria e vattene in un paese che io ti mostrerò» (Gen, 12,1), Egli mi sta ponendo alla prova la fede nuda e la mia speranza e confidenza in Lui; e, naturalmente, l'amore, poiché la mia decisione si suppone gratuita e disinteressata.
*  L'essere poveri secondo lo Spirito, conduce ad una sequela di Cristo più pura e radicale... e verso una gioiosa libertà di spirito. Povero è chi non ha nulla da perdere, se non le proprie catene.
*   Infine, “povertà e missione” sono, a loro volta, concetti che camminano insieme: «Andate. Non portate né oro, né argento, né denari nella vostra cintura. Neppure una bisaccia per il viaggio; né due tuni-che, né sandali, né bastone» (Mt 10, 6-9).
Chiediamoci
  Come reagire di fronte ad una società che ha fatto del superfluo una necessità?
  Che cosa pensiamo di una Chiesa che ancora necessita di tanto denaro per evangelizzare?
  Come possiamo essere poveri, mentre in realtà non manchiamo di nulla?
Iniziamo col far nostra l' “opzione preferenziale per il povero e i poveri”.
L'amicizia e il tratto con la povertà ed i poveri ci faranno capire il significato del "superfluo"; e da qui scopriremo il progetto di Dio su di noi e suoi "nostri beni economici".
E concludiamo con una certezza: la povertà evangelica è un "dono dello Spirito". Una grazia che bisogna chiedere, come tutte, con umiltà, con fiducia e perseveranza: un apprendistato che dobbiamo realizzare giornalmente dalla mano del nostro Maestro e con l'esempio dei suoi più fedeli seguaci.
Per ciò stesso...
Preghiamo
"La povertà e le povertà"
Signore, chiedere è il miglior modo di riconoscere la propria povertà
di fronte a colui cui uno dirige le sue suppliche.
Per questo ci accostiamo a Te – Signore e Datore di ogni dono – con questa nostra fila di suppliche.
Ci sappiamo creati a tua immagine;
però siamo pure coscienti di essere peccatori, cioè, gente di "cattiva immagine",
che potremo cambiare soltanto  rivestendoci di nuovo dell'immagine del tuo Figlio.
Ma... per ricuperare tale immagine,
dobbiamo realizzare nelle nostre esistenze ciò che fu, per la Sua,  il "punto di partenza": Spogliarci!
La nostra prima supplica è proprio per questo:
Dacci un cuore povero
che ci serva come "Chilometro 0" della nostra rotta verso Te.
Liberaci anche, Signore,
sia da una concezione “materialistica”,
e sia da quella “spiritualistica” della povertà.
La prima può degenerare in “spettacolo”;
con la seconda possiamo correre il pericolo
di credere che non siamo attaccati a nulla, perché ... non ci manca nulla!
Donaci la grazia di vivere in povertà
concreta, reale , visibile, significante...
Altra supplica, Signore: che non dimentichiamo
che c'é qualcosa di peggiore del sostituire la fede e la fiducia in Te:
è il riporre la nostra speranza e tranquillità nel denaro.
Ci riferiamo al cadere nella mostruosità
di pensare che possiamo estendere il tuo Regno a forza di denaro.
E per ultimo, Signore,
ti preghiamo di sradicarci la nostra impenitente tendenza di cercare “sicurezze”:
la sicurezza di una "coscienza che si sente a posto",
la sicurezza di una legge scrupolosamente adempiuta;
la sicurezza di alcuni principi di una solidità provata,
e persino la sicurezza degli stessi dogmi professati con molta fermezza ed a viso aperto.
Illudersi di possedere la verità, è talvolta una sottilissima forma di ricchezza,
una prova  che non è la verità a possederci.
Spogliaci dei nostri morbidi cuscini di verità.

Preghiera di un “Abbandonato”
Signore, desidero essere un “abbandonato”.
No, non voglio dire un pelandrone, né un ignavo; e neppure un vagabondo ozioso.
Desidero essere soltanto un cristiano,
uno di quelli che un giorno hanno letto Matteo 6, 33, e presero sul serio quelle parole:
«Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutto il resto vi sarà dato in sovrappiù».
Desidero ripeterti, sereno, le parole del tuo Figlio e nostro fratello, Foucauld:
«Padre, mi pongo nelle tue mani.
Fai di me quello che desideri.
Avvenga ciò che vuole, ti ringrazio,
purché si compi la tua volontà in me  e in tutte le creature.
Padre, non desidero niente più...».
Però, Signore,
quando agisco in questo modo,
coloro che mi sono attorno mi chiamano: utopico, romantico, sognatore, insensato...
E io non sono nulla di tutto ciò, Padre mio.
Da tuo Figlio ho appreso che «gli uccelli del cielo né seminano, né mietono, né accumulano e,
tuttavia, Tu provvedi loro il cibo» (Lc 12, 22).
Perché non dovresti aver cura di me?
Perché devo tener tutto programmato?
Perché non lasciarti spazio affinché anche Tu possa operare?
Però continuano a prendermi in giro:
Dicono che sto seguendo mode ecologiche; o che, per comodità,
non voglio farmi carico dell'angustia dei problemi e dei pesi che ogni giorno ci presenta.
E non è così, Padre mio; non è proprio così!
Più che sfuggire dalla dura realtà, ciò che faccio è lavorare, sì:
però, poi, affidarmi a Te, senza condizioni.
Desidero essere povero!
Sembra facile, sembra comodo,
e tuttavia, come costa tale abbandono completo!
Necessito una fiducia illimitata in Te.
Necessito non distrarmi da ciò che è sostanziale: Tu.
Necessito recitare nell'anima e tradurre nella mia vita quei versi di san Giovanni della Croce:
         «L'anima mia s'è data – tutti i miei beni sono a suo servizio;
non pascolo più la greggia, – non ho più altra cura,
 ché solo nell'amore è il mio esercizio»  (Cantico 28)
Materiale complementare:
Sal 15: "Proteggimi, o Dio, mi rifugio in Te". – Sal 22: "Il Signore è il mio  Pastore".
Sal 26: “Il Signore è mia luce e mia salvezza”.
Sofonia: 3, 11-13: “Dio mi renderà povero, se glielo permetto”.
Isaia 61, 10-62: Cristo di compiace della sua sposa povera e lei risponde.
San Giovanni della Croce: Salita II, 7, 15. Fiamma 3, 46; Cantico 28.


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