AFORISMA

Meglio aggiungere vita ai giorni, che non giorni alla vita
(Rita Levi Montalcini)

Nostra Signora del Carmelo

Nostra Signora del Carmelo
colei che ci ha donato lo scapolare

sabato 18 marzo 2017

PROVE E DIFFICOLTA' NELLA PREGHIERA



PROVE E DIFFICOLTà NELLA PREGHIERA

Pregare. Però, talvolta, che fatica! Le difficoltà, le prove tante volte hanno la loro origine e la loro motivazione proprio in noi, creature  molto differenziate nello medesima la strada della vita spirituale: c’è chi è all’inizio, c’è chi è più avanti, c'è chi è più indietro, c’è chi persevera, chi tentenna... E tutto questo non può non avere delle ripercussioni nel processo di incarnazione del mistero della preghiera.
Ma le difficoltà e le prove possono venire anche da Dio. Perché il Signore ha i suoi compor-tamenti, che pur tutti coerenti alle sue intenzioni di amore;  tante volte hanno esigenze che riflettono le necessità, le situazioni dell’orante, e sono finalizzati ad aiutarlo a crescere, per liberarlo dalle sue pretese e dalle sue presunzioni, per radicarlo nella consapevolezza della gratuità del dono divino, e così via. 
Niente di strano, dunque, che in questo cammino dell’orazione ci siano delle prove, ci siano delle difficoltà.
 •  Cominciamo dalle più scontate e dalle più conosciute, perché chiunque si dedica anche poco alla preghiera e all’orazione le incontra.

1 - Le distrazioni
La prima difficoltà di cui S. Teresa parla, e di cui Giovanni della Croce, soprattutto nella “Notte Oscura”, fa delle analisi molto perspicaci, sono le distrazioni. Le conoscete le distrazioni nella preghiera? Si conosce più la distrazione che la preghiera, alle volte.
Tale fenomeno che accompagna la vita di preghiera, che cosa significa, quali cause ha e quali rimedi? 
Le cause delle distrazioni, non c’è bisogno di dirlo, sono molte. 
* La prima – che tutto sommato è anche una certa incolpevolezza – è una naturale instabilità del nostro spirito, della nostra mente, del nostro cuore, dei nostri sentimenti; un quoziente di volubilità fa parte della condizione normale dell’uomo. Da un lato per l’istintività, nella quale l’uomo è sempre inserito, e dall’altro per le sollecitazioni che, attraverso tutto l’apparato recettivo, l’uomo stesso riceve. Basta sentire una musica, che non abbiamo cercato e che magari ci fa venire il nervoso, che la preghiera ne viene disturbata. 
* Un’altra ragione e un’altra causa delle distrazioni è l'immaginazione, la fantasia. S. Teresa ha una particolare misericordia per le anime tormentare dall'immaginazione, perché lei si vede tra quelle. Dice che non era assolutamente capace di mettere a freno la sua immaginazione.
Del resto, per rendersene conto, basta leggere i suoi scritti, per osservare quella sovrabbondanza continua di immagini che sovrappone, che cambia, che perde, che ritrova. Era una creatura fantastica, proprio come umanità. E anche la fantasia, sappiamo tutti che non si distingue per razionalità. La Santa la chiamava “la pazza di casa” (Vita 17, 5-7), la fantasia, specialmente nell’orazione: finché non avrete legato questa pazza di casa, non avrete pace. 
Però, per legare la fantasia direttamente, bisognerebbe sapere da che parte sta; è una di quelle facoltà che c’è, indubbiamente, che opera senza esitazione, ma dove sta? A quali sollecitazioni e a quali meccanismi risponde?
* Un’altra causa di distrazione, e qui andiamo a qualche cosa di moralmente più significativo, è il poco controllo di sé
Un certo spontaneismo di comportamento, di mente e di spirito, per cui si va, senza riflettere, senza coordinare, senza soprattutto motivare i nostri atteggiamenti: «Perché guardi là? Perché mi va di guardare!». «Perché non guardi? Perché non mi va di guardare!». 
Nel nostro comportamento, queste risposte sono tra le più solite. Comportamenti immotivati e, proprio per questo, molto superficiali, molto immediati e poco riflessivi, che rivelano poco controllo di se stessi, poca volontà di mettere ordine nell’armonia delle nostre facoltà e delle nostre potenze, che tante volte sono... una disarmonia-armonia.
* Questo poco controllo di sé porta ad un’altra condizione personale, che è quella della dissipazione
Non siamo creature ordinate, coerenti, che sanno dove vanno, sanno quello che vogliono, scelgono perché hanno deciso di scegliere con motivazioni, ma creature disperse. Io dico che il vagabon-daggio spirituale è molto più diffuso che non quello materiale. 
La dissipazione! “Dove vai?”, “Perché?... Non lo so!” ...
Quella dissipazione che, per certi aspetti, potremmo anche dire che è neutra – in quanto non ha oggetti e motivazioni maligne, cattive –; per un altro aspetto, non è neutra perché l’uomo non può vivere così, non deve vivere così. Il Signore l’ha fatto ragionevole e deve sapere quello che fa, deve sapere perché lo fa e prima di fare deve scegliere che cosa vuole fare. 
Se uno non è fedele a questo progetto di Dio su di lui come creatura umana, è una creatura dissipata, di-spersa. 
È inevitabile che questa condizione di distrazione emerge soprattutto nei momenti in cui uno, nei confronti del suo atteggiamento normale, vuole raccogliersi. Si fa l’esperienza analoga a quella che fa una persona estremamente disordinata a casa sua: finché una cosa non la interessa e non ha bisogno di trovarla, ci sta benissimo nel suo disordine – evviva il disordine! evviva la libertà! –; ma il giorno in cui una cosa gli interessa e non la trova, non dice più "viva la libertà!". 
Ora, se io mi metto a pregare in una condizione dissipata, l’esperienza che faccio è quella della distrazione: non riesco a dare ordine al mio pensare, ai miei sentimenti, ai miei desideri, tutto diventa caotico, immotivato, irragionevole.
* Ma c’è di più. Molto spesso la ragione delle nostre distrazioni non è soltanto questa mancanza di controllo, di ordine, di compostezza interiore, ma è un’altra ragione che è più grave e moralmente significativa. Tante nostre distrazioni derivano dagli attaccamenti che abbiamo. Quando non siamo liberi, ma con la mente attaccata a qualche cosa, col cuore attaccato a qualche persona o cosa, con la sensibilità tentata per alcuni gusti, con le varie intemperanze ecc..., allora di lì nascono le distra-zioni. Resto continuamente sollecitato dal di dentro perché i miei attaccamenti personali mi con-dizionano la libertà, diventano remore, diventano rallentamenti, diventano pesantezze. Non sono più una creature disponibile, così come non sono più una creatura trasparente, limpida.
E allora i pensieri, le immagini, i desideri, i propositi che io posso anche fare per vivere in unione con Dio, subiscono troppe distrazioni tanto da finire con l’essere perdite di tempo. 
E l’esperienza che si fa è: non riesco a meditare, non riesco a pregare, non riesco a raccogliermi nel pensiero del Signore.
È evidente che queste diverse causalità delle nostre distrazioni è importante conoscerle, perché i rimedi sono legati alle origini delle distrazioni, alle loro motivazioni. Ecco allora che interviene una certa pedagogia nei confronti della distrazione, che parte proprio di qui: conoscere i motivi, mettere questi motivi di fronte a Dio, lasciarsi persuadere, attraverso la riflessione e l’impegno, per liberarcene.
Però, accanto alle distrazioni legate ai nostri attacchi e alle nostre scompostezze interiori ed esteri-ori, ci sono anche quelle dipendenti un po’ dalla nostra natura: l’irrequietezza della fantasia, la mobilità della mente, oppure l’effervescenza dei sentimenti e dei desideri che finiscono con l’essere caratteristiche di una persona. 
Non è che questa persona se li sia fabbricati lei: ci nasce in questo modo. È vero che può superarli a poco a poco, però, per lo meno in principio, questo lavoro diventa più difficile e minori sono i risultati immediati. Bisogna sapere che di fronte a certe impossibilità di raccoglierci, per la mobilità della fantasia, per la natura profonda del nostro essere, può anche accadere che il rimedio alle distrazioni sia proprio quello di cambiare l’occupazione spirituale e, invece di dedicarci alla orazione mentale, si debba prima passare per un periodo nel quale la preghiera vocale faccia da battistrada, e nel quale anche altri soccorsi di carattere esterno devono essere impiegati.
S. Teresa insegna che il ricorso alla preghiera vocale in certi stati di distrazione – quelli del primo tipo – è un ottimo rimedio, e bisogna che le anime amino la preghiera vocale, la pratichino con la necessaria perseveranza e anche con la necessaria umiltà. 
La pretesa di essere dei contemplativi è fuori luogo. La Santa dice di se stessa: “Io per ben 14 anni” – sono tanti eh! – “ho dovuto aiutarmi molto con la preghiera vocale per riuscire a fare la meditazione e l’orazione”.
E tra le preghiere vocali, per S. Teresa, oltre la preghiera liturgica, c’era la preghiera privilegiata del Padre nostro. Una preghiera che va assaporata, ripetuta in modo tale da penetrarne tutta la ricchezza. E, secondo Teresa, è questa strada della preghiera vocale che l’ha resa contemplativa. È un cammino.


LE PREGHIERE CHE ARRIVANO IN CIELO

Un sant'uomo si trovò un giorno sulla soglia di una chiesa molto magnificata perché vi si tenevano celebrazioni e preghiere con grande partecipazione di fedeli. 
L'uomo però rimaneva fermo sulla soglia e si rifiutava di entrare. 
«Perché non entri?», gli chiesero. «Non posso entrare», rispose. 
«Ma perché no?». 
L'uomo rispose: «Questa chiesa è stracolma, da una parete all'altra, dal pavimento al soffitto, di parole dotte d'insegnamento, d'intercessioni, di invocazioni e di preghiere dei fedeli, forbite, accurate, politicamente corrette. Non c'è posto per me qui dentro».
I circostanti non lo capivano e lo guardavano con stupore. 
Il sant'uomo aggiunse: 
«Celebranti e fedeli pronunciano con le labbra milioni di parole. 
Ma in cielo arrivano solo quelle che vengono dal cuore. 
Tutte le altre restano qui e riempiono la chiesa da parete a parete e dal pavimento al soffitto».

Nella preghiera è meglio avere il cuore senza parole che le parole senza cuore...     

2 - Le aridità
Ma c’è un altro fenomeno, che può somigliare alle distrazioni ma non è la stessa cosa, ed è quello delle aridità spirituali.
Le distrazioni sono scomposte mobilità del nostro spirito; le aridità invece sono, proprio come dice la parola, degli stati di rigidità, di secchezza appunto, dal quale non si riesce ad uscire, rimanendo quindi incapaci di pensare, incapaci di desiderare, incapaci di volere, in una esperienza estremamente faticosa per la vita di preghiera. Infatti la preghiera, in uno stato d’animo come quello dell’aridità, non ha agganci, non ha appigli, si trova nel buio, nel vuoto. 
E la Santa dice che queste aridità, il più delle volte, sono il frutto della dissipazione
Attraverso la dissipazione, la creatura diventa intemperante nell’uso delle creature. Vive troppo inten-samente le vicende puramente materiali e terrene, si preoccupa eccessivamente della salute, si preoccupa di ciò che ha mangiato e di ciò che deve mangiare, si preoccupa delle varie vanità della vita; e questo le toglie trasparenza, la rende opaca, la rende pesante e non sa più muoversi (35, 19, 2-5).
S. Giovanni della Croce parla di una creatura che, attraverso la dissipazione, è ingrassata troppo e non si muove. Fa riferimento al famoso verso: «Ingrassato, dilatato: recalcitrò» (Deut. 32, 15).
Questa creatura è nel buio. Buio che può diventare così profondo e così radicale da non riuscire più a muoversi. Questo tipo di difficoltà è più proprio - quando non è colpevole - di coloro che sono già parecchio avanzati nelle strade dell’orazione, cioè stanno percorrendo il cammino della purificazione passiva, sia dei sensi che dello spirito.
3 - Paziente attesa
Di fronte a queste varie difficoltà, il comportamento di un anima sarà differtente. 
* Per quelle da noi causate, come dicevo, sarà soprattutto un maggiore impegno per avere una vita ordinata, più temperante, sobria, non impegolata in troppi interessi e troppe curiosità, in troppi attaccamenti, in troppe fantasticherie. 
* Ma quando invece si tratta delle impotenze che vengono da Dio, tutto questo lavoro bisogna certa-mente continuarlo, ma non è detto che questo serva a fare scomparire la difficoltà. Il comportamento di fronte a questo tipo di impotenza o di aridità è quello della paziente attesa
E qui vorrei sottolineare qualche cosa che è tipico di santa Teresa e di S. Giovanni della Croce.
Quando si tratta di anime che attraversano periodi di questo genere, non bisogna mai consigliarle di fare dell’altro, di sospendere il tempo o l’impegno dell’orazione; ma la loro orazione deve diventare un perseverante esercizio di pazienza e di attesa
«È tempo perso! – si dirà – perché non si pensa a niente, non si prova niente, non si muove niente». 
È vero, si rimane nel buio, ma in esso il Signore opera
E non c’è da dire che la cura del buio non sia salutare. Non faccio nessuna allusione a certe terapie dello scuro che esistono oggi. È proprio un fatto spirituale. E sarebbe un grosso errore se, per liberare le anime dalla sofferenza dell’impotenza, dal tormento dell’essere al buio, dalla tribolazione ecc. le si invitasse a distrarsi e, poi, quando passerà, passerà! No! I Santi dicono: bisogna perseverare, sia nella distribuzione del proprio tempo di preghiera, sia anche nella valutazione della nostra vita, perché di solito questa impotenza e questa aridità non prendono soltanto il tempo della preghiera, ma prendono la vita. 
Un esempio molto classico è che, di solito, noi facciamo con molto interesse le cose che fanno parte della nostra vita; una madre di famiglia fa anche le cose volentieri, pure se costano; c’è interesse, ci si pensa, ci si appassionata anche se magari si tribola, si brontola... Insomma è un interesse che aiuta a vivere. 
Quando l’orazione sembra non interessare più, cosa bisogna fare, smettere? No, bisogna andare avanti, fare lo stesso quello che bisogna fare e... tornerà il bel tempo! È un esercizio nel quale l’iti nerario della orazione fa maturare la speranza. Spoglia la speranza da tutte quelle motivazioni umane, spicciole, e radica la Speranza nel comportamento del Signore, del quale non si capisce il perché e che tuttavia si accetta, dicendo: Signore, se a te piace, va bene così.
È un comportamento questo che mette ancora in luce come, tra vita di preghiera e vita, non ci sia un dualismo; e mette anche in evidenza come certe difficoltà e certe prove della preghiera non si fermano alla preghiera, ma sconfinano nella realtà totale della esistenza di una creatura.
Ritorniamo quindi a quella assoluta necessità di continuare a fondare e a radicare la vita di unione con Dio nell'esperienza della umiltà. Già parecchie volte ho fatto accenno a questa umiltà e qui riemerge, soprattutto nella preoccupazione di Santa Teresa. Pregare non vuoi dire riuscire a pregare, ma vuol dire credere che il Signore ci chiama a una comunione d’amore con Lui, sperare che questa comunione, di cui Lui prende l’iniziativa, si realizzerà e pagarne con amore tutti i prezzi.
Detto questo, però, bisogna anche sottolineare che santa.Teresa e san Giovanni della Croce danno dei suggerimenti didattici concreti per uscire da questo insieme di difficoltà nella vita di orazione.
4 - Alcuni suggerimenti
1. Il primo suggerimento è il ritorno allo spogliamento, al distacco: "Amare Dio è spogliarsi per Dio di tutto ciò che non è Dio" (25, 5, 7). 
ll distacco dal peccato è ovvio: orazione e peccato non vanno d’accordo. 
Ma anche distacco dalle vanità, dalle futilità della vita. Nella vita istintivamente condotta, le cose inutili fanno la parte del leone. Faccio un esempio: non abbiamo mai tempo per pregare e poi perdiamo tanto tempo in chiacchiere che sono pettegolezzi, curiosità... Ecco allora il distaccarci attraverso un proposito costante e sistematico, perché per ognuno il distacco ha degli oggetti particolari. Se gli piace un po' troppo il vino, naturalmente sa bene come indirizzare il suo impegno di distacco; a chi piacciono un po’ troppo i profumi sa bene dove indirizzare il suo distacco. Per rimanere a cose materiali. 
Poi ci sono tutte quelle istintive aderenze che ci troviamo e che troppe volte coltiviamo proprio per superficialità, per conformismo, per moda, per abitudine, per pigrizia, per spirito di comodità... 
Lì bisogna lavorare. Allora: vita e orazione vanno in osmosi. Nella misura che il distacco cresce, nella stessa misura lo spazio della orazione come dimensione spirituale aumenta. 
2. Un altro suggerimento è quello dell’esercizio del raccoglimento ascetico
Ho detto "dell’esercizio"; non parlo cioè di un valore spirituale generale, che è fissare in Dio il proprio spirito; ma parlo di un raccoglimento ascetico, che si esercita attraverso alcuni impegni particolarmente propizi al raccoglimento vero. 
ll silenzio, per esempio. Fare silenzio, circondarsi di silenzio è certamente un aiuto. La solitudine, il ritiro anche materiale, isolarsi dagli altri, cercare degli ambienti, trovare degli spazi dove non siamo circondati da presenze che ci sollecitano, ma siamo piuttosto provocati ad una interiorizzazione, ad una esperienza di interiorità. 
Questo è un esercizio ascetico e questo significa che chi vuole vivere di orazione questo esercizio lo deve praticare. "Io pregherei tanto volentieri ma non ho tempo!". Su via, non dica bugie: spreca tanto tempo! Cerchi piuttosto di sprecarne un po’ di meno e vedrà che il tempo per pregare lo trova. Il tempo dedicato alle cose inutili o anche il tempo dedicato alle cose meno importanti della preghiera, evidentemente bisogna che lo ridimensioniamo, che ne facciamo oggetto di un impegno. 
Vivere di orazione, dedicarsi alla unione con Dio significa anche queste cose.
E tutto questo impegno del raccoglimento ascetico attraverso esercizi di silenzio, di solitudine e di ritiro, è un impegno che va anche controllato. Va seguito attraverso, per esempio, un esame di cosci-enza. È una perfetta illusione vivere così come viene, in nome di una cosiddetta libertà spirituale.
3 – Un altro grande rimedio a queste difficoltà di raccoglimento, di orazione, è l’esercizio della lettura spirituale. S. Teresa di Gesù, a proposito della lettura spirituale, ha fatto una esperienza veramente grande. Quando l’Inquisizione fece bruciare tutti i libri spirituali del tempo, Teresa pianse. 
La lettura spirituale è un esercizio che possiamo anche chiamare propedeutico alla orazione e alla vita di orazione, ma molte volte è anche un esercizio di orazione, perché diventa contestuale la lettura e l’attivazione del nostro pensiero, dei nostri sentimenti, dei nostri desideri, della nostra volontà.
La Santa raccomanda la lettura dei libri spirituali con molta insistenza ed è per questo che anche nella vita delle sue monache ha prescritto l’orario della lettura spirituale: devono leggere ciascuna per conto suo. Per dire quanta importanza le dava! E la Santa questa lettura spirituale delle sue monache la voleva anche un po’ "guidata", in quanto dovevano renderne conto alla priora. Sembra una disposizione puramente disciplinare, invece è tutto un metodo, per cui attraverso la lettura, si arriva all’orazione. 
Una lettura che si deve fare prima e fuori del tempo dell’orazione, ma anche una lettura che si fa durante la orazione, quando evidentemente emergono le difficoltà di cui abbiamo parlato.
La Santa sa che il libro per eccellenza è Cristo. Ecco il perché della lettura del Vangelo e la lettura dei libri che parlano dei misteri del Signore Gesù. Tutte le sue esemplificazioni concrete a proposito dello sviluppo della orazione in qualunque suo grado sono tutte esemplificazioni che partono da un mistero personale di Gesù: lo contempla nell’agonia, lo contempla nella flagellazione, lo contempla sulla croce, lo contempla nella risurrezione. 
Questo è il libro spirituale: questo Cristo, questa persona di Gesù che annunzia il mistero di Dio e lo rivela, e i libri che a questo mistero del Cristo, rivelatore del Padre, prestano particolare attenzione. 
è una insistenza nell’insegnamento teresiano che merita di essere sottolineata
4 – Ma c’è ancora un altro mezzo, di cui la Santa parla, per aiutare le anime a superare le difficoltà del cammino della preghiera e dell’orazione. È il mezzo della direzione spirituale. La Santa dice che è molto importante avere una direzione spirituale illuminata e saggia; nello stesso tempo si lamenta che troppe volte la direzione spirituale paralizza le anime proprio per la inettitudine con cui viene esercitata.
Qui dovremmo fare un discorso molto più dettagliato, però è certo che abbiamo bisogno di essere aiutati. Il cammino della orazione è un cammino che ha le sue difficoltà; è meraviglioso, ma ha le sue difficoltà di discernimento, d'impotenza, di perseveranza; ha le sue crisi di scoraggiamento, di abbat-timento. E chi pretende di passare attraverso tutto ciò da solo, il più delle volte si perde. Noi ci troviamo qui di fronte ad una situazione che nel tempo di s.Teresa non poneva grandi problemi perché i direttori spirituali abbondavano. 
Vorrei dire con tutta schiettezza che oggi mancheranno forse i direttori spirituali, ma mancano so-prattutto le anime che si fanno dirigere. Una buona chiacchierata... un buon consiglio..., quel prete è simpatico... Ma appena ci s'impegna sul serio e ci si sente prendere per mano senza tanti fronzoli e tanti compiacimenti, allora non so come stiano le cose.

Card. Ballestrero – Da ""Dio è mio e per me..."

(Adattata  da p. Claudio Truzzi OCD)

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