AFORISMA

Meglio aggiungere vita ai giorni, che non giorni alla vita
(Rita Levi Montalcini)

Nostra Signora del Carmelo

Nostra Signora del Carmelo
colei che ci ha donato lo scapolare

lunedì 27 novembre 2023

QUESTO E' IL VOLTO DEL PADRE? Sesta conferenza Padre Claudio Truzzi OCD

6-b – QUESTO È IL VOLTO DEL PADRE?  2


Galla Placidia Lunetta del buon Pastore (RA)

3.   DIO CI CONOSCE UNO AD UNO  (BUON PASTORE)

– «Io sono il buon pastore; conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me ed offro la vita per le pecore. Il mercenario, invece, che non è pastore, cui non appartengono le pecore, vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge e il lupo le disperde...  Io conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, come il Padre conosce me ed io conosco il Padre. … E ho altre pecore che non sono di quest’ovile; anche queste io devo condurre; ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge ed un solo pastore...».  Gv 10, 11-19

– «Chi di voi ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va dietro a quella perduta, finché non la ritrova? Quando la trova se la mette contento, ritorna a casa, convoca gli amici e i vicini e dice loro “Fate festa con me, perché ho trovato le mia pecora che era perduta”...». Luca 15, 4-7

– I “Mercenari”: facile descriverli...;  anche se il pericolo più subdolo, non è il “lupo”. Il “lupo” più pericoloso è il “pastore” calcolatore: ossia chi vede gli altri in funzione del proprio nome, della propria faccia, del proprio vantaggio. Senza dubbio la più grave minaccia per le pecore consiste nell'essere dominate, sfruttate, strumentalizzate. 

– A noi, invece, interessano, i lineamenti del “Buon Pastore”. [Che, certo, non sono quelli, dolciastri, dei santini...]. La parabola ci presenta un gregge che non è mai al sicuro. Ed è di fronte al pericolo incom-bente che si precisa la linea di discriminazione tra il vero pastore e il mercenario. Il pastore affronta il pericolo per la difesa del gregge: il suo è un compito di responsabilità, di sollecitudine, di attenzione. 

Il buon pastore è “per” le pecore. Il suo interesse non è volto alla propria persona, ma alla vita delle pecore, alla loro salvezza. «Il buon pastore offre la vita per le pecore». Il Cristo ci tiene a precisare che questo avviene, non per un incidente banale, ma per atto di amore e di suprema libertà («Io offro la mia vita... Nessuno me la toglie, ma la offro da me stesso»).

II profeta Ezechiele (34, 8-16) – già da allora, 600 a.C – presenta il volto di Dio: «Ecco io stesso cercherò le mie pecore e ne avrò cura... Io stesso le condurrò al pascolo e io le farò riposare. ... Andrò in cerca della pecora perduta e ricondurrò all'ovile quella smarrita; fascerò quella ferita e curerò quella malata...».   

Con Cristo Gesù si realizza la promessa. Dio ha risposto all'attesa di un pastore diverso dagli altri. 

E Lui, quando si presenta, non è certo nella linea delle immagini e dei desideri degli scribi. Lui, è uno come tutti: povero, semplice, privo di segni esteriori di grandezza, allergico agli onori. L'opposto del dominatore e dello sfruttatore (o il Messia socio-politico, liberatore del popolo dalla schiavitù). 

Lui conosce i pericoli che minacciano il gregge e lotta contro le forze del male. Per questo si fa nomade instancabile, che va alla ricerca della “pecora smarrita”, si spinge lontano e non si stanca di chiamare gli sbandati, gli emarginati, i rifiutati. Lui accorre dove c'è un uomo che non ce la fa più, schiacciato sotto il peso della solitudine, della stanchezza, del disprezzo da parte dei benpensanti.

È un pastore che rivendica un titolo fondamentale: Lui è uno che sa, che conosce: «Conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, come il Padre conosce me ed io conosco il Padre». E si tratta di una conoscenza che non ha niente da fare con la semplice intelligenza e la psicologia. È questione di amore.

Allora, con un simile pastore, mi sta bene anche l'immagine del “gregge”. Non mi vergogno di appar-tenere al gregge. Infatti, appartenere alla Chiesa (al gregge di Cristo), non significa essere intruppati e camminare a testa bassa e rinunciare al proprio cervello e ai propri occhi. No! 

Quel pastore (Dio-Papà) è a servizio della mia dignità. Per questo, Lui non pensa al posto mio, e neppure decide per me. Dio mi tratta da adulto responsabile. E vuole che i “pastori”, suoi rappresentanti, facciano altrettanto. Io, dunque, sono un “valore” ai suoi occhi. Dio mi prende sul serio. Ho a che fare con un pastore attento a ciascuna delle sue pecore. E quando mi sento chiamare, non penso, subito ad un rimprovero o ad un castigo. Penso piuttosto, con sorpresa, che Dio mi conosce per nome.

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4.   CUORE DI PADRE  (FIGLIO PRODIGO) 

«Un uomo aveva due figli. Il più giovane disse al padre: “Padre, dammi la parte del patrimonio che mi spetta” Allora il padre divise le sostanze tra i due figli. Pochi giorni dopo... emigrò in un paese lontano e là, menando vita dissoluta, dissipò il  suo patrimonio... Tornato in sé, diceva: “Voglio ritornare da mio padre e dirgli: – Padre, ho peccato contro il cielo e contro di te”. Mentre era ancora lontano suo padre lo vide e ne ebbe compassione. Gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò... [E] il padre disse: “... Facciamo festa... perché questo mio figlio era morto ed è ritornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”»Luca 15, 1-32.

La parabola ha subito il torto di vedersi affibbiare un titolo errato. È, infatti, comunemente indicata come la storia del “figliol prodigo”; invece, la figura centrale, il protagonista indiscusso è il padre.

–  Di questo padre colpisce, prima di tutto, il silenzio.

C'è il figlio minore che parla, pretende. Il padre non spicca una parola.

Il suo è il silenzio dell'amore, rispettoso della libertà del figlio. Accetta il rischio di tale libertà. Certo addo-lorato, ma non adirato per la richiesta. Lui non può sostituirsi alla scelta del figlio. [Senza libertà non c'è amore. Un dottore della Chiesa parla appunto dell'uomo, al momento della creazione, come “rischio di Dio”].

Noi ci chiediamo, d'istinto: – Perché non l'ha trattenuto? Perché non gli ha rifilato una buon razione di legnate sulla schiena invece della parte del patrimonio che gli “spetta”?

Ma la vera paternità non va confusa col paternalismo. Quest'ultimo ne rappresenta la deformazione: con l'intento di proteggere, finisce per soffocare la crescita dell'individuo e di bloccarlo in uno stadio infantile.

«Nel contesto del Vangelo, Dio non appare come il padre che spranga la porta affinché i figli non escano di notte, ma la luce illuminante, la misteriosa bussola che orienta l'uomo nella sue scelte, che non lo abbandona nell'esercizio rischioso della libertà, e che crea nuove prospettive di liberazione, rifacendosi agli epiloghi che parrebbero disastrosi. Il padre può aiutare solo essendo un modello...» (Arturo Paoli).

Il padre parte con lui in una forma nascosta, interiore, che più tardi esploderà nella nostalgia del figlio.

–  E poi l'attesa. Avevo trascritto le seguenti riflessioni, tempo fa, ed ora mi sembrano illuminanti. 

«L’attendere obbliga alla vigilanza, alla veglia ed acuisce il desiderio. Voi sapete, amici che avete vis-suto certe attese, che le vivete oggi, tremando: voi avete provato ad attendere un figlio che veniva da lontano, dalla guerra forse, o tornasse da una brutta avventura; voi avete provato ad attendere e ad essere attesi. Sì, tornava, ma da dove? Ma che importa! Se ancora gli occhi bruciano per quell’aguzzarli per veder da più lontano possibile la casa, un volto, dei volti; e avete giudicato una crudeltà malvagia la sosta in quella città, e l’altra a qualche chilometro e l’altra ancora all’ultima svolta!... Allora avete capito che terribile e meravigliosa cosa sia attendere e che forza e che entusiasmo dà il saper di essere attesi».

UN BIGLIETTO...

Intorno alla stazione principale di una grande città, si dava appuntamento, ogni giorno e ogni notte, una folla di relitti umani: barboni, ladruncoli, marocchini e giovani drogati. Di tutti i tipi e di tutti i colori.

Si vedeva bene che erano infelici e disperati.

Barbe lunghe, occhi cisposi, mani tremanti, stracci, sporcizia.

Più che di soldi, avevano tutti bisogno di un po’ di consolazione e di coraggio per vivere; 

ma queste cose oggi non le sa dare quasi più nessuno.

Colpiva, tra tutti, un giovane, sporco e con i capelli lunghi e trascurati, che si aggirava in mezzo agli altri poveri naufraghi della città, come se avesse una sua personale zattera di salvezza.

Quando le cose gli sembravano proprio andare male, nei momenti di solitudine e di angoscia più nera, il giovane estraeva dalla sua tasca un bigliettino unto e stropicciato, e lo leggeva.

Poi lo ripiegava accuratamente e lo rimetteva in tasca.

Qualche volta lo baciava, se lo appoggiava al cuore o alla fronte.

La lettura del bigliettino faceva effetto subito.

Il giovane sembrava riconfortato, raddrizzava le spalle, riprendeva coraggio.

Che cosa c'era scritto su quel misterioso biglietto?

Sei brevi parole soltanto: “La porta piccola è sempre aperta”.

Tutto qui. Era un biglietto che gli aveva inviato suo padre.

Significava che era stato perdonato e in qualunque momento avrebbe potuto tornare a casa.

E una notte lo fece. Trovò la porta piccola del giardino di casa aperta.

Salì le scale in silenzio e si infilò nel suo letto.

Il mattino dopo, quando si svegliò, accanto al letto, c'era suo padre. In silenzio, si abbracciarono.

Il biglietto misterioso spiega che c'è sempre una piccola porta aperta per l'uomo.

Può essere la porta del confessionale, quella della chiesa o del pentimento.

E là, sempre un Padre, che attende. 

Un Padre che ha già perdonato e che aspetta di ricominciare tutto daccapo.

••  Secondo la Parabola sembra che il Padre sia rimasto in casa ad attendere il figlio, a scrutare l'orizzonte.  Invece il cuore del padre, invece, era andato lontano... 

Ha camminato più il padre che non il figlio, a pensarci bene. 

L'amore non si rassegna alle distanze, alla separazione. L'amore è sempre in movimento, sempre in anticipo; prende costantemente l'iniziativa, non si chiude in un'attesa corrucciata e indispettita. Il padre non si rassegna a stare nella casa piena zeppa di ogni bene – comprese le “opere buone” del figlio maggiore –. Quella casa gli sembra vuota, perché manca un figlio. Il Padre non tira un sospiro di sollievo perché si è liberato di un “piantagrane”. Impazzisce di gioia, ed obbliga tutti alla festa, quando si profila in lontananza la sàgoma del figlio. 

Dio non si rassegna alla perdita dell'uomo peccatore: lo spia, lo insegue, lo tormenta. Si sono poste in bocca di Dio queste parole: – Non mi cercheresti se non mi avessi già trovato –. Forse sarebbe meglio precisare: – Non mi cercheresti se IO non ti avessi già trovato... –.

••  Questa parabola è uno dei test più inquietanti: forse la prova decisiva della nostra fede è proprio questa. Siamo di fronte ad un comportamento per lo meno singolare: quello del Padre nei confronti del figlio che ritorna dopo aver ”dilapidato” i suoi beni con le male-femmine. 

Esso esige il nostro giudizio, la nostra approvazione oppure il nostro dissenso. «... Era ancora lontano quando suo padre lo vide e s'intenerì; gli corse incontro, gli si gettò al collo, lo baciò e ribaciò...». 

DIO: un abbraccio

Una volta una bambina chiese alla mamma: «Mamma, chi è Dio?». 

La mamma rimase sbalordita da quella domanda così ardita. D'altra parte era contenta che proprio la sua bambina le avesse fatto quella domanda tanto importante. 

Allora, come per ringraziarla, se la prese tra le braccia e se la strinse forte al petto e la baciò. 

In quel momento le venne la risposta: «Cara bambina mia, Dio è quello che provi ora con me!». 

Dio è un abbraccio. Dio è un bacio. «l padre gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò» (Luca 15, 20). Che cosa pensiamo di questo gesto? Siamo in grado di accettare i gesti del Padre, il suo intenerirsi, il correre incontro a quello scavezzacollo, il gettargli le braccia al collo, e il baciarlo e ribaciarlo? 

Oppure ci sembra che ci sia dell'esagerazione o, peggio, della debolezza senile? Accettiamo di “far festa”? Non di contraggenio, ma con la consapevolezza che la festa per il ritorno è dove-rosa?    

Il nostro cristianesimo va misurato a quelle braccia. Una prova soprattutto per il cuore. È capace di sopportare quel gesto immenso e pazzesco? L'esame più impegnativo della fede cristiana consiste nel metterci a contatto con l'amore di Dio e vedere se non rimaniamo scandalizzati.

•   Un autore ha tratto la seguente considerazione profonda.

«Quando andiamo a confessarci dovremmo ricordarci che riceviamo un dono smisurato da parte di Dio (Il figlio che ritorna non ottiene più delle cose. Quelle le ha già avute e le ha dilapidate. I sandali, il vestito, l'anello, stanno ad indicare la dignità ricuperata e che dev'essere riconosciuta da tutta la famiglia, sono i “segni” dello stato di figlio, molto più importanti del malloppo che ha preteso al momento della partenza).

Ma dovremmo, anche convincerci che restituiamo a Dio qualcosa di cui l'avevamo defraudato, qualcosa che Lui attende: la nostra comunione con Lui. In fondo anche Dio riceve qualcosa di prezioso da noi, dal nostro ritorno, dalla nostra conversione.

Confessarsi significa ricevere e dare. Accogliere e restituire. La gioia è anche quella di Dio; anzi è sopratutto la sua – molti cristiani, invece, non escluse le persone religiose, escono immusonite dal confessionale, dimenticando che hanno ricevuto una “sentenza di festa”! –

Non è esatto affermare che “portiamo a Dio i nostri peccati”. No! Gli “riportiamo” la nostra presenza, la possibilità di essere Padre “arricchito” di un figlio. Quando il Prodigo che ritorna cerca di elencare le pro-prie mascalzonate, il padre non lo sta neppure a sentire. Non è ciò che gli interessa. Quello che gli preme è che il figlio entri “da figlio” in casa. Non gli chiede conto che fine abbiamo fatto i suoi soldi. Il “dissipato-re” ha riportato indietro il tesoro più prezioso: la capacità, la voglia di “essere”». (Pronzato, Il pane della Domenica). 

••  Noi: “Indispensabili” al cuore di Dio 

 – «Io sono il buon pastore...».  

– «O quale donna, se ha dieci dramme e ne perde una, non accende la lucerna e spazza la casa e cerca attentamente finché non la ritrova?».

– «Un uomo aveva due figli....».

Qual è il dato fondamentale, che emerge dalle tre parabole?

• Il pastore non si ritiene ricco, appagato, perché ha pur sempre 99 pecore al sicuro. Si pone alla ricerca affannosa di quella smarrita. Le 99 rimaste non lo risarciscono della perdita di quell'unica vagabonda.

• La donna non si consola contando le 9 dramme che serra in pugno. È povera [il gruzzolo, in tutto, vale press'a poco 10 Euro]. Ma non si rassegna a rimanere impoverita di quella moneta che è andata a finire chissà dove. E mette tutto sottosopra; si dà un gran daffare e disturba il mondo intero per il prezioso ritrovamento.

• Il padre ha due figli: uno se ne va con una procedura piuttosto insolita, e quello rimasto – per quanto “esemplare”, almeno all'apparenza – non lo consola dello scavezzacollo che è partito sbattendo la porta.

La conclusione è evidente: la contabilità di Dio è diversa dalla nostra. Non si basa su criteri quantitativi. Basta un segno meno, una sottrazione (per quanto piccola), e i conti per Lui sono in rosso. Invece, anche una sola persona ha un valore “unico” agli occhi di Dio: un valore non sostituibile.

Ciascuno di noi è prezioso, importante. “Importante di amore” (P. Talec). E quindi degno di ricerche ostinate, preoccupazioni, sollecitudini infinite, attese pazienti da parte di Dio.

“Dio è povero” – si afferma. Ma è certo che non si rassegna ad essere “impoverito” anche di una sola delle sue creature. 

Dio è povero, ma possiede un patrimonio immenso; e quella che per noi sarebbe una perdita “irrilevante”, quasi vantaggiosa per la tranquillità della casa [“Ci liberiamo di rami secchi” commenterebbe, forse qualcuno di noi], una cifra irrisoria..., nel suo cuore provoca una lacerazione dolorosissima, che può essere ricomposta unicamente col recupero di quel minuscolo, incalcolabile tesoro.

L'uomo può cessare di essere figlio. Può far a meno del Padre; può stare senza Dio; può fuggire. Ma Dio non si rassegna a stare senza l'uomo.

O Signore, 

non tutti i figli sono sulla via del ritorno. 

Ritorneranno, ma intanto si credono ancora in diritto di farTi soffrire. 

E il ritorno d’un figlio non fa cessare l'agonia del Padre.

Tanti, tantissimi – basterebbe anche uno solo – sono lontani, 

vogliono essere lontani, rifuggono il Tuo sguardo, 

su strade che sanno ancora troppo di falsità, d’illusione, 

di speranze umane chiuse al Tuo Mistero, 

ma non per questo, capaci di trattenere il Tuo amore. 

E Tu stai in attesa:

ad ogni istante c'è un ritorno, c'è un abbraccio di gioia, 

ma la storia di questo mondo

è fatta ancora da molteplici istanti di attesa. 

La Tua sofferenza di Padre è anche e, soprattutto,

per noi, che ci riteniamo figli devoti, da lungo tempo padroni di casa. 

L'avventura più brutta è non riuscire più a vivere l'avventura di una Casa dove

la legge dei figli è la legge del Padre; 

dove per legge s'intende l'amore del Padre, la sua ansia per chi è lontano, 

il suo attendere il ritorno di tutti i figli, il suo soffrire per quelli di casa

che hanno fatto, di questa casa, una sicurezza personale, 

un privilegio indiscutibile, un meritato riposo.

Non intendo dire che occorre invidiare l'avventura del figliol prodigo; 

intendo affermare che è necessario vivere 

l'avventura di figli devoti 

lasciandoci rinnovare continuamente, 

giorno per giorno, dalla potenza dello Spirito. 

Essere figli fedeli a queste esigenze rinnovatrici dello Spirito Santo, 

è cercare di dare maggior respiro a questa Casa.

Non tutti i figli s’allontanano perché figli "prodighi", incoscienti, spensierati; 

tanti se ne vanno perché incapaci 

di sopportare la pesantezza d’una casa, 

dove si è perso il gusto di vivere 'attesa del Padre e l'attesa di figli, 

la cui testimonianza operosa è il miglior invito all'abbraccio di un ritorno. 

L'attesa del Padre è l'attesa di tutta la Casa, 

l'ansia del Padre è l'ansia di tutti i figli devoti, 

la gioia del Padre è la gioia del mondo intero                                                          

IO SONO IL TUO DIO 

Io sono il tuo Dio – e ti sto vicino: 

non puoi avere di più sulla terra,

solo io posso riempire il tuo cuore.

Sei solo? Io ti farò compagnia

Nessuno ha una parola buona per te?

Ricorri con fiducia al mio cuore e ti esaudirò.

Io sono il tuo Dio,

e ti resto fedele anche quando ti “mando”la croce per quanto pesi; 

se la porti con amore, diventerà leggera

Io sono il tuo Dio – e penso a te...; 

dall'eternità ho pensato a te,

e per te ho dato il mio sangue e la mia vita, 

come posso dimenticarmi di te!?.

Io sono il tuo Dio

e tutto dispongo per il tuo meglio:

se ora non lo capisci, un giorno lo vedrai con tutta la chiarezza e mi ringrazierai.

Io sono il tuo Dio, – ti amo fedelmente, 

conosco tutto ciò che affligge il tuo cuore,

vedo ogni sguardo, ascolto ogni parola che ti contraria.

Accetta tutto con tranquillità e pace 

perché sono io che permetto affinché tu perseveri. 

Restami fedele affinché il mio cuore te ne ricompensi,

Io sono il tuo Dio, 

il mondo passa, il tempo fugge, gli uomini scompaiono,

la morte tutto ti rapisce, una sola cosa ti resterà, il tuo Dio.


•  «Non c’è che una sola specie di amore buono; però ci sono mille “copie” differenti» 

(Le Rochefoucould).

E l’amore buono è quello di Dio. Lui ama e perdona. Noi troviamo difficoltà nell’ammettere quest’amore, perché Lui ama gratuitamente, senza far troppo caso ai nostri meriti. 

Noi non siamo d’accordo con questo modo di procedere. 

Nonostante noi siamo immagini di Dio – “copie” mal riuscite –, a noi, al nostro comportamento manca l’accoglienza, la comprensione, la tolleranza, il perdono...

L’amore è vita per tutti, principalmente per i bambini. Assicurano che la mancanza di amore finì nel secolo XIX, con più della metà dei bambini nati. La mancanza di una mano benevola, di uno sguardo, di una parola tenera, dell’abbraccio materno... debilitarono e portarono alla morte quei bambini, per i quali la vita non aveva nessun senso.

Sempre, allorché si ama un altro, s’ottiene che lui viva tranquillo, in pace, accettato e felice.

Chi ha conosciuto Dio, il suo amore, non può far a meno di amare. 

A sua volta, potrà giungere a conoscere Dio, “allenandosi” nello “sport” dell’amore. 

«Io ho sempre creduto che il miglior mezzo di conoscere Dio è di amare molto» (Vincent Van Gogh)


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