AFORISMA

Meglio aggiungere vita ai giorni, che non giorni alla vita
(Rita Levi Montalcini)

Nostra Signora del Carmelo

Nostra Signora del Carmelo
colei che ci ha donato lo scapolare

lunedì 6 novembre 2023

3° REGNO DI DIO - TERZA CONFERENZA di PADRE CLAUDIO TRUZZI OCD

 

3° – REGNO DI DIO – 1


Per darne un'idea da una parte Gesù usa le parabole: preziosità, forza intrinseca... che deve essere apprezzata sopra ogni cosa: Il Regno dei cieli è dei «violenti», di chi impegna se stesso sino in fondo – afferma Gesù. Nel contempo ammette la difficoltà di esprimerlo. 

Affermerei che la loro caratteristica peculiare sia la capacità di sconcertare. Anche per questo Cristo ha esitato all'inizio: «A che cosa possiamo paragonare il Regno di Dio? O con quale parabola possiamo proporlo?».

Egli usa tante immagini per fornirci sia un’idea la più comprensibile a noi, e allo stesso tempo la ricchezza di tale nuova relazione fra Dio e gli uomini,

Il “Regno”, ci dice il Signore:

–  è simile al lievito, che una donna nasconde nella farina, affinché fermenti tutta la pasta;

–  è simile ad un granello di senape: il più piccolo di tutti i semi; che, però, a poco a poco cresce tanto che gli uccelli vengono a posarvisi sopra.

–  è simile ad un uomo che semina frumento: sia che il padrone vegli o che dorma, il grano germina e cresce senza che l’uomo sappia come.   –  Ecc., ecc.., ecc...

Tuttavia, nonostante tante siano le immagini impiegate, Gesù pone sempre a tutti un denominatore comune: Il «Regno dei Cieli» è qualcosa di:

– molto semplice, capace d’essere capito da chiunque;

– molto nascosto e prezioso, come un tesoro;

– molto piccolo, come un seme;

– molto dinamico e contagioso, come il lievito [«È simile il regno dei cieli a un po’ di lievito che una donna prende e mescola in tre misure di farina finché tutta la massa sia fermentata»].

– molto aperto, come una rete, e molto concreto: o si appartiene ad esso o se n’è fuori. E fuori non è possibile la Salvezza. [• «Il regno dei cieli è simile ad una rete gettata in quale, la quale ha raccolto ogm genere di pesci. … i pescatori raccolgono i pesci buoni elle sporte e buttano via quelli cattivi. Così alla fine del mondo. Gli angeli separeranno i malvagi dai giusti e li getteranno nella fornace ardente,,,» (Matteo 13, le parabole del Regno)

Analizziamo qualcuna delle parabole più significative


1.   DESIDERIO ED APPREZZAMENTO DELLA SCOPERTA 

• «Il regno dei cieli è simile ad un tesoro nascosto nel campo: un uomo lo trova e lo nasconde di nuovo; poi, pieno di gioia, va, vende tutto quello che possiede e compra quel campo».

• «Il regno dei cieli è simile ad un mercante che va in cerca di perle preziose; trovata una perla di grande valore, va, vende tutti i suoi averi e la compra». 

Gesù ricorre a diverse immagini per descriverci la realtà misteriosa del Regno di Dio: in questo caso, ad un tesoro nascosto, alla ricerca di un mercante per entrare in possesso di una perla preziosa, ecc...

Tutte immagini. Meno quella che, forse, avremmo desiderato noi!

Perché? Perché Il Regno non viene mai presentato come una cosa “già fatta” che sta a disposizione, soltanto da consumare... No. Nella prospettiva del Cristo, il Regno rappresenta una realtà dinamica. Si tratta di cercare, darsi da fare, scegliere, decidere, sacrificare qualcosa, impegnarsi. Proprio ciò che noi non vorremmo…!

•  Infatti, le due parabole che ci vengono presentate (Il tesoro nascosto in un campo e La perla di gran valore), pongono in evidenza alcune linee caratteristiche della nostra appartenenza al Regno.

•   Il punto di partenza mi pare lo si possa individuare nel senso della scoperta.

Il che presuppone una ricerca, ... una passione.

La verità è offerta a tutti, ma non è messa a disposizione su un piatto d’argento. Cercare costituisce la condizione essenziale per trovare. Bisogna che il cuore “bruci” dal desiderio, affinché il dono sia raggiunto.

E si tratta non di una scoperta marginale, ma di qualcosa di essenziale, che può determinare una svolta imprevista, all'esistenza. È una “conversione”. È la scoperta di un tutto, capace di riempire la vita dell'uomo, non di un elementare accessorio da aggiungere a tanti altri.

•   Tocchiamo così il secondo aspetto sottolineato dalla parabola. La scoperta pone l'uomo dinanzi ad una scelta precisa. Tanto è importante la scoperta, tanto dev'essere radicale la scelta.

Se il Regno di Dio è tutto, a questo tutto occorre essere disposti a sacrificare ... tutto il resto!

Non si tratta, beninteso, di disprezzare il “resto”. Occorre, semplicemente, ridimensionarlo, avvertirne i limiti, subordinarlo alla scoperta. È impossibile entrare nel Regno di Dio senza passare attraverso una fase di rottura, di rinuncia, di abbandono. Ma il sacrificio non è fine a se stesso: sfocia nella gioia del possesso. E la gioia costituisce proprio il punto culminante delle parabole. 

Il discepolo non è uno che “ha lasciato”. È uno che ha trovato. 

Cristiano non è uno che tende al sacrificio, alla rinuncia. È uno, piuttosto, che tende alla gioia e alla pienezza. E perciò è disposto a pagarne il prezzo.

•   PUNTARE UN SOLO OBIETTIVO

Un grande maestro di tiro con l'arco organizzò una gara tra i suoi allievi per valutarne il grado di preparazione.  Nel giorno fissato, un bersaglio di legno, con al centro un cerchio rosso, fu legato su un albero ad una estremità della radura. All'estremità opposta, fu tracciata sul suolo una linea, dietro la quale si piazzarono i concorrenti. 

Un giovane avanzò baldanzosamente, impaziente di dimostrare la sua abilità. Afferrò saldamente l'arco e una delle frecce, poi si sistemò in posizione di tiro. «Posso tirare, maestro?» – chiese. Il maestro che lo fissava attentamente, gli chiese: «Vedi i grandi alberi che ci circondano?». «Sì, maestro, li vedo benissimo tutto intorno alla radura». «Bene», rispose il maestro, «Torna con gli altri perché non sei ancora pronto». L'allievo, sorpreso, posò l'arco e obbedì. 

Un secondo concorrente si fece avanti.  Prese l'arco e la freccia e mirò con cura. Il maestro si portò di fianco all'arciere e gli chiese: «Puoi vedermi?». «Sì, maestro, posso vedervi. Siete qui, vicino a me». «Torna a sederti con gli altri» – rispose il maestro. «Tu non potrai mai colpire il bersaglio». 

Tutti i partecipanti, gli uni dopo gli altri, afferrarono l'arco e si prepararono a scoccare la freccia, ma ogni volta il maestro poneva loro una domanda, ascoltava la risposta e li rimandava al loro posto. 

La folla, sorpresa, iniziò a rumoreggiare. Nessuno degli allievi aveva tirato una sola freccia. 

Allora si fece avanti il più giovane degli allievi. Se n'era stato in disparte, silenzioso. Tese l'arco, poi restò perfettamente immobile, gli occhi fissi davanti a lui.

 «Vedi gli uccelli che sorvolano il bosco?» – gli chiese il maestro. «No, maestro, non li vedo». 

«Vedi l'albero sul quale è inchiodato il bersaglio di legno?». «No, maestro, non lo vedo». 

«Vedi almeno il bersaglio?». «No, maestro, non lo vedo». 

Dalla folla degli spettatori si levò una risata. Come poteva quel ragazzo colpire il bersaglio se non riusciva neppure a distinguerlo dall'altra parte della radura? Ma il maestro impose il silenzio e chiese pacatamente all'allievo: 

«Allora, dimmi, che cosa vedi?». «Io vedo soltanto un cerchio rosso» – rispose il giovane. 

«Perfetto!» – replicò il maestro. «Tu puoi tirare!»  La freccia solcò l'aria sibilando leggera e si piantò vibrando nel centro del cerchio rosso disegnato sul bersaglio di legno ...

Nel cuore d’ogni essere umano dimora un desiderio: essere felice. 

Ma quest’obiettivo, spesso, non viene centrato.

Schiacciato dagli affanni, dalle preoccupazioni del mondo e dai piaceri illusori, l'uomo sbaglia il "bersaglio" e non "vede" l'unico obiettivo che dà senso e sapore alla sua vita: DIO

••• Vorrei, però, soffermarmi sulla parabola del “MERCANTE DI PERLE”.

Ciascuno di noi, se ha veramente deciso d'entrare a far parte del Regno di Dio, ha sgranato gli occhi davanti a quella perla eccezionale, a confronto della quale tutte le altre realtà sono impallidite. Abbiamo scelto quella Realtà definitiva, quel Valore unico. Nella risposta alla nostra vocazione cristiana, abbiamo lasciato tutto per comperare la perla d'inestimabile valore. La scoperta della “perla” ha fatto cambiare tutti gli obiettivi della nostra esistenza. Con quella perla in mano, gettiamo uno sguardo nuovo sulle cose. In sostanza, abbiamo concluso un ottimo affare.

–  Ma la parabola può avere un risvolto meno esaltante. Esempio: Il mercante, che un giorno si è rivelato tanto perspicace, proseguendo nel cammino, può “impazzire”... 

«Una volta conquistata la perla preziosa, noi corriamo il rischio, a lungo andare, di farci l'abitudine e di non apprezzarla più in tutto il suo valore. Ce l'abbiamo sempre fra le mani, e finiamo per considerarla un oggetto qualunque. La polvere dei giorni feriali si deposita sulla perla, offuscandone lo splendore. Un'operazione lenta, progressiva, corrosiva. E i nostri occhi si stancano di quell'opacità prodotta dall'abitudine, e ricercano istintiva-mente qualcosa che luccichi. Allora, il mercante furbo, che ha azzeccato il colpo memorabile all'inizio, diventa il mercante ottuso che va in giro a vendere (meglio: a svendere) il suo tesoro per delle bazzecole, a barattare la perla preziosa per delle quisquilie. Cambia un valore unico per dei prodotti dozzinali».    (Pronzato –Pane per la Domenica). 

Pure noi, nella nostra giornata, rischiamo di concludere parecchi di questi affari avventati: cambi all'insegna dell'insensatezza... Possiamo cambiare, ad esempio:

La nostra unicità, per un po' di comodo conformismo.

La specificità della vocazione cristiana, con ammiccamenti a mode e ideologie più in voga.

La testa che pensa con parole d'ordine o slogan.

La coerenza, per la preoccupazione di “non aver grane”.

La preghiera, per le devozioni.

La testimonianza coraggiosa, per un avanzamento di carriera.

Dio... per un'infinità di surrogati. (ib.)

Comunque, questo mercante “impazzito” – quale posso diventare io, e forse anche tu – commette ostinatamente lo stesso grossolano errore: barattare una perla autentica per dei pezzetti di vetri colorati. 

•• Diamanti, non sassi

Un giovane partì alla caccia di anitre selvatiche sulla riva di un fiume. Era armato solo di una fionda. Raccolse alcuni ciottoli sul greto e cominciò a scagliarli con tutta la sua forza. 

Mirava soprattutto agli uccelli che si fermavano incautamente sulla riva. 

I sassi lanciati finivano con un tonfo nell'acqua profonda. 

Soltanto due ciottoli colpirono a morte due uccelli, prima di finire anche loro nella corrente. 

Rientrò in città. Il giovane aveva due anitre nella bisaccia ed ancora uno dei ciottoli in mano. 

Nei pressi della città, un gioielliere lo fermò con un’esclamazione di sorpresa. 

«Ma è un diamante, quello che hai in mano! Vale almeno diecimila euro!». 

Il giovane cacciatore impallidì e poi si disperò: «Ma che stupido sono stato! Ho usato tutti quei diamanti per uccidere degli uccelli... Se li avessi guardati bene, ora sarei ricco, e invece la corrente li ha portati via!». 

Ognuno dei nostri giorni è come un diamante prezioso. Ciò che conta è accorgersene, e non sprecarlo per andare a "caccia" di ciò che non può renderci veramente felici…

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2.  UN SEME CHE SA IL FATTO SUO  

«Succede del Regno di Dio, come di un uomo che abbia gettato la semente nella terra; e poi, dorma o stia in piedi, a seconda che sia notte o giorno, il seme germoglia e cresce: come lui stesso non lo sa. Da se stessa la terra produce prima l'erba, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga. Allorché il frutto lo consente subito ci mette la falce, poiché è il tempo della mietitura». Marco 4, 26-29

È significativo che soltanto Marco registri questa parabola, semplice soltanto all'apparenza. Lui non teme di presentare questa parabola difficile che vorrebbe farci capire qualcosa del mistero del Regno.

•   Nelle parabole precedenti, Marco aveva messo a fuoco prima di tutto la figura del seminatore e “fissato” il suo gesto [«Uscì un seminatore per seminare...»]; quindi si era soffermato sui vari tipi di terreno [«... parte di esso cadde lungo la via..., parte in un luogo roccioso dove non c'era molta terra; … parte cadde fra le spine... Infine parte cadde sul terreno buono»]. 

Adesso, giustamente intende richiamare l'attenzione sul seme [cioè la Parola di Dio – Mt 13, 19], sulla sua caratteristica principale: cioè, la sua forza intrinseca. Il seme è l’elemento più debole, ma anche la più forte.

Non è che s'intenda minimizzare l'azione del contadino. Come non si nega l'importanza del terreno. Di ciò si è già parlato nella parabola del seminatore. L'opera e l'azione del contadino è stata ed è necessaria (semina, aratura, sarchiatura, ecc). 

Ma ora non interessa. Ci si occupa, ora, della forza vitale insita nel seme, che è indipendente dall'azione dell'uomo e dal suo sapere [«Come, egli stesso non lo sa» v. 27]. Il contadino può andare a dormire o alzarsi, non perché il suo lavoro sia irrilevante, ma perché si parla d'altro, e lui, a questo punto, passa in second’ordine.

•  Due tentazioni sono sempre in agguato contro questa parabola: l'interpretazione allegorica e l'interesse esasperato per quello che “fa” o “non fa” il contadino. Si potrebbe, cioè, facilmente scivolare sul piano morale quando si tratta di trarre le conseguenze, ed allora, la parabola costituirebbe un invito alla pazienza, un'apologia della speranza. 

Evidentemente ci si sente imbarazzati di fronte al seme: non si sa che cosa dire. Si preferisce, quindi, parlare dell'uomo, sia pure per ammirarne la calma o per esortare ad aver fiducia.

La parabola, invece, rappresenta un preciso invito a scoprire l'azione del seme e la sua potenza. 

Perché la Parola di Dio è viva; ha una sua forza: fa “succedere” qualcosa. 

Il Regno è essenzialmente potenza di Dio, non azione dell'uomo. Il  Regno cresce e agisce, anche se pare non succeda nulla. “Produce”, anche se tutto rimane come prima.

Riassumendo: il Regno è considerato da tre angolature diverse. 

–   Come seminagione [parabola del seminatore] (Mt, 13, 3-9).

–   Come accoglienza e responsabilità [spiegazione di Gesù della parabola] (v. 18-23). 

–   Come potenza [il grano che cresce da sé]. 

Quest'ultimo aspetto non esclude i primi due – anzi, li presuppone come condizione – ma si sgancia da essi. Ossia: la forza vitale non è stata data al seme dall'attività del contadino. La possiede in sé. 

[Cfr. parabola del “lievito”: «Il Regno dei cieli è simile a un po' di lievito che un donna prende e mescola in tre misure di farina, finché tutta la pasta sia fermentata». Matteo 13, 33]

••   Il credente – come il contadino – è uno che “è cosciente” di tutto questo.

Attenzione, quindi! La parabola non suggerisce che l'uomo “non” sa. Il credente, infatti, è uno che “sa” del Regno; è a conoscenza della sua presenza, ed azione. 

Si afferma soltanto che non sa come avviene (v. 27). Il che è ben diverso! 

Il “come” non aggiungerebbe nulla. Anzi, toglierebbe qualcosa, tanto alla sua fede, quanto alla potenzialità del seme. Il credente ha persino bisogno che il “come” rimanga segreto; altrimenti sparirebbe dalla sua vita lo stupore e la dimensione del rispetto. Non lo vedremmo, cioè, mai in ginocchio, ma sempre indaffarato, sempre curvo a controllare – o, peggio, a manipolare –.

Questa parabola, poi, mette in imbarazzo perché non suggerisce né che cosa dobbiamo fare e neppure che cosa dobbiamo evitare. Il contadino – dopo aver portato a termine quello che era necessario –, adesso “lascia fare”. 

Ed è l'azione più difficile da attuare, perché nel campo del Regno l'attivismo semplicemente non c'entra: ci pensa già il seme, da sé! Il cristiano non è un costruttore del Regno, né tanto meno un direttore dei lavori. È, più modestamente ma più utilmente, uno che offre delle possibilità al Regno. Qualche volta, la possibilità più apprezzata può essere proprio quella di “non intralciare”.

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3.  LA FORZA ESPANSIVA DELLA GRAZIA [Granellino di Senape] 

«[il Regno di Dio] è come un granellino di senape: quando viene seminato nel terreno è più piccolo di tutti i semi che sono sulla terra; ma, una volta che sia seminato, cresce e diventa più grande di tutti gli ortaggi, e mette rami così grandi che gli uccelli del cielo possono ripararsi alla sua ombra...». Marco 4, 30-34

La senape, a voler essere pignoli, non è il più piccolo seme che si conosca. Ma, in Palestina, stava ad indicare proverbialmente una cosa minuscola, una quantità minima. Pur piccolissimo, è assai attivo: in un anno la pianta supera abbondantemente il metro. E può aggiungere i tre o quattro metri di altezza (specie nelle regioni del lago di Tiberiade).

•  Fissiamo una prima indicazione importante: Dio sceglie le realtà più umili per realizzare un suo disegno di grandezza. Tutta l'operazione dev'essere attribuita esclusivamente a Lui. 

Il Regno è opera esclusiva di Dio. 

Nel Regno di Dio è cancellata ogni idea di conquista; ad essa si sostituisce quella di rifugio e protezione: «... gli uccelli del cielo possono ripararvisi alla sua ombra». Esso è qualcosa di benefico, rassicurante...

•  Per interpretare correttamente la parabola si rende necessaria una precisazione.

–  L'uomo moderno che passi attraverso un campo, considera lo sviluppo di una pianta, la crescita della messe, come un processo normale che ubbidisce a delle leggi biologiche.

–   L'uomo della Bibbia, invece, ci scorge una serie di miracoli.

In tale prospettiva, la parabola parla della crescita del Regno di Dio come qualcosa di prodigioso [azione di Dio], e che, quindi, non è fondato su normali previsioni umane. Il Regno si sviluppa, non attraverso una crescita che ubbidisce a leggi naturali, ma grazie all'azione miracolosa di Dio.

• A questo punto si eviti un'interpretazione abusiva, anche se piuttosto comune. Non si deve in questa parabola correre subito col pensiero allo sviluppo e alla diffusione della Chiesa. 

«Il Regno di Dio è bensì operante sulla terra e nella Chiesa, ma non è una dimensione visibile e un'istituzione esteriore come la Chiesa stessa. 

Se si applicasse immediatamente la parabola alla Chiesa, si potrebbe essere indotti a valutazioni che sono proprio all'opposto rispetto al significato della parabola stessa. 

Per cui si sarebbe portati a interpretare manifestazioni esterne di grandezza, estensione d'influenza,... statistiche..., come segni sicuri che il seme s'è sviluppato e i rami si allargano sempre più; che il seme ha superato definitivamente lo stadio di seme». (A. Pronzato, ib.).

Ora, pare che la parabola indichi, invece, che la realtà del Regno sfugge ad ogni valutazione in base ai criteri terreni. In parola povere: non è possibile fotografare lo sviluppo del Regno di Dio e nemmeno “fissarne” un momento particolare; così come non è possibile scomporlo in varie fasi di crescita.

•  Per quanto riguarda il Regno di Dio, stando ai nostri calcoli, si corre sempre il pericolo di scrivere la storia alla rovescia.

La vera grandezza

Il Regno di Dio è poco appariscente [seme piccolissimo], ma presente ed operante. Cristo Gesù esalta la potenza intrinseca della Parola di Dio. Il seme diventa un albero. E per sottolinearne la “grandezza”, Gesù che fa? Ci mette ... i nidi, gli uccelli! Estendere i rami, allargare la propria zona d'ombra, in sé non ha senso. Ciò che ha senso – ossia dà significato alla pianta – è che gli altri ci trovino posto. Sono i nidi “che raccontano” la pianta; non il proprietario.

–  Certe grandezze umane esauriscono in sé il loro significato. Non rimandano più ad un significato superiore. L'importanza, il prestigio, l'essere influenti su un piano umano, il maneggiare, portare avanti opere grandiose, non sono “segni” [né lo potranno mai diventare, a dispetto di tutte le buone intenzioni] di quelle altre cose importanti. Non lasciano intuire la realtà superiore. Semmai la nascondono.

Corrono il rischio di diventare, anzi, opacità ed impedimento a scorgere qualcos'altro.

È l'equivoco di troppe istituzioni religiose. Ci si illude che essere considerati da un punto di vista economico, di potere, di cultura, si presti un servizio per la crescita del Regno di Dio.

Solo la piccolezza ha una possibilità. Un segno troppo clamoroso finisce per infastidire; diventa irrilevante, o irritante.

Un segno dovrebbe semplicemente “far sospettare” qualcos'altro. Non un punto esclamativo, ma interrogativo.

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