AFORISMA

Meglio aggiungere vita ai giorni, che non giorni alla vita
(Rita Levi Montalcini)

Nostra Signora del Carmelo

Nostra Signora del Carmelo
colei che ci ha donato lo scapolare

martedì 28 gennaio 2020

L'APPELLO (Parafrasi da testo di M. Montanari)


L'APPELLO (Parafrasi da testo di M. Montanari)

E’ lo strazio maggiore dentro un Lager.
Sistematici e metodici sono
come le macchine questi tedeschi.
Son la lor forza e la lor debolezza.

Ecco al mattino entrar nella baracca
un soldato, che grida “Appel!” e tutti
uscire dovevamo. Sol gli infermi
più gravi vi potevano restare.

Ci dovevamo incolonnare tutti,
con le più strane fogge rivestiti,
con gli zoccoli ai piedi, sulle spalle
una coperta e con le barbe incolte...
Si andava lentamente nello spiazzo
riservato a noi mandrie del mercato.

“Zu fünf!” ci gridava (una fila di cinque)
con voce ossessionante; pioggia o neve
non importavan. Il fango incollava
gli zoccoli. Riflessa si vedeva
nelle pozzanghere tanta miseria...

Il computo difficile, estenuante
incominciava. Sentir si poteva
il batter degli zoccoli per vincer
il freddo ai piedi con monotonia
d’araba cantilena. Ed eravamo
diciotto, venticinque sotto zero!
Il respiro di tante nostre bocche
raggelato creava una foschia... 

Spesso per ore durava l’appello
e chi sveniva cadeva nel fango:
come una cosa morta s’afflosciava;
nella baracca veniva riportato.

Il comandante panciuto gridava
con voce rauca finché non si fosse
convinto che nessun era fuggito.
Poi si contavan i morti in baracca...

Era uno stillicidio quest’appello
onde fiaccar la nostra resistenza:
volevan umiliarci e cancellare
ogni umana parvenza da ciascuno.

Ci venne a volte imposto di girare
di corsa intorno alle stesse baracche.
Per chi cadeva nessuna pietà:
non potevamo nemmeno aiutarlo...
Appello, eri martirio quotidiano!

(Milano 27-1-2020), PADRE NICOLA GALENO






Sacrario del Lager di Sandbostel 

IL CIELO DI SANDBOSTEL (Parafrasi da testo di M. Montanari)


Landa deserta, brughiera di torba:
ecco cos’era il lager di Sanbostel.
Sol nei giorni di vento avvertivamo
il suon del mar con l’odore salmastro,
ma tutt’intorno che desolazione!
Lo sguardo sol vedeva all’orizzonte
dune coperte d’erbosi cespugli.

Nel ritornar di sera dal lavoro
forzato sentivamo il canto triste
dei russi, che sembravano davvero
schiavi babilonesi, trascinando
il peso della loro umanità,
come la nostra, tutta dolorante...

Passavan vicini al reticolato
della corrente elettrica dotato,
entrando poi nella parte del campo
a loro come mandria riservato...

A noi restava solamente il cielo.
Monotona e pesante era la terra.
Era quel cielo l’unico rifugio.
Per lunghi mesi plumbeo ed eguale,
sapeva verso luglio alfin mutare
e per sessanta giorni diventava
immensa tavolozza di colori.

Gli occhi volgevo sovente lassù.
La terra mi sembrava un concentrato
di misere baracche, gabinetti,
fili e pali con uomini vestiti
di stracci solamente. Il cielo no!

Non era prigionier: era di Dio
e pur della natura. Lo batteva
il vento, mentre allodole e gabbiani
lo percorrevan: in esso vedevo
sempre la libertà tanto sognata!

Le allodole sapevan ricolmarlo
di canti; poi cadevan in picchiata.
Dal mare pur giungevan i gabbiani
liberamente coi lor strani versi.

Mutava allor il ciel continuamente.
Lo vedevi sereno e poi coprirsi
di nuvoloni neri, tuoni, pioggia
e grandine, che infine s’adornava
d’arcobaleni, mentre sprofondava
il sole nel tramonto. Era una fuga
di fulgidi colori. Allor capivo
la grande maestria di fiamminghi
ed olandesi: Rembrandt e Van Dyck!

(Milano 27-1-2020), Padre Nicola Galeno





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