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(Rita Levi Montalcini)

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venerdì 26 agosto 2016

Bangui: la testimonianza di un carmelitano al Meeting di Rimini


“Bangui, la capitale spirituale del mondo”. La testimonianza di un carmelitano
Al Meeting di Rimini, padre Federico Trinchero racconta il suo impegno in Centrafrica per gli oltre 3mila profughi accolti nel suo convento

“È da sette anni che vivo in Centrafrica. Vi saluto e vi ringrazio dell’invito anche a nome dei profughi che da ormai tre anni vivono nel nostro convento. Avvertendo che era per un viaggio fuori dell’ordinario la mia partenza da Bangui per Rimini, un profugo mi ha voluto lucidare i sandali perché potessi presentarmi da voi in ordine. Nella sua semplicità mi è sembrato un gesto molto bello”.
Dopo l’introduzione e le prime domande di Davide Perillo, direttore diTracce, è iniziata così la testimonianza di padre Trinchero, missionario carmelitano a Bangui, la capitale del Centrafrica. Il Centrafrica, ha detto il missionario, è un paese grande due volte l’Italia, ma con solo cinque milioni di abitanti. “È uno dei paesi più poveri della terra, nonostante possieda diverse ricchezze naturali. Negli ultimi tre anni ha conosciuto anche il dramma della guerra tra una coalizione di ribelli, a maggioranza musulmana, provenienti da Nord e le truppe governative. Il 5 dicembre 2013 un gruppo di profughi incomincia ad arrivare in convento. All’inizio erano circa seicento persone, il giorno dopo duemila. Oggi ospitiamo tremila profughi, ma a un certo punto abbiamo superato la cifra dei diecimila”.
Insomma il convento è diventato un campo profughi e padre Federico, con grande naturalezza e una buona dose di humor, ha raccontato gli straordinari problemi che lui e i confratelli hanno dovuto affrontare: dalla sistemazione dei profughi, al cibo, dall’igiene alla realizzazione, in refettorio, di un ospedale da campo, dall’organizzare una tale moltitudine di gente all’assistenza alle donne partorienti.
“Ma non era questo il vostro ‘mestiere’. Perché – ha chiesto Perillo – vi siete buttati in questa impresa?”. “Non siamo noi che ci siamo buttati – ha risposto padre Trinchero – sono loro che sono arrivati. Questi ospiti ci hanno costretto a vivere il Vangelo. Avere Gesù a portata di mano era un’occasione da non perdere. Non ho mai avvertito, in quello che stavo facendo, di sottrarre il tempo al Signore”.
Il Centrafrica, com’è stato ricordato nell’incontro, è un paese “non solo lontano, ma sconosciuto alla maggior parte di noi”. Qualcosa è cambiato nel novembre 2015, quando Papa Francesco ha visitato Bangui (29-30 novembre) ed ha aperto la Porta Santa del Giubileo della misericordia nella sua Cattedrale. È stato Papa Francesco a definire Bangui – come ricordava il titolo dell’incontro – “la capitale spirituale del mondo”. “Il Papa – aggiunge Federico Trinchero – ha ripetuto tre volte questa affermazione. Per noi, abituati come a vivere un complesso di inferiorità, è stato un positivo capovolgimento. Come dice il Vangelo di oggi: gli ultimi saranno i primi”. Il Papa ha avuto anche il coraggio di oltrepassare la zona del Km5, quella di massima concentrazione musulmana, e di visitare la moschea centrale. “Dopo la venuta del Papa la situazione è cambiata – afferma il missionario carmelitano – si spara molto di meno, è cambiato il clima, si registra un’apertura”.
Sollecitato dall’intervistatore, padre Federico ha raccontato anche la storia del 22enne centrafricano che, per diverse settimane, ha dormito davanti alla porta del convento e ha incominciato a frequentare la Messa. “Ad un certo punto mi dice – racconta il relatore – ‘Padre, vorrei essere come voi. Vi vedo così uniti, pregare, intervenire attivi e poi scomparire… San Benedetto dice di aspettare che uno bussi per cinque giorni alla porta del monastero, prima di accogliere la sua richiesta; questo ha aspettato settimane – dice padre Federico – penso che una possibilità gliela dobbiamo dare”.
“Come abbiamo ascoltato – ha commentato Davide Perillo – c’è un prima e un dopo l’apertura della Porta Santa a Bangui da parte del Papa”. Il Direttore di “Tracce”, concludendo l’incontro, ha sottolineato il valore della testimonianza di Trinchero, documentato “dalla faccia e dal sorriso di padre Federico e, insieme, dalle cose che ci ha detto”.

Il suo è stato uno degli interventi più apprezzati in questo primo scorcio del XXXVII Meeting di Rimini. Per padre Federico Trinchero, 39 anni, piemontese, missionario carmelitano nella Repubblica Centrafricana dal 2009, è stato un ritorno in patria, ma laggiù, a Bangui, capitale di un paese ancora lacerato da una terribile guerra civile, c’è già chi ha nostalgia di lui.
Nel corso della sua testimonianza al Meeting, il missionario ha raccontato di come alcuni locali, saputa della sua imminente trasferta riminese, si sono offerti per lucidargli le scarpe, in segno di premura e di affetto. C’è infatti molta gratitudine in Centrafrica, per questi missionari arrivati dall’Europa, che hanno trasformato il loro convento in un campo profughi, e che non sono fuggiti nemmeno nei momenti più neri della guerra civile.
Dopo la visita di papa Francesco, che lo scorso 29 novembre ha aperto la prima Porta Santa a Bangui, facendone la “capitale spirituale” del mondo, tuttavia, qualcosa sta cambiando in meglio. I segni di questa speranza sono stati raccontati a ZENIT da padre Trinchero, a seguito della sua relazione di domenica scorsa.
Padre Federico, quanto è stata importante la visita del Santo Padre dello scorso novembre? Che cambiamenti ha prodotto?
Per un disegno della provvidenza, mi sono trovato a Bangui nei due momenti più importanti della sua storia. Parlo innanzitutto della più sanguinosa guerra che abbia mai coinvolto il Centrafrica: nonostante in passato non siano mancati colpi di stato e conflitti, mai il livello di violenza era stato così alto. In positivo, abbiamo avuto la visita del Papa, avvenuta proprio nel mezzo di questa guerra. La venuta del Santo Padre sembra aver davvero avviato un cammino di pace. Non si può dire che la guerra sia finita ma di certo non si spara più come prima.
Quali sono state le parole del Santo Padre che, a suo avviso, hanno più colpito il cuore dei centrafricani?
Sicuramente quando ha detto che Bangui diventava “la capitale spirituale del mondo”. Una frase che, indubbiamente, ci ha sorpreso e che, tuttora, forse non comprendiamo cosa significhi veramente. I centrafricani sono stati colpiti, probabilmente, non tanto dall’aggettivo “spirituale”, quanto dal sostantivo “capitale”: una volta tanto si sono sentiti come quegli “ultimi” che, evangelicamente, diventano i “primi”. Abituati ad occupare gli ultimi posti, il Papa ci ha messo sul podio. Non dico che dobbiamo insegnare qualcosa agli altri – questo sarebbe orgoglio – però, adesso, abbiamo forse qualcosa da dire al mondo e questo non ce lo aspettavamo. “Spirituale” è quello che dobbiamo fare: è un impegno che il Papa ci ha dato e cosa realmente significa, lo vedremo nei prossimi anni.
Quali sono le caratteristiche umane più spiccate del popolo centrafricano?
È un popolo che, anno dopo anno, sto conoscendo e sto amando sempre di più. Questa convivenza quotidiana con loro, mi ha permesso di conoscerne meglio i difetti e di apprezzarne di più le virtù. Un loro pregio è quello di sorridere nella sofferenza. Molti italiani cui ho mostrato le foto del campo profughi mi hanno detto: “hanno perso tutto ma si vede che sono felici”. Sono capaci di sopportare molto, di sorridere nella sofferenza, di vedere sempre il lato positivo di ogni cosa e di non disperarsi. All’apparenza possono sembrare passivi e poco dinamici ma, di fatto, si impegnano sempre e danno il meglio di sé.
Quanto sono recettivi i centrafricani nei confronti del messaggio cristiano?
Dal punto di vista della fede, troviamo tutti i difetti e i pregi di una chiesa giovane. C’è molto entusiasmo, le chiese sono strapiene, i movimenti frequentatissimi, i giovani partecipano alla vita della Chiesa e sono molto disponibili. Mentre qui in Europa, i preti non sanno cosa inventarsi per attirare i giovani, in Centrafrica, talora, nemmeno pubblicizziamo le nostre iniziative, per paura che ne vengano troppi! Per loro Dio non è un problema, non è – come io dico spesso – qualcosa di cui si discute ma Qualcuno con cui si discute. È come se Dio, per loro, facesse parte degli amici di famiglia.
I problemi nascono, invece, nella conversione dalle credenze legate alla stregoneria e riguardo a come il Vangelo possa veramente diventare vita e cambiare il comportamento morale. In particolare per ciò che riguarda la famiglia e il matrimonio, c’è ancora molto cammino da fare. Mi riferisco in particolare alla paura del matrimonio sacramentale da parte delle coppie giovani. Le nozze in chiesa, purtroppo, le celebrano ancora in pochi e lo fanno per lo più coppie mature che hanno vissuto per tanti anni nel concubinaggio e hanno già parecchi figli. Un altro ostacolo è quello della dote. C’è anche molto disordine sessuale, promiscuità, vagabondaggio, persone che hanno figli da diverse relazioni, bambini che crescono senza la figura del padre. Le famiglie veramente unite sono rare.
Come è lo stato della convivenza interreligiosa in Centrafrica?
Prima della guerra, il Centrafrica era un esempio di buone relazioni islamo-cristiane. Le cifre ufficiali – che a mio avviso sarebbero da rivedere – parlano di un 25% di cattolici e un 25% di protestanti, pertanto la metà dei centrafricani sarebbero cristiani. C’è poi un 15% di musulmani, mentre il resto della popolazione è animista. I musulmani sono diminuiti (molti sono fuggiti), mentre i cattolici credo che siano un po’ di più. Purtroppo questa guerra, iniziata per motivi di interesse economico, è sfociata in un conflitto interreligioso, che poi è degenerato. Inizialmente i musulmani hanno vessato i cristiani, poi questi ultimi, attraverso il movimento Antibalaka, si sono vendicati: prima i musulmani hanno distrutto le chiese, poi i cristiani hanno distrutto le moschee. Ci vorranno anni per tornare come prima, sebbene qualche segnale di miglioramento si stia registrando. È probabile che, da tempo, fosse latente un sentimento di frustrazione da parte dei cristiani che, nelle attività commerciali, sono spesso i servitori del musulmani, titolari della maggior parte dei negozi. Pur essendo maggioranza, pativano questa situazione di sudditanza.
Quali sono gli episodi più belli che ha vissuto a Bangui dall’inizio della sua missione?
Come raccontavo prima, i rapporti tra cristiani e musulmani stanno lentamente tornando alla normalità e io l’ho riscontrato in una recente esperienza personale. Poco tempo fa stavo trasportando delle sedie in macchina, con l’aiuto di un musulmano. Era il primo musulmano con cui parlavo dopo due anni di guerra. Durante il tragitto ho sbagliato strada e ho imboccato un senso vietato. Il vigile voleva multarmi ma l’amico musulmano si è opposto, perché – ha argomentato – ero un “ministro di Dio”. Quella contravvenzione onestamente l’avrei pagata ma lui è riuscito ad impedirlo: è un gesto che ho molto apprezzato.
Lo scorso Natale, poi, abbiamo assistito ad un vero e proprio miracolo. Avremmo tanto voluto fare un regalo ai nostri bambini del campo profughi ma erano ben 500 e la cosa non sembrava proprio possibile. Senonché, il pomeriggio del 24 dicembre sono giunte al Carmelo due macchine di grossa cilindrata, da cui sono scesi dei signori ben vestiti, scaricando degli scatoloni, con 1600 regali e giocattoli per i nostri bambini. Sono poi spariti e non sappiamo da dove venissero e chi fossero, né li abbiamo più rivisti. La Provvidenza, quindi, ci ha ascoltato: a noi che desideravamo fare questo regalo, ci ha mandato dei suoi “ministri” e noi, in poche ore, abbiamo potuto distribuire i regali ai bambini di tutto il campo profughi.





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