Le parole e le cose nel Sahel: istruzioni per l’uso
...La risposta che Confucio (VI sec. a.C.) diede a un suo discepolo che gli chiedeva: «Maestro, che cosa faresti per prima cosa, se fossi capo dello stato?» «La prima cosa che farei – rispose Confucio – sarebbe quella di raddrizzare i nomi.»
Le parole sono le strade che percorriamo ogni giorno per arrivare agli altri, a noi stessi e alla realtà. Le parole sono semi che il vento trasporta e che, talvolta misteriosamente, danno frutti insospettati. Le parole sono sassi che feriscono o dei fili spinati che dividono come frontiere armate. Le parole tradiscono la vita oppure sono come sorgenti a cui abbeverarsi per continuare a sperare il futuro. Le parole ci fanno e noi facciamo le parole. C’è chi le custodisce gelosamente e chi le butta come orpelli senza importanza. Le parole indicano la direzione del cammino e, spesso, le scelte che si compiono. Tra parole, pensiero e azione c’è una sorprendente complicità. Nessuna parola, si sa, è innocente.
La perversione della città inizia con la frode delle parole
La citazione è attribuita al noto filosofo greco Platone e trasmette un messaggio difficile a contestare. Chi ha il potere sulla scelta e sul senso delle parole ha anche il potere sulla definizione della realtà. Ci fu un tempo nel quale, nel Sahel, per definire chi cercava altrove fortuna si parlava di ‘esodanti e avventurieri’. Arrivò poi la parola migrante che si tramutò in clandestino e l’illegalità sfociò nell’irregolarità per toccare, infine, la criminalità. La trasformazione delle parole e la padronanza del senso che esse contengono, hanno comportato un cambiamento di visione della realtà migrante.
Sono passati pochi anni e il dizionario sociopolitico del nostro spazio nigerino è stato attraversato da parole, concetti e orientamenti che l’hanno marcato. L’indipendenza, la Costituzione, le Conferenze Nazionali Sovrane, le elezioni e i mandati presidenziali. Il rinascimento, l’africanizzazione dei quadri, lo sviluppo endogeno, il partenariato vincente, la democrazia e la crescita compatibile. Il potere per servirsi del popolo, il pluralismo e la transumanza dei partiti mentre i Nigerini nutrono i Nigerini. Queste ed altre parole hanno segnato la vita sociale del nostro Paese negli ultimi decenni. I reiterati ‘colpi di stato’ ne hanno rivelato e insieme nascosto l’importanza e la drammaticità. In fondo la politica non è che il tentativo di tradurre o tradire, le parole portatrici di progetti sociali di chi detiene il potere in quel momento.
Grazie alla “presa di potere” del Partito, è passata da lingua di un gruppo sociale a lingua di un popolo. Si è impadronita di tutti gli ambiti della vita privata e pubblica: la politica, la giurisprudenza, l'economia, la scienza, la scuola, lo sport, lo sport, gli asili e le camere da letto. (Victor Klemperer, L.T.I).
L’autore citato, filologo di formazione, ha scritto il suo diario durante la dittatura nazista in Germania. Lui, ebreo e dunque perseguitato, ha conservato la lucidità necessaria per sopravvivere grazie anche alla sua ‘decostruzione’del linguaggio dittatoriale del regime al potere. Si tratta di una lezione da imparare a memoria in tutte le circostanze e sotto tutti i regimi, compreso quello di eccezione attuale. L’attenzione alle parole e al loro uso dovrebbe costituire il primo compito degli intellettuali che meritano questo titolo. Essi e i comuni cittadini non dovrebbero delegare a nessuno il dovere di prendere sul serio le parole e usarle con circospezione, sapendone l’impatto sulla realtà quotidiana.
La patria e la sua salvaguardia, la sovranità politica, economica, alimentare, culturale e umanitaria, il nazionalismo, il ritorno alla radici, la dignità, la sacralità delle frontiere e la sicurezza sono parte del nuovo lessico politico. Sappiamo quanto le parole elencate ed altre simili, possano contenere elementi di verità e possibilità di derive e divisioni con chi potrebbe dare loro contenuti diversi.
Il rischio è quello evidenziato, tra gli altri, da Philippe Breton, politologo, ... Il discorso manipolato è una forma di violenza: in primo luogo contro la persona a cui è diretto e in secondo luogo contro il discorso stesso, che è il pilastro centrale della nostra democrazia
Mauro Armanino, Niamey, settembre 2024
Ndr: aggiungo una breve ricerca giusto per far conoscere chi era Victor Klemperer
Victor Klemperer. Filologo Tedesco (Landsberg an der Warthe 1881 - Dresda 1960). Ebreo, convertito al protestantesimo nel 1912, è stato soldato nell’esercito tedesco durante la Prima guerra mondiale. Esperto di letteratura francese, laureato con una tesi su Montesquieu, allievo di K. Vossler e collega di E. Auerbach, dal 1920 è stato professore di Filologia all'Università di Dresda. Nel 1935 dopo l’emanazione delle leggi razziali naziste è stato costretto a lasciare la cattedra. Obbligato a trasferirsi in una Judenhaus ("casa degli ebrei") e a lavorare in fabbrica con la stella gialla cucita sul petto, è scampato ai campi di concentramento solo perché la moglie non era ebrea. K. è noto per aver scritto LTI - Notizbuch eines Philologen, dove LTI sta per Lingua Tertii Imperii, pubblicato nel 1947 (trad. it. LTI. La lingua del Terzo Reich. Taccuino di un filologo, 1998), una sorta di diario personale in cui ha annotato dal 1933 al 1945 le manipolazioni compiute sulla lingua tedesca da parte del nazionalsocialismo. La creazione di una nuova lingua, con l’utilizzo ad esempio di parole composte (soprattutto con Volk, "popolo") e dei simboli runici antichi che richiamavano alla Germani antica, serviva alla propaganda nazista a creare anche un nuovo pensiero asservito all’ideologia al fine di manipolare le masse. K. annotava tutti i dettagli non solo le parole, ma anche i gesti e i rumori della vita quotidiana, come per salvarla dalla tragedia storica e, nel contempo, per dare testimonianza di come dai minimi cambiamenti della vita si possa arrivare alla catastrofe.
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