AFORISMA

Meglio aggiungere vita ai giorni, che non giorni alla vita
(Rita Levi Montalcini)

Nostra Signora del Carmelo

Nostra Signora del Carmelo
colei che ci ha donato lo scapolare

domenica 26 ottobre 2025

LE ULTIME REALTA' - 2 I NOSTRI DEFUNTI seconda conferenza di Padre CLAUDIO TRUZZI OCD


Mosaico che rappresenta al deposizione di Gesù nella tomba presso la pietra dell'unzione nella Chiesa del Santo Sepolcro.

LE ULTIME REALTÀ [I “NOVISSIMI”]

2 – I NOSTRI DEFUNTI

«Dobbiamo offrire Messe per i nostri defunti?...
Quando un cristiano muore, la sua famiglia, gli amici desiderano che si “dica” qualche Messa in suffragio. Niente di più normale, perché la Messa celebra il mistero pasquale del Signore, morto e risorto, e l’Eucarestia è il maggior segno di tale mistero. Però, è obbligatoria, o solamente “opportuna”»?
I cristiani desiderano che si celebrino le esequie, la Messa e i riti specifici per quel momento, ma anche capita spesso che si chieda una Messa speciale in memoria di un parente o di un amico morto, anche da anni. 
Da tener ben presente un fatto fondamentale [raramente conosciuto, e fonte di eventuali equivoci]. Come tutte le Messe, ogni Messa si celebra per l’umanità intera, perché Gesù morì per tutti gli uomini ed il suo sacrificio ha un valore universale. [Non si esaurisce tutta per l’intenzione: non è la “mia” o “tua” Messa!!]
L’associare la comunità cristiana e la Chiesa a questa celebrazione, invitandole a pregare più specificatamente per tale persona o talaltra, si agisce come in qualsiasi famiglia dove, in occasione in un fatto importante, felice o drammatico, tutti pensano a chi si trova direttamente coinvolto.
Chiedere che si celebri una Messa per qualche nostro caro significa manifestargli il nostro amore, associarci alla sua attesa di Dio ed invitare la comunità cristiana a condividere la nostra speranza. È quindi cosa ottima far celebrare Messe per i nostri fratelli defunti. 
È doveroso, però, saper trarre dall’Eucarestia la forza per essere veri testimoni del Signore risorto. L’Eucarestia fa crescere in noi l’amore di Dio. Quanto più cresciamo nella carità, tanto più i nostri fratelli defunti possono godere della vita di Dio, perché si tratta della medesima vita del Signore risorto, che ci unisce gli uni agli altri.
•   C’è chi, non potendo far celebrare Messe per i suoi morti, si chiede se così non ritardi la felicità dei suoi cari venuti meno o ritardata. Che stiano tranquilli, se lo non fanno perché impossibilitati, e non per avarizia o pigrizia; la comunità dei santi costituisce una specie d’immenso tesoro spirituale comune a tutta la Chiesa, e questo tesoro è alimentato da tutti, a profitto di tutti.

 La Chiesa e la cremazione dei cadaveri

«Desidereremmo conoscere il pensiero della Chiesa sulla cremazione dei cadaveri, una volta richiesta solo dagli atei. Molti di noi credono si tratti d’una tradizione che non ha nulla a che fare con il cristianesimo».
Quando a vita subisce l'incursione della morte è come se all'interno della nostra esperienza si creasse improvvisamente un vuoto, in cui il normale discorso umano non riesce più a respirare: pensieri e parole si confondono ed i meccanismi della logica s’inceppano. In tale spazio vuoto, spuntano, allora, i simboli, i quali caricando le cose ordinarie di significati straordinari, tentano di esprimere sentimenti, attese e speranze che l'uomo si porta dentro e che il linguaggio comune non riuscirebbe affatto ad esprimere.
E così che la triste necessità dei sopravvissuti di disfarsi dei cadaveri dei trapassati si riveste di molte forme simboliche, spesso difficili a decifrarsi, perché condizionate dalla lunga storia dell'evoluzione delle diverse culture nelle quali esse si formano e vivono. Per tale ragione, io non direi che il modo diverso di trattare le salme dei morti non abbia nulla a che fare con il cristianesimo: la nostra tradizione, infatti, è tutta intrecciata con l'esperienza della fede cristiana. 
Accettato tale fatto, ciò non autorizza a sostenere che la sepoltura dei morti sia talmente legata a qualche essenziale valore della fede cristiana da non poter essere sostituita da nessuna altra forma di trattare una salma. I simboli, infatti, traggono i loro significati dalla diversa mentalità in cui si vivono e li mutano lungo l'evoluzione della cultura in cui si celebrano ed interpretano. Alla fin fine si potrebbe anche sostenere che, in alcuni casi, il simbolo vuol esprimere soltanto ciò che gli si vuol far dire.
«Ma perché nella tradizione cristiana i morti si seppelliscono e non si bruciano?». 
Io credo che la ragione vera sia prima di tutto quella più semplice, e cioè che il cristianesimo nascente non ha fatto altro che adottare gli usi e i costumi dell'ambiente in cui si trovava. 
Ora il cristianesimo non è nato in India, dove si cremano i cadaveri, ma nel bacino del Mediterraneo dove era uso seppellirli. La sepoltura di Gesù, raccontata dai vangeli, compiuta con tutto il decoro necessario secondo la tradizione ebraica, era il modello più ovvio per i cristiani.

In seguito, venne il culto delle tombe dei martiri, che si ricongiunge in qualche modo, anch'esso, al costume antico del culto dei propri antenati. La Chiesa primitiva, infatti, sente molto il fatto d’aver gettato le proprie radici in una terra fecondata dal sangue degli apostoli e di tutti coloro che hanno dato la vita per la fede. Così le tombe dei santi diventano importanti punti di riferimento per la vita cristiana: vi si costituiscono sopra altari e chiese; vi si accorre in pellegrinaggio; vi si prega. I cimiteri, con le tombe dei nostri cari, sono a loro immagine e somiglianza.
Non credo, invece – come a volte si pensa – che la tradizione di seppellire i morti abbia direttamente a che fare con la fede nella risurrezione. Non si danno tendenze nella storia cristiana a conservare intatti i cadaveri, per esempio, attraverso pratiche di imbalsamazione. Si cura la conservazione dei corpi dei santi, ma solo perché essi sono cari ai viventi e affinché sussistano come oggetti di culto. 
Normalmente però si seppellisce nella terra ricordando le parole della Genesi: «In polvere ritornerai». Anzi il gran culto delle reliquie – che in certe epoche dilagò nella Chiesa fino al fanatismo – non s’arresta di fronte alla dissezione dei corpi dei santi, alcuni dei quali oggi si trovano ad avere magari la testa in Francia, una mano in Medio Oriente e l'altra in Portogallo.
La risurrezione, per la fede cristiana, non è certo pensata come la rianimazione vitale di un cadavere – quasi che Dio non fosse capace di ridare la vita, in tutta la sua integrità, alla persona dei morti, anche se del loro corpo tutto ormai è consunto. La Sacra Scrittura, infatti, ci parla della risurrezione in termini di trasformazione e, addirittura, di nuova creazione. San Paolo la spiega con l'immagine del seme: si semina un corpo mortale e ne nascerà uno nuovo, immortale, tutto pervaso dallo Spirito.
 Cremazione o tumulazione? 
«Ho perduto il marito da poco più di un anno. Il pensiero che il suo corpo… si trovi ora nella tomba, è per me un motivo d’orrore e di dolore insieme. A questo, s’aggiunge il dispiacere di non aver potuto soddisfare il suo desiderio d’essere sepolto in una delle nostre tombe di famiglia. […]. Tali considerazioni m’hanno confermata sempre di più nella mia idea. Dopo la mia morte io vorrei senz'altro un funerale cristiano, ma senza stancare gli altri con lunghe cerimonie. Poi vorrei che mi bruciassero e buttassero le mie ceneri al vento, sui campi, sul mare. Questo sarebbe contrario alla nostra fede? E perché mai?»
  Diciamo subito che la cremazione non si oppone alla fede cristiana. Per se stessa non implica la negazione dell'immortalità dell'anima e del potere che Dio ha di far risorgere i nostri corpi. 
Per questo è lecito ricorrere alla cremazione – premettendo ovviamente i funerali religiosi – quando vi siano delle ragioni serie, soprattutto di carattere pubblico.
 L’ha affermato la “Congregazione per la Dottrina della fede” in una istruzione del 5 luglio 1963, abrogando le sanzioni previste dal vecchio codice di diritto canonico contro coloro che praticavano la cremazione.
•  In passato, come è noto, la prassi di cremare i cadaveri era determinata da spirito settario, antireligioso, che negava le verità della fede, specie quelle che riguardano gli ultimi destini dell'uomo. Ma da allora in poi la mentalità è molto cambiata. Oggi la cremazione generalmente è vista come un mezzo rapi-do per consentire al nostro corpo, diventato ormai cadavere, di raggiungere quella dissoluzione, alla quale – come lei giustamente fa osservare – sarebbe comunque destinato.
•  La Chiesa, tuttavia, non nasconde la propria preferenza per l'inumazione del cadavere. Anzi, pur rispettandone la libertà, invita i fedeli a non abbandonare possibilmente l'antica prassi. Tale esortazione non è dettata da spirito oscurantista o d’attaccamento viscerale alla tradizione, ma intende essere uno stimolo per la nostra riflessione ed una messa in guardia contro una cremazione applicata superficialmente e su larga scala.  
La Chiesa ci invita a reagire contro simile mentalità.
Infatti, per quanto intellettuali e spirituali si possa essere, compiuta con tutto il decoro necessario secondo la tradizione ebraica, era il modello più ovvio per i cristiani. deve ammettere che la cremazione cancella troppo bruscamente la presenza di quel corpo che ha avuto un ruolo così importante nella nostra esistenza terrena, con il quale abbiamo pensato, abbiamo amato, abbiamo pregato, abbiamo lavorato e sofferto. 
La tumulazione, invece – come ci insegnano anche Gesù e san Paolo – ci fa pensare al seme che, decomponendosi lentamente nel solco, dà origine ad una vita nuova. Ci ricorda che quel corpo continua a far parte della nostra persona, nel senso che quest'ultima attende di rivestirsene in un modo nuovo, trasfigurato, anche se per noi misterioso. La cremazione, invece, tende a banalizzare e volati-lizzare la realtà della morte: mentre la tumulazione ci aiuta a riflettere su questo mistero, su tale processo di annientamento, attraverso cui Dio ci conduce alla pienezza della vita con lui assieme ai santi ed a tutti i fedeli che ci hanno preceduti.
Passando davanti ad un cimitero viene spontaneo farsi il segno della Croce e, magari, camminando tra le tombe dei nostri cimiteri, siamo rimasti colpiti da una iscrizione, presa dal Vangelo o da uno scrittore cristiano, la quale vorrebbe riassumere l'ideale a cui si è ispirata quella persona durante la sua vita. Ci sono tombe, attraverso le quali i cristiani che ci hanno lasciati continuano a parlarci ed a spronarci.  
 Perché i cimiteri?
«È corretto che un cristiano si preoccupi tanto della propria sepoltura e che spenda tanti soldi per comprarla e per adornarla? Che prenda tanto spazio, e per tanto tempo, anche da morto? Mi sembra che il culto dei defunti che s’esprime con queste manifestazioni, abbia poco di cristiano. A parte il fatto dello smisurato accrescersi dei cimiteri, s’è mai pensato a quanto bene si potrebbe fare alle persone vive con ciò che si spende per la tomba? Per uno che crede alla vita eterna sarebbe sufficiente una dignitosa sepoltura in terra».
Anche la recente riforma liturgica del Vaticano lI ha confermato che tutta la prassi dei cristiani riguardante «il dovuto onore al corpo dei defunti, divenuto col Battesimo, tempio dello Spirito Santo», nasce dalla fede nella resurrezione dei corpi, anticipata da Gesù con la sua resurre¬zione.
Per questo la liturgia cristiana dei defunti, nei suoi vari momenti: – dalla veglia di preghiere nella casa del defunto alla deposizione del cadavere nella bara, dal suo momento centrale: il trasporto in chiesa per la celebrazione della Parola e dell’Eucarestia, alla presenza dei famigliari e possibilmente della comunità, all'ultimo commiato ed al trasporto al cimitero – è tutto una grande celebrazione del mistero del Signore morto e risorto.
In tale celebrazione, infatti, la comunità prega insieme con Cristo, affinché i suoi figli passino dalla morte alla vita eterna, nell'attesa della sua venuta e della resurrezione universale dei morti.
Da questa celebrazione tutti i cristiani, per la loro unità nel Cristo e tra di loro, hanno grande beneficio: un aiuto spirituale ai defunti, consolazione e speranza in una riunione definitiva ai parenti e a tutti coloro che ne piangono la scomparsa dalla scena di questo mondo. E ne viene data gloria a Dio, per l'attuazione del suo disegno di salvezza. Proprio per questo, non dovrebbe esserci spazio per indulgere a forme di vuoto esibizionismo. Cosa, questa, fra l’altro, vivamente ed esplicitamente raccomandata dalla Chiesa stessa.
•  Per quanto poi riguarda la costruzione del sepolcro e il suo ornamento, la Chiesa non dà disposizioni particolari, anche se essa ha sempre richiesto un dignitoso sepolcro, nella terra o in muratura, corrispondente all'onore dovuto al corpo defunto d’un cristiano, che deve risorgere per sempre.
Inoltre, – lo sappiamo – da circa due secoli la costruzione e gestione dei cimiteri è regolata dalle autorità civili. 
Certo, una spesa esagerata per il proprio sepolcro non rientra nelle virtù della povertà e della sobrietà, che i cristiani devono testimoniare dinanzi a tutto il mondo; ed è perciò da biasimare ed evitare.
Riassumendo: La Chiesa, nella celebrazione del rito delle esequie dei defunti – nel rispetto delle diverse consuetudini vigenti nei singoli Paesi –, semplicemente richiede che:
– non sia offuscata la preferenza per la sepoltura dei corpi, ad imitazione del Signore stesso che fu sepolto; 
– e che sia evitato il pericolo di ammirazione o di scandalo o d'indifferentismo religioso da parte dei fedeli.
•  I cimiteri fanno parte della nostra civiltà e della nostra umanità. Anticamente le salme si seppellivano addirittura in chiesa, oppure in un campo immediatamente attiguo (il camposanto), quasi per ricordarci che i nostri defunti sono sempre con noi
•   Non mi risulta, infine, che sussista per ora il pericolo che per dar sepoltura ai morti, (o come dice il lettore, per “far le case” ai morti), si sottragga spazio ai vivi. (Anche se in qualche paese [p.e. in Giappone] esiste una qualche restrizione).

 Eutanasia – Spegnere il dolore, non il malato
«Si parla sempre più spesso di “eutanasia”. Le posizioni sono contrastanti, si sa. Ma la sofferenza invincibile resta un fatto che può spingere a chiedere la morte. 
E allora perché in Italia siamo così indietro nella terapia del dolore?».

Sempre più spesso, ormai, rimbalzano le notizie di ricorsi personali all’eutanasia, e che certi stati hanno approvato persino una legge che autorizza l'eutanasia. Tali fatti hanno suscitato subito ampie reazioni: da una parte coloro che l'applaudono, dall'altra quelli che esecrano l'idea stessa che sia la legge a decidere se e quando mettere fine a una vita umana. 
Pur collocandoci senza ambiguità tra coloro che non sono disponibili a far concessioni a una legge permissiva in fatto di eutanasia, riteniamo che non sia sufficiente limitarsi a ribadire il proprio "no". Non dobbiamo perdere l'occasione per chiederci, in maniera pacata e civile, da che cosa abbia origine simile strana “richiesta di morte”. Non riusciamo, a priori, ad accettare che la spinta verso la vita abbia subito un'inversione di tendenza e che gli occhi dei morenti, invece di cercare il sole, aspirino al buio della tomba. 
Perché, dunque, in numero crescente, i cittadini della nostra società vogliono sentirsi garantiti che, il giorno in cui richiedessero che si ponga fine alla loro esistenza, ci sia qualcuno che li prenderà in seria considerazione? Possiamo identificare due "buone" ragioni: una che nasce dall'intimo delle persone, l'altra dall'organizzazione sociale.
– I dolori incoercibili sono la spinta principale alla richiesta di eutanasia. «Meglio morire che continuare a soffrire in questo modo», dice in sostanza il malato. Ma se abbiamo la possibilità di controllare il dolore e non lo facciamo, diventa una falsa pietà quella che induce ad accogliere la richiesta di morte. 
Ora, la situazione della terapia del dolore è scandalosamente carente in Italia. Mille pastoie burocratiche inducono a considerare la prescrizione della morfina alla stregua del traffico di droga. Tra tutti i modi di soffrire, quello per stupidità burocratica è la fonte di maggiore disperazione. Perché in Italia così pochi centri per la terapia del dolore e così pochi medici che sappiano e vogliano praticarla?
–  Il secondo motivo che può indurre a chiedere la morte è la spinta che viene da una società decisa a misurare il valore di una vita con parametri esclusivamente economici. 
Come preoccupante segnale d'allarme di questa tendenza, possiamo riferirci all'indagine, fatta da un economista sanitario e pubblicata dal New England Journal of Medicine, sul «potenziale risparmio in termini economici che deriverebbe dalla legalizzazione del suicidio assistito». Non ci tranquillizza leggere che, a conti fatti, il risparmio che ne seguirebbe rappresenta una frazione molto piccola della spesa sanitaria: è il fatto stesso che circolino conti di questo genere che ci inquieta.
Non vorremmo che, dietro le apparenze di un discorso “progressista”, le società che propongono di legalizzare l'eutanasia mandassero ad alcuni cittadini il messaggio che cominciano a costare troppo, per cui sarebbe meglio che prendessero l'iniziativa di togliersi di torno. [Non è così, forse, anche per i “vecchi”?]

   C'è chi crede alla reincarnazione
«Ho avuto occasione di parlare sulla "reincarnazione" con una signora che ci crede. Ho detto che io non ci credo affatto, ma mi sono accorta di non saperle portare il pensiero cristiano in proposito».

"Reincarnazione" è un termine usato per indicare il passaggio dell'anima da un corpo umano a un altro corpo umano, e di per sé ha un significato meno ampio dell'altro termine "metempsicosi", che indica la trasmigrazione dell'anima in corpi anche di animali e di piante. 
Con significati simili si usano anche i termini di "metasomatosi", (credenza propria di alcune dottrine religiose, secondo cui, dopo la morte del corpo, l’anima  trasmigra da questo ad un altro, fino a che non si sia resa del tutto indipendente e libera dalla materia di origine. Originaria dell’antica India – dove è nota col nome sanscrito di “Karma “. [Connessione fra le cellule e l’anima al momento del concepimento e che l’anima abiti il corpo fisico dopo il 120° giorno]. "rinascita", "palingenesi". Tale idea che, l'anima, dopo la morte, possa trasmigrare in altri corpi, è presente presso i popoli primitivi, pur con accentuazioni diverse. Anche in qualche antico scrittore cristiano sono presenti tracce di tali dottrine, come in Giustino, Clemente Alessandrino, Origene. I cultori della Teosofia [dottrina propugnata dalla Società teosofica, secondo cui tutte le religioni del mondo conservano solo residui parziali di un’unica verità divina conosciuta attraverso la conoscenza delle verità divine attraverso l’intuizione o una rivelazione diretta a degli scelti piuttosto che attraverso i dogmi religiosi o la ragione scientifica, che indicano loro le verità da seguire] ed Antroposofia [D'ottica della capacità dell’uomo di raggiungere l’ ”lo” spirituale che è nell’universo] hanno rimesso in vigore recentemente la dottrina della "reincarnazione", caricandola di un significato religioso–espiatorio.
Il pensiero cattolico sulla "reincarnazione" può essere così sintetizzato. 
1 – L'uomo è un'unità armonica, irripetibile nella sua sostanza, pur nelle due componenti spirituale e fisica. In tale visione il corpo non è come un “vestito” od un “carcere” in cui l'anima è contenuta o rinchiusa (secondo un'errata concezione "dualistica"). L'uomo non "ha" un corpo, ma “è" anche corpo. 
L'oggetto dell'amore di Dio nella creazione, redenzione e glorificazione non è l'anima, ma la persona umana nella sua completezza. 
Per questo è inimmaginabile che si possa rompere e riprodurre in certo modo questa unità. 
2 – La "reincarnazione" è, poi, in contrasto con la dottrina della Chiesa, secondo cui al momento della morte l'anima si trova in uno stato definitivo di gloria o di condanna; stato che diventerà in seguito completo con la risurrezione dei corpi.

lunedì 20 ottobre 2025

IL CUORE DELL'UOMO E' COME UNA FINESTRA

 


C’era una volta un vecchio eremita, molto anziano, che viveva in una cella piccola e profumata di incenso. Il suo cuore batteva piano, come una campana lontana. I giovani venivano a trovarlo, e lui sorrideva con gli occhi pieni di cielo. Un giorno, un giovane gli chiese: “Padre, come si fa ad avere un cuore puro?”. Il vecchio chiuse gli occhi, poi disse: “Un cuore puro è come una finestra. All’inizio può essere sporca, appannata e piena di macchie. Ma se la pulisci con il silenzio, la preghiera e un po’ di lacrime, comincia a lasciar passare la luce.” “E poi?” chiese il giovane. “Poi non vedi più la finestra. Vedi solo il sole.” Il giovane tacque. Il vecchio sorrise. 
E il suo cuore, da quel giorno, sembrò battere per tutti.
Scoprì che il suo cuore era abitato da Dio.

Il cuore dell'uomo è come una finestra.
E' veramente pulito solo se lo guardi contro luce.
La luce di Dio

"Beati i puri di cuore perché vedranno Dio"
(Vangelo di Matteo 5,8)

Festa di San Lorenzo a Verici, la fraternità e la cura LETTERA AL PADRE di Padre MAURO ARMANINO





Lettera al padre

Partito oggi ma nel passato millennio. Il 16 ottobre dello stesso anno della malattia di tuo figlio che avrebbe dovuto partire prima di te. Invece no. Dicevi che quello che avevi sofferto in quel mese di luglio dell’ottantadue non si poteva dire a parole. Solo col cuore si poteva e per questo, nella notte di quel giorno, il tuo si è fermato quanto basta. Erano passati cinquantasei anni dalla tua stessa nascita. Gli anni di lavoro nella fornace dei mattoni di Pila sul Gromolo a Sestri Levante, oggi inghiottita dal nulla, avevano fatto anch’essi la loro parte. Un lavoro di manualità e col forno per cuocere i mattoni e il refrattario all’antica. Pochi gli indumenti di lavoro e ancora meno le protezioni. Il motivo per cui le dita delle mani erano consumate dal calore e la ruvidezza del prodotto. A poco servivano le gomme ritagliate delle camere d’aria di moto e biciclette. La pelle era consumata, come la vita da partigiano.
Nel libro ‘Sguardi di libertà’, pubblicato dall’Anpi di Casarza Ligure, Val Petronio e Alta Val di Vara, si ricorda che, nato nel ventisei hai raggiunto la formazione partigiana nel mese di agosto del quarantaquattro. Avevi 18 anni quando integrasti il gruppo combattente fino alla conclusione, il venticinque aprile dell’anno seguente. Testimonianze probanti assicurano che tu, il partigiano Kent, così il tuo nome di battaglia, aveva rifiutato di imbracciare il mitra ‘sten’ propostogli. Ti eri in cambio specializzato per condurre gli indispensabili muli sulle montagne di confine tra lo spezzino e il parmense. Non sono molti i ricordi che hai voluto lasciare di questo periodo breve e intenso della tua vita. Solo conservavi e, con pudore, trasmettevi la memoria di un vissuto che avrebbe marcato il resto della tua vita.
Il tuo impegno sindacale nella Filca Cisl, Federazione italiana lavoratori costruzioni e affini, appare in continuità con l’esperienza partigiana. Da delegato di base visitavi i cantieri edili e, all’interno della ‘Fornace’ ti industriavi perché i diritti dei lavoratori fossero riconosciuti e rispettati. Leggevi spesso ‘Il lavoro’, noto quotidiano genovese nato nel 1903 e chiuso nel 1992, dieci anni dopo il suo transito terreno. Entrambi i tuoi due figli seguirono le tue orme e si impegnarono nelle vicende e lotte sindacali di quegli ‘anni di piombo’, come vennero in seguito chiamati. Nostra madre, tua sposa di estrazione contadina, non era sempre favorevole al nostro coinvolgimento sindacale. Amante com’era della giustizia e della verità non poteva che, segretamente, apprezzarci. Nondimeno l’ambito nel quale si sviluppò la continuità maggiore con la tua esperienza partigiana fu la famiglia.
Orfano assai presto di padre e, in modo drammatico di madre, percepisti il valore unico e insostituibile della famiglia. Una vita non facile, marcata dalla disoccupazione post-bellica e condizioni di vita povere e degne allo stesso tempo. Mentre, col tempo e la tenacia, la tua famiglia incontrò maggiore serenità anche economica. La cosa più bella, tra noi, era proprio l’esperienza concreta di quella libertà alla quale ti eri dissetato nei lunghi mesi partigiani tra stenti, paure e certezze. Il mondo nuovo era a portata di mano. Questa era ciò che noi figli abbiamo respirato per gli anni che ci sono stati concessi di condividere in famiglia e che continuano a ispirare i nostri sentieri. Non è stato casuale che, il giorno della tua sepoltura nel piccolo cimitero di collina, nel paese dove ti eri sposato con nostra madre, piovesse forte. Dio aveva forse voluto darti, a suo modo, l’ultimo sguardo di libertà.

Mauro Armanino, Casarza Ligure, 16 ottobre 2025

domenica 19 ottobre 2025

I NOVISSIMI" LA VITA ETERNA conferenza di Padre CLAUDIO TRUZZI OCD ULTIME REALTA' parte prima, LA MORTE

LE ULTIME REALTA’ [I “NOVISSIMI”]

1 – LA MORTE

•  Morte cristiana – Catechismo (1020)

La tomba di Fra Jean Thierry Ebogo a Nkolbisson (Camerun), dove riposano le spoglie mortali di Jean-Thierry Ebogo, frate Carmelitano

•  Morte cristiana – Catechismo (1020)

«Per il cristiano, che unisce la propria morte a quella di Gesù, la morte è come un andare verso di Lui ed entrare nella vita eterna. Quando la Chiesa ha pronunciato, per l'ultima volta, le parole di perdono dell'assoluzione di Cristo sul cristiano morente, l'ha segnato, per l'ultima volta, con una unzione fortificante e gli ha dato Cristo nel Viatico come nutrimento per il viaggio, a lui si rivolge con queste dolci e rassicuranti parole:

«Parti, anima cristiana, da questo mondo, nel nome di Dio Padre onnipotente che ti ha creato, nel nome di Gesù Cristo, Figlio del Dio vivo, che è morto per te sulla croce, nel nome dello Spirito Santo, che ti è stato dato in dono; la tua dimora sia oggi nella pace della santa Gerusalemme, con la Vergine Maria, Madre di Dio, con san Giuseppe, con tutti gli angeli e i santi. [...] Tu possa tornare al tuo Creatore, che ti ha formato dalla polvere della terra. Quando lascerai questa vita, ti venga incontro la Vergine Maria con gli angeli e i santi. [...] Mite e festoso ti appaia il volto di Cristo e possa tu contemplarlo per tutti i secoli in eterno».

• “Se Dio è buono, perché la morte?”

Non avremmo difficoltà a trovare nella Bibbia un certo numero di passi in cui la morte è accettata senza problema alcuno, quietamente: per esempio il racconto della morte di Giacobbe (Genesi 49,29-33), di Giuseppe (Genesi 50,24-26) e di Mosè (Deuteronomio 34). 

Non sono, tuttavia, i passi più numerosi. Perché?

All'uomo biblico la morte fa problema e costituisce il punto nevralgico d’una tensione che giunge al cuore della fede. Israele crede in un Dio buono, che ha creato il mondo e l'uomo, guida la storia e opera per la vita. Ma allo stesso tempo, l'israelita, come ogni uomo, sperimenta la malattia, la sofferenza, l'ingiustizia, la fatica e la morte. In una parola s’imbatte nell'ambiguità d’un'esistenza che sembra contraddire quella presenza di Dio, che invece la fede pretende affermare: "Noi moriamo e siamo come acqua che scorre" (2 Sam. 14,14). 

Se, allora, Dio è per la vita, perché la morte? È dallo scontro fra queste due esperienze (da una parte, la certezza d’un Dio buono e fedele alla vita e nell'uomo la voglia di vivere, e dall'altra la morte, che sembra tutto smentire) che scaturisce, dapprima, lo scandalo della morte e, poi, la speranza di fronte alla morte.

Non possiamo qui descrivere tutti i risvolti di tale dibattito, mostrando come Israele si sia anzitutto preoccupato di difendere Dio (cioè, le storture dell'esistenza non risalgono alla volontà di Dio, ma al peccato dell'uomo (Gen. 3); e in tal modo, mette al sicuro anche lo stesso significato della vita.  

Ci basterà un cenno alla riflessione di Qoèlet, la più lucida e radicale dell’interna Bibbia. Qoèlet [un saggio vissuto probabilmente nel III secolo avanti Cristo] afferma che la "fatica di vivere" è "vanità": parola che indica soffio, fumo, qualcosa d’inconsistente e d’ingannevole che da lontano t’incanta, ma quando l'hai tra le mani ti delude. Tale è l'affannarsi dell'uomo ed ogni sua ricerca, compresa la ricerca della saggezza, compresa la ricerca dei cosiddetti “valori”: t’affatichi a realizzarli, ma poi la morte distrugge ogni cosa, ed il saggio e lo stolto sono accomunati nel medesimo fallimento: ambedue muoiono allo stesso modo!

Qoèlet – e con lui l'Antico Testamento – vede la morte come la fine di ogni possibilità; la morte toglie ogni senso allo sforzo dell'uomo per costruire un mondo migliore (quale mondo sarà mai all'altezza dell'uomo, se sarà sempre segnato dalla morte?), alla stessa speranza messianica.

È a questo punto che si inserisce l'intuizione – semplice e fondamentale –, senza cui tutta la speranza biblica sarebbe irrimediabilmente crollata – del libro della Sapienza: "Dio ha creato l'uomo per l'immortalità" (2, 23). In altre parole: non è possibile che Dio abbandoni il giusto nella morte; non è pensabile che Egli ponga sullo stesso piano il bene e il male, il valore e il non valore: Dio è fedele, e non può aver creato l'uomo con tanta sete di vita, per poi deluderlo. 

La potenza di Dio farà risorgere i morti. È questa la grande speranza – che la morte e risurrezione di Gesù non farà che confermare –, cui la ricerca di Israele è alla fine approdata. Una speranza, che è completamente religiosa, e non poggia sull'uomo, sui suoi costitutivi, ma unicamente sulla fedeltà di Dio.

•   PARLARE DELLA MORTE?

«Una mia parente anziana continua a rimproverarmi perché non porto i miei due figli adolescenti a vedere i parenti morti e non li abituo a meditare sulla morte. Io credo che in queste pratiche ci sia più del sadismo che del cristianesimo, ma poiché questa insiste vorrei una risposta fondata e definitiva. Grazie!»                    

*  Il tema è complesso, vi si intrecciano psicologia e teologia.

Sul piano psicologico non posso parlare da tecnico; tuttavia, vorrei osservare come i nostri giovani siano assaliti da un’infinità di immagini virtuali violente ed orribili ben peggiori della vista di un parente morto. Certamente il mondo della finzione televisiva non prepara alla vita come il rapporto interpersonale e l’esperienza vissuta nella realtà; per questo è ritenuto più indolore. Ma aiuta veramente a vivere in modo più umano? La psicologia ricorda quanto sia importante in ogni età, e, segnatamente in quella adolescenziale, condividere le esperienze forti che la vita ci fa sperimentare, per accettarle e intuirne un po' il senso. 

Purtroppo, spesso deleghiamo ad Enti e Organizzazioni tutto ciò: l’anziano, il malato, il morente sono relegati nelle apposite strutture, l’adolescente è scaricato in qualche gruppo, ecc… La condivisione non si trova come i funghi; va pazientemente coltivata!

Per quanto riguarda la meditazione sulla morte, il discorso è veramente cristiano quando al centro si pone il mistero della morte risurrezione di Cristo e il suo legame con la nostra vita, in cui accade anche la morte. Se corretto, il discorso non è assolutamente sadico e porta, invece, al rispetto e alla valorizzazione della mia ed altrui vita. È vero che certi libri di meditazione sono un po’ macabri e superati, ma il Vangelo è un’altra cosa! Il suo annuncio centrale è "Cristo è morto per i nostri peccati e Dio l’ha resuscitato"!

•  Simile alla prima domanda è la seguente:

«Ho letto in diversi testi di psicologia che è dannoso per la psiche dei bambini e degli adolescenti meditare sulla morte e, quindi anche sulla “Passione del Signore”: tutto questo favorirebbe l'insorgere di spinte alla violenza ... Io non so come giudicare, ma personalmente sono stato educato a "visitare i morti" e a frequentare le cerimonie della Settimana Santa fin da bambino e non credo di essere un "violento"; anzi, il ricordo del Signore "mite agnello" e del passare di questa vita mi hanno aiutato ad essere un po' meno cattivo. Lei cosa pensa? Tenga conto che ho dei bambini.».

La mia risposta – anche qui – non ha il supporto di una laurea in psicologia; tuttavia, credo di potere fare alcune osservazioni molto semplici e pratiche.

– Il male più grave dei nostri bambini ed adolescenti è il poco aiuto che ricevono dalla società (famiglia in prima fila) nell'affrontare la realtà e cercare di comprenderne il senso e il fine ultimo.

– I cosiddetti adulti hanno poca chiarezza circa i valori e i metodi educativi e forse involontariamente preferiscono delegare il compito di accompagnare verso le responsabilità della vita i giovani.

– Mi chiedo se tanto zelo nel "proteggere" dalla realtà della vita si riscontra anche nei riguardi del costante bombardamento di violenza e scene horror da parte dei media?

     Tutto esige misura e buon senso. Pure per un adulto meditare sulla morte non deve significare un intrattenersi morbosamente sulla morte fisica, così come il rivivere la Passione di Gesù non significa autosuggestione volta a riprodurre in sé o negli altri angoscia e sofferenza.

     Nessuno però potrà negare che il bambino si interroghi di fronte alla morte di una persona che gli era particolarmente vicina, o che un adolescente non sia colpito dalla morte di un coetaneo. 

Anche i gesti generosi ed eroici attraggono i giovani e possono essere di stimolo per il loro impegno di vita. 

E certamente l'esempio di Cristo è più costruttivo ed equilibrato delle gesta di certi personaggi da fumetti,... mi si perdoni il paragone!

Per quanto riguarda le usanze di certe località nel ricostruire la Passione, credo che siano più fonte di socializzazione che di trauma, e vorrei chiedere a certi giornalisti perché i riti di certe culture sono sempre e solo “liberanti”, mentre quelli della tradizione cristiana, sempre e solo inibenti.

     Non intendo concludere in polemica, ma semplicemente ricordare che in tutta la sua vita l'uomo ha bisogno di aiuto e condivisione per non smarrirsi nell'angoscia del non-senso, e che – lo affermano pedagogisti e psicologi –, la fonte primaria e più virulenta della violenza è la mancanza di amore, di affetto, di vicinanza solidale nella propria infanzia..

• “RIPOSO” ETERNO?

«È appena passato il “mese dei morti”, e naturalmente anch’io sono andato al cimitero e pregato per i miei cari. Mentre recitavo la preghiera “Requiem Aeternum”, m’è sorta una domanda: “Perché chiediamo a Dio di dare l'eterno riposo ai nostri defunti, anziché l'eterna gioia? Secondo la nostra fede e quanto insegna la Chiesa, l’“Aldilà” non è un “dormitorio”, bensì un luogo di felicità duratura».      

Nel rito conclusivo delle esequie si trova un antico testo responsoriale, che è diventato una preghiera comune per i defunti, inserita persino nei catechismi della CEI: «L'eterno riposo donagli (dona loro), Signore, e splenda a lui (ad essi) la luce perpetua». 

A qualcuno la preghiera per il “riposo eterno” non piace, perché richiama l'idea d’immobilità, di cessazione da ogni lavoro; suggerisce, perciò, di trasformarla in "gioia e vita eterna”. L'aggiunta: "riposino in pace" può, infatti, evocare l'Aldilà come un "dormitorio", anziché una comunione con Dio.

•  Premettiamo due osservazioni. 

– La prima, quasi di tristezza, perché d’un ricchissimo patrimonio di preghiere per i defunti. [Si conta-no ben 113 orazioni classiche, 5 prefazi, varie intercessioni e numerosissime invocazioni nei vespri di tutto l'anno] – la maggioranza dei cattolici conosce solo il "Requiem Aeternum", che è una risposta cantata, non certo tra le migliori, od almeno tra le più comprensibili. 

Una semplice rassegna dei contenuti di tali preghiere ci pone di fronte ad una visione serena e fiduciosa, spesso ridondante di gioia, di luce, di pace, di beatitudine, con l'ingresso nella società dei Santi. 

Non v’è in esse cenno di sofferenze; tanto meno di fuoco o di carcere orrendo. È questo lo sfondo di serena e luminosa contemplazione in cui si colloca la preghiera per i cristiani morti nel segno della fede, con la certezza che essi vivono in Cristo, in attesa della pienezza della beatitudine. Non manca l'accenno alle colpe commesse, né la richiesta di liberazione, ma ci si appella alla misericordia di Dio e all'opera salvifica di Cristo. 

– La seconda osservazione riguarda il linguaggio liturgico, totalmente dipendente nelle immagini, nei concetti, nelle espressioni, dal linguaggio biblico. Poiché nulla ci è stato rivelato da Dio circa la condizione futura dei defunti, la Chiesa si è attenuta alle immagini bibliche, in particolare a tre parole fondamentali e di grande valore simbolico: riposo, luce, pace. 

Queste tre termini indicano la condizione di quanti, come credenti in Cristo ed in comunione con la Chiesa, si sono addormentati (scrive san Paolo) nella speranza della risurrezione finale. 

Se il "sonno" corrisponde al senso cristiano della morte, cui segue il risveglio (si pensi alle parole di Gesù sull'amico Lazzaro, in Gv 11,11), la "luce" rimanda direttamente a Dio, che proprio per Israele è "il Dio di luce!”, ed a Gesù che si proclama "luce del mondo": la luce "simbolo di vita e di gioia”. 

Il termine "pace" riassume l'aspirazione alla felicità, ed è il saluto non solo ebraico e musulmano, ma tipicamente cristiano, dal Gesù donato ai discepoli dopo la risurrezione: "Pace a voi!" (Gv 20,19). 

Il "riposo" è la parola che compare nel primo libro della Bibbia, ove si sottolinea il riposo di Dio al termine della creazione (Gn 2,2), cioè la sua condizione divina, con un valore normativo per l'uomo chiamato a vivere in comunione con Lui, e, dopo tanti riferimenti, nell'Apocalisse (14,13), ove si afferma: «Beati i morti che muoiono nel Signore. Già lo Spirito Santo dice: essi riposano dalle loro fatiche». Nei due testi si parla del "riposo di Dio" e del "riposo di Cristo", che non esclude affatto l'attività e la pienezza di vita («Mio Padre è all’opera fino adesso ed anch’io sono all’opera» Gv 5,17), ma compimento dell'esistenza terrena e partecipazione alla condizione divina, come un bene promesso e poi concesso.

•   Che cosa accade quando si “muore”?

«Una nostra compagna ha letto un giornale che negli Stati Uniti una bambina di 7 anni è annegata cadendo in piscina. Ripescata e sottoposta a rianimazione, è rimasta in coma per tre giorni. Ripresasi, ha raccontato d’essere morta e di essersi trovata in una galleria buia, che s’è illuminata dopo l'apparizione di una donna bionda, con la quale si è avviata verso il Paradiso. Ha visto molta gente, tra cui i nonni ed una zia materna morti precedentemente. Ha poi incontrato Dio e Gesù; ed infine s’è svegliata in ospedale. Questa notizia ha suscitato in noi un grande interesse. Ci siamo chiesti se si sia trattato di un sogno o di una realtà. Per questo vi abbiamo scritto sperando di avere un'ampia risposta».

Ciò che ha raccontato questa bambina è molto simile alle esperienze che hanno dichiarato di aver fatto tante altre persone in varie parti del mondo. Ci sono stati degli studiosi che hanno intervistato molte di queste persone, dichiarate morte dai medici e poi rianimate. I numerosi elementi in comune delle relazioni di queste persone intervistate potrebbero anche confermare che non ci troviamo di fronte a dei sogni, ma ad una realtà.

Ecco a grandi linee come viene descritta questa loro singolare esperienza. 

Una persona si sta spegnendo e sente dire dal medico che essa è clinicamente morta. Subito dopo sente di muoversi rapidamente lungo una galleria buia. Giunta al termine, avverte improvvisamente di essere uscita dal proprio corpo, pur trovandosi ancora nel mondo di prima, e vede in lontananza, come uno spettatore, questo suo corpo. Osserva i tentativi di rianimazione che vengono fatti attorno a lei. Intanto altri individui le si avvicinano per aiutarla. Scorge gli spiriti di parenti ed amici già morti, e poi le appare uno spirito di amore, un Essere di Luce. Questo le rivolge, senza parole, una domanda che la esorta a valutare la propria vita mostrandogliene, come in un flashback, gli avvenimenti più importanti. Ad un tratto si trova vicina ad una barriera, che sembra rappresentare la linea di confine tra la vita terrena e l'altra vita. Ma sente che non è ancora giunto per lei il momento della morte e che deve perciò ritornare indietro. Tenta di opporsi perché, attirata ormai dalla luce ed affascinata dall'altra vita, non vorrebbe più ritornare in questa. Alla fine, tuttavia, si riunisce al suo corpo fisico e ritorna sulla terra. L'esperienza fatta però segnerà profondamente il restante della sua esistenza.

•  Che cosa dire? Lasciamo agli studiosi di approfondire il fenomeno. Per quanto ci riguarda è interessante notare come il racconto di queste persone confermi, comunque, ciò che Gesù insegna nel Vangelo. 

• – Innanzitutto, con la morte non finisce la persona, ma inizia la sua vera vita. Quante volte Gesù ci raccomanda di vivere in modo da poter essere ammessi a quella vita che non termina mai!. Nel momento della morte distingueremo con chiarezza ciò che ha valore da ciò che non ne ha. E lui ci ha già detto in anticipo quali sono le cose che contano. Vale quindi la pena di orientare sin da ora la nostra vita secondo la sua parola.

   –  Altro elemento che viene in evidenza è il senso di grande fiducia e di pace che le persone hanno provato al comparire dell'Essere di Luce. Tutto questo s’accorda perfettamente col Vangelo. Gesù ci parla sempre della morte come del momento più importante, ma anche il più bello della esistenza, perché ci riunisce a Lui, la meta verso cui dovremmo tendere con tutte le forze della mente e del cuore. 

–  Gesù è “andato” per prepararci un posto in cielo. Vuole che noi lo raggiungiamo per stare sempre con Lui, e nessuno potrà più toglierci quella gioia che egli ci tiene in serbo. Questo pensiero mi sembra molto bello, perché ci aiuta a superare quella paura ed orrore istintivo che noi solitamente proviamo al pensiero della morte.

Ma ciò che colpisce maggiormente è l'amore con cui tutte queste persone si sono sentite accolte dall'Essere di Luce. Esse vedevano soltanto una grande luce, ma erano certe di trovarsi di fronte ad una persona, di fronte a Dio o a Gesù, dal quale emanava un senso di pace e di serenità ed un amore che le affascinava e le attirava in modo irresistibile. Egli rivolgeva loro delle domande: “Sei pronto a morire? Mi ami tu?”. In queste domande esse non avvertivano nessun atteggiamento di accusa o di condanna, ma piuttosto un grande desiderio di aiutarle ad orientarsi ed a fare un buon uso della vita, nella quale sarebbero ritornate. 

• Pure questi particolari corrispondono a quanto afferma la verità più grande e consolante della nostra fede: Gesù ci ama immensamente. Lui ha detto di non essere venuto nel mondo per condannare gli uomini, ma per salvarli. Ha anche aggiunto: «Nessuno ha più grande amore di colui che dà la vita per i suoi amici». Ed è chiaro che voleva riferirsi a tutto quello che Egli ha fatto per noi. 

Immaginiamoci, quindi, con quale amore Gesù ci accoglierà e ci aiuterà quando ci presenteremo davanti a Lui nel momento della morte.

giovedì 16 ottobre 2025

mercoledì 15 ottobre 2025

UN FALSO PIANO DI PACE PER DISSIMULARE UN VERO GENOCIDIO di JEAN-PIERRE AUSSANT- testo in francese e italliano



Un faux plan de paix pour dissimuler un vrai génocide

Par Jean-Pierre Aussant

Le plan de paix de Trump et Netanyahou n’a que pour but de transformer, dans l’imaginaire collectif mondial, le génocide qui vient d’avoir lieu à Gaza en simple conflit.

« L’enfer est pavé de bonnes intentions ». Jamais la phrase de saint Augustin n’aura été aussi juste. En effet, alors que le génocide des Palestiniens de la bande de Gaza est déjà consommé, le simulacre de négociation avec les Gazaouis n’a que pour but de donner l’illusion que tous les belligérants seraient, au fond, sur un pied d’égalité. Or, si tout le monde est sur un pied d’égalité, c’est qu’il ne peut pas y avoir eu de génocide.

Dès le début, ce plan de cessez-le-feu fut odieux. Rappelons-nous l’avertissement de Trump aux Palestiniens : « Si vous ne l’acceptez pas, je vous promets un enfer tel que l’humanité n’en a jamais connu ». Franchement, dit-on cela à un peuple qui vient de connaître un génocide ? Un peuple écrasé et sans armée, qui vit dans une prison/zoo à ciel ouvert de 10 km de large sur 50 km de long, et dont même le ravitaillement en eau est contrôlé par Israël ? Un peuple humilié depuis soixante-dix ans et dont environ 100 000 femmes et enfants viennent de trouver la mort sous les bombes ? Les Alliés, ont-ils dit cela aux juifs et aux tziganes avant de les libérer des camps de la mort ? Ont-ils posé des conditions et promis d’autres enfers encore plus terribles que celui qu’ils venaient de vivre dans le cas où ils refuseraient ces conditions ? Quand un peuple subit un génocide, on le libère, c’est tout. Un peuple génocidé n’est pas en mesure de négocier. Lui proposer de négocier, c’est, si c’était possible, le tuer une deuxième fois, c’est lui voler en quelque sorte sa souffrance. C’est lui dire : « Tu vois, on t’a massacré, mais on est gentil, et on t’invite maintenant à venir apposer ta petite signature. Tu vois, nous, nous sommes « réglos » nous ne sommes pas des méchants… »

Certes, sachant que Trump a été élu grâce à l’argent de son gendre juif, Jared Kushner, qui avait financé sa première campagne présidentielle, et sachant que sa propre fille (Ivanka Trump) s’est convertie au judaïsme, nous pouvons comprendre qu’il penche du côté de l’État hébreu ; mais enfin, tout de même, il y a des limites… Exiger du Hamas qu’il se désarme ? Mais se désarme de quoi ? Combien d’Israéliens ont été tués par les bombes du Hamas sur Tel-Aviv depuis le commencement de la « guerre » ? Oui, combien ? Zéro.

Alors bien sûr, et même si le terrorisme est l’arme du faible, et même si Israël occupe une partie de la Palestine, il y a eu cette attaque condamnable du Hamas, qui aura fait plus de mille victimes chez les Israéliens. Oui, cela doit être dénoncé. Mais enfin, Israël, qui a perdu six millions de ses enfants dans l’enfer nazi, a très rapidement « pardonné » aux Allemands, contribuant à enrichir ce pays en lui achetant très rapidement toutes sortes d’armes. Pourquoi donc ce traitement de « faveur » envers les Palestiniens ? Nous aurions presque parfois l’impression que les Israéliens font payer aux Gazaouis la note de l’Holocauste……commis par les nazis. La souffrance des juifs a été si intense sous le Troisième Reich que l’abcès doit être crevé, et peu importe sur quel peuple le pus retombe… Oui, sans Shoah, pas de Gaza. L’idée n’est pas incongrue.

Non, en réalité, le but principal et sous-jacent à cette sinistre mascarade de « plan de paix » est d’empêcher le peuple palestinien d’avoir recours à cette compensation mémorielle à laquelle, comme tous les peuples génocidés, il a pourtant droit. Il s’agit pour l’État profond d’empêcher tout prix les Gazaouis de faire comme les juifs, c’est-à-dire de cultiver la mémoire de leur génocide pendant quatre-vingts ans. Le génocide palestinien, lui, doit être oublié. Il ne doit jamais figurer dans les livres d’histoire (un peu comme le génocide arménien que Netanyahou refuse, en outre, de reconnaître, sans même mentionner le génocide vendéen ou celui des chrétiens du Sud-Soudan – chrétiens massacrés par des musulmans -, qui n’intéressent personne…). Ordonner aux rescapés d’un génocide de venir négocier en faisant semblant que rien d’extraordinaire ne se serait passé, en insinuant qu’au fond ce conflit n’est qu’un banal conflit comme «les autres », est une infamie. Oui, un ultime affront. Cela revient, après avoir commis un génocide biologique, à en commettre un deuxième : le mémoricide, le génocide de la mémoire. En tant que chrétien catholique, il était de mon devoir d’écrire ces lignes.

traduzione in italiano:

da Jean-Pierre Aussant

Il piano di pace di Trump e Netanyahu ha come unico scopo quello di trasformare, nell'immaginario collettivo mondiale, il genocidio appena avvenuto a Gaza in un semplice conflitto.

"La strada per l'inferno è lastricata di buone intenzioni". Le parole di Sant'Agostino non sono mai state così azzeccate. Infatti, sebbene il genocidio dei palestinesi nella Striscia di Gaza sia già stato compiuto, la pretesa di negoziare con i gazawi serve solo a dare l'illusione che tutti i belligeranti siano, in fondo, sullo stesso piano. Tuttavia, se tutti sono sullo stesso piano, allora non può esserci stato un genocidio.

Fin dall'inizio, questo piano di cessate il fuoco è stato odioso. Ricordiamo l'avvertimento di Trump ai palestinesi: "Se non lo accetti, ti prometto un inferno quale l'umanità non ha mai conosciuto.". Francamente, lo diciamo a un popolo che ha appena subito un genocidio? Un popolo schiacciato, senza esercito, che vive in una prigione/zoo a cielo aperto larga 10 km e lunga 50 km, e la cui riserva idrica è persino controllata da Israele? Un popolo umiliato da settant'anni e le cui circa 100.000 donne e bambini sono appena morti sotto le bombe? Gli Alleati lo hanno detto agli ebrei e agli zingari prima di liberarli dai campi di sterminio? Hanno forse posto condizioni e promesso altri inferni ancora più terribili di quello che avevano appena sperimentato se avessero rifiutato queste condizioni? Quando un popolo subisce un genocidio, viene liberato, tutto qui. Un popolo genocidato non è in grado di negoziare. Offrirsi di negoziare è, se fosse possibile, ucciderlo una seconda volta, è in qualche modo derubarlo della sua sofferenza. È come dirgli: "Vedi, ti abbiamo massacrato, ma siamo gentili, e ora ti invitiamo a venire ad aggiungere la tua piccola firma. Vedete, noi siamo "legittimi", non siamo cattivi..."

Certo, sapendo che Trump è stato eletto grazie ai soldi del genero ebreo Jared Kushner, che ha finanziato la sua prima campagna presidenziale, e sapendo che sua figlia (Ivanka Trump) si è convertita all'ebraismo, possiamo capire che propenda per lo Stato ebraico; ma ci sono comunque dei limiti... Chiedere ad Hamas di disarmarsi? Ma disarmarsi da cosa? Quanti israeliani sono stati uccisi dalle bombe di Hamas a Tel Aviv dall'inizio della "guerra"? Sì, quanti? Zero.

Quindi, naturalmente, anche se il terrorismo è l'arma dei deboli, e anche se Israele occupa parte della Palestina, c'è stato questo riprovevole attacco di Hamas, che ha causato più di mille vittime israeliane. Sì, questo deve essere denunciato. Ma poi, Israele, che ha perso sei milioni di figli nell'inferno nazista, ha "perdonato" molto rapidamente i tedeschi, contribuendo ad arricchire questo paese acquistando molto rapidamente ogni tipo di arma. Perché allora questo trattamento "favorevole" nei confronti dei palestinesi? A volte abbiamo quasi l'impressione che gli israeliani stiano facendo pagare agli abitanti di Gaza il conto dell'Olocausto... commesso dai nazisti. La sofferenza degli ebrei era così intensa sotto il Terzo Reich che l'ascesso deve essere scoppiato, e non importa su quale popolo cada il pus... Sì, senza la Shoah, non ci sarebbe Gaza. L'idea non è incongrua.

No, in realtà, l'obiettivo principale e di fondo di questa sinistra mascherata di "piano di pace" è impedire al popolo palestinese di ricorrere a questo risarcimento commemorativo a cui, come tutti i popoli genocidiati, ha comunque diritto. L'obiettivo dello Stato profondo è impedire a tutti i costi ai palestinesi di Gaza di fare come hanno fatto gli ebrei, cioè di coltivare la memoria del loro genocidio per ottant'anni. Il genocidio palestinese, tuttavia, deve essere dimenticato. Non deve mai comparire nei libri di storia (un po' come il genocidio armeno, che Netanyahu si rifiuta, peraltro, di riconoscere, senza nemmeno menzionare il genocidio della Vandea o quello dei cristiani del Sud Sudan – cristiani massacrati dai musulmani – che non interessano a nessuno...). Ordinare ai sopravvissuti al genocidio di venire a negoziare fingendo che non sia successo nulla di straordinario, insinuando che, in fondo, questo conflitto sia solo un altro conflitto ordinario come "gli altri", è un'infamia. Sì, un affronto finale. Ciò equivale a commettere, dopo un genocidio biologico, un secondo: il memoricidio, il genocidio della memoria. Come cristiano cattolico, era mio dovere scrivere queste righe.

BENEDETTI, VI ODIERO' di ENRICO EULI ricevuto da Padre MAURO ARMANINO

benedetti, vi odierò

 di Enrico Euli   

  Il comizio-show di Trump alla Knesset di ieri assurge ad un senso emblematico: è lui l'uomo della provvidenza che dopo aver dovuto -per il bene dell'amico Bibi- distruggere e sterminare i nemici con la guerra, ora può - insieme a tutti gli uomini di buona volontà del mondo - fare la pace: una pace per tutti, senza distinzioni o risentimenti. Il lupo si pascerà con l'agnello sulle rive del Giordano, come nei sogni dei profeti.

Un discorso messianico, rivolto alla storia ed all'eternità, in cui in molti -soprattutto in Israele, ma anche negli Stati Uniti - possono identificarsi e sentire - commossi e amorevoli verso i figli e fratelli, anche i degeneri- come proprio, convincente, emozionante ed affettuoso.

Trump ha definito i generali presenti a Gerusalemme 'dei magnifici attori': per lui quel che è accaduto a Gaza o in Iran è solo un bellissimo film. Hollywood - si sa - è capace da sempre di trasformare film dell'orrore in drammi misericordiosi, tragedie in farse.

Trump ha però -da grande Padre qual è e come nei migliori film americani - avuto parole di accoglienza e comprensione verso tutti i popoli, compresi addirittura gli iraniani. Un uomo di pace, che sa (unico e divino) far cessare il fuoco e promette latte e miele, convertire spade in aratri, trasformare detriti in resort. Cosa volere di più? E' una benedizione: che sia benedetto fra gli uomini e che ci benedica. Merita l'amore dell'umanità ed anche il Nobel per la pace. Per questo, dentro la Knesset, tutti lo esaltavano e lo applaudivano come bambini felici di aver ritrovato il loro vero papà (e Papa).

Ed anche fuori, nelle piazze, gli israeliani che si sentivano abbandonati da Bibi (ma forse lo rivoteranno, se sarà graziato così come Trump ha chiesto ai suoi sudditi di Galilea), ora anche loro ritrovano chi pensa a loro, salva i parenti dalla prigionia, accoglie nel suo grembo - materno e paterno insieme - tutto il dolore di questi due anni. Gli israeliani - si sa - pensano solo a se stessi e lo stesso fanno molti ebrei sparsi per il mondo: la comunità di Roma è preoccupata -anche oggi- dell'insensato crescere dell'antisemitismo! L'anti-palestinismo non è contemplato come problema da risolvere per un ebraismo che ha sempre risolto soltanto con la guerra il suo rapporto con i Filistei di ogni epoca, almeno negli ultimi tremila anni.

Ma quanto amore tra fratelli di fede, quanta attesa ripagata (almeno per chi è tornato vivo), quanti affetti ricomposti, quante famiglie alla fin fine riunite! 'Grazie Trump, voglio fare una foto col tuo pupazzo dal ciuffo biondo, qui in strada, mentre attendo la liberazione dei miei…Abbiamo fatto a pezzi tutti i nemici, almeno per un po'. Ora che abbiamo finito il lavoro, possiamo finalmente goderci la nostra pace. Che tu sia benedetto!'. Questo esclamano e ci dicono i loro volti a vederli raggianti in televisione, mentre festeggiano nella Piazza degli Ostaggi, ammirando dall'alto le rovine di Gaza.

Ma questo spettacolo d'amore e riconciliazione offertoci alla Knesset e nelle piazze d'Israele produce amore e vicinanza? Il resto del mondo, che li guarda trionfanti e felici in tv, cosa sta pensando e sentendo, nel frattempo? Che cosa emergerà da tutto ciò in noi, negli altri, quelli che non sono né americani né israeliani? Soltanto disprezzo, vergogna e odio. Il sionismo -con quel che è accaduto ultimamente, ancor più di prima- sarà accomunato all'odio generico e generalizzato verso l'ebraismo e si è già trasformato in antisemitismo. I benedetti dal Signore che sta nei cieli sono e saranno ancora una volta assolutamente odiati da una gran parte degli esseri viventi che stanno su questa terra. Ebrei ed americani -in tutto il mondo- saranno sempre più minacciati da altri esseri umani soltanto per il fatto di essere ebrei e americani (e ricchi e presuntuosi e prepotenti e spietati e...) 

Inutile negarlo: vedere Trump e gli israeliani in festa accresce la rabbia ed il risentimento cieco di tutti quelli che non possono festeggiare nulla e che si troveranno ancora una volta a vivere in un vicolo cieco della storia. La violenza si farà ancora una volta strada dentro questa pace e -dietro le cortine lucenti e charmant di Sharm-el-Sheik- quel che si prepara è solo un Medio Oriente (e un mondo intero) di sangue e di morte.

Enrico Euli   

     Ruolo: Ricercatore universitario; Area scientifico disciplinare: Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche; Settore scientifico disciplinare ...



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