AFORISMA

Meglio aggiungere vita ai giorni, che non giorni alla vita
(Rita Levi Montalcini)

Nostra Signora del Carmelo

Nostra Signora del Carmelo
colei che ci ha donato lo scapolare

sabato 16 novembre 2024

STELLA DEL MARE ode di Padre NICOLA GALENO OCD


 

Ciclo su scorci pittorici del lago Maggiore, poesie e elaborazioni pittoriche di P. Nicola Galeno OCD

 






SABBIA MIGRANTE, OSSIA IL MONDO VISTO DA QUI di PADRE MAURO ARMANINO


Sabbia migrante, ossia il mondo visto da qui

Sbarcando a Niamey il mese di aprile del 2011 la parola ‘migrante’ non faceva parte del lessico locale. Si parlava piuttosto di ‘avventurieri’, oppure più semplicemente di ‘esodanti’. Queste due parole nominavano altrettante visioni del migrante, come gli occidentali lo chiamavano. L’avventuriero è una delle figure tipiche dell’immaginario culturale dell’Africa Occidentale perché andare lontano e di preferenza al mare era come un cammino iniziatico. Il giovane diventava ‘uomo’, avventurandosi verso il totalmente sconosciuto per i Paesi del Sahel, il mare! L’immenso, l’ignoto e cioè la grande sfida.

La seconda parola che definiva il migrante era, appunto, ’esodante’. Una parola evocativa che suona come un esilio scelto, un andare senza conoscere come, e se il partente sarebbe tornato.

In effetti nel Niger, da tempo, si praticava una migrazione stagionale che a volte si trasformava in definitiva. I Paesi della costa atlantica o il nord Africa, Algeria, Marocco e soprattutto Libia erano privilegiati. Un esodo provvisorio, per affrontare la stagione di passaggio tra il raccolto e la nuova stagione. Quanto gli avventurieri o esodanti mandavano o portavano a casa permetteva alla famiglia di creare nuove opportunità di emancipazione.

Arrivò poi, dall’Occidente, con una certa violenza, un nuovo lessico che trasformò radicalmente e in modo radicale, la percezione delle migrazioni. L’esodante divenne un ‘migrante’, si trasformò presto in ‘clandestino’, poi in ‘illegale’, ‘irregolare’, in ‘criminale’ o in un ‘illuso’ dall’Eldorado occidentale. L’esternalizzazione delle frontiere europee, peraltro iniziate prima del vertice nel 2015 a La Valette, col Marocco e il Soudan in particolare, hanno completato il processo di ‘criminalizzazione’ della migrazione come fenomeno. Si trattava di bloccare o almeno ridurre il numero di ‘potenziali migranti’ che avrebbero potuto attraversare il Mediterraneo. L’organizzazione Internazionale delle Migrazioni, OIM, l’Unione Europea e gli accordi bilaterali, hanno contribuito a rendere le rotte migratorie più inacessibili, pericolose e onerose. Non solo il mare ma anche il deserto si sono trasformati in cimiteri senza nome e volto. L’agenzia Frontex ha collaborato al respingimento di 27.288 naufraghi tra il 2019 e il 2023. I morti nel Mediterraneo dal 2014, secondo ‘Statista’ sono stati più di 30 mila. Una guerra!

La mobilità è una componente inseparabile della storia dell’umanità. Non casualmente essa è riconosciuta dalla Dichiarazione fondamentale dei diritti umani al numero 13. Ed è proprio dal continente africano, secondo gli specialisti, che si è iniziato il popolamento del mondo. L’Europa, tanto per rimanere in tema di memoria, è stata per oltre un secolo il continente dell’emigrazione verso le Americhe e l’Australia....

Si calcola che tra ‘800 e ‘900 quasi 50 milioni di persone intrapresero un viaggio senza ritorno verso nuove patrie. Le cause di questo fenomeno furono sia demografiche, con l’aumento della popolazione indotto dalla transizione demografica, che economiche, con l’aumento della produttività del lavoro in agricoltura. L’Italia, con quasi nove milioni di emigranti, fu uno dei paesi che contribuirono maggiormente a questi flussi migratori. Le correnti migratorie, innescatesi nella seconda metà del XIX secolo si mantennero sostenute fino al secondo dopoguerra. (www.units.it).

Le ragioni delle migrazioni sono molteplici e, in fondo, ogni migrante è la sua migrazione...Tuttavia, nell’analisi delle cause, non si dovrebbe sottostimare la realtà delle disuguaglianze economiche, le possibilità di formazione, crescita umana e, naturalmente, l’immaginario simbolico. Rimane un fatto inconfutabile che molti economisti di valore sottolineano. Si sostiene che la migrazione è stata finora il mezzo forse più importante per sfidare la povertà. Naturalmente la complessità del fatto migratorio dovrebbe renderci più attenti alle semplificazioni che spesso polarizzano il tema e le posizioni. Ad esempio, l’idea che i popoli africani ‘invadano’ l’Europa appare come fuorviante perché, com’è noto, la maggior parte delle migrazioni africane si effettuano all’interno dell’Africa, in particolare nell’Africa Occidentale.

I miti da smantellare o perlomeno da ridimensionare sono molti ed è innegabile che un’oculata politica di riflessione e accompagnamento del movimento migratorio, nel dialogo coi Paesi da dove provengono i migranti, gioverebbe a tutti, compresa l’economia dei paesi del Nord. L’inverno demografico dell’Occidente non è irrilevante e compito della politica dovrebbe essere anche quello di prevedere il futuro. Proprio di questo si tratta in fondo. Quale tipo di mondo vogliamo abitare assieme. Se un mondo di muri, reticolati, pattuglie e centri di detenzione esternalizzati o, preferibilmente, un mondo dove l’architettura principale siano i ponti.

             Mauro Armanino, Niamey, novembre 2024

venerdì 8 novembre 2024

PEREGRINATIO DELLE RELIQUIE DEI SANTI TERESA, LUIGI E ZELIA MARTIN

 


DISUGUAGLIANZE DI POLVERE DIVINA NEL SAHEL di Padre MAURO ARMANINO

           Disuguaglianze di polvere divina nel Sahel

All’inizio di tutto c’è la polvere con un soffio di vento. E’ questa l’uguaglianza fondamentale che accomuna persone e cose di questo mondo. Poi, col tempo, la storia e gli avvenimenti, le condizioni della polvere cambiano e si può affermare che, qui come altrove, c’è polvere e polvere. Alcuni son più polvere di altri malgrado il soffio originario conservi tutta la sua creativa bellezza e fragilità. 

Col tempo c’è chi dimentica di non essere che polvere aspira alla vita e presume di diventare potente. Così si sono formate le classi sociali, i gruppi di potere, le élite che governano e il popolo che altro non dovrebbe fare se non aderire a quanto si decide per suo bene. La sovranità di polvere si coniuga con l’indipendenza del vento che ad essa si affida. La polvere si trasforma in aristocrazia o dittatura.

Dalla polvere di natura ugualitaria alla società delle disuguaglianze il passo è assai breve e notabile. Ad esempio, c’è che può mangiare regolarmente ogni giorno e chi deve scegliere l’unico pasto che possa imbrogliare lo stomaco. Chi può mandare i figli nelle migliori scuole private del Paese e chi si contenta delle scuole di Stato...nel passato maggiormente apprezzate di quelle private.

Ammalarsi per la polvere comune è un dramma. Senza soldi e garanzia di accompagnamento anche nel reparto di urgenza si può rimanere per ore e giorni in lista d’attesa. Chi, invece, è fatto di una polvere diversa troverà posto nell’ ospedale di referenza, nelle cliniche attrezzate o semplicemente all’estero. La vita degli esseri di polvere non è uguale per tutti. Alcune vite valgono più di altre.

C’è la polvere che viaggia col vento e nel vento mentre c’è polvere più sofisticata che prende l’aereo con il biglietto di ritorno o per sola andata. Nel primo caso troviamo una certa categoria di migranti e nella seconda gli uomini politici, d’affari, i diplomatici e gli affiliati alle Organizzazioni Internazionali. Per i primi non c’è la certezza dell’arrivo a destinazione. Per i secondi le date sono fissate e sicure.

La polvere delle persone comuni lavora, vive in campagna e rappresenta circa l’ottanta per cento dei 27 milioni che conta la popolazione del Niger. Un altro tipo di persone di povere, circa un milione, ha trovato rifugio nel Paese o vi si trova come sfollato. Nella capitale Niamey si scovano palazzi come castelli fatati di ogni stile architettonico, case blindate, custodite e gemellate con case di terra.

C’è chi sostiene che dietro tutto ciò c’è senz’altro una volontà divina. Come dire che la polvere dell’inizio col soffio di vento si è gradualmente divisa e dunque c’è chi potrà vivere più a lungo con dignità e chi, invece, era scritto scomparisse molto prima perché polvere di scarto. Una polvere nobile e degna e l’altra di seconda mano. Tutto scritto nel libro, come cantava il buon Bob Marley a suo tempo.

Difficile crederlo perché, malgrado le pietre tombali, i monumenti e i nuovi nomi dati alle strade e ai ponti, nel cimitero non rimane che lei, la polvere dell’inizio. Il soffio di vento è uguale per tutti ed è proprio la polvere comune, in definitiva, a pareggiare i conti. Appunto per questo la polvere e il soffio di vento hanno inventato la politica. Perché ciò che creava le disuguaglianze tra gli umani fosse rimosso e le polveri di tutto il mondo, uguali, facessero festa assieme.

        Mauro Armanino, Niamey, novembre 2024  

domenica 3 novembre 2024

Dimash - AVE MARIA | Новая Волна 2021

MILLE ANNI PER LA "AVE MARIA" - Conferenze di Padre CLAUDIO TRUZZI in preparazione all'Avvento 2024

 PER L'AVVENTO / DAL 16 NOVEMBRE AL 21 DICEMBRE (sabato, ore 16)

Terrò una serie di riflessioni sulla Ave Maria - come farla nostra per meglio incontrare Maria a Natale. Allego lo schema del corso con le date.



Confessioni nel Niger, con Padre MAURO ARMANINO


 

RICORRENZE ODIERNE! COMPLEANNI E ORDINAZIONI SACERDOTALI di Padre NICOLA GALENO OCD

Il 3 novembre del 1968 veniva ordinato sacerdote da Mons. Stella nella Chiesetta del Monastero di Cascine Vica (TO) Padre Nicola Galeno, mentre infuriava l'alluvione del Piemonte.



sabato 2 novembre 2024

CICLO SUL 2 NOVEMBRE DI UN EX MISSIONARIO IN GIAPPONE - liriche di Padre NICOLA GALENO OCD

 


COMPLOTTI, COSPIRATORI E COMPLICI NEL SAHEL di Padre MAURO ARMANINO

 


Complotti, cospiratori e complici nel Sahel


Denunciare tentativi di complotti, svelare intrighi per destabilizzare l’ordine o il disordine costituito, sembra essere una delle specialità dei regimi polizieschi, militari o dittatoriali. Nell’Unione Sovietica staliniana, ad esempio, sappiamo che ogni tentativo di messa in discussione della rivoluzione aveva condotto alla creazione di un un mondo sommerso di campi di detenzione. In essi milioni di persone considerate ‘dissidenti’ e dunque traditori della patria, passavano anni di rieducazione mentale spesso assieme a ‘delinquenti’ comuni. La denuncia regolare, sistematica, organizzata e studiata di complotti, veri o presunti, segue canovacci che si ripetono. Accadono in momenti particolari di difficoltà e credibilità del regime, offrono valide alternative alle critiche e soprattutto compattano una parete dei cittadini increduli. In genere non manca mai, come nei film polizieschi, una spia o un ‘pentito’ che rivela le macchinazioni segrete dei nemici esteriori. Ad ogni regime i propri complotti.
 Certo anche nelle democrazie ben radicate ciò talvolta accade. Per questo ci si affretterà a sottolineare quanto le istituzioni abbiano agito con tempestività ai tentativi di destabilizzazione del regime democratico. Il tutto seguendo norme, principi e senza ricorrere, in genere, a stati di eccezione anche nel caso di cospirazioni. Sono cospiratori coloro che, animati da uno stesso respiro o soffio, preparano e organizzano strategie volte a sovvertire il tipo di società che essi ritengono tradire i principi che li animano. Com’è noto il consenso sulla parola ‘terrorismo’ è tutt’altro che acquisto. Il padre di colui che scrive, giovane partigiano che lottava contro la dittatura nazi-fascista nel suo paese, per alcuni era un ribelle, per altri un patriota e, naturalmente, per i fascisti e i tedeschi null’altro che un criminale. Eppure, le cospirazioni esistono e c’è da sperare che non manchino mai persone che ‘respirino assieme’ il desiderio di un mondo differente. Ad ogni regime i propri cospiratori.
Rimangono, infine, i complici. Coloro che prendono parte in modo attivo, passivo e spesso secondario ai processi sociali in atto. Visibili, invisibili, presenti e assenti allo stesso tempo. La maggioranza silenziosa, o allora coloro che Norbert Zongo, giornalista del Burkina Faso assassinato durante il regime di Blaise Compaoré, definiva ‘ il silenzio dei buoni’. Lo stesso Zongo commentava che spesso ci sia impegna ma a ‘condizione che’ questo non arrechi problemi alla carriera, alla famiglia, alla vita. Grazie ai complici un regime prende il potere, si stabilizza, lo perpetua e lo giustifica. Questa categoria di persone si presenta in modo trasversale ma sono soprattutto i ceti intellettuali e i circoli religiosi che sembrano intuire con maggiore prontezza i vantaggi di tale affiliazione. Essa si trasmette per contagio, convenienza, interessi e timore di perdere i privilegi acquisiti. Spesso, ma non necessariamente, di padre in figlio e di professione in professione. Alcune di queste sembrano più predisposte. In cambio dell’adesione al sistema al potere la garanzia di un posto di prestigio. Ad ogni regime i suoi complici. 




          Mauro Armanino, Niamey, novembre 2024

martedì 29 ottobre 2024

MILITARIZZAZIONI DI POLVERE NEL SAHEL di PADRE MAURO ARMANINO

Scorcio del cimitero di Niamey -Niger

Militarizzazioni di polvere nel Sahel

Le cronache quotidiane di attualità assomigliano in modo palese a bollettini di guerra. Per un fenomeno assai conosciuto di assuefazione ciò diventa come parte dello scenario decorativo delle notizie. Si scivola in ciò che c’è di più terribile nella vita e cioè la ‘normalizzazione’ della violenza armata come unico sistema di risoluzione dei conflitti tra cittadini, classi sociali, Paesi, religioni, culture e interessi. Ad ognuno la sua guerra verrebbe da dire. Uno dei segnali inequivocabili di questo fenomeno è rappresentato dalla crescita delle spese militari in tutti i Paesi che se lo possono permettere. Dopo una leggera contrazione delle spese in seguito alla fine della guerra fredda e la provvisoria scomparsa dell’Unione Sovietica, ci si è accorti che rimanere senza nemici era ancora più difficile che averne uno. La guerra globale al terrorismo, l’asse del male, gli stati canaglia e soprattutto la ri-militarizzazione giustificata da questa guerra infinita, hanno implicato l’ennesima corsa ad armarsi di più, meglio e soprattutto prima del nemico. Quest’ultimo, come noto, è ovunque e soprattutto là dove si desidera fabbricarlo. Armi, guerra e paura sono ottimi ingredienti per rilanciare l’economia, controllare i movimenti ‘pericolosi’ e giustificarsi al potere per decenni.

La guerra nel Nord del mondo, il civilissimo Occidente, la guerra infame del Medio Oriente, le guerre nel continente africano, talvolta lontane dagli sguardi indiscreti dei mezzi di comunicazione e la guerra nel Sahel che affonda le sue radici più prossime alla distruzione voluta della Libia, nel 2011. Da questo Paese, in quel momento con un sistema sanitario, educativo, agricolo ed economico tra i più apprezzati in Africa, sono state esportate armi, rabbia e gruppi armati ben formati da anni di addestramento. Altre cause furono concomitanti e però non slegabili da quanto accaduto prima in Irak, Afganistan, Siria e altrove. Gruppi armati finanziati da chi aveva interessi di farlo si sono gradualmente installati nella zona del lago Tchad et la parte occidentale del Sahel. Antiche rivendicazioni autonomiste, l’arrivo di gruppi formati da ideologie salafiste esportate dall’Arabia Saudita, il Katar e altre entità affiliate, malesseri locali e divisioni latenti, hanno creato una miscela che si è rivelata ‘esplosiva’. Anche perché interessi ideologici, religiosi, politici, commerciali e di potere hanno trovato un terreno propizio nell’assenza dello stato, la crisi economica e lo smantellamento delle strutture culturali di gestione dei conflitti. Il senso di frustrazione di gruppi etnici e di giovani hanno organizzato il resto. 

Sono nati così, strada facendo, l’operazione Serval della Francia poi sostituita dall’operazione Barkhane e fiancheggiata in seguito dalla Cedeao, le Nazioni Unite e l’Unione Europea. La conseguenza di questa saturazione di armi, soldi, militari, interessi divergenti sono stati la moltiplicazione dei gruppi armati e delle economie di guerra. Soldi e guerre vanno bene assieme. Nel mezzo di tutto ciò la gente, i civili, il popolo che, abituato a lottare per la propria quotidiana sopravvivenza, si è visto accerchiato, minacciato ed espropriato del futuro. E fu così che i militari, in considerazione del peso economico e politico accresciuto in questi ultimi anni, hanno avuto buon gioco nell’installarsi al potere. Non senza la promessa di proteggere i cittadini e liberare una volta per tutte i Paesi dalle forze oscure del male che affliggono la vita politica e sociale di tutti e gli interessi di ciò che contano. Non sappiamo il futuro ma il contesto porta a credere che questo processo non sarà così rapido ed efficace. La conseguenza più palpabile nella vita quotidiana nelle città è la presenza visibile, palpabile della militarizzazione della vita sociale. I manifesti, la retorica del linguaggio.

‘Parole come combattimento, liberazione, mobilitazione popolare cittadina, impegno patriottico, dignità, sovranità non negoziabile, indipendenza totale...la patria o la morte’... la presenza di militari armati e no, in ospedali, aeroporto, strade e controllo del traffico, hanno militarizzato la vita politica e civile della Regione. Per fortuna, con l’arrivo prossimo del vento del deserto chiamato ‘Harmattan’, anche la militarizzazione, come tutto del resto nel Sahel, è di polvere.                                                                  Mauro Armanino, Niamey, ottobre 2024                                                                                                               

giovedì 24 ottobre 2024

SCONFINAMENTI - intervista a Padre MAURO ARMANINO

                            Sconfinamenti




1) A partire dal suo piano esperienziale "sul campo" quali elementi rilevanti coglie del rapporto tra giustizia sociale e giustizia climatica?

Ho vissuto buona parte della mia vita In ciò che si chiama il ‘Sud’ del mondo e in particolare in Africa Occidentale. Costa d’Avorio, Liberia e Niger da 13 anni. In particolare, in quest’ultimo Paese, nel quale mi trovo attualmente, opero in ambito delle migrazioni internazionali. Le migrazioni sono un ‘punto di osservazione’ unico se vogliamo tentare di capire cosa significhi ‘giustizia sociale’. In effetti il fenomeno migratorio può essere visto come uno ‘specchio’ del nostro mondo. Il modo con cui sono interpretate, gestite e ‘’criminalizzate’ le migrazioni rivelano il tipo di mondo e società nel quale ci troviamo. Disuguaglianze economiche, esclusioni, immaginari sociali e incapacità degli stati a dare concrete offerte di futuro ai giovani sono forme di violenza. Le migrazioni rappresentano uno dei tentativi di risposta alla ‘sparizione’ programmata di migliaia di giovani. La risposta, in genere violenta, alla mobilità umana, dice molto sul tipo di sistema di esclusione che si perpetua nella società. La giustizia implica ‘dare a ciascuno ciò che gli spetta’ in quanto persona relazionale chiamata a realizzare in pienezza la propria esistenza. C’è il diritto di rimanere, di partire, di lasciare il proprio paese e tornarvi senza che questo processo si trasformi in un viaggio ‘verso la morte’ nel deserto, il mare o le frontiere diventate muri.

Quanto alla ‘giustizia climatica’ vedo più complicato definirne i contorni. Nel Sahel, dove mi trovo, i cambiamenti climatici non datano da oggi. Periodi di siccità, talvolta drammaticamente lunghi, sembrano alternarsi a pioggie la cui entità sembra inedita. Sono vari i fattori che interagiscono sulla ‘giustizia climatica’. Tra questi la demografia, la crisi economica, l’assenza marcata dello Stato, l’insicurezza alimentare e la violenza armata di vari gruppi di affiliazione islamica. Altri gruppi rilevano maggiormente del banditismo che canalizza a proprio beneficio le risorse minerarie, droga e armi. Ciò contribuisce a produrre massicci spostamenti di popolazioni, che accentua la crisi ecologica. Soprattutto l’aspetto relazionale sembra il settore maggiormente colpito dal fenomeno citato. Crescono le manipolazioni identitarie, populiste e sovraniste che corrodono la coesione sociale. Ogni tentativo di cambiamento è ‘minato’ dalle divisioni etniche, religiose e politiche.

2) Quali responsabilità abbiamo? Perché ci riguarda?

L’Occidente porta una grande responsabilità sul tipo di mondo che abitiamo e il sistema che lo regge. In effetti il neoliberalismo capitalista non è solo un sistema economico quanto un’interpretazione della realtà. Quando tutto e tutti diventano ‘mercanzia’, e cioè oggetto che ha un prezzo di vendita sul mercato, capiamo perché lo sfruttamento di beni e persone non ha limiti. Se il solo parametro è il profitto nel tempo più rapido, la conseguenza non può che essere una guerra permanente di tutti contro tutti. Proprio come nella giungla, la sola legge che vige è quella del più forte ed è così che il mondo è fondamentalmente governato da poche migliaia di persone che costituiscono l’élite finanziaria del pianeta terra. La stessa politica sarà asservita a questo tipo di progetto economico e societario. Saranno gli interessi della piccola classe dominante a prevalere sull’interesse comune. Il capitalismo è nato e prosperato in Occidente ed è stato ‘esportato’ dappertutto dalla conquista dell’America fino all’epoca delle colonizzazioni per passare dal fenomeno della tratta degli schiavi. La natura, le relazioni umani, il senso stesso della vita hanno sofferto una terribile divisione. Da un lato un progetto di vita, di comunione, di armonia e di ‘ buen vivir’ (vivere bene) e dall’altro un progetto di morte dovuto all’appiattimento delle persone e del destino ad una sola dimensione, quella del profitto. Ogni tentativo di risanare il mondo, l’ecologia, l’economia ‘green’, l’uguaglianza e la giustizia che non contemplino la messa in discussione radicale del sistema capitalista è destinato a fallire. Solo nuovi stili di vita e di economia, basati su una sana politica di ricerca del bene comune e la contestazione delle spese militari e delle guerre come ‘distruzione creativa’ potrà sperare di dare futuro al futuro.
 

3) Dal suo "punto di osservazione" che percezione ha delle consapevolezze (o meno) dell'Occidente?

Dall’osservatorio di ‘sabbia’ del Sahel, rilevo tre tipi di naufragio dell’Occidente. Il primo si trova nello ‘sguardo’. In effetti, malgrado le critiche, i lavori degli antropologi e i cambiamenti occorsi nell’interpretazione delle culture, lo sguardo dell’Occidente sulle Afriche, e più in genere sul ‘Sud’ del mondo, non riesce a liberarsi dal passato ‘coloniale’. Uno sguardo, quello occidentale, che continua a presumersi unico e dunque in grado di giudicare, dal ‘suo’ centro e punto di vista ogni differenza in fondo intesa come inferiorità rispetto al modello unico europeo. 
Forse non si è capito ancora che anche gli africani hanno smesso di parlare con la bocca degli altri e di guardare con gli occhi degli altri. Hanno scelto di usare la propria bocca e i propri occhi per raccontarsi. L’incapacità di mettersi all’ascolto dell’altro è proprio ciò che ha costituito il secondo naufragio dell’Occidente. L’arroganza del potere della tecnica, dell’economia e, non dimentichiamo, delle armi, ha creato la temibile malattia della sordità europea che parla di se stessa e a se stessa senza mai uscire da se stessa. In tutti questi anni di progetti di sviluppo, assistenze umanitarie e accordi bilaterali il grande assente è stato l’ascolto attento e umile di chi avrebbe potuto salvare l’Europa da se stessa.
Infine, alla radice dei naufragi giace il grande tradimento che avrebbe comportato lo smarrimento del pensiero e dell’etica ad esso conseguente. Si tratta della drammatica separazione della spiritualità dalla vita quotidiana, la mutilazione non casuale di ogni interiorità, la perdita del sacro, dell’anima e di quanto costituisce la dignità della persona. L’espropriazione di questa dimensione essenziale è stata l’opera fondamentale del capitalismo che il neoliberismo continua a completare. Le Afriche non accetteranno facilmente di essere svenduti alle ideologie dominanti nell’Occidente etico. Per chi ‘ogni giorno in più è una vita’ non è credibile che il cambiamento di sesso dei bimbi o le bandiere arcobaleno LGBT siano una priorità.
                        
                          Mauro Armanino, ottobre 2024

lunedì 21 ottobre 2024

GLI OSTAGGI DEL SAHEL di Padre MAURO ARMANINO

 


Gli ostaggi del Sahel

Pierluigi Maccalli, detenuto come ostaggio da gruppi di ispirazione salafista per oltre due anni, è tornato nel Niger, luogo del suo rapimento, per qualche giorno. Il ritorno al Paese è caduto alla stessa data d’inizio della prigionia nella savana del Burkina Faso prima e nell’immenso deserto del Sahara poi. L’inizio e la fine. Tra questi simbolici momenti, due anni di cattività in solitudine, con tanto di catene durante le lunghe notti stellate del deserto. Pierluigi è da allora molto attento agli sviluppi delle trattative per altri ostaggi come lui, detenuti nel Sahel e altrove. Le sue sono state catene di libertà perché lo hanno trasformato in ostaggio della pace, delle parole e delle mani disarmate. 

Accade però, per chi non ha avuto lo stesso drammatico privilegio dell’amico e confratello citato, che si viva come ostaggi senza saperlo o volerlo. Oppure può succedere che si preferisca vivere da ostaggi per non rischiare quanto di più pericoloso c’è nella vita e cioè la libertà. Pierluigi vedeva, sentiva, soffriva le catene ai piedi. Per circa un mese è stato incatenato notte e giorno ad una catena lunga un metro e venti centimetri. Solo i cani, forse, possono capire cosa ciò significhi per una persona abituata a muoversi, viaggiare e decidere dove andare. C’è chi non si accorge di essere incatenato, proprio come lo è stato Pierluigi, e si accontenta del cibo che gli viene elargito nel quotidiano.

Ci sono gli ostaggi della miseria, creata, riprodotta, accettata come ineluttabile e talvolta mantenuta perché così sembra funzionare il mondo da che è mondo. C’è chi nasce per vivere da schiavo, rassegnato al proprio destino scritto sul libro di sabbia e chi invece può permettersi di decidere il tipo di futuro che avrà lui e i suoi figli. Ostaggi del mondo umanitario che prospera proprio dove più forte risuona il grido degli ostaggi della malattia che uccide più della guerra, chiamata fame. Ostaggi ai quali, spesso, nessuno ha mai detto che quanto scritto sul libro del destino non è che sabbia che il vento disperde. Un altro mondo è possibile quando le catene invisibili sono riconosciute come tali.

Seguono, nel Sahel, questo spazio straordinario di storia, culture, tradizioni, confitti e avventure, gli ostaggi della paura. Paura per l’oggi, l’arrivo possibile dei gruppi armati che dettano legge e morte. Paura per il domani, la semina, i raccolti, i granai, le tasse da pagare per persona, le conversioni forzate, l’arruolamento nella nebulosa jihadista, che mercanteggia religione, oro, droga, armi e gli anni migliori dei giovani. Paura per la delazione che rende tutti sospettosi anche all’interno delle famiglie e dei villaggi nei quali per decenni si è convissuto in relativa armonia e accettazione delle diversità. Poi arrivano le identità fomentate e dunque escludenti, mortali e divisive.

E infine, gli ostaggi forse meno riconoscibili e forse anche per questo assai deleteri. Sono gli ostaggi della menzogna che impera tramite la retorica che svende i mezzi per giustificare il fine. Si associano, appoggiano, giustificano, difendono e si arruolano al pensiero dominante del momento. La politica non serve e i diritti umani sono merce di scambio ideologico perché ciò che conta è il bene del popolo così come un gruppo di ‘illuminati’, spesso armati, decide sia tale. Ostaggi che infiltrano ciò che rimane dei partiti, sindacati, mezzi di comunicazione e persino le medaglie al merito sul campo.

Aveva ragione l’amico Pierluigi. Diceva che possono incatenare i piedi ma non il cuore e lo spirito. Come ricordo del suo tempo di detenzione ha portato con sè un anello della catena. Per ricordare che solo chi ha portato le catene gioca la sua vita per la libertà degli altri.

             Mauro Armanino, Niamey, ottobre 2024 

lunedì 14 ottobre 2024

DOVE ABITA LA FELICITA' - BELLA LA STORIA DEI DUE SASSOLINI BLU!

Due sassolini, grossi si e no come una castagna, giacevano sul greto di un torrente. Stavano in mezzo a migliaia di altri sassi, grossi e piccoli, eppure si distinguevano da tutti gli altri. Perché erano di un intenso colore azzurro. Quando un raggio di sole li accarezzava, brillavano come due frammenti di cielo caduti nell’acqua.                

          Loro due sapevano benissimo di essere i più bei sassi del torrente e se ne vantavano dal mattino alla sera. Guardavano con commiserazione gli altri sassi che erano grigi, bianchi, striati, rossicci, chiazzati. "Noi siamo i figli del cielo!", strillavano, quando qualche sasso plebeo si avvicinava troppo. "State a debita distanza! Noi abbiamo il sangue blu. Non abbiamo niente a che fare con voi!". 

          Erano insomma due sassi boriosi e insopportabili. Passavano le giornate a pensare che cosa sarebbero diventati, non appena qualcuno li avesse scoperti. "Finiremo certamente incastonati in qualche collana insieme ad altre pietre preziose come noi". "Sul dito bianco e sottile di qualche gran dama". "Sulla corona della regina d’Olanda". "Sulla spilla della cravatta del Principe di Galles". "Ci aspetta una gran vita...". "Alberghi di lusso, crociere, balli, feste, ricevimenti... "Andremo fino a Caponord...".

           Un bel mattino, mentre i raggi del sole giocavano con le trine di spuma dei sassi più grandi, una mano d’uomo entrò nell’acqua e raccolse i due sassolini azzurri. "Evviva!", gridarono i due all’unisono. "Si parte!". Finirono in una scatola di cartone insieme ad altri sassi colorati. "Ci rimarremo ben poco!" dissero, sicuri della loro indiscussa bellezza. La cosa durò più del previsto. I due sassolini furono sballottati di qua e di là, cambiarono spesso scatola, furono spesso soppesati e palpati da mani ruvide.

          Rimasero ultimi nella scatola. Poi una mano li prese e li schiacciò di malagrazia contro il muro in mezzo ad altri sassolini, in un letto di cemento tremendamente appiccicoso. "Ehi! Fai piano! Siamo preziosi, noi!", gridavano i sassolini azzurri. Ma due sonore martellate li fecero affondare ancora di più, dentro ii cemento. Piansero, supplicarono, minacciarono. Non ci fu niente da fare. I due sassolini azzurri si ritrovarono inchiodati al muro. L’amarezza e la delusione li riempivano di riflessi viola.        

        "Razza di imbecilli, asini e incompetenti! Non hanno capito la nostra importanza! ". Il tempo ricominciò a scorrere, lentamente. I due sassolini azzurri erano sempre più arrabbiati e non pensavano che ad una cosa: fuggire. Ma non era facile eludere la morsa del cemento, che era inflessibile e incorruttibile. I due sassolini non si persero di coraggio. Fecero amicizia con un filo d’acqua, che scorreva ogni tanto su di loro.             

        Quando furono sicuri della lealtà dell’acqua, le chiesero il favore che stava loro tanto a cuore. "Infiltrati sotto di noi, per piacere. E staccaci da questo maledetto muro!" L’acqua non se lo fece ripetere due volte. Era la sua passione infiltrarsi nei muri e si divertiva molto ad allargare crepe e sbriciolare cemento. Fece del suo meglio e dopo qualche mese i sassolini già ballavano un po’ nella loro nicchia di cemento. Finalmente, una notte umida e fredda, Tac! Tac!: i due sassolini caddero per terra. "Siamo liberi!".           

        E mentre erano sul pavimento lanciarono un’occhiata verso quella che era stata la loro prigione. "Oooooh!" La luce della luna che entrava da una grande finestra illuminava uno splendido mosaico. Migliaia di sassolini colorati e dorati formavano la figura di Nostro Signore. Era il più bel Gesù che i due sassolini avessero mai visto.

          Ma il volto... il dolce volto del Signore, in effetti, aveva qualcosa di strano. Sembrava quello di un cieco. Ai suoi occhi mancavano le pupille! "Oh, no!". I due sassolini azzurri compresero. Loro erano le pupille di Gesù!

          Chissà come stavano bene, come brillavano, come erano ammirati, lassù. Rimpiansero amaramente la loro decisione. Quanto erano stati insensati! Al mattino, un sacrestano distratto inciampò nei due sassolini e, poiché nell’ombra e nella polvere tutti i sassi sono uguali, li raccolse e, brontolando, li buttò nel bidone della spazzatura.

 I due sassolini azzurri falliscono perché non sanno vedere. Nella loro presunzione si illudono sulle proprie qualità e su ciò che può renderli veramente felici. Per questo motivo scoprono troppo tardi la bellezza e la ricchezza della missione a cui erano stati chiamati.


"Ho imparato ad amare la vita solo da quando so per quale fine vivo"

S.Teresa Benedetta della Croce (Edith Stein)

 In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me. Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore. Se no, vi avrei mai detto: “Vado a prepararvi un posto”? Quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, verrò di nuovo e vi prenderò con me, perché dove sono io siate anche voi. E del luogo dove io vado, conoscete la via». Gli disse Tommaso: «Signore, non sappiamo dove vai; come possiamo conoscere la via?». Gli disse Gesù: «Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me. Se avete conosciuto me, conoscerete anche il Padre mio: fin da ora lo conoscete e lo avete veduto».

                                        (Vangelo secondo Giovanni 14.1-12) 

ELOQUENZA DEL SILENZIO di IVAN ILLICH - testo inviatomi da Padre MAURO ARMANINO

            Eloquenza del silenzio

                                                               di Ivan Illich

Biografia: Ivan Illich (Vienna, 4 settembre 1926 – Brema, 2 dicembre 2002) è stato uno scrittore, storico, pedagogista e filosofo austriaco.

Personaggio di vasta cultura, viene citato spesso come teologo (definizione da lui stesso rigettata), poliglotta e storico. Viene però più spesso ricordato come libero pensatore, capace di uscire da qualsiasi schema preconcetto e di anticipare riflessioni affini a quelle altermondiste. Estraneo a qualsiasi inquadramento precostituito, la sua visione è strettamente affine all'anarchismo cristiano. Vice rettore dell'Università di Porto Rico e fondatore in Messico del Centro Intercultural de Documentación (CIDOC), ha focalizzato gran parte della sua attività in America Latina.

Illich nacque a Vienna da Ivan Peter Illich, croato, e da Ellen Rose Regnstreif-Orfortiebi, ebrea sefardita. Sin da bambino si dimostrò estremamente versatile: conosceva l'italiano, il francese e il tedesco come un madrelingua e imparò in seguito il croato, il greco antico e in aggiunta lo spagnolo, il portoghese, lo hindi e altri idiomi. Nel 1941 con la madre e i fratelli andò a vivere a Firenze, completò le scuole secondarie al liceo scientifico Leonardo Da Vinci e iniziò l'università. Nel 1944 si iscrisse alla Pontificia Università Gregoriana di Roma con il progetto di diventare prete, e nel 1951 fu ordinato presbitero.

Prestò servizio come assistente parrocchiale a New York, nella diocesi retta dal cardinal Francis Joseph Spellman. Nel 1956 fu nominato vice-rettore della Pontificia Università Cattolica di Porto Rico, e nel 1961 fondò il Centro Intercultural de Documentación (CIDOC) a Cuernavaca, in Messico, che aveva il compito di preparare i preti e i volontari dell'Alleanza per il Progresso alle missioni nel continente americano.[2]

Dopo dieci anni l'attività di analisi critica del CIDOC, l'elaborazione del manifesto dei descolarizzatori e la pubblicazione dei primi cinque testi fortemente critici con le istituzioni moderne, si acuisce il conflitto con il Vaticano. In seguito a contrasti con i membri della Sacra Congregazione Pro Doctrina Fidei Illich subisce un interrogatorio durante il quale gli vengono fatte domande sulle attività condotte nei suoi centri di documentazione e sulle sue posizioni politiche e religiose. Successivamente gli viene chiesto di rispondere per iscritto alle domande, ma Illich si appella alla facoltà di non rispondere. Il suo processo non viene mai portato a termine, Illich decide di astenersi dal celebrare la messa pur mantenendo il celibato. Di fatto non viene mai scomunicato, restando un "monsignore atipico".

Nel 1976 Illich, apparentemente preoccupato per l'afflusso di accademici formali e per la crescente istituzionalizzazione del CIDOC nonché per le pregresse conflittualità, decise, con il consenso degli altri membri, di chiuderlo. Molti dei soci hanno poi proseguito la loro attività di scolarizzazione linguistica a Cuernavaca.

Nel 1977 insegnò alla Facoltà di Sociologia dell'Università di Trento dove tenne lezioni e organizzò seminari, diventando presto un riferimento per il movimento studentesco.

Dal 1980 Ivan Illich iniziò una lunga serie di viaggi, dividendo il proprio tempo tra gli Stati Uniti, il Messico e la Germania. Fu inoltre nominato Visiting Professor di Filosofia, Scienza, Tecnologia e Società presso la Penn State e insegnò anche all'Università di Brema.

Negli ultimi anni fu colpito da una crescita tumorale sul volto che, in conformità con la sua critica alla medicina ufficiale, tentò, senza successo, di curare con metodi tradizionali. Fumava regolarmente oppio per lenire il dolore. All'inizio della malattia, consultò un medico per valutare la possibilità di rimuovere il tumore, ma gli fu detto che con grande probabilità avrebbe perso la facoltà di parlare e così convisse come meglio poté con la malattia, da lui definita "la mia mortalità".

Il suo essenziale interesse fu rivolto all'analisi critica delle forme istituzionali in cui si esprime la società contemporanea, nei più diversi settori (dalla scuola all'economia e alla medicina), ispirandosi a criteri di umanizzazione e convivialità, derivati anche dalla fede cristiana, così da poter essere riconosciuto come uno dei maggiori sociologi dei nostri tempi.Le persone comunicano assai più profondamente con i silenzi che con le parole. Le parole e le frasi sono, infatti, composte anche da silenzi che hanno ancora più significato dei suoni stessi. Queste pause pregnanti che esistono tra i suoni e le espressioni diventano punti luminosi in un immenso vuoto. Il linguaggio è una corda di silenzio con alcuni nodi che sono i suoni...Confucio paragonava il linguaggio ad una ruota: sono i raggi che la uniscono al centro, ma sono gli spazi vuoti che fanno la ruota.

Per questo, se vogliamo capire un uomo, dobbiamo imparare a conoscere piuttosto i suoi silenzi che le sue parole, e, da parte nostra, non è tanto attraverso i suoni, che riusciamo a pronunciare, che trasmettiamo il significato, quanto piuttosto è attraverso le pause, che possiamo farci capire. Lo studio di una lingua si basa sull'apprendimento più dei suoi silenzi che delle sue parole. Soltanto i cristiani credono in una Parola che è, contemporaneamente, Silenzio. 

Imparare una lingua in modo umano e maturo, quindi, significa accettare la responsabilità dei silenzi e dei suoni di questa lingua. Il dono che un popolo ci fa quando ci insegna la sua lingua è più prezioso per il ritmo, il tono, le sottigliezze del suo sistema di silenzi, che per l'accordo dei suoni. E' un dono intimo e personale, per il quale dobbiamo essere riconoscenti a questo popolo che ci ha affidato la ricchezza della sua lingua. Una lingua di cui si conosca soltanto le parole e non le pause di silenzio è una continua offesa per chi l'ascolta, è una caricatura, come il negativo di una fotografia. 

Ci vuole più tempo, uno sforzo maggiore, una delicatezza più grande ad imparare il silenzio di un popolo che non le sue parole. Qualcuno ha un'attitudine particolare per questo, altri no. Questo forse spiega perché certi missionari, nonostante i loro sforzi, non giungono mai a parlare come si deve, a comunicare con delicatezza anche attraverso i silenzi. Anche se arrivano a parlare' con l'accento degli indigeni' rimangono sempre a mille miglia lontano. L'arte di imparare la grammatica del silenzio è assai più difficile di quella della grammatica dei suoni. Se le parole possono essere apprese col semplice ascolto, seguito da penosi sforzi di imitazione della parlata locale, i silenzi, invece, devono essere acquisiti con l'apertura del cuore. Proprio come per le parole vi è un'analogia tra il nostro silenzio con gli uomini e il nostro silenzio con Dio. Per imparare il pieno significato del primo, dobbiamo praticare ed approfondire il secondo.

Anche questo silenzio è minacciato, non solo dalla fretta e dalla profanazione della delicata molteplicità degli atti racchiusi in una parola, ma soprattutto dalla nostra abitudine ai discorsi verbosi ed alla fabbricazione in serie delle parole con criteri di produzione di massa che non possono perdersi dietro la delicatezza del linguaggio. La testimonianza silenziosa del missionario è, in ultima analisi, un dono, un dono di preghiera, appreso, cioè, nella preghiera da qualcuno che è infinitamente distante e infinitamente straniero, e sperimentato nell'amore per gli uomini che sono sempre più distanti e stranieri di quelli che conosce in patria. Ora, può avvenire che il missionario dimentichi che il suo silenzio è un dono nel suo significato più profondo, cioè qualcosa di dato gratuitamente, un dono concretamente fatto a noi da coloro che vogliono insegnarci la loro lingua. Colui che tenta di acquistare una lingua come si acquista un vestito, di conquistarla impadronendosi della grammatica, è qualcuno che in sostanza tenta di violentare la cultura nella quale è stato inviato. Fino a che si considera un missionario, dovrà riconoscere di essere frustrato, di essere stato, sì, mandato da qualcuno, ma di non essere arrivato da nessuna parte; ha lasciato la sua patria, ma non ha trovato nessun'altra terra, ha lasciato la sua casa, ma non ne ha più trovata un'altra. Continua a predicare ed è sempre più consapevole di non essere capito. Le sue parole sono la parodia di una lingua.

                     (Illich, I., Rivoluzionare le istituzioni, Mimesis)                                                                                                                                                               Mauro Armanino,Niamey

Ora, dopo una breve biografia ripresa da Internet, perché volevo conoscere questo personaggio a me sconosciuto, prima che mi inviasse il  ì testo Padre Armanino, posso riportarlo qui, così capiamo parte del loro immenso pensiero:

Eloquenza del silenzio
    di Ivan Illich

Le persone comunicano assai più profondamente con i silenzi che con le parole. Le parole e le frasi sono, infatti, composte anche da silenzi che hanno ancora più significato dei suoni stessi. Queste pause pregnanti che esistono tra i suoni e le espressioni diventano punti luminosi in un immenso vuoto. Il linguaggio è una corda di silenzio con alcuni nodi che sono i suoni...Confucio paragonava il linguaggio ad una ruota: sono i raggi che la uniscono al centro, ma sono gli spazi vuoti che fanno la ruota.

Per questo, se vogliamo capire un uomo, dobbiamo imparare a conoscere piuttosto i suoi silenzi che le sue parole, e, da parte nostra, non è tanto attraverso i suoni, che riusciamo a pronunciare, che trasmettiamo il significato, quanto piuttosto è attraverso le pause, che possiamo farci capire. Lo studio di una lingua si basa sull'apprendimento più dei suoi silenzi che delle sue parole. Soltanto i cristiani credono in una Parola che è, contemporaneamente, Silenzio. 

Imparare una lingua in modo umano e maturo, quindi, significa accettare la responsabilità dei silenzi e dei suoni di questa lingua. Il dono che un popolo ci fa quando ci insegna la sua lingua è più prezioso per il ritmo, il tono, le sottigliezze del suo sistema di silenzi, che per l'accordo dei suoni. E' un dono intimo e personale, per il quale dobbiamo essere riconoscenti a questo popolo che ci ha affidato la ricchezza della sua lingua. Una lingua di cui si conosca soltanto le parole e non le pause di silenzio è una continua offesa per chi l'ascolta, è una caricatura, come il negativo di una fotografia. 

Ci vuole più tempo, uno sforzo maggiore, una delicatezza più grande ad imparare il silenzio di un popolo che non le sue parole. Qualcuno ha un'attitudine particolare per questo, altri no. Questo forse spiega perché certi missionari, nonostante i loro sforzi, non giungono mai a parlare come si deve, a comunicare con delicatezza anche attraverso i silenzi. Anche se arrivano a parlare' con l'accento degli indigeni' rimangono sempre a mille miglia lontano. L'arte di imparare la grammatica del silenzio è assai più difficile di quella della grammatica dei suoni. Se le parole possono essere apprese col semplice ascolto, seguito da penosi sforzi di imitazione della parlata locale, i silenzi, invece, devono essere acquisiti con l'apertura del cuore. Proprio come per le parole vi è un'analogia tra il nostro silenzio con gli uomini e il nostro silenzio con Dio. Per imparare il pieno significato del primo, dobbiamo praticare ed approfondire il secondo.

Anche questo silenzio è minacciato, non solo dalla fretta e dalla profanazione della delicata molteplicità degli atti racchiusi in una parola, ma soprattutto dalla nostra abitudine ai discorsi verbosi ed alla fabbricazione in serie delle parole con criteri di produzione di massa che non possono perdersi dietro la delicatezza del linguaggio. La testimonianza silenziosa del missionario è, in ultima analisi, un dono, un dono di preghiera, appreso, cioè, nella preghiera da qualcuno che è infinitamente distante e infinitamente straniero, e sperimentato nell'amore per gli uomini che sono sempre più distanti e stranieri di quelli che conosce in patria. Ora, può avvenire che il missionario dimentichi che il suo silenzio è un dono nel suo significato più profondo, cioè qualcosa di dato gratuitamente, un dono concretamente fatto a noi da coloro che vogliono insegnarci la loro lingua. Colui che tenta di acquistare una lingua come si acquista un vestito, di conquistarla impadronendosi della grammatica, è qualcuno che in sostanza tenta di violentare la cultura nella quale è stato inviato. Fino a che si considera un missionario, dovrà riconoscere di essere frustrato, di essere stato, sì, mandato da qualcuno, ma di non essere arrivato da nessuna parte; ha lasciato la sua patria, ma non ha trovato nessun'altra terra, ha lasciato la sua casa, ma non ne ha più trovata un'altra. Continua a predicare ed è sempre più consapevole di non essere capito. Le sue parole sono la parodia di una lingua.
                     (Illich, I., Rivoluzionare le istituzioni, Mimesis)                                                                                                                         
                                        Mauro Armanino, Niamey

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Il Paradiso non può attendere: dobbiamo già cercare il nostro Cielo qui sulla terra! Questo blog tratterà di argomenti spirituali e testimonianze, con uno sguardo rivolto al Carmelo ed ai suoi Santi