giovedì 29 giugno 2023
New National Anthem of Niger (2023) - "L'Honneur de la Patrie" di P. MAURO ARMANINO
lunedì 26 giugno 2023
Quel che fanno a Niamey - Niger - per offrire un diploma professionale alle donne
sabato 24 giugno 2023
Perché chiamiamo Eid al - Adha, Tabaski nell'Africa Nera? editoriale
Perché chiamiamo Eid al-Adha, Tabaski nell'Africa nera?
Il Eid al-Adha (in arabo عيد الأضحى, "festa del sacrificio") o Aīd al-Kabīr (العيد الكبير "la grande festa" in contrapposizione a Eid al-Fitr chiamato eid el-seghir, o piccolo eid), è la festa più importante dell'Islam. Lei è chiamata Tabaski nei paesi dell'Africa occidentale e centrale (Ciad, Camerun) con una grande comunità musulmana. Si svolge il 10 del mese di dhou al-hijja, l'ultimo mese del calendario musulmano, dopo waqfat Arafao stazione sul monte Arafat e segna ogni anno la fine del hajj.
ilEid el-Kebir è chiamato il Tabaski in Senegal e negli altri paesi dell'Africa occidentale francofona (Guinea, Mali, Costa d'Avorio, Benin, Burkina Faso, Togo, Niger, Camerun) e ad esempio in Nigeria. Nel Nord Africa si chiama Tafaska tra la tradizione del Maghreb Amazigh mentre gli altri berberi, in arabo, usano il nome arabo. In Turchia, è chiamato Festa del sacrificio e nei Balcani, Kurban Bajram.
In francese si usa anche il termine festa delle pecore.
Ma è la parola Tabaski, mutuata dai Wolof, ad avere maggior successo nei paesi dell'area sudanese-saheliana, dal Senegal al Ciad, passando per Mali, Burkina e Niger. Il che non sorprende se si sa che i Wolof adottarono l'Islam nell'XI secolo e che il Senegal, beniamino della colonizzazione francese, è stato il punto di riferimento della regione per diversi secoli.
L'Islam, come in molti altri luoghi, si è adattato alle circostanze locali. La struttura altamente gerarchica delle confraternite e il peso dei marabout sono quindi un riflesso della società tradizionale di Wolof. Questo fenomeno di acclimatazione è molto chiaro a livello lessicale. In Senegal, i festival hanno i nomi di Wolof e il calendario islamico è stato completamente "Wolofized" Origine negro-egiziana della parola Tabaski / Tafaska / Pasqua, conservata nel giudaismo, nel cristianesimo e quindi nell'islam:
Secondo l'articolo di Dominique Mataillet dal sito web Jeune Afrique: "
Per tornare a Tabaski, gli storici concordano nel confrontare questa parola con tifeski, il nome della primavera in Mauritania. Secondo un autore molto serio, il professor Raymond Mauny, che ha ricoperto una delle prime cattedre nella storia dell'Africa in Francia, la parola tabaski proviene da berbero che conferma il riavvicinamento con la Mauritania, poiché i Mori sono essenzialmente Tuareg arabizzato dove sarebbe stato ispirato dal latino pasqua, "pasqua", esso stesso dall'ebraico pesakh. Questo ci ricorda che una parte dei berberi è rimasta a lungo fedele alla religione ebraica.
La spiegazione sarebbe ancora più lunga, ma mi fermo qui.
TIRANNIE SENZA TIRANNI: UNO SGUARDO AL SAHEL di Padre MAURO ARMANINO
sabato 17 giugno 2023
PER POI MORIRE A NIAMEY di Padre MAURO ARMANINO (Con nota del redattore)
Per poi morire a Niamey
John è morto all’età di 19 anni di tubercolosi nel campo di Hamdallaye. Appena quattordicenne aveva abbandonato il Sudan del Sud perché, dalla sua nascita, non aveva conosciuto nient’altro che la guerra. Voleva un mondo che non aveva mai visto prima e del quale le immagini lo seducevano per scappare lontano. Raggiunta infine la Libia, con altri compagni di viaggio, non ha potuto evitare di essere imprigionato e ridotto in schiavitù nei campi di detenzione libici che l’Europa finanzia. Ivi diventa maggiorenne finché, per accordi umanitari, arriva a Niamey e soggiorna per un paio di settimane nel campo di transito per i rifugiati. Il villaggio che ospita il campo si chiama Hamdallaye, nome arabo che significa ‘ Lode a Dio’e si trova a una trentina di kilometri dalla capitale. Affetto di tubercolosi soccombe alla malattia nel campo di transito che lo ha accolto per il viaggio definitivo nel cimitero cristiano di Niamey. La tomba è stata scavata il mattino stesso della sepoltura che si è celebrata alla presenza di alcuni compagni di viaggio e vari operatori dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati. Il feretro semplice ed essenziale, con quattro piccole maniglie, e poi la terra a coprire il corpo di John, nome che vuol dire ‘Dono di Dio’.
Questo venerdì mattina, giorno della sepoltura, a Niamey era sereno dopo la pioggia dei giorni scorsi, attesa e temuta come accade nel Sahel. Accanto al feretro di John, nell’atrio adibito per le preghiere prima della sepoltura, stavano in silenzio alcuni eritrei, sudanesi e originari del Camerun che lo hanno accolto per i pochi giorni di vita che gli rimanevano. Era arrivato ammalato per le condizioni di vita disumane nei campi di detenzione in Libia. Prima che l’assistenza medica potesse intervenire John è partito altrove onde raggiungere l’unica patria che non ha territorio, bandiera o esercito che difenda le frontiere. Dal Sudan del Sud, ultimo nato nel consesso dei popoli per la secessione dal Grande Sudan, John ha terminato l’esodo nel Niger. La sabbia del cimitero cristiano di Niamey l’ha accolto senza fare distinzioni, discriminazioni o differenze. La tomba vuota è stata riempita dal feretro e poi dalla sabbia ancora fresca perché scavata di prima mattina da due volontari. Il canto a voce sommessa di un eritreo ha dato il tono alla semplice preghiera di commiato. Da una patria abbandonata per la guerra all’altra senza documenti di viaggio perché nascosta da qualche parte agli occhi profani dei potenti che fanno le guerre.
La sua famiglia è stata informata dell’ultimo viaggio di John, partito in fretta senza prima conoscere la destinazione del viaggio.
Ndr: L'eterno riposo dona a lui o Signore, e splenda a lui la luce perpetua, riposi in pace. Amen
Che sia eterno riposo anche per tutti i migranti annegati nel Mediterraneo vicino alla Grecia. Dicono che il peschereccio su cui viaggiavano portasse dai 600 ai 750 migranti. Non so come potessero starci tutti, e un centinaio di bambini erano stipati nella stiva del natante. Solo poco più di un centinaio di persone sono state portate in salvo.
Da ANSA:Passano le ore e il mare non restituisce altri corpi dopo i primi 78 riportati mestamente sul molo di Kalamata mercoledì. Ma il naufragio a Pylos, nel sud del Peloponneso, è ormai destinato ad entrare nella storia come una delle peggiori tragedie di migranti nel Mediterraneo con un bilancio che rischia di registrare "fino a 600 morti", molti dei quali non saranno mai ritrovati. E a diventare una vera e propria strage di bambini. Ce n'erano "almeno 100 chiusi nella stiva", raccontano i superstiti ai medici e ai volontari che li assistono. "Secondo le testimonianze, al momento dell'incidente molte donne e bambini stavano dormendo", Ha dichiarato Christina Nikolaidou, responsabile della comunicazione dell'Oim Grecia.
Il peschereccio Adriana naufragato, secondo i soccorritori è partito vuoto dall'Egitto, si è fermato nel porto libico di Tobruk per caricare i migranti e poi ha proseguito la sua rotta verso l'Italia.
Che Dio li accolga nella sua Gloria!
sabato 10 giugno 2023
LE VITE BRUCIATE DEL SAHEL di Padre MAURO ARMANINO
Harraga - dipinto di Khetib Sid Tlemcen
Le vite bruciate del Sahel
Li hanno trovati carbonizzati a qualche chilometro da Madama, nel deserto nigerino che lambisce quello della Libia. Sei migranti che l’incendio del veicolo che li trasportava ha ridotto in cenere e che i militari nigerini, accorsi sul posto, non hanno potuto identificare. Poco lontano dai resti giacevano, feriti dalle fiamme di un altro veicolo, altri dieci migranti. Vite bruciate di giovani che la saggia follia del miraggio di un futuro altro, ha buttato lontano dalle piste conosciute dagli autisti delle camionette. Questi giovani bruciati sono metafore di quanto, da troppo tempo ormai, accade nel Sahel e nel Continente.
In Algeria li chiamano gli ‘Harraga’ che, nell’arabo maghrebino, significa ‘coloro che bruciano’ (i propri documenti). Si tratta di giovani adulti che, in assenza di prospettive d’avvenire, sono spinti ad abbandonare l’Algeria con tutti i mezzi possibili, spesso con imbarcazioni di fortuna. La costa spagnola dista a circa 200 kilometri dalla costa algerina e sono in tanti ad aver tentato il viaggio della vita che non raramente, porta alla morte. Lo stesso nome è ripreso in Tunisia che, vista la cronica instabilità della Libia, sembra essere diventata il più importante luogo di partenza per i migranti che ‘bruciano i documenti’, gli Harraga.
Tunisini, algerini, senegalesi, guineani, maliani e rifugiati dalle guerre del Corno d’Africa, il Sudan, il Congo Democratico e altri Paesi, bruciano per andare altrove. Troppo spesso, infatti, si sentono intrappolati da stati autocratici nei quali la censura, la miseria e la disoccupazione spingono i giovani a rincorrere un futuro confiscato per sempre. Molti scelgono la lotta col mare, col deserto e soprattutto col destino che altri hanno firmato per loro. C’è un crescente senso di disperazione che, come un vento impetuoso, porta lontano, sempre più lontano le speranze. C’è chi brucia dentro per inseguire il desiderio di vivere, c’è chi brucia i documenti e chi, come accaduto la settimana scorsa, brucia nel deserto.
Pazzi, profeti, esagerati, irresponsabili o forse semplicemente giovani con la fiamma che brucia frontiere, documenti, permessi di transito e leggi che dovrebbero proteggerli. Nel passato erano i militari che, in buon ordine, scortavano i migranti in Libia perché potessero lavorare il tempo necessario per aiutare la famiglia in patria. Arrivarono le leggi, le frontiere di esportazione nuove di zecca, con l’incriminazione e l’arresto degli autisti e di quanti favorivano la migrazione. Il risultato, ancora parziale, sono centinaia di morti nel deserto (528 persone in un trimestre, secondo un recente rapporto dell’Organizzazione Internazione per le Migrazioni, OIM). D’altronde l’organizzazione ‘Border Forensic’, in un documento pubblicato il mese scorso, indica che i migranti, su piste isolate, hanno scarse possibilità di sopravvivenza nella traversata del deserto.
Ritorna in mente lo scritto di un poeta turco di nome Nazim Hikmet…’Che io bruci/ che cenere io diventi/ come Kerem/ se io non…/ se noi non bruciamo/ come le tenebre diventeranno luce’?
Nazim Hikmet
Mauro Armanino, Niamey, giugno 2023
giovedì 8 giugno 2023
È TEMPO ...DI ATTESA : monastero di San Benedetto - MILANO
lunedì 5 giugno 2023
13 martedì con sant'Antonio 2023 - Tredicesima video-meditazione
sabato 3 giugno 2023
IDENTITÀ IN ESILIO A NIAMEY di Padre MAURO ARMANINO
Assamaka frontiera del Niger
Identità in esilio a Niamey
Un Paese ricco per gli altri e poi l’ennesimo colpo di stato. La Repubblica Centrafricana, inchiodata nel cuore dell’Africa sub sahariana, continua a tutt’oggi a esportare materie prime e rifugiati. Uno di questi chiamato Hassan, dopo aver perso entrambi i genitori appena quattordicenne, parte in esilio con una conoscente nel Mali. Da questo Paese, in pieno Sahel, domanda e riceve lo statuto di rifugiato in Mauritania. Fattosi sorprendere in una zona aurifera di questo Paese, Hassan, senza nessuna formalità è espulso nel vicino Senegal. Prova, senza alcun risultato, a ottenere lo statuto di rifugiato nella capitale Dakar. La domanda è respinta adducendo il fatto che il giovane, ormai diciottenne, già godeva di protezione umanitaria in un altro Paese. Allora Hassan, senza darsi per vinto, per vie traverse raggiunge il Marocco e, a Casablanca, conosce una signora del posto che gli propone di lavorare nel suo ristorante per stranieri.
Hassan accetta di seguirla in Algeria, nella città di Oran, dove lei gestisce un altro ristorante. Tutto va per il meglio per un paio d’anni finché, per avere i propri documenti aggiornati, viaggia nella capitale Algeri. Mentre si trova in strada per raggiungere l’apposito ufficio delle Nazioni Unite, è arrestato dalla polizia perché senza documenti validi, derubato da tutto quanto portava su di lui e deportato, con altre decine di persone, sino a Tamanrasset. Dopo qualche giorno di soggiorno nell’apposito centro di transito, Hassan è imbarcato, con altri compagni di sventura, nel camion fino alla frontiera col Niger. Migranti, rifugiati, richiedenti asilo, esuli, viaggiatori, commercianti, trafficanti, cercatori d’oro e di sabbia, tutti messi assieme a migliaia e parcheggiati nella città frontaliera di Assamaka, nel Niger. Il tempo di essere registrati dalle autorità e poi ‘consegnati’ all’Organizzazione Internazionale delle Migrazioni, per un rimpatrio ‘volontario’.
Hassan, nato all’alba del nuovo millennio, ne incarna le innumerevoli contraddizioni. Dei suoi 23 anni di esistenza una decina sono partiti in esilio cominciando dalla sua patria, più matrigna che madre. Si trova, grazie alla complicità dell’OIM, in un luogo di transito che dovrà abbandonare perché non ha la minima intenzione di tornare al Paese d’origine nel quale nessuno più l’aspetta. Conta di chiedere il riconoscimento come rifugiato a Niamey, cosa altamente improbabile visto che lui era già stato schedato come tale in Mauritania. Non riconosciuto come migrante dall’OIM tenterà di presentare la domanda come richiedente asilo nel Niger, con esigue speranze che la sua domanda sia presa in considerazione. Hassan porta in sé una cartina geografica dove le frontiere e i documenti di identità riconosciuta, nascosta o trasformata a seconda delle circostanze, ridisegna la sua vita. Ormai da anni l’identità di Hassan è in esilio umanitario perché la guerra prima e i documenti dopo, l’hanno prima creata e poi tradita. Hassan afferma di non voler più tornare al suo Paese natale.
Mauro Armanino, Niamey, giugno 2023
giovedì 1 giugno 2023
MARIA BONINO E LA COOPERAZIONE A SUD DEL SAHARA - la Fondazione in ricordo della sua opera
Immagini della dott.ssa pediatra MARIA BONINO
In memoria di ROSSO MARIA sorella dei Padri RENATO e ARMANDO ROSSO OCD
Siamo vicini ai Padri Carmelitani per la scomparsa della loro cara sorella e la ricordiamo nelle nostre preghiere.
In memoria di Suor M. BENEDETTA DEGLI ANGELI
Breve profilo biografico di
Suor M. Benedetta degli Angeli
Paone Dorotea (Dora)
nata a Maida (Cz) il 22.03.1931
deceduta a Torino, in Casa Generalizia, il 26.05.2023
Ultima di otto figli, Dora (così la chiamavano in famiglia) entrò nella nostra Congregazione a 25 anni. Aveva già una sorella Religiosa, fra le Suore di S. Giuseppe Benedetto Cottolengo.
Fece la Professione religiosa a Torino, il 4 maggio 1959, e per circa quarant’anni fu quasi sempre impegnata nell’educazione dei bimbi della Scuola dell’Infanzia, come aiuto-insegnante e poi come responsabile di sezione, in varie Case: a Pozzale, a Santa Maria Capua Vetere e Milano (dove tornò più volte), Torino-Corso Farini, Legnano; e poi ancora a S. Francesco al Campo, Balangero, Civenna, Venaria Reale; due volte a Marene e infine a Bergoro. Prestò aiuto, per brevi periodi, nel pensionato di S. Stefano Roero e in Casa Generalizia. Nel 1999 fu trasferita nella Casa di Mondovì, dove rimase fino al 2011 e si rese disponi-bile soprattutto per il servizio della portineria. In tutte queste comunità mostrò sempre il desiderio di amare e servire il Signore, attraverso l’incarico che le veniva affidato, e un grande affetto per la Famiglia religiosa. Divenuta anziana, trascorse alcuni mesi a Rodengo Saiano e due anni in Corso Farini. Dal settembre 2013 si trovava nell’infermeria della Casa Generalizia, dove ha trascorso i suoi ultimi dieci anni offrendo al Signore la preghiera e la grande ‘purificazione’ dell’infermità, che si è via via aggravata, fino a costringerla nel letto. Negli ultimi mesi non riusciva più a parlare. Venerdì 26 maggio, antivigilia di Pentecoste, verso le ore 22 ha cominciato a respirare con grande fatica e in brevissimo tempo è spirata, senza più soffrire. Le Sorelle e il Personale che la accudiva hanno testimoniato che molte volte, lungo la giornata, aveva sorriso e carezzato chi la aiutava nelle sue necessità. Forse sentiva che la morte si avvicinava e ha voluto congedarsi, esprimendo la propria riconoscenza…
La affidiamo agli Angeli, di cui portava il nome. Come insegnante nella Scuola dell’Infanzia ha raccomandato sempre ai bambini di pregare il proprio Angelo custode. Ora noi chiediamo agli Angeli e alla Vergine Santa di presentarla al Signore, perché la introduca nella Vita eterna. Porgo le mie condoglianze alla sorella Nicolina e a tutti i nipoti e pronipoti, a lei tanto affezionati. Ora Suor Benedetta, dal Cielo, intercederà per tutte le loro necessità materiali e spirituali.
Ringrazio le Sorelle e il Personale della Casa Generalizia, che l’hanno accudita. Pregheremo il S. Rosario in suffragio di Sr. Benedetta domenica 28 maggio alle ore 15.30. Il funerale sarà celebrato in Casa Generalizia martedì 30 maggio alle ore 10.30.
Sr. Benedetta sarà sepolta nel cimitero monumentale di Torino, accanto alle consorelle.
Torino, 27 maggio