In fine del cammin di nostra vita
cent’anni e rotti in internet oscura
di pianti e lai mi ritrovai smarrita.
Ahi, quali affanni, duolo e che paura
strizzarono il mio core in tale sorte
e zoppicando entrai nella radura.
Paga, satàn, paga satàn a morte
strillava Monti con la voce chioccia
ricevendosi in viso molte torte.
Fu allora che dall’alto di una roccia
Domenica Luise si tuffava
con le braccia aggrappate alla capoccia.
Ella peraltro la poesia che amava
qual salvagente per andare a fondo
usò dell’alma umana nella lava
dalle tenebre buie di questo mondo
fino all’iperuranio glorioso
di luce chiara e canti assai giocondo.
Tempi crudeli fecero il maestoso
furore giovanile surgelare
recalcitrando qual cavallo ombroso
e qual cavillo da sperimentare
a salvezza delle anime perdute
e contro ogni speranza ormai sperare.
La bufera immortal, che l’alme mute
travolge stringe e sbatte infuriata
non ha pietà delle teste canute
né dell’umanità triste e malata
ovver dei ragazzini viziati
in una sorte certo assai ghiacciata.
Ed i politicanti disperati
litigiosi, imbroglioni e così sia
all’inferno per sempre rigettati
ma non da soli, in buona compagnia
di bugiardi, pedofili e assassini
che di ogni onore fanno simonia.
Domenica Luise
(File disegnato al computer da Domenica Luise)
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