AFORISMA

Meglio aggiungere vita ai giorni, che non giorni alla vita
(Rita Levi Montalcini)

Nostra Signora del Carmelo

Nostra Signora del Carmelo
colei che ci ha donato lo scapolare

lunedì 27 novembre 2023

QUESTO E' IL VOLTO DEL PADRE? Sesta conferenza Padre Claudio Truzzi OCD

6-b – QUESTO È IL VOLTO DEL PADRE?  2


Galla Placidia Lunetta del buon Pastore (RA)

3.   DIO CI CONOSCE UNO AD UNO  (BUON PASTORE)

– «Io sono il buon pastore; conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me ed offro la vita per le pecore. Il mercenario, invece, che non è pastore, cui non appartengono le pecore, vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge e il lupo le disperde...  Io conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, come il Padre conosce me ed io conosco il Padre. … E ho altre pecore che non sono di quest’ovile; anche queste io devo condurre; ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge ed un solo pastore...».  Gv 10, 11-19

– «Chi di voi ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va dietro a quella perduta, finché non la ritrova? Quando la trova se la mette contento, ritorna a casa, convoca gli amici e i vicini e dice loro “Fate festa con me, perché ho trovato le mia pecora che era perduta”...». Luca 15, 4-7

– I “Mercenari”: facile descriverli...;  anche se il pericolo più subdolo, non è il “lupo”. Il “lupo” più pericoloso è il “pastore” calcolatore: ossia chi vede gli altri in funzione del proprio nome, della propria faccia, del proprio vantaggio. Senza dubbio la più grave minaccia per le pecore consiste nell'essere dominate, sfruttate, strumentalizzate. 

– A noi, invece, interessano, i lineamenti del “Buon Pastore”. [Che, certo, non sono quelli, dolciastri, dei santini...]. La parabola ci presenta un gregge che non è mai al sicuro. Ed è di fronte al pericolo incom-bente che si precisa la linea di discriminazione tra il vero pastore e il mercenario. Il pastore affronta il pericolo per la difesa del gregge: il suo è un compito di responsabilità, di sollecitudine, di attenzione. 

Il buon pastore è “per” le pecore. Il suo interesse non è volto alla propria persona, ma alla vita delle pecore, alla loro salvezza. «Il buon pastore offre la vita per le pecore». Il Cristo ci tiene a precisare che questo avviene, non per un incidente banale, ma per atto di amore e di suprema libertà («Io offro la mia vita... Nessuno me la toglie, ma la offro da me stesso»).

II profeta Ezechiele (34, 8-16) – già da allora, 600 a.C – presenta il volto di Dio: «Ecco io stesso cercherò le mie pecore e ne avrò cura... Io stesso le condurrò al pascolo e io le farò riposare. ... Andrò in cerca della pecora perduta e ricondurrò all'ovile quella smarrita; fascerò quella ferita e curerò quella malata...».   

Con Cristo Gesù si realizza la promessa. Dio ha risposto all'attesa di un pastore diverso dagli altri. 

E Lui, quando si presenta, non è certo nella linea delle immagini e dei desideri degli scribi. Lui, è uno come tutti: povero, semplice, privo di segni esteriori di grandezza, allergico agli onori. L'opposto del dominatore e dello sfruttatore (o il Messia socio-politico, liberatore del popolo dalla schiavitù). 

Lui conosce i pericoli che minacciano il gregge e lotta contro le forze del male. Per questo si fa nomade instancabile, che va alla ricerca della “pecora smarrita”, si spinge lontano e non si stanca di chiamare gli sbandati, gli emarginati, i rifiutati. Lui accorre dove c'è un uomo che non ce la fa più, schiacciato sotto il peso della solitudine, della stanchezza, del disprezzo da parte dei benpensanti.

È un pastore che rivendica un titolo fondamentale: Lui è uno che sa, che conosce: «Conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, come il Padre conosce me ed io conosco il Padre». E si tratta di una conoscenza che non ha niente da fare con la semplice intelligenza e la psicologia. È questione di amore.

Allora, con un simile pastore, mi sta bene anche l'immagine del “gregge”. Non mi vergogno di appar-tenere al gregge. Infatti, appartenere alla Chiesa (al gregge di Cristo), non significa essere intruppati e camminare a testa bassa e rinunciare al proprio cervello e ai propri occhi. No! 

Quel pastore (Dio-Papà) è a servizio della mia dignità. Per questo, Lui non pensa al posto mio, e neppure decide per me. Dio mi tratta da adulto responsabile. E vuole che i “pastori”, suoi rappresentanti, facciano altrettanto. Io, dunque, sono un “valore” ai suoi occhi. Dio mi prende sul serio. Ho a che fare con un pastore attento a ciascuna delle sue pecore. E quando mi sento chiamare, non penso, subito ad un rimprovero o ad un castigo. Penso piuttosto, con sorpresa, che Dio mi conosce per nome.

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4.   CUORE DI PADRE  (FIGLIO PRODIGO) 

«Un uomo aveva due figli. Il più giovane disse al padre: “Padre, dammi la parte del patrimonio che mi spetta” Allora il padre divise le sostanze tra i due figli. Pochi giorni dopo... emigrò in un paese lontano e là, menando vita dissoluta, dissipò il  suo patrimonio... Tornato in sé, diceva: “Voglio ritornare da mio padre e dirgli: – Padre, ho peccato contro il cielo e contro di te”. Mentre era ancora lontano suo padre lo vide e ne ebbe compassione. Gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò... [E] il padre disse: “... Facciamo festa... perché questo mio figlio era morto ed è ritornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”»Luca 15, 1-32.

La parabola ha subito il torto di vedersi affibbiare un titolo errato. È, infatti, comunemente indicata come la storia del “figliol prodigo”; invece, la figura centrale, il protagonista indiscusso è il padre.

–  Di questo padre colpisce, prima di tutto, il silenzio.

C'è il figlio minore che parla, pretende. Il padre non spicca una parola.

Il suo è il silenzio dell'amore, rispettoso della libertà del figlio. Accetta il rischio di tale libertà. Certo addo-lorato, ma non adirato per la richiesta. Lui non può sostituirsi alla scelta del figlio. [Senza libertà non c'è amore. Un dottore della Chiesa parla appunto dell'uomo, al momento della creazione, come “rischio di Dio”].

Noi ci chiediamo, d'istinto: – Perché non l'ha trattenuto? Perché non gli ha rifilato una buon razione di legnate sulla schiena invece della parte del patrimonio che gli “spetta”?

Ma la vera paternità non va confusa col paternalismo. Quest'ultimo ne rappresenta la deformazione: con l'intento di proteggere, finisce per soffocare la crescita dell'individuo e di bloccarlo in uno stadio infantile.

«Nel contesto del Vangelo, Dio non appare come il padre che spranga la porta affinché i figli non escano di notte, ma la luce illuminante, la misteriosa bussola che orienta l'uomo nella sue scelte, che non lo abbandona nell'esercizio rischioso della libertà, e che crea nuove prospettive di liberazione, rifacendosi agli epiloghi che parrebbero disastrosi. Il padre può aiutare solo essendo un modello...» (Arturo Paoli).

Il padre parte con lui in una forma nascosta, interiore, che più tardi esploderà nella nostalgia del figlio.

–  E poi l'attesa. Avevo trascritto le seguenti riflessioni, tempo fa, ed ora mi sembrano illuminanti. 

«L’attendere obbliga alla vigilanza, alla veglia ed acuisce il desiderio. Voi sapete, amici che avete vis-suto certe attese, che le vivete oggi, tremando: voi avete provato ad attendere un figlio che veniva da lontano, dalla guerra forse, o tornasse da una brutta avventura; voi avete provato ad attendere e ad essere attesi. Sì, tornava, ma da dove? Ma che importa! Se ancora gli occhi bruciano per quell’aguzzarli per veder da più lontano possibile la casa, un volto, dei volti; e avete giudicato una crudeltà malvagia la sosta in quella città, e l’altra a qualche chilometro e l’altra ancora all’ultima svolta!... Allora avete capito che terribile e meravigliosa cosa sia attendere e che forza e che entusiasmo dà il saper di essere attesi».

UN BIGLIETTO...

Intorno alla stazione principale di una grande città, si dava appuntamento, ogni giorno e ogni notte, una folla di relitti umani: barboni, ladruncoli, marocchini e giovani drogati. Di tutti i tipi e di tutti i colori.

Si vedeva bene che erano infelici e disperati.

Barbe lunghe, occhi cisposi, mani tremanti, stracci, sporcizia.

Più che di soldi, avevano tutti bisogno di un po’ di consolazione e di coraggio per vivere; 

ma queste cose oggi non le sa dare quasi più nessuno.

Colpiva, tra tutti, un giovane, sporco e con i capelli lunghi e trascurati, che si aggirava in mezzo agli altri poveri naufraghi della città, come se avesse una sua personale zattera di salvezza.

Quando le cose gli sembravano proprio andare male, nei momenti di solitudine e di angoscia più nera, il giovane estraeva dalla sua tasca un bigliettino unto e stropicciato, e lo leggeva.

Poi lo ripiegava accuratamente e lo rimetteva in tasca.

Qualche volta lo baciava, se lo appoggiava al cuore o alla fronte.

La lettura del bigliettino faceva effetto subito.

Il giovane sembrava riconfortato, raddrizzava le spalle, riprendeva coraggio.

Che cosa c'era scritto su quel misterioso biglietto?

Sei brevi parole soltanto: “La porta piccola è sempre aperta”.

Tutto qui. Era un biglietto che gli aveva inviato suo padre.

Significava che era stato perdonato e in qualunque momento avrebbe potuto tornare a casa.

E una notte lo fece. Trovò la porta piccola del giardino di casa aperta.

Salì le scale in silenzio e si infilò nel suo letto.

Il mattino dopo, quando si svegliò, accanto al letto, c'era suo padre. In silenzio, si abbracciarono.

Il biglietto misterioso spiega che c'è sempre una piccola porta aperta per l'uomo.

Può essere la porta del confessionale, quella della chiesa o del pentimento.

E là, sempre un Padre, che attende. 

Un Padre che ha già perdonato e che aspetta di ricominciare tutto daccapo.

••  Secondo la Parabola sembra che il Padre sia rimasto in casa ad attendere il figlio, a scrutare l'orizzonte.  Invece il cuore del padre, invece, era andato lontano... 

Ha camminato più il padre che non il figlio, a pensarci bene. 

L'amore non si rassegna alle distanze, alla separazione. L'amore è sempre in movimento, sempre in anticipo; prende costantemente l'iniziativa, non si chiude in un'attesa corrucciata e indispettita. Il padre non si rassegna a stare nella casa piena zeppa di ogni bene – comprese le “opere buone” del figlio maggiore –. Quella casa gli sembra vuota, perché manca un figlio. Il Padre non tira un sospiro di sollievo perché si è liberato di un “piantagrane”. Impazzisce di gioia, ed obbliga tutti alla festa, quando si profila in lontananza la sàgoma del figlio. 

Dio non si rassegna alla perdita dell'uomo peccatore: lo spia, lo insegue, lo tormenta. Si sono poste in bocca di Dio queste parole: – Non mi cercheresti se non mi avessi già trovato –. Forse sarebbe meglio precisare: – Non mi cercheresti se IO non ti avessi già trovato... –.

••  Questa parabola è uno dei test più inquietanti: forse la prova decisiva della nostra fede è proprio questa. Siamo di fronte ad un comportamento per lo meno singolare: quello del Padre nei confronti del figlio che ritorna dopo aver ”dilapidato” i suoi beni con le male-femmine. 

Esso esige il nostro giudizio, la nostra approvazione oppure il nostro dissenso. «... Era ancora lontano quando suo padre lo vide e s'intenerì; gli corse incontro, gli si gettò al collo, lo baciò e ribaciò...». 

DIO: un abbraccio

Una volta una bambina chiese alla mamma: «Mamma, chi è Dio?». 

La mamma rimase sbalordita da quella domanda così ardita. D'altra parte era contenta che proprio la sua bambina le avesse fatto quella domanda tanto importante. 

Allora, come per ringraziarla, se la prese tra le braccia e se la strinse forte al petto e la baciò. 

In quel momento le venne la risposta: «Cara bambina mia, Dio è quello che provi ora con me!». 

Dio è un abbraccio. Dio è un bacio. «l padre gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò» (Luca 15, 20). Che cosa pensiamo di questo gesto? Siamo in grado di accettare i gesti del Padre, il suo intenerirsi, il correre incontro a quello scavezzacollo, il gettargli le braccia al collo, e il baciarlo e ribaciarlo? 

Oppure ci sembra che ci sia dell'esagerazione o, peggio, della debolezza senile? Accettiamo di “far festa”? Non di contraggenio, ma con la consapevolezza che la festa per il ritorno è dove-rosa?    

Il nostro cristianesimo va misurato a quelle braccia. Una prova soprattutto per il cuore. È capace di sopportare quel gesto immenso e pazzesco? L'esame più impegnativo della fede cristiana consiste nel metterci a contatto con l'amore di Dio e vedere se non rimaniamo scandalizzati.

•   Un autore ha tratto la seguente considerazione profonda.

«Quando andiamo a confessarci dovremmo ricordarci che riceviamo un dono smisurato da parte di Dio (Il figlio che ritorna non ottiene più delle cose. Quelle le ha già avute e le ha dilapidate. I sandali, il vestito, l'anello, stanno ad indicare la dignità ricuperata e che dev'essere riconosciuta da tutta la famiglia, sono i “segni” dello stato di figlio, molto più importanti del malloppo che ha preteso al momento della partenza).

Ma dovremmo, anche convincerci che restituiamo a Dio qualcosa di cui l'avevamo defraudato, qualcosa che Lui attende: la nostra comunione con Lui. In fondo anche Dio riceve qualcosa di prezioso da noi, dal nostro ritorno, dalla nostra conversione.

Confessarsi significa ricevere e dare. Accogliere e restituire. La gioia è anche quella di Dio; anzi è sopratutto la sua – molti cristiani, invece, non escluse le persone religiose, escono immusonite dal confessionale, dimenticando che hanno ricevuto una “sentenza di festa”! –

Non è esatto affermare che “portiamo a Dio i nostri peccati”. No! Gli “riportiamo” la nostra presenza, la possibilità di essere Padre “arricchito” di un figlio. Quando il Prodigo che ritorna cerca di elencare le pro-prie mascalzonate, il padre non lo sta neppure a sentire. Non è ciò che gli interessa. Quello che gli preme è che il figlio entri “da figlio” in casa. Non gli chiede conto che fine abbiamo fatto i suoi soldi. Il “dissipato-re” ha riportato indietro il tesoro più prezioso: la capacità, la voglia di “essere”». (Pronzato, Il pane della Domenica). 

••  Noi: “Indispensabili” al cuore di Dio 

 – «Io sono il buon pastore...».  

– «O quale donna, se ha dieci dramme e ne perde una, non accende la lucerna e spazza la casa e cerca attentamente finché non la ritrova?».

– «Un uomo aveva due figli....».

Qual è il dato fondamentale, che emerge dalle tre parabole?

• Il pastore non si ritiene ricco, appagato, perché ha pur sempre 99 pecore al sicuro. Si pone alla ricerca affannosa di quella smarrita. Le 99 rimaste non lo risarciscono della perdita di quell'unica vagabonda.

• La donna non si consola contando le 9 dramme che serra in pugno. È povera [il gruzzolo, in tutto, vale press'a poco 10 Euro]. Ma non si rassegna a rimanere impoverita di quella moneta che è andata a finire chissà dove. E mette tutto sottosopra; si dà un gran daffare e disturba il mondo intero per il prezioso ritrovamento.

• Il padre ha due figli: uno se ne va con una procedura piuttosto insolita, e quello rimasto – per quanto “esemplare”, almeno all'apparenza – non lo consola dello scavezzacollo che è partito sbattendo la porta.

La conclusione è evidente: la contabilità di Dio è diversa dalla nostra. Non si basa su criteri quantitativi. Basta un segno meno, una sottrazione (per quanto piccola), e i conti per Lui sono in rosso. Invece, anche una sola persona ha un valore “unico” agli occhi di Dio: un valore non sostituibile.

Ciascuno di noi è prezioso, importante. “Importante di amore” (P. Talec). E quindi degno di ricerche ostinate, preoccupazioni, sollecitudini infinite, attese pazienti da parte di Dio.

“Dio è povero” – si afferma. Ma è certo che non si rassegna ad essere “impoverito” anche di una sola delle sue creature. 

Dio è povero, ma possiede un patrimonio immenso; e quella che per noi sarebbe una perdita “irrilevante”, quasi vantaggiosa per la tranquillità della casa [“Ci liberiamo di rami secchi” commenterebbe, forse qualcuno di noi], una cifra irrisoria..., nel suo cuore provoca una lacerazione dolorosissima, che può essere ricomposta unicamente col recupero di quel minuscolo, incalcolabile tesoro.

L'uomo può cessare di essere figlio. Può far a meno del Padre; può stare senza Dio; può fuggire. Ma Dio non si rassegna a stare senza l'uomo.

O Signore, 

non tutti i figli sono sulla via del ritorno. 

Ritorneranno, ma intanto si credono ancora in diritto di farTi soffrire. 

E il ritorno d’un figlio non fa cessare l'agonia del Padre.

Tanti, tantissimi – basterebbe anche uno solo – sono lontani, 

vogliono essere lontani, rifuggono il Tuo sguardo, 

su strade che sanno ancora troppo di falsità, d’illusione, 

di speranze umane chiuse al Tuo Mistero, 

ma non per questo, capaci di trattenere il Tuo amore. 

E Tu stai in attesa:

ad ogni istante c'è un ritorno, c'è un abbraccio di gioia, 

ma la storia di questo mondo

è fatta ancora da molteplici istanti di attesa. 

La Tua sofferenza di Padre è anche e, soprattutto,

per noi, che ci riteniamo figli devoti, da lungo tempo padroni di casa. 

L'avventura più brutta è non riuscire più a vivere l'avventura di una Casa dove

la legge dei figli è la legge del Padre; 

dove per legge s'intende l'amore del Padre, la sua ansia per chi è lontano, 

il suo attendere il ritorno di tutti i figli, il suo soffrire per quelli di casa

che hanno fatto, di questa casa, una sicurezza personale, 

un privilegio indiscutibile, un meritato riposo.

Non intendo dire che occorre invidiare l'avventura del figliol prodigo; 

intendo affermare che è necessario vivere 

l'avventura di figli devoti 

lasciandoci rinnovare continuamente, 

giorno per giorno, dalla potenza dello Spirito. 

Essere figli fedeli a queste esigenze rinnovatrici dello Spirito Santo, 

è cercare di dare maggior respiro a questa Casa.

Non tutti i figli s’allontanano perché figli "prodighi", incoscienti, spensierati; 

tanti se ne vanno perché incapaci 

di sopportare la pesantezza d’una casa, 

dove si è perso il gusto di vivere 'attesa del Padre e l'attesa di figli, 

la cui testimonianza operosa è il miglior invito all'abbraccio di un ritorno. 

L'attesa del Padre è l'attesa di tutta la Casa, 

l'ansia del Padre è l'ansia di tutti i figli devoti, 

la gioia del Padre è la gioia del mondo intero                                                          

IO SONO IL TUO DIO 

Io sono il tuo Dio – e ti sto vicino: 

non puoi avere di più sulla terra,

solo io posso riempire il tuo cuore.

Sei solo? Io ti farò compagnia

Nessuno ha una parola buona per te?

Ricorri con fiducia al mio cuore e ti esaudirò.

Io sono il tuo Dio,

e ti resto fedele anche quando ti “mando”la croce per quanto pesi; 

se la porti con amore, diventerà leggera

Io sono il tuo Dio – e penso a te...; 

dall'eternità ho pensato a te,

e per te ho dato il mio sangue e la mia vita, 

come posso dimenticarmi di te!?.

Io sono il tuo Dio

e tutto dispongo per il tuo meglio:

se ora non lo capisci, un giorno lo vedrai con tutta la chiarezza e mi ringrazierai.

Io sono il tuo Dio, – ti amo fedelmente, 

conosco tutto ciò che affligge il tuo cuore,

vedo ogni sguardo, ascolto ogni parola che ti contraria.

Accetta tutto con tranquillità e pace 

perché sono io che permetto affinché tu perseveri. 

Restami fedele affinché il mio cuore te ne ricompensi,

Io sono il tuo Dio, 

il mondo passa, il tempo fugge, gli uomini scompaiono,

la morte tutto ti rapisce, una sola cosa ti resterà, il tuo Dio.


•  «Non c’è che una sola specie di amore buono; però ci sono mille “copie” differenti» 

(Le Rochefoucould).

E l’amore buono è quello di Dio. Lui ama e perdona. Noi troviamo difficoltà nell’ammettere quest’amore, perché Lui ama gratuitamente, senza far troppo caso ai nostri meriti. 

Noi non siamo d’accordo con questo modo di procedere. 

Nonostante noi siamo immagini di Dio – “copie” mal riuscite –, a noi, al nostro comportamento manca l’accoglienza, la comprensione, la tolleranza, il perdono...

L’amore è vita per tutti, principalmente per i bambini. Assicurano che la mancanza di amore finì nel secolo XIX, con più della metà dei bambini nati. La mancanza di una mano benevola, di uno sguardo, di una parola tenera, dell’abbraccio materno... debilitarono e portarono alla morte quei bambini, per i quali la vita non aveva nessun senso.

Sempre, allorché si ama un altro, s’ottiene che lui viva tranquillo, in pace, accettato e felice.

Chi ha conosciuto Dio, il suo amore, non può far a meno di amare. 

A sua volta, potrà giungere a conoscere Dio, “allenandosi” nello “sport” dell’amore. 

«Io ho sempre creduto che il miglior mezzo di conoscere Dio è di amare molto» (Vincent Van Gogh)


GEOPOLITICHE DEL SAHEL di P. MAURO ARMANINO

                                        

Geopolitiche del Sahel

Come simboli del nostro pensiero, potremmo prendere tre elementi molto comuni del nostro spazio saheliano.  Polvere, vento e sabbia...

Innanzitutto, la polvere, che entra dappertutto e colpisce il nostro SGUARDO in modo talvolta pericoloso. È di questo che vorrei parlare per prima cosa, perché tutto nella nostra vita dipende dal modo con cui guardiamo le cose... La prima cosa da osservare, quando si studia qualsiasi argomento, è proprio il tipo di sguardo col quale osserviamo una determinata realtà... Dove e come leggiamo la realtà! Da qui guardiamo (e leggiamo) la realtà dal Sahel, uno spazio umano, geografico, politico, economico e culturale. Questo è già un aspetto interessante, ma da solo non basta, perché bisogna scegliere IL LUOGO socio-umano da cui guardarla. Ci sono luoghi privilegiati che diventano lo specchio della società... Uno di questi luoghi è la migrazione: i migranti rivelano molto del nostro Sahel! La seconda fase consiste, come detto prima, nella scelta del tipo di visione, della qualità della nostra sguardo... di ciò che stiamo cercando. Potremmo dire che dobbiamo scegliere il giusto tipo di occhiali con cui guardare... ed è in questo senso che dobbiamo stare attenti alla... polvere! I nostri occhi possono essere, spesso senza rendersene conto, "colonizzati" dalla mentalità dominante, capitalista, neoliberista, guerrafondaia. Una realtà in cui la ricerca del profitto, del prestigio e del potere prevalgono sulla ricerca del bene comune, cioè del bene dei poveri. È questo tipo di sguardo che può leggere i segni del futuro nella realtà, i segni della speranza negli occhi dei giovani e dei poveri, gli unici che vogliono scoprire un mondo diverso. Per farlo, dobbiamo spolverare i nostri occhi, perché siano liberi e aperti a cogliere il nuovo, spesso nascosto come l'acqua del sottosuolo che solo i rabdomanti sanno scoprire!

Conosciamo il vento nel Sahel: porta polvere e libera dalla polvere! Il vento è il simbolo della mobilità, dello spostamento e del cambiamento. Prima ho accennato alla migrazione e ai migranti come "luogo" privilegiato per leggere e "ascoltare" la realtà. È un fatto sociale totale, una sorta di SPECCHIO attraverso il quale possiamo vedere noi stessi, come società, sistema economico, politico e sociale. Per secoli, il Sahel è stato una zona di transito per carovane, schiavi (purtroppo) e merci di ogni tipo: un luogo di passaggio e di transito. In seguito, abbiamo subito una colonizzazione pesante e dolorosa, che ha contribuito a trasformare le migrazioni e spesso ha cercato di fermarle, modificarle e indirizzarle, ad esempio con il lavoro forzato. Conosciamo la figura saheliana dell'ESODANTE..., dell'avventuriero, questi personaggi fanno parte della cultura sociale ed economica del Sahel, soprattutto in alcune stagioni dell'anno. È anche la mobilità della transumanza dei pastori che costituisce una delle ricchezze del Sahel. Tuttavia, in questi diversi processi di spostamento e mobilità, abbiamo codificato e spesso "mercificato" la migrazione e i migranti. La mobilità verso la costa atlantica o verso il Nord Africa, o ancora più lontano, verso l'Europa, l'Asia o le Americhe, ha assunto una nuova dimensione per una serie di ragioni che ci portano alla geopolitica in questione. La crescente demografia, con una maggioranza di giovani, la ricchezza del sottosuolo, la riduzione delle aree di pascolo e dei punti d'acqua... Il transito dei migranti verso il Nord e l'esternalizzazione delle frontiere europee nel Sahel hanno ridotto la libertà di mobilità dei migranti. Il resto lo sappiamo: questa parte del Sahel fa parte della frontiera meridionale dell'Occidente! Tutto questo, insieme ad altri fattori come le azioni dei Gruppi Armati Terroristi e il commercio di droga, armi e persone, ha contribuito a un notevole livello di violenza in quest'area. I milioni di rifugiati, sfollati interni e migranti forzati ne dimostrano chiaramente gli effetti. Ma dovremmo guardare più da vicino alla forza sovversiva che si cela dietro la migrazione. Si tratta di chi, per molte ragioni, non accetta di scomparire nel silenzio dell'invisibilità della globalizzazione. Non sono d'accordo con il mondo così com'è e cercano qualcosa di diverso, che sta già avvenendo in viaggio. Ecco perché tutti i potenti guardano ai migranti con un certo sospetto!

Finalmente abbiamo la sabbia, naturalmente! A volte ce ne dimentichiamo, ma la realtà è testarda e ce lo ricorda: in fondo, noi stessi non siamo altro che sabbia, sabbia con un cuore! Da quando sono arrivato a Niamey, 12 anni fa, sono stato sedotto dalla sabbia e dalla sua umile, fedele, ineluttabile... eterna presenza! Il Sahel non è tutto sabbia, ma la sabbia è un elemento costante delle nostre strade e delle nostre vite. La sabbia si insinua, si mescola, va dappertutto ed è mobile perché si adatta alle situazioni, non si impone... Regni, presidenti, regimi militari e stai di eccezione vanno e vengono ma la sabbia resta! Per me, questa è la metafora più interessante per le persone, i popoli del Sahel, che stanno costruendo una nuova politica, non con la strategia ma con l'avventura quotidiana della sopravvivenza. Nel Sahel anche la geopolitica è di sabbia e chi non ne tiene in debito conto nelle sue analisi si accorgerà, col tempo e a sue spese, che tutto era già stato scritto. Il vento aveva cancellato ciò che la polvere, con ostinazione, aveva cercato di ricordare. 


                              
Mauro Armanino, Niamey, 25 novembre 2023


mercoledì 22 novembre 2023

LA RIVOLUZIONE DI SABBIA DEL SAHEL di Padre MAURO ARMANINO

 



                         La rivoluzione di sabbia del Sahel

Mamon o Mammona, secondo l’etimologia aramaica, significa ciò su cui si può contare, qualcosa che dà certezza e sicurezza. Questo è stato il dio denaro e potere scelto come protagonista nella fase politica del Niger prima che avvenisse l’ultimo colpo di stato militare nel passato 26 luglio. Molti osservatori concordano nel definirlo, all’inizio, un colpo di stato da ‘palazzo’ e cioè concepito all’interno del sistema stesso. Assai presto però, sotto la spinta e lo spirito di una parte consistente del ‘piccolo’ popolo e di una porzione dei militari, il colpo di stato si è gradualmente trasformato in qualcosa che, con esitazione, si potrebbe chiamare ‘rivoluzione’. Una rivoluzione di ‘sabbia’ ma pur sempre una rivoluzione, se per essa intendiamo la sconfessione del dio denaro o Mammona come orizzonte unico della politica nigerina. Le cose, cioè, vanno bel oltre ciò per cui erano state pensate e organizzate. C’è altro che, per certi versi malgrado la giunta militare al potere, si sta disegnando nel regno del possibile per il popolo nigerino. Forse si tratta dell’ingenua stoltezza di dire no ai vari Mammona che hanno finora dato sicurezza alla politica per rischiare un futuro, appunto, di sabbia.
Ci sono state incertezze, contraddizioni, ambiguità e probabilmente errori commessi in questa primi mesi di transizione. Rifondare le basi stesse su cui poggia il Paese. Una relazione dignitosa e paritaria con l’antica potenza coloniale e con gli altri Paesi. La revisione in termini più rispettosi delle culture locali della Costituzione e, soprattutto, l’interpretazione della politica come il tentativo di coniugare la giustizia con la dignità dei poveri. Tutto ciò si può mettere in un solo e in fondo semplice concetto: la cittadinanza perduta e ritrovata dei nigerini. Sembra essere questo il cantiere sociale di tipo ‘rivoluzionario’ che potrebbe svilupparsi ma nel rispetto di alcune condizioni. Una di queste sarà il passaggio, non immediato, dall’unificazione dei cittadini ‘contro’ un nemico, cosa tutto sommato agevole, per convergere attorno a valori comuni. Ciò implica, ovviamente, la ri-creazione nella società di spazi di dialogo sociale, politico e culturale soprattutto per i giovani che rappresentano la straordinaria maggioranza del popolo. L’altra condizione per il seguito del cantiere sociale consisterà nel passaggio da un facile ‘nazionalismo’ di stampo autarchico ad una riapertura delle frontiere mentali che vede nell’altro una creatura di sabbia come noi.
In ultimo dovremmo poter citare, nel contesto del cantiere sociale di cui sopra, il ruolo forse determinante degli intellettuali e di coloro ai quali è stato affidato il ruolo della custodia della parola. Diventare i ‘cantori’ del nuovo potere, i giullari di corte o semplicemente i ‘ripetitori’ delle verità ufficiali oppure realizzare con la saggia follia di un tempo il ruolo che loro compete. Il cantiere sociale avrà un futuro a condizione che le parole di coloro a cui sono state confidate dal destino siano sempre e solo di smascheramento di ogni menzogna del potere. Solo così la rivoluzione del Sahel sarà scritta, per una breve eternità, sulla sabbia.

                                

Mauro Armanino, Niamey, 19 novembre 2023
 

venerdì 17 novembre 2023

INTERVISTA DI AMÈLE DEBEY A BERNARD WICHT per L'IMPERTINENT

 Ricevo da P. Mauro Armanino il testo di un articolo in lingua francese. L'ho tradotto in italiano, per chi non conoscesse la lingua in cui stato scritto. 

Ecco il testo:

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Amèle Debey, per L'Impertinent: All'inizio dell'anno lei ha detto che la guerra in Ucraina aveva aperto il vaso di Pandora di una guerra contro l'Europa occidentale. Sei ancora sulla stessa linea?

Bernard Wicht: Sì, e vado ancora oltre: ritengo che l'attacco di Hamas del 7 ottobre sia l'apertura di un secondo fronte. L’Europa e gli Stati Uniti erano già ben “intrecciati” con l’Ucraina, dove hanno mostrato tutta la loro debolezza in questa materia. Ed ecco un secondo fronte ancora più complesso e delicato. Dal mio punto di vista – e qui sto solo facendo un’analisi strategica – questo attacco è sostenuto dall’Iran e fissa la potenza americana e l’Europa ancora più a est. Vediamo quanti capi di Stato occidentali vengono uno dopo l’altro a Gerusalemme, non solo per fornire sostegno, ma soprattutto per cercare di evitare qualsiasi escalation.

Ciò che intendo per guerra non è un remake della Guerra Fredda o della Seconda Guerra Mondiale; uno scontro tra eserciti regolari. Secondo me questa guerra è già scoppiata. Se si guarda alla situazione in Europa, le attività dei narcotrafficanti stanno aumentando in modo esponenziale. Abbiamo due stati considerati quasi narcostati: i Paesi Bassi e il Belgio. Poi le periferie delle grandi città sono in fermento per diversi motivi. Esiste quindi già una prima fonte di conflitto.

Poi arrivano i flussi migratori che attraversano tutta l’Europa e dimostrano che essa non è più in grado di proteggersi. Questi movimenti si spostano dalla Serbia al Regno Unito, dall’Italia alla Svezia, alla Norvegia, ecc. Come analista che parla dalla prospettiva della storia a lungo termine, paragono facilmente questi flussi alle invasioni che posero fine all’Impero Romano.

Non si tratta di gridare ai barbari! Ma grazie alle ricerche condotte negli ultimi vent’anni sulla caduta dell’Impero Romano, ora sappiamo che quelle che chiamiamo “grandi invasioni” furono principalmente “grandi migrazioni” di popolazioni che venivano a stabilirsi nell’Impero.

Inoltre, l’Europa si è dimostrata indifesa. Non ha più nulla nei suoi arsenali, ha usato tutto quello che aveva. Il dibattito in Svizzera sui venticinque carri armati o sui diecimila proiettili che potremmo donare (o meno) mostra chiaramente che tutti i paesi della NATO stanno raschiando i profitti. L’Europa è apertamente disarmata!

Che collegamento fa tra la guerra in Ucraina e quella in Medio Oriente?

La mia analisi è che il conflitto in Ucraina è una guerra per procura lanciata dagli Stati Uniti e dalla NATO contro la Russia. Angela Merkel lo ha riconosciuto esplicitamente affermando che gli accordi di Minsk (nel 2014) sono stati conclusi solo per dare tempo all’esercito ucraino di acquisire potere. L’analisi era senza dubbio che la Russia sarebbe rimasta coinvolta in questo conflitto come gli Stati Uniti erano rimasti coinvolti in Vietnam. Ma gli strateghi russi sembrano più abili dei loro omologhi occidentali.

In un anno e mezzo di conflitto, vediamo che il problema è sempre più da parte occidentale, con la necessità di investire risorse colossali per sostenere pienamente lo sforzo bellico ucraino. Inoltre, non possiamo più approvvigionarci di gas russo a buon mercato, dobbiamo rivolgerci al gas nordamericano che è molto più costoso. Non dobbiamo dimenticare che tutto questo faceva parte dello scenario russo.

“L’obiettivo di Putin è la destabilizzazione del sistema occidentale dipendente dal dollaro”

In effetti, Vladimir Putin ha parlato nel gennaio 2022 con il think tank russo Valdaï. Ha dichiarato che lo “scenario di guerra” stava diventando un’ipotesi credibile, che l’obiettivo principale non era l’annessione delle province autonome dell’Ucraina sudorientale, ma la destabilizzazione del sistema occidentale totalmente dipendente dal dollaro. Ma il dollaro è particolarmente volatile, come tutti sanno. Possiamo vedere chiaramente che questo calcolo viene fatto: la Germania, il motore economico dell’Europa, è in recessione. Gli altri paesi non se la passano bene, la Francia è in una situazione quasi insurrezionale. L’Europa occidentale soffre enormemente a causa di questo conflitto con un’inflazione galoppante. Il Regno Unito ne soffre moltissimo.

Ma qual è il legame con il Medio Oriente?

È un po' come la risposta del pastore alla pastorella. Quando vediamo che gli Stati Uniti sono completamente coinvolti nella guerra in Ucraina, compreso il blocco della Camera dei Rappresentanti, mettere nelle loro mani la patata bollente del conflitto Hamas-Israele crea loro un secondo problema. Quando ho saputo dell’attacco del 7 ottobre, il mio primo pensiero è stato quello di chiedermi: “Ma perché Hamas vuole fornire un simile servizio a Israele?” Perché lo stavo dicendo? Perché dall’inizio dell’anno, o addirittura dalla fine dello scorso anno, la società israeliana sperimenta una divisione molto, molto grave. Lo dicono i giornali israeliani, i giornali delle comunità ebraiche d'Europa che analizzano questa situazione: “La società israeliana è sull'orlo della guerra civile” a causa della prevista riforma della Corte Suprema. Poiché Israele non ha una costituzione, è questa Corte, per così dire, a svolgere il ruolo di quadro giuridico, garante della democrazia e delle istituzioni.

I riservisti dell'esercito hanno scioperato, in particolare i piloti. Tuttavia, l'aeronautica israeliana è il principale strumento di difesa di Israele. Quando ci sono piloti militari della “milizia” che si rifiutano di prestare servizio, capiamo che il divario è enorme. Tuttavia, l’attacco di Hamas ha provocato proprio la sacra unione e la società israeliana ha immediatamente ritrovato la sua coesione. Ecco perché il mio primo pensiero è stato considerare che Hamas avesse davvero scelto male il suo momento.

“Il declino degli Stati Uniti sta accelerando!”

Ma poi... quando vediamo gli americani inviare due gruppi di portaerei nella regione, che devono quindi spogliare della loro flotta nell'Oceano Indiano che dovrebbe venire in aiuto di Taiwan, che non solo hanno difficoltà a produrre abbastanza munizioni per mantenere l’esercito ucraino, ma ora dovranno produrre munizioni per mantenere l’esercito israeliano. Secondo me, questa è ciò che chiamiamo “l’apertura di un secondo fronte” che fissa il potere americano e lo abbatte. Il declino americano sta accelerando!

Per la cronaca a questo proposito, nel 2003 gli Stati Uniti entrarono in Iraq sotto il naso dell’ONU, dell’opinione mondiale e contro il parere di due dei suoi grandi alleati, Francia e Germania. Nel 2023, dove sono 20 anni dopo? Nella storia, 20 anni non sono niente. L’Impero Romano, per crollare, per passare dalla sequenza del 2003 “noi siamo i più forti” al 2023 “calmatevi ragazzi, non abbiamo più i mezzi”, ci sono voluti tre secoli.

Si è parlato molto di questa famosa controffensiva ucraina che recentemente ha suscitato scalpore. Come vedi la fine di questo conflitto?

Non subito comunque. Molti di noi pensano che l’esercito ucraino non fosse assolutamente in grado di combattere questa guerra e abbiamo elementi abbastanza solidi per sostenere questa opinione: nel 2021, le forze militari ucraine hanno registrato 6.000 morti che non hanno nulla a che vedere con i combattimenti. Le ragioni erano: alcolismo, suicidio, nonnismo andato storto e uso improprio di armi ed esplosivi. Per qualcuno che ha una minima conoscenza di come funziona un esercito, cosa significa? Che non è operativo!

La Russia disponeva di un simile esercito nel 1994, all’epoca del caso di Grozny, in Cecenia. I soldati vendevano le armi per comprare alcolici, gli ufficiali erano corrotti. Ci sono voluti dieci anni e un pugno di ferro per ricostruire l’esercito russo e renderlo uno strumento efficace, come lo è oggi. Pertanto, dire che vinceranno gli ucraini è come dire a uno dei tuoi colleghi sulla pagina sportiva che la squadra di calcio di terza divisione di Bourg-La-Pontet ieri sera ha battuto il Manchester United e si è qualificata per la finale di Coppa. E' ovvio.

“L’intera generazione di giovani ucraini dai 18 ai 43 anni viene usata come carne da cannone”

In secondo luogo, torno a quello che ho detto prima, i russi hanno una visione della strategia diversa dalla nostra. Non cercano necessariamente di vincere sul campo. Guardano all’avversario come a un sistema (questo risale al pensiero marxista di cui sono eredi) e si chiedono come destabilizzarlo.

I russi volevano invadere l’Ucraina? Perché affrontare un paese in cui metà della popolazione (la parte occidentale) è loro sfavorevole e che, dopo un anno e mezzo di guerra, è praticamente distrutto? Non hanno alcun interesse a farlo. Allora perché combattere questa guerra e perché rimanere sul campo in prima linea? Perché avremmo potuto anche prevedere che, una volta riconquistate le due province e Mariupol, queste si sarebbero ritirate.

Penso che sia stato il blocco a livello diplomatico a portare i russi a dire “beh, giocheremo al logoramento ed esauriremo il potenziale, non solo militare, ma demografico dell’Ucraina”. Poiché l'intera generazione di giovani dai 18 ai 43 anni viene utilizzata come carne da cannone sul campo di battaglia.

Apriamo una parentesi. Ciò che mi fa dire questo è che gli storici stanno attualmente rianalizzando la guerra civile spagnola del 1936-1939. Grazie all'apertura degli archivi e grazie al fatto che le emozioni si sono un po' calmate nella memoria del popolo spagnolo. Ciò che è interessante è che fino a due o tre anni fa (quando uscirono i nuovi studi) si pensava sempre che il generale Franco, il leader dei nazionalisti che vinsero la guerra, fosse un politico molto abile, ma d'altra parte un povero stratega che aveva prolungato inutilmente la guerra per due o anche tre anni. Diamo esempi completamente veri. All'inizio del suo intervento avrebbe potuto precipitarsi verso il Real Madrid, allora scarsamente difeso. Se la capitale fosse caduta in quel momento, i repubblicani si sarebbero seduti al tavolo delle trattative e avrebbero concordato un cessate il fuoco. Ora, con la pubblicazione degli archivi, possiamo vedere nero su bianco che Franco voleva consapevolmente prolungare la guerra proprio per esaurire il bacino demografico repubblicano. E lo dice nei suoi taccuini, negli appunti dello Stato Maggiore: “che senso ha vincere la guerra quando il Paese resta infestato dai propri nemici?” Ha costantemente lasciato aperte opportunità di attacco ai repubblicani e ogni volta sono state demolite. Perché, come i russi, in quel momento Franco aveva una grande superiorità nel fuoco. Dal mio punto di vista, la strategia russa al momento è esattamente la stessa.

I due luoghi in cui le forze russe accettarono la battaglia furono Mariupol, una città russofila, non dobbiamo dimenticarlo, dove furono le unità cecene a sopportare il peso maggiore dei combattimenti. E Bakhmout, per ragioni strategiche, dove furono i mercenari di Wagner a condurre i combattimenti. Vediamo quindi questo desiderio di risparmiare il soldato russo e di distruggere il potenziale ucraino. E, da questa parte, le crepe cominciano ad apparire in pieno giorno.

Dall'inizio del conflitto, Zelenskyj è stato elevato al rango di eroe, invitato a tenere discorsi agli Oscar, ai Golden Globe, nei Parlamenti d'Europa, trattato come una vera star. E mi chiedevo se non ci fosse anche da parte sua un interesse a prolungare questo conflitto? Perché gli esseri umani sono ancora piuttosto fallibili e pieni di ego. Anche Zelenskyj ha interesse che questo conflitto continui?

Questa è una bella domanda. Quando scoppiò la guerra, dieci o quindici giorni dopo l'inizio dell'attacco russo, in Turchia si tennero i primi colloqui di pace. E i russi che partecipano a questi colloqui dicono che gli ucraini hanno messo sul tavolo proposte molto interessanti e che ci stiamo muovendo verso un possibile negoziato. Sono la NATO, l’UE e gli Stati Uniti che diranno a Zelenskyj: “Ritirate immediatamente queste proposte di pace. Ti sosterremo e andrai in guerra”.

Quindi penso che da lì, sì, ci deve essere stato un cambiamento. Ad un certo punto, Zelenskyj si è detto: "visto che non ho altra scelta, allora andiamo avanti, andiamo fino in fondo". E da questo punto di vista ha costantemente alzato la posta.

Da un punto di vista strategico, questa storia di controffensiva è ancora un po’ una faccenda grand guignol. Quando prepariamo una controffensiva, cerchiamo di nascondere il più possibile le nostre intenzioni al nemico per sorprenderlo. Ci mostriamo deboli se siamo forti, ci mostriamo forti se siamo deboli. Non grideremo certo su tutti i televisori, su tutti i principali giornali: guardate, lanciamo la controffensiva e si ritireranno fino agli Urali. Questo non è serio!

“Il fronte unito ucraino si sta sgretolando da tutte le parti”

Poi, quando si recò in Francia, Londra e negli Stati Uniti per dire che non era pronto per questa operazione, alzò la posta. Quindi penso che ora ci sia un atteggiamento duro a morire che può essere spiegato anche con le defezioni all'interno del suo governo. Qualche mese fa, il ministro della Difesa ucraino è stato licenziato, presumibilmente per un caso di corruzione che non regge davvero, riguardante le giacche militari ordinate dalla Turchia. Inoltre, uno dei suoi consiglieri voleva candidarsi contro di lui alle elezioni del 2024 perché credeva che si dovesse trovare una soluzione negoziata con i russi. E ora Zelenskyj ha annullato le elezioni per il prossimo anno. Questo fronte unito si sta sgretolando da tutte le parti.

La guerra in Medio Oriente avvantaggia Putin?

Sì, ed è per questo che parlo di un secondo fronte. Questa volta è davvero difficile far sembrare il primo ministro Netanyahu come Winston Churchill e il leader di Hamas come Adolf Hitler. Quello che abbiamo fatto con Ucraina e Russia. Esiste una divisione nell’opinione pubblica che si manifesta con l’aumento dell’antisemitismo e dell’islamofobia. Ciò avvantaggia enormemente Vladimir Putin e, soprattutto, pone un pesante fardello sull’economia occidentale. Per quello? Perché questa economia è completamente finanziarizzata. Abbiamo visto l’influenza di questa guerra sul mercato azionario. L’Occidente si è seriamente deindustrializzato. Dipende da paesi come Cina, Vietnam e molti altri per la produzione effettiva. Quindi sì, per Vladimir Putin è una manna dal cielo.

Come è avvenuto a livello tecnico l'attentato del 7 ottobre?

Quando leggiamo i blog dei soldati israeliani che non erano necessariamente in servizio in quel momento, ma che prestavano servizio sulla linea di demarcazione tra Israele e Gaza, ciò che colpisce è che tutti sono sorpresi dal fatto che non vedevamo arrivare nulla: " Ci sono sensori ovunque, un gatto miagola, lo sentiamo, quindi come abbiamo potuto perderci una cosa del genere", si chiedono?

Davvero i servizi segreti israeliani non hanno visto nulla? Oppure l'hanno visto, ma data la grave divisione all'interno della società israeliana, si sono detti che avrebbero lasciato che questo attacco iniziasse, per ricreare la sacra unione della società israeliana? La domanda deve essere posta. Soprattutto perché non è la prima volta che si verifica questo tipo di scenario. Negli anni Novanta, quando erano in corso veri negoziati tra Israele e le organizzazioni palestinesi, quando il governo israeliano era aperto a trovare una soluzione, ogni volta che i negoziati procedevano in modo interessante, si verificava un attentato islamista, un kamikaze che stava per farsi esplodere su una terrazza a Tel Aviv o altrove.

Tanto che le ambasciate occidentali in Israele avevano ventilato la possibilità che un’agenzia di intelligence manipoli una frazione estremista di gruppi palestinesi e li faccia agire ogni volta per bloccare il processo di pace e i negoziati. Questo scenario si è ripetuto?

Ritiene credibile l'ipotesi, avanzata da diverse ONG, secondo cui Israele avrebbe utilizzato bombe al fosforo su Gaza?

È molto difficile da dire! In questo momento in queste guerre, sia in Ucraina che in Medio Oriente, siamo come in un'indagine di Agatha Christie con il detective Hercule Poirot che scopre un crimine e si rende conto che tutti gli mentono. Deve quindi districare il falso dal vero in base alla sua conoscenza della società e della psicologia umana. Ricordo a questo proposito che stiamo ancora cercando armi di distruzione di massa in Iraq... senza dimenticare la vicenda degli asili nido del cosiddetto reparto maternità di Kuwait City. Attualmente l’opinione pubblica occidentale reagisce in modo essenzialmente emotivo. Se parli delle bombe al fosforo che hanno ucciso i bambini, ti garantisci molta simpatia. Tuttavia, la capitale della simpatia di Israele si sta sciogliendo come neve al sole.



Prima parlavi di inflazione, di carenza di elettricità... Ma mi chiedo se la guerra non abbia mal di schiena. Abbiamo stampato soldi come matti durante la crisi Covid, il famoso “whatever it takes”. Non è un po’ semplicistico attribuire la colpa di questi conflitti all’inflazione?

Hai abbastanza ragione. In campo economico giochiamo con il fuoco fin dalla caduta del muro di Berlino. Abbiamo completamente finanziarizzato le economie occidentali. Ciò che conta non è la qualità e il valore dei prodotti che l’industria è in grado di portare sul mercato, sono i dividendi delle aziende. In Svizzera questo ci viene un po' risparmiato, per un motivo non ben noto agli stessi svizzeri: il 70% dei giovani sceglie la formazione professionale in azienda. Abbiamo quindi una gran parte dei giovani che, fin dall’inizio, si troveranno ad affrontare un problema di produzione, di esportazione dei prodotti, di qualità, ecc. Anche la Germania non si è arresa del tutto a questo. Inoltre ha esternalizzato ben poco della sua produzione, anche quando era in difficoltà, mantenendo sempre le industrie sul suo territorio. Ma il resto d’Europa ha esternalizzato tutto. Ad esempio, la Gran Bretagna è un paese che ha costruito automobili, aerei, ha avuto un’industria elettronica all’avanguardia e ora non ha nulla. Anche la Rolls-Royce e altri grandi nomi sono stati rilevati da società straniere. Basta guardare la Brexit. Nel loro approccio non si rendevano affatto conto di quanto dipendessero dall’estero e dal grande mercato europeo per il funzionamento della loro azienda. Un esempio che va esattamente sulla falsariga della tua domanda: gli inglesi sono mangiatori di carne di maiale e importano questa carne dalla Germania. È comunque fantastico! Gli allevamenti di suini tedeschi sono più attraenti dal punto di vista finanziario rispetto alla produzione locale. Abbiamo indebolito la nostra economia, l’abbiamo finanziarizzata, l’abbiamo vincolata al dollaro. Nel 2009-2010 c’è stata la crisi dell’euro provocata per salvare il dollaro. È stata la banca Goldman Sachs che, riscrivendo il bilancio greco, ha permesso a questo paese di entrare nella zona euro, anche se non soddisfaceva nessuno dei criteri. Nel 2009-2010, è stata la banca Goldman Sachs a privare la Grecia della sua credibilità e a causare il collasso dell’euro. Quindi la guerra è una buona cosa, ma era il fattore scatenante che mancava. E quando Putin dice che può destabilizzare l’Occidente perché il suo sistema economico è fragile, questa è un’analisi perfettamente corretta.

Gli Stati Uniti stanno proteggendo Israele più per interesse che per convinzione, per mantenere il controllo sulla regione?

Questo c'è, penso. C’è anche l’importanza politica della comunità ebraica negli Stati Uniti, che è uno dei maggiori donatori del Partito Democratico. Gli Stati Uniti hanno un legame straordinariamente forte con la protezione di Israele. Quando Obama è stato scelto come candidato, dopo le primarie, in seno al Partito Democratico, la sua prima frase è stata quella di ribadire il suo sostegno allo Stato di Israele.



Una cosa a cui abbiamo prestato poca attenzione è che nel 2023 gli americani non ci sono più. Non sono più in Medio Oriente. L’Iraq è il caos. L’Iran è con la Russia. E, cosa assolutamente incredibile, la Cina è riuscita a ripristinare le relazioni diplomatiche tra Iran e Arabia Saudita. Mentre l’Arabia Saudita è, in quanto grande monarchia petrolifera, l’alleato fedele e incrollabile degli Stati Uniti da molto tempo. Sia durante l’Intifada degli anni ’80, sia poi durante la guerra tra Hezbollah e Israele nel 2006, oppure con lo sviluppo della colonizzazione che ha fatto rabbrividire tutte le popolazioni arabo-musulmane. Per l’Arabia Saudita non è mai stato un problema presentarsi come l’alleato privilegiato e fedele degli Stati Uniti. Ma ora hanno cambiato direzione: riavvicinamento all’Iran, nemico quasi ereditario degli Stati Uniti, e vogliono far parte dei BRICS. Questo tuttavia promette di essere un centro internazionale che mira a ristabilire un mondo multipolare e non più un mondo unipolare. Stiamo assistendo ad una vera e propria svolta.

Ma il conflitto in Medio Oriente non destabilizza la creazione dei BRICS?

No, non la penso così. Perché la piazza arabo-musulmana non è altrettanto tollerante nei confronti della politica israeliana, della colonizzazione dei territori, del blocco di Gaza. I BRICS si stanno rafforzando. La Russia è riuscita a riunire attorno a sé un centro arabo-musulmano, soprattutto l'Iran, forse l'Arabia Saudita che si avvicina, il Qatar e l'Asia.

C'è una cosa che è chiara e che non abbiamo notato perché pensavamo fosse un dettaglio: l'impiego delle milizie cecene nella presa di Mariupol. Con i combattenti ceceni che si filmavano su TikTok mentre urlavano Allahu Akbar con i kalashnikov in aria, il messaggio non avrebbe potuto essere più chiaro. D'ora in poi siamo dalla parte russa. Sono loro che rappresentano il baluardo contro il Grande Satana americano. I russi continuano a lasciare che l’Azerbaigian faccia lo stesso anche nel Nagorno-Karabakh, per ragioni strategiche. Perché devono poter utilizzare il Mar Caspio se mai vogliono lanciare missili contro la flotta americana che si trova nel Mar Rosso o nel Mediterraneo. Anche qui vale la pena notare, perché l'attaccamento del Nagorno-Karabakh all'Armenia è stato percepito come una sorta di crociata dei cristiani armeni contro i musulmani.Sempre secondo la mia analisi, stiamo per avere un mondo organizzato attorno a tre poli. Abbiamo il Nord America. Abbiamo la Russia, l’Iran e i BRICS. E poi abbiamo la Cina. Ma è un po' difficile dire dove si trovi perché sta mostrando i muscoli nello Stretto di Taiwan, ma la sua situazione economica è pessima. Con il lockdown dovuto al Covid hanno davvero dato un duro colpo alla loro produzione.

“Il sistema globale è governato dal dollaro, che non è più governato da nessuno”

Poi hanno lo stesso problema dell’Europa: la generazione dei baby boomer sta andando in pensione. Quindi hanno una carenza di manodopera abbastanza significativa. E poi c’è una cosa che spiega, dal mio punto di vista, che loro stanno dietro ai russi ma non fanno né attivismo né dichiarazioni tonanti contro gli Stati Uniti: anche la Cina dipende dal dollaro. Ha acquistato un’enorme percentuale del debito pubblico americano. È quindi legato al dollaro e alla sua instabilità (secondo il principio: se devo 10.000 franchi al mio banchiere, è lui a trattenermi. Se gli devo 100 milioni, sono io a trattenerlo).

Attualmente il sistema globale è governato dal dollaro, che non è più governato da nessuno. Al contrario, la Russia è solida. Ha un PIL relativamente modesto, ma dispone di risorse naturali sufficienti per far funzionare la sua industria. Vende cereali, gas, petrolio in mercati enormi come Pakistan, Cina, ecc. Quindi, del fatto che non venda più gas all’Europa occidentale, siamo noi a subirne le conseguenze, non loro.

Quindi ci sono tre poli e l’Europa è bloccata lì nel mezzo. Ma non sono sicuro che se ne renda conto. Israele ha appena lanciato un missile contro la Siria. La regione è in fiamme. Stiamo andando verso la terza guerra mondiale?

Israele ha appena lanciato un missile contro la Siria. La regione è in fiamme. Stiamo andando verso la terza guerra mondiale?

Questa è la grande domanda. Voglio dire che non possiamo immaginare una Terza Guerra Mondiale come avremmo immaginato un’invasione sovietica dell’Europa durante la Guerra Fredda, o come abbiamo vissuto la Seconda Guerra Mondiale. Per quello? Perché gli stati che sono in grado di fare la guerra non hanno il potenziale demografico per farlo. Gli Stati Uniti usano gli ucraini come carne da cannone. Possiamo anche dire che Iran e Russia stanno usando Hamas come carne da cannone. Quando l’Azerbaigian prese il controllo del Nagorno-Karabakh, non c’erano molti soldati azeri. Si trattava principalmente di combattenti di gruppi jihadisti in Siria e mercenari turchi. E l’ho detto, quando la Russia ha davvero bisogno di combattere, fa appello a Wagner.

“Non abbiamo più i mezzi per una guerra mondiale”

Non vedo una Terza Guerra Mondiale sulla falsariga delle precedenti. Ma, con il fatto che la leadership americana sta scomparendo a grande velocità, possiamo assistere allo scoppio di conflitti locali e regionali che erano congelati e che possono risvegliarsi: Azerbaigian e Armenia ne sono un esempio. Allo stesso modo. La guerra in Siria dura dal 2011 e funge da riserva di combattenti per il conflitto nel Caucaso. Ora ci sono Israele e Hamas. La Libia è in una situazione di caos... Vedo più un disordine generalizzato, violento. Ma non una terza guerra mondiale. Penso che non abbiamo più i mezzi per farlo.

E la Svizzera, qual è in definitiva il suo ruolo in tutto questo?

Lei è a un bivio.

Dalla fine del XIX secolo è stato costruito un triangolo, prima con la Croce Rossa, poi con la neutralità, poi, dalla metà del XX secolo, con il segreto bancario. La Svizzera, durante tutto questo periodo, avrà quindi uno statuto speciale. Potrà anche evitare di restare intrappolato nei blocchi, di essere vassallo di guerra dell'uno o dell'altro, grazie a questo trittico. Ma era legato al fatto che avevamo Stati sovrani in conflitto tra loro e nessuna autorità al di sopra di essi.

Dal momento in cui, con la fine della Guerra Fredda, si è affermata sul mondo intero la leadership monolitica americana, un Occidente che si credeva vincitore mentre gli altri paesi si riprendevano dal ko tecnico della fine della Guerra Fredda, noi vedo chiaramente che questo trittico comincia a disfarsi.

Abbiamo perso il segreto bancario. La guerra in Ucraina ha dimostrato che eravamo incapaci di svolgere il nostro ruolo umanitario: il dibattito in Parlamento è stato spaventoso. Si limitava a sapere se volevamo rivendere o meno 25 carri armati alla Germania. Abbiamo spazzato via la nostra tradizione umanitaria, abbiamo dimenticato che siamo depositari delle Convenzioni di Ginevra, non abbiamo adempiuto al nostro mandato. E allora addio neutralità, visto che abbiamo preso le sanzioni.

Quindi il contesto è molto cambiato. Tuttavia, se abbiamo perso i tre asset principali, altri stanno emergendo in un nuovo contesto. In un’Europa completamente indebolita, improvvisamente vediamo di avere un esercito che, anche se non è molto ben equipaggiato, è ben equipaggiato. Abbiamo una potenza militare, un Paese capace di difendersi mentre gli altri non sono più in grado di farlo. Ciò che rafforza questo aspetto è che continuiamo a controllare i nostri confini. E poi abbiamo la nostra valuta. Questo è importante in questo momento. Il terzo asset di cui disponiamo è un notevole potenziale di innovazione economica e tecnologica. C'è un potenziale innovativo, attivo, che è notevole e che è legato, come dicevo prima, al sistema della formazione professionale, al fatto che stiamo creando piccole e medie imprese. Questo è il solido anello dell’economia. E poi abbiamo un elemento che non deve essere trascurato: la sovranità popolare che continua ad essere riaffermata attraverso una pletora di iniziative e referendum. La Svizzera è quindi ben posizionata per rappresentare un certo polo di stabilità in questa Europa allo sbando. Queste sono le tre grandi opportunità che vedo nella Svizzera di domani.

 



5 – a – QUESTO È IL VOLTO DEL PADRE? - quinta conferenza di P. CLAUDIO TRUZZI OCD

 


5 – a – QUESTO È IL VOLTO DEL PADRE?

Che cosa pensi di Dio? È una domanda fondamentale, cui ogni cristiano dovrebbe rispondere con una certa frequenza. Ai giovani si usava predicare con molta insistenza, fino a qualche tempo fa, “la custodia dei sensi”. Ritengo sia molto più importante la custodia dell'immaginazione autentica di Dio. Quasi inavvertitamente, infatti, ci costruiamo un'immagine di Dio che ci somiglia non poco. Imprestiamo a Dio i nostri lineamenti, i nostri pensieri, le nostre vedute meschine, e nostri giudizi e atteggiamenti piccini. Arriviamo persino a mettergli in mano il metro della nostra giustizia.


COM’É DIO …

Un giorno l'angelo pittore, Michelangelo, decise di fare il ritratto di Dio.

Era consapevole che sarebbe stata l'opera d'arte più complicata della sua vita.

Dio è immenso: come si fa a farlo stare in un quadro?

Si decise a schizzare qualche bozza, senza aver bene idea di quel che avrebbe disegnato.

Cominciò, un foglio dopo l'altro, a tracciare qualcosa di Dio.

Lavorava freneticamente e ogni volta scopriva qualcosa di nuovo, guidato da una nuova idea.

Riempì milioni di fogli finché il suo studio straripò di carta.

Un giorno, cercando di mettere un po' d'ordine, dimenticò la finestra aperta.

Un vento birichino sparpagliò qualche milione di fogli fuori dalla finestra. 

«Che disastro, i miei disegni!». 

I disegni piovvero dappertutto, e in gran quantità finirono anche sulla Terra.

Trovandoli, gli uomini li guardarono e li studiarono, felici di scoprire finalmente come fosse Dio.

Poi cominciarono a interpretare i disegni. 

«Dio è come il sole». 

«No, Dio è forte come un toro!», diceva un altro.

«No, Dio è potente come un re!»

«No, Dio è giudice che premia e castiga!»

«No, Dio è un legislatore che indica che cosa fare!»

«No, Dio è forte come un toro!»

«No, Dio è creatore del mondo e degli uomini! Noi dobbiamo soltanto obbedirgli» …

Ciascuno era convinto di aver trovato l'unica 

vera immagine di Dio, e così cominciarono a litigare. 

Dio si rattristò molto per questo e decise di intervenire. 

«Andrò io stesso in mezzo a loro! Così mi potranno vedere, toccare, ascoltare!». 

Quello che decide, Dio lo fa. 

Nacque come un bambino in mezzo agli uomini e si chiamò Gesù. 

Così, oggi, è facile per tutti conoscere Dio.

Basta conoscere Gesù… e le sue Parabole sul Padre!

Conferenza su Gesù-Monza-20-12-17 

Fortunatamente, a chi sa leggere il Vangelo con coraggio, si presentano pagine che ci costringono a riconoscere: “Dio non è così!”. 

Rettifichiamo, allora, l'immagine che avevamo “rifinito” con tanta precisione di particolari, noi!

In fin dei conti, dobbiamo esser grati al Signore, che ci permette, oggi, anche con una certa durezza, di correggere gli errori. Meglio adesso, che sentirsi buttare in faccia, nell'ultimo giorno, un definitivo: “Non sono così”! Dio nessuno lo conosce, soltanto il Figlio lo può rivelare, Lui e coloro cui lo rivelò –.

Proviamo, allora, a far nostra la rivelazione dei Figlio!

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1. «INVIDIOSO PERCHÈ SONO BUONO?»  (PADRONE DELLA VIGNA) 

«Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all'alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna. Accordatosi con loro per un denaro al giorno, li mandò nella sua vigna. Uscito poi verso le nove del mattino, ne vide altri che stavano sulla piazza disoccupati e disse loro: “Andate anche voi nella mia vigna; quello che è giusto ve lo darò”. Ed essi andarono.

Uscì di nuovo verso mezzogiorno e verso le tre, e fece altrettanto. 

Uscito ancora verso le cinque, ne vide altri che se ne stavano là e disse loro: “Perché ve ne state qui tutto il giorno oziosi?”. Gli risposero: – Perché nessuno ci ha presi a giornata –. Ed egli disse loro: “Andate anche voi nella mia vigna”. 

Quando fu sera, il padrone della vigna disse al suo fattore: “Chiama gli operai e dà loro la paga, iniziando dagli ultimi fino ai primi”. 

Venuti quelli delle cinque del pomeriggio, ricevettero ciascuno un denaro. 

Quando giunsero i primi, essi pensavano che avrebbero ricevuto di più. Ma pure loro ricevettero un denaro per ciascuno. Nel ritirarlo, però, mormoravano contro il padrone dicendo: “Questi ultimi hanno lavorato un'ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo”. 

Ma il padrone, rispondendo a uno di loro, disse: “Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse convenuto con me per un denaro? Prendi il tuo e vattene, ma io voglio dare anche a quest'ultimo quanto a te. Non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure sei invidioso perché io sono buono?”. 

Così gli ultimi saranno primi e i primi, gli ultimi». Matteo 20,1-6

La parabola, per essere compresa va inquadrata nel contesto delle vicende riferite dal Vangelo.

Poco prima, un giovane ricco aveva chiesto a Gesù che cosa egli dovesse fare per acquistare il Paradiso. Era un giovane serio ed osservante, tanto che Gesù ne apprezzò la sincerità e la buona intenzione. Ma di fronte alle osservazioni di Gesù – puntualizzazioni assai inquietanti sul pericolo dell'attacca-mento alle ricchezze – gli aveva voltato le spalle, e triste se n’era allontanato. Non se l’era sentito di lasciare i suoi beni. 

I discepoli che erano stati presenti alla scena, ne erano rimasti scossi, frastornati. Infatti, Pietro, a nome dei compagni, esige precise assicurazioni; e pone sul tappeto la questione delle ricompense: «Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito; che cosa, dunque ci darai in cambio del nostro distacco?». 

Gesù lo rassicura: «Siederete anche voi sui dodici troni a giudicare le dodici tribù d'Israele». 

Gesù sbriga in fretta la questione del premio finale («e la vita eterna»). 

Ma tale risposta iperbolica ha tutta il tono di un amaro rimprovero: “E così avete la pretesa di farmi i conti in tasca? Temete che mi lasci vincere in generosità da voi? Avete timore di rimetterci nello scambio? Immaginate che Dio, per ricompensarvi, debba adottare i vostri criteri di giustizia e le vostre tariffe puntigliose”?

– Ecco: a questo punto s’inserisce la parabola degli “operai della vigna”. Essa apporta un chiari-mento decisivo al problema, e allo stesso tempo sposta la discussione su un altro piano.

•  Si tratta di una scena tipica dell'ambiente agricolo del tempo. C'è un padrone che esce all'alba per ingaggiare braccianti per la propria vigna. Ne raccoglie un gruppo, pattuisce con loro una cifra (un denaro al giorno) e li manda a sgobbare. Ripete l'operazione alle nove, a mezzogiorno, e poi alle tre del pomeriggio. Persino alle cinque del pomeriggio recluta qualcuno: «Perché ve ne state qui tutto il giorno oziosi?». «Perché nessuno ci ha presi a giornata». «Andate anche voi nella vigna!».

Questi ultimi, ovviamente, faticheranno un'ora soltanto.

La sera, al momento della paga, sono proprio gli ultimi ad essere “liquidati” per primi e a ricevere un denaro pattuito. Fin qui nessuno a niente da ridire. Tanto più che i primi chiamati si fanno l'idea che, se quegli sfaticati hanno ricevuto un denaro per una sola ora di sudore, loro che hanno dovuto sfangarsi per tutta la giornata, ne dovrebbero ricevere in proporzione delle ore lavorate. Invece, si vedono rifilare un solo denaro, quello previsto dal contratto del mattino. 

A questo punto esplode la protesta. Si grida all'ingiustizia. Il padrone abborda uno dei più scalmanati e gli fa notare: «Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse convenuto con me per un denaro? Prendi il tuo e vattene, ma io voglio dare anche a quest'ultimo quanto a te».

La risposta del padrone – «Non posso fare delle mie cose quello che voglio?» – non è certo da inquadrare in un'ottica sindacale odierna. Figuriamoci! Ma...

Qui si cogliere il significato più profondo della parabola. Anzi, i diversi significati. 

Proviamo ad elencarli.

–  L'essere chiamati a servizio del Cristo [di Dio] è una grazia. Già il fatto di lavorare nella “vigna del Signore”, per il suo Regno, è dono, è ricompensa.

–  Non esiste un primato di “anzianità” (e relativi diritti) nella Chiesa. Gli ultimi arrivati possono essere considerati da Dio allo stesso modo dei primi, e persino meglio dei primi! Non è questione di “anni di servizio”, ma d'intensità, di disponibilità a rispondere all'appello quando questo si fa sentire.

[Dio non pretende che abbattiamo un albero con un’ascia, ma si aspetta di trovarci sempre con l’ascia in mano]

–  La questione non è tanto quella di procurare lavoro ai disoccupati o agli sfaccendati, ma di aprire la vigna a tutti. Dio è un padrone “insolito”, padrone della propria generosità.

Egli percorre le strade, ad ogni ora del giorno. A tutti ripete le proprie proposte. Non guarda troppo per il sottile. L'unica condizione è che dicano di sì. Non controlla neppure l'orologio. Per Lui è sempre “ora”.

Dio non bada alle “referenze”. Si direbbe anzi che abbia una spiccata preferenza per i ... poco raccomandabili: pubblicani, prostitute, ladri, gente da niente … possono essere operai “ideali” per la sua vigna.

–  Nei rapporti con Dio bisogna “fidarsi”. Quando uno mercanteggia, significa che pone al primo posto la propria opera. Mentre, in un corretto rapporto religioso, il primato è dato all'azione gratuita di Dio a favore dell'uomo, non all'azione dell'uomo per Dio.

•  Ci sono cristiani che credono che la religione consista in ciò che essi danno a Dio.  Essa, invece, consiste in ciò che Dio fa per noi. Non capiscono che è pericoloso esigere da Dio “ciò che è giusto” (che pretesa assurda chiedere dei conti a Dio! E se Lui, a sua volta chiedesse dei conti a noi, con estremo rigore ..., come ce la caveremmo?).

Il vero operaio, secondo il cuore del Signore, è quello che si disinteressa del salario; che trova la propria gioia nel poter lavorare per il Regno.

• Ma il punto centrale è in quel rilievo amaro: «Forse sei invidioso perché io sono buono?».

“Invidioso” si può tradurre, letteralmente con occhio cattivo. In fondo la parabola ci dice che possiamo essere ottimi lavoratori, ma essere al contempo, malati di “occhio cattivo”. E non sappiamo quindi stare come si deve nella vigna. Diciamo la verità. È più facile accettare la severità di Dio, che la sua misericordia. Eppure, la prova fondamentale cui è sottoposto il cristiano è questa: 

– Sei capace di accettare la bontà del Signore, di non mugugnare quando perdona, quando compatisce, quando dimentica le offe-se, quando è paziente, generoso verso chi ha sbagliato?

– Sei capace di perdonare a Dio la sua “ingiustizia”?

– Resisti alla tentazione d'insegnare a Dio il... mestiere di Dio?

Il nostro guaio è l'invidia, l'occhio cattivo: la meschinità. Scommetto che, se fossimo stati presenti sotto la croce, avremmo considerato “inammissibile” la pretesa del ladrone di entrare nel Regno di Cristo così a buon mercato. E avremmo trovato da ridire su questa canonizzazione immediata di un furfante che non aveva da esibire nulla delle nostre virtù “collaudate”, ma solo malefatte.

L'infinita misericordia di Dio ha un unico nemico: l'occhio cattivo. Ma chi ha l'occhio cattivo, e non intende guarire, è pure nemico di se stesso, perché rischia di guastarsi l’eternità.

Se non calpestiamo sotto i tacchi la mentalità da mercenari; se aspettiamo la vita eterna quale giusta ricompensa per i nostri meriti, ci precludiamo la possibilità di stupirci, come gli operai dell'undicesima ora, di fronte alla generosità del Padrone. Passeremo l'eternità a conteggiare i nostri meriti; a confrontarli con quella degli altri, a correggere le operazioni di Dio. Una dannazione…

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2.    DIO GRADISCE ESSERE IMPORTUNATO (GIUDICE INIQUO E LA VEDOVA). 

«C'era in una città un giudice che non temeva Dio e non aveva riguardo per nessuno. 

Nella stessa città c'era anche una vedova che andava da lui e gli chiedeva: “Fammi giustizia contro il mio avversario”. Per un po' di tempo il giudice non volle, ma alla fine disse tra sé: “Anche se non temo Dio e non mi prendo cura degli uomini; tuttavia, le farò giustizia e così non verrà continuamente a seccarmi”». 

Il Signore soggiunse: “Avete udito ciò che dice il giudice ingiusto? E Dio non farà giustizia ai suoi eletti che lo invocano giorno e notte? Tarderà ad aiutarli? Vi dico che farà loro giustizia prontamente.  Ma il Figlio dell'uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?». Luca 18, 1-8

Ancora una parabola sconcertante, in cui il modello di una preghiera fiduciosa e costante è offerta da una povera vedova (e fin qui, va bene). Ma in cui l'intervento di Dio pare rassomigli a quello di un magistrato disonesto (e qui la faccenda si complica non poco!). 

Vediamo di non lasciarci impressionare ed esaminiamo i protagonisti della parabola.

– Il giudice, prima di tutto. È un tipaccio in cui nessuno vorrebbe mai incocciare. Insomma, un individuo murato nel proprio egoismo, che bada solo a se stesso, impenetrabile a ogni sentimento, insensibile a tutto ed a tutti. Le parole, le suppliche più accorate rimbalzano contro quell'armatura di durezza senza neppur scalfirla, senza provocare un sospetto di rimorso, una vaga intenzione di pietà.

–  Dall'altra parte una vedova. L'immagine della debolezza disarmata. Priva di appoggi, sprovvista di raccomandazioni. Non può certo pagarsi un avvocato che sostenga la sua causa.

Ella è vittima di due soprusi: prepotenza da una parte (l'avversario), sfacciata inerzia dall'altra (giudice). La battaglia sembra persa in partenza. La debolezza indifesa non ha nessuna possibilità di spuntarla sulla forza arrogante e sull'indifferenza impenetrabile. Eppure, la poveraccia non si arrende. Va dal giudice, una, dieci, venti volte. Lo abborda non appena gli capita a tiro, e non si stanca di fronte ai rifiuti. Quello alla fine, deve capitolare: non ne può più di quelle lagne. E decide di fare giustizia alla donna per togliersela finalmente dai piedi. 

a – Dunque: la debolezza ha prevalso sulla forza. La persona indifesa ha avuto ragione del potere arrogante.

È questa la prima lezione della parabola: non dobbiamo aver timore della nostra debolezza. 

Al contrario dobbiamo rallegrarcene. Non scoraggiamoci per la nostra impotenza. 

L'arma decisiva ce l'abbiamo in noi. È la nostra debolezza, la nostra povertà!

Con quella, e soltanto con quella, abbiamo, non dico la possibilità, ma la certezza di spuntarla.

Soltanto, non dobbiamo stancarci, se la risposta si fa attendere. 

Non perdiamoci d'animo se la nostra voce si arrochisce a forza di gridare. I ritardi, invece di affievolire la speranza, sono una ragione per alimentarla.

b – Tanto più che dall'altra parte – ed è qui che il secondo protagonista non è la copia, ma piuttosto l'immagine in negativo di Dio! – non ci sta là un giudice insensibile, ma un Padre che si lascia ferire dal grido dei suoi figli ed è impaziente di esaudirli.

No. Non si tratta della debolezza contro la forza. Ma è una debolezza (la nostra) contro un'altra debolezza (quella di Dio. Perché nessuno è più vulnerabile di un Dio che ama).

Inutile precisare che, a differenza del magistrato inerte, Dio non ci esaudisce per non essere più seccato. Lui, al contrario, ama la nostra insistenza fastidiosa. Gradisce le nostre richieste ribadite. Desidera essere importunato, purché tutto gli arrivi attraverso il canale della fede.

•• «Ma il Figlio dell'uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?». 

La parabola si chiude con questa domanda inquietante.

Già. I tempi di Dio non sono i nostri. Anche quando Dio ha fretta di esaudirci, può capitare che la nostra fede sia già spenta. La nostra stanchezza giunge prima dell'esaudimento amoroso del Padre.

Così, interrotto il canale-fede, tante risposte non giungano a destinazione.

E poi abbiamo anche il coraggio di lamentarci perché Dio è “sordo”, “non ci ascolta” ... 

Che ne diremmo se, il giorno in cui il giudice decide di accettare di accontentare la vedova, questa non si facesse vedere?

*  * *  * * *  * *  * *  * *  * *  * *  *


– TELEFONATE A DIO –   Quando ti rivolgi a Dio

–   Controlla che il prefisso sia giusto.

Non comporre il numero senza pensarci bene, per non rischiare una telefonata a vuoto.

–   Non irritarti se senti il segnale di “occupato”.

Attendi e riprova. Sei certo di avere composto il numero giusto?

–   Ricorda che telefonare a Dio non è un monologo.

Non parlare continuamente tu, ma ascolta che cosa ha da dirti Lui.

–   In caso di interruzione,

controlla se non sei stato tu ad interrompere il collegamento.

–   Non abituarti a chiamare Dio unicamente in casi d’emergenza,

scegliendo soltanto il numero del pronto intervento.

–   Non telefonare a Dio soltanto in ore a tariffa ridotta,

ossia prevalentemente di domenica.   

–   Anche nei giorni feriali

dovrebbe esserti possibile una breve chiamata a intervalli regolari.

–   Ricordati sempre che

le telefonate con Dio non hanno scatti.

BENVENUTO|

Il Paradiso non può attendere: dobbiamo già cercare il nostro Cielo qui sulla terra! Questo blog tratterà di argomenti spirituali e testimonianze, con uno sguardo rivolto al Carmelo ed ai suoi Santi