AFORISMA

Meglio aggiungere vita ai giorni, che non giorni alla vita
(Rita Levi Montalcini)

Nostra Signora del Carmelo

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sabato 16 novembre 2024

SABBIA MIGRANTE, OSSIA IL MONDO VISTO DA QUI di PADRE MAURO ARMANINO


Sabbia migrante, ossia il mondo visto da qui

Sbarcando a Niamey il mese di aprile del 2011 la parola ‘migrante’ non faceva parte del lessico locale. Si parlava piuttosto di ‘avventurieri’, oppure più semplicemente di ‘esodanti’. Queste due parole nominavano altrettante visioni del migrante, come gli occidentali lo chiamavano. L’avventuriero è una delle figure tipiche dell’immaginario culturale dell’Africa Occidentale perché andare lontano e di preferenza al mare era come un cammino iniziatico. Il giovane diventava ‘uomo’, avventurandosi verso il totalmente sconosciuto per i Paesi del Sahel, il mare! L’immenso, l’ignoto e cioè la grande sfida.

La seconda parola che definiva il migrante era, appunto, ’esodante’. Una parola evocativa che suona come un esilio scelto, un andare senza conoscere come, e se il partente sarebbe tornato.

In effetti nel Niger, da tempo, si praticava una migrazione stagionale che a volte si trasformava in definitiva. I Paesi della costa atlantica o il nord Africa, Algeria, Marocco e soprattutto Libia erano privilegiati. Un esodo provvisorio, per affrontare la stagione di passaggio tra il raccolto e la nuova stagione. Quanto gli avventurieri o esodanti mandavano o portavano a casa permetteva alla famiglia di creare nuove opportunità di emancipazione.

Arrivò poi, dall’Occidente, con una certa violenza, un nuovo lessico che trasformò radicalmente e in modo radicale, la percezione delle migrazioni. L’esodante divenne un ‘migrante’, si trasformò presto in ‘clandestino’, poi in ‘illegale’, ‘irregolare’, in ‘criminale’ o in un ‘illuso’ dall’Eldorado occidentale. L’esternalizzazione delle frontiere europee, peraltro iniziate prima del vertice nel 2015 a La Valette, col Marocco e il Soudan in particolare, hanno completato il processo di ‘criminalizzazione’ della migrazione come fenomeno. Si trattava di bloccare o almeno ridurre il numero di ‘potenziali migranti’ che avrebbero potuto attraversare il Mediterraneo. L’organizzazione Internazionale delle Migrazioni, OIM, l’Unione Europea e gli accordi bilaterali, hanno contribuito a rendere le rotte migratorie più inacessibili, pericolose e onerose. Non solo il mare ma anche il deserto si sono trasformati in cimiteri senza nome e volto. L’agenzia Frontex ha collaborato al respingimento di 27.288 naufraghi tra il 2019 e il 2023. I morti nel Mediterraneo dal 2014, secondo ‘Statista’ sono stati più di 30 mila. Una guerra!

La mobilità è una componente inseparabile della storia dell’umanità. Non casualmente essa è riconosciuta dalla Dichiarazione fondamentale dei diritti umani al numero 13. Ed è proprio dal continente africano, secondo gli specialisti, che si è iniziato il popolamento del mondo. L’Europa, tanto per rimanere in tema di memoria, è stata per oltre un secolo il continente dell’emigrazione verso le Americhe e l’Australia....

Si calcola che tra ‘800 e ‘900 quasi 50 milioni di persone intrapresero un viaggio senza ritorno verso nuove patrie. Le cause di questo fenomeno furono sia demografiche, con l’aumento della popolazione indotto dalla transizione demografica, che economiche, con l’aumento della produttività del lavoro in agricoltura. L’Italia, con quasi nove milioni di emigranti, fu uno dei paesi che contribuirono maggiormente a questi flussi migratori. Le correnti migratorie, innescatesi nella seconda metà del XIX secolo si mantennero sostenute fino al secondo dopoguerra. (www.units.it).

Le ragioni delle migrazioni sono molteplici e, in fondo, ogni migrante è la sua migrazione...Tuttavia, nell’analisi delle cause, non si dovrebbe sottostimare la realtà delle disuguaglianze economiche, le possibilità di formazione, crescita umana e, naturalmente, l’immaginario simbolico. Rimane un fatto inconfutabile che molti economisti di valore sottolineano. Si sostiene che la migrazione è stata finora il mezzo forse più importante per sfidare la povertà. Naturalmente la complessità del fatto migratorio dovrebbe renderci più attenti alle semplificazioni che spesso polarizzano il tema e le posizioni. Ad esempio, l’idea che i popoli africani ‘invadano’ l’Europa appare come fuorviante perché, com’è noto, la maggior parte delle migrazioni africane si effettuano all’interno dell’Africa, in particolare nell’Africa Occidentale.

I miti da smantellare o perlomeno da ridimensionare sono molti ed è innegabile che un’oculata politica di riflessione e accompagnamento del movimento migratorio, nel dialogo coi Paesi da dove provengono i migranti, gioverebbe a tutti, compresa l’economia dei paesi del Nord. L’inverno demografico dell’Occidente non è irrilevante e compito della politica dovrebbe essere anche quello di prevedere il futuro. Proprio di questo si tratta in fondo. Quale tipo di mondo vogliamo abitare assieme. Se un mondo di muri, reticolati, pattuglie e centri di detenzione esternalizzati o, preferibilmente, un mondo dove l’architettura principale siano i ponti.

             Mauro Armanino, Niamey, novembre 2024

sabato 2 novembre 2024

COMPLOTTI, COSPIRATORI E COMPLICI NEL SAHEL di Padre MAURO ARMANINO

 


Complotti, cospiratori e complici nel Sahel


Denunciare tentativi di complotti, svelare intrighi per destabilizzare l’ordine o il disordine costituito, sembra essere una delle specialità dei regimi polizieschi, militari o dittatoriali. Nell’Unione Sovietica staliniana, ad esempio, sappiamo che ogni tentativo di messa in discussione della rivoluzione aveva condotto alla creazione di un un mondo sommerso di campi di detenzione. In essi milioni di persone considerate ‘dissidenti’ e dunque traditori della patria, passavano anni di rieducazione mentale spesso assieme a ‘delinquenti’ comuni. La denuncia regolare, sistematica, organizzata e studiata di complotti, veri o presunti, segue canovacci che si ripetono. Accadono in momenti particolari di difficoltà e credibilità del regime, offrono valide alternative alle critiche e soprattutto compattano una parete dei cittadini increduli. In genere non manca mai, come nei film polizieschi, una spia o un ‘pentito’ che rivela le macchinazioni segrete dei nemici esteriori. Ad ogni regime i propri complotti.
 Certo anche nelle democrazie ben radicate ciò talvolta accade. Per questo ci si affretterà a sottolineare quanto le istituzioni abbiano agito con tempestività ai tentativi di destabilizzazione del regime democratico. Il tutto seguendo norme, principi e senza ricorrere, in genere, a stati di eccezione anche nel caso di cospirazioni. Sono cospiratori coloro che, animati da uno stesso respiro o soffio, preparano e organizzano strategie volte a sovvertire il tipo di società che essi ritengono tradire i principi che li animano. Com’è noto il consenso sulla parola ‘terrorismo’ è tutt’altro che acquisto. Il padre di colui che scrive, giovane partigiano che lottava contro la dittatura nazi-fascista nel suo paese, per alcuni era un ribelle, per altri un patriota e, naturalmente, per i fascisti e i tedeschi null’altro che un criminale. Eppure, le cospirazioni esistono e c’è da sperare che non manchino mai persone che ‘respirino assieme’ il desiderio di un mondo differente. Ad ogni regime i propri cospiratori.
Rimangono, infine, i complici. Coloro che prendono parte in modo attivo, passivo e spesso secondario ai processi sociali in atto. Visibili, invisibili, presenti e assenti allo stesso tempo. La maggioranza silenziosa, o allora coloro che Norbert Zongo, giornalista del Burkina Faso assassinato durante il regime di Blaise Compaoré, definiva ‘ il silenzio dei buoni’. Lo stesso Zongo commentava che spesso ci sia impegna ma a ‘condizione che’ questo non arrechi problemi alla carriera, alla famiglia, alla vita. Grazie ai complici un regime prende il potere, si stabilizza, lo perpetua e lo giustifica. Questa categoria di persone si presenta in modo trasversale ma sono soprattutto i ceti intellettuali e i circoli religiosi che sembrano intuire con maggiore prontezza i vantaggi di tale affiliazione. Essa si trasmette per contagio, convenienza, interessi e timore di perdere i privilegi acquisiti. Spesso, ma non necessariamente, di padre in figlio e di professione in professione. Alcune di queste sembrano più predisposte. In cambio dell’adesione al sistema al potere la garanzia di un posto di prestigio. Ad ogni regime i suoi complici. 




          Mauro Armanino, Niamey, novembre 2024

martedì 29 ottobre 2024

MILITARIZZAZIONI DI POLVERE NEL SAHEL di PADRE MAURO ARMANINO

Scorcio del cimitero di Niamey -Niger

Militarizzazioni di polvere nel Sahel

Le cronache quotidiane di attualità assomigliano in modo palese a bollettini di guerra. Per un fenomeno assai conosciuto di assuefazione ciò diventa come parte dello scenario decorativo delle notizie. Si scivola in ciò che c’è di più terribile nella vita e cioè la ‘normalizzazione’ della violenza armata come unico sistema di risoluzione dei conflitti tra cittadini, classi sociali, Paesi, religioni, culture e interessi. Ad ognuno la sua guerra verrebbe da dire. Uno dei segnali inequivocabili di questo fenomeno è rappresentato dalla crescita delle spese militari in tutti i Paesi che se lo possono permettere. Dopo una leggera contrazione delle spese in seguito alla fine della guerra fredda e la provvisoria scomparsa dell’Unione Sovietica, ci si è accorti che rimanere senza nemici era ancora più difficile che averne uno. La guerra globale al terrorismo, l’asse del male, gli stati canaglia e soprattutto la ri-militarizzazione giustificata da questa guerra infinita, hanno implicato l’ennesima corsa ad armarsi di più, meglio e soprattutto prima del nemico. Quest’ultimo, come noto, è ovunque e soprattutto là dove si desidera fabbricarlo. Armi, guerra e paura sono ottimi ingredienti per rilanciare l’economia, controllare i movimenti ‘pericolosi’ e giustificarsi al potere per decenni.

La guerra nel Nord del mondo, il civilissimo Occidente, la guerra infame del Medio Oriente, le guerre nel continente africano, talvolta lontane dagli sguardi indiscreti dei mezzi di comunicazione e la guerra nel Sahel che affonda le sue radici più prossime alla distruzione voluta della Libia, nel 2011. Da questo Paese, in quel momento con un sistema sanitario, educativo, agricolo ed economico tra i più apprezzati in Africa, sono state esportate armi, rabbia e gruppi armati ben formati da anni di addestramento. Altre cause furono concomitanti e però non slegabili da quanto accaduto prima in Irak, Afganistan, Siria e altrove. Gruppi armati finanziati da chi aveva interessi di farlo si sono gradualmente installati nella zona del lago Tchad et la parte occidentale del Sahel. Antiche rivendicazioni autonomiste, l’arrivo di gruppi formati da ideologie salafiste esportate dall’Arabia Saudita, il Katar e altre entità affiliate, malesseri locali e divisioni latenti, hanno creato una miscela che si è rivelata ‘esplosiva’. Anche perché interessi ideologici, religiosi, politici, commerciali e di potere hanno trovato un terreno propizio nell’assenza dello stato, la crisi economica e lo smantellamento delle strutture culturali di gestione dei conflitti. Il senso di frustrazione di gruppi etnici e di giovani hanno organizzato il resto. 

Sono nati così, strada facendo, l’operazione Serval della Francia poi sostituita dall’operazione Barkhane e fiancheggiata in seguito dalla Cedeao, le Nazioni Unite e l’Unione Europea. La conseguenza di questa saturazione di armi, soldi, militari, interessi divergenti sono stati la moltiplicazione dei gruppi armati e delle economie di guerra. Soldi e guerre vanno bene assieme. Nel mezzo di tutto ciò la gente, i civili, il popolo che, abituato a lottare per la propria quotidiana sopravvivenza, si è visto accerchiato, minacciato ed espropriato del futuro. E fu così che i militari, in considerazione del peso economico e politico accresciuto in questi ultimi anni, hanno avuto buon gioco nell’installarsi al potere. Non senza la promessa di proteggere i cittadini e liberare una volta per tutte i Paesi dalle forze oscure del male che affliggono la vita politica e sociale di tutti e gli interessi di ciò che contano. Non sappiamo il futuro ma il contesto porta a credere che questo processo non sarà così rapido ed efficace. La conseguenza più palpabile nella vita quotidiana nelle città è la presenza visibile, palpabile della militarizzazione della vita sociale. I manifesti, la retorica del linguaggio.

‘Parole come combattimento, liberazione, mobilitazione popolare cittadina, impegno patriottico, dignità, sovranità non negoziabile, indipendenza totale...la patria o la morte’... la presenza di militari armati e no, in ospedali, aeroporto, strade e controllo del traffico, hanno militarizzato la vita politica e civile della Regione. Per fortuna, con l’arrivo prossimo del vento del deserto chiamato ‘Harmattan’, anche la militarizzazione, come tutto del resto nel Sahel, è di polvere.                                                                  Mauro Armanino, Niamey, ottobre 2024                                                                                                               

giovedì 24 ottobre 2024

SCONFINAMENTI - intervista a Padre MAURO ARMANINO

                            Sconfinamenti




1) A partire dal suo piano esperienziale "sul campo" quali elementi rilevanti coglie del rapporto tra giustizia sociale e giustizia climatica?

Ho vissuto buona parte della mia vita In ciò che si chiama il ‘Sud’ del mondo e in particolare in Africa Occidentale. Costa d’Avorio, Liberia e Niger da 13 anni. In particolare, in quest’ultimo Paese, nel quale mi trovo attualmente, opero in ambito delle migrazioni internazionali. Le migrazioni sono un ‘punto di osservazione’ unico se vogliamo tentare di capire cosa significhi ‘giustizia sociale’. In effetti il fenomeno migratorio può essere visto come uno ‘specchio’ del nostro mondo. Il modo con cui sono interpretate, gestite e ‘’criminalizzate’ le migrazioni rivelano il tipo di mondo e società nel quale ci troviamo. Disuguaglianze economiche, esclusioni, immaginari sociali e incapacità degli stati a dare concrete offerte di futuro ai giovani sono forme di violenza. Le migrazioni rappresentano uno dei tentativi di risposta alla ‘sparizione’ programmata di migliaia di giovani. La risposta, in genere violenta, alla mobilità umana, dice molto sul tipo di sistema di esclusione che si perpetua nella società. La giustizia implica ‘dare a ciascuno ciò che gli spetta’ in quanto persona relazionale chiamata a realizzare in pienezza la propria esistenza. C’è il diritto di rimanere, di partire, di lasciare il proprio paese e tornarvi senza che questo processo si trasformi in un viaggio ‘verso la morte’ nel deserto, il mare o le frontiere diventate muri.

Quanto alla ‘giustizia climatica’ vedo più complicato definirne i contorni. Nel Sahel, dove mi trovo, i cambiamenti climatici non datano da oggi. Periodi di siccità, talvolta drammaticamente lunghi, sembrano alternarsi a pioggie la cui entità sembra inedita. Sono vari i fattori che interagiscono sulla ‘giustizia climatica’. Tra questi la demografia, la crisi economica, l’assenza marcata dello Stato, l’insicurezza alimentare e la violenza armata di vari gruppi di affiliazione islamica. Altri gruppi rilevano maggiormente del banditismo che canalizza a proprio beneficio le risorse minerarie, droga e armi. Ciò contribuisce a produrre massicci spostamenti di popolazioni, che accentua la crisi ecologica. Soprattutto l’aspetto relazionale sembra il settore maggiormente colpito dal fenomeno citato. Crescono le manipolazioni identitarie, populiste e sovraniste che corrodono la coesione sociale. Ogni tentativo di cambiamento è ‘minato’ dalle divisioni etniche, religiose e politiche.

2) Quali responsabilità abbiamo? Perché ci riguarda?

L’Occidente porta una grande responsabilità sul tipo di mondo che abitiamo e il sistema che lo regge. In effetti il neoliberalismo capitalista non è solo un sistema economico quanto un’interpretazione della realtà. Quando tutto e tutti diventano ‘mercanzia’, e cioè oggetto che ha un prezzo di vendita sul mercato, capiamo perché lo sfruttamento di beni e persone non ha limiti. Se il solo parametro è il profitto nel tempo più rapido, la conseguenza non può che essere una guerra permanente di tutti contro tutti. Proprio come nella giungla, la sola legge che vige è quella del più forte ed è così che il mondo è fondamentalmente governato da poche migliaia di persone che costituiscono l’élite finanziaria del pianeta terra. La stessa politica sarà asservita a questo tipo di progetto economico e societario. Saranno gli interessi della piccola classe dominante a prevalere sull’interesse comune. Il capitalismo è nato e prosperato in Occidente ed è stato ‘esportato’ dappertutto dalla conquista dell’America fino all’epoca delle colonizzazioni per passare dal fenomeno della tratta degli schiavi. La natura, le relazioni umani, il senso stesso della vita hanno sofferto una terribile divisione. Da un lato un progetto di vita, di comunione, di armonia e di ‘ buen vivir’ (vivere bene) e dall’altro un progetto di morte dovuto all’appiattimento delle persone e del destino ad una sola dimensione, quella del profitto. Ogni tentativo di risanare il mondo, l’ecologia, l’economia ‘green’, l’uguaglianza e la giustizia che non contemplino la messa in discussione radicale del sistema capitalista è destinato a fallire. Solo nuovi stili di vita e di economia, basati su una sana politica di ricerca del bene comune e la contestazione delle spese militari e delle guerre come ‘distruzione creativa’ potrà sperare di dare futuro al futuro.
 

3) Dal suo "punto di osservazione" che percezione ha delle consapevolezze (o meno) dell'Occidente?

Dall’osservatorio di ‘sabbia’ del Sahel, rilevo tre tipi di naufragio dell’Occidente. Il primo si trova nello ‘sguardo’. In effetti, malgrado le critiche, i lavori degli antropologi e i cambiamenti occorsi nell’interpretazione delle culture, lo sguardo dell’Occidente sulle Afriche, e più in genere sul ‘Sud’ del mondo, non riesce a liberarsi dal passato ‘coloniale’. Uno sguardo, quello occidentale, che continua a presumersi unico e dunque in grado di giudicare, dal ‘suo’ centro e punto di vista ogni differenza in fondo intesa come inferiorità rispetto al modello unico europeo. 
Forse non si è capito ancora che anche gli africani hanno smesso di parlare con la bocca degli altri e di guardare con gli occhi degli altri. Hanno scelto di usare la propria bocca e i propri occhi per raccontarsi. L’incapacità di mettersi all’ascolto dell’altro è proprio ciò che ha costituito il secondo naufragio dell’Occidente. L’arroganza del potere della tecnica, dell’economia e, non dimentichiamo, delle armi, ha creato la temibile malattia della sordità europea che parla di se stessa e a se stessa senza mai uscire da se stessa. In tutti questi anni di progetti di sviluppo, assistenze umanitarie e accordi bilaterali il grande assente è stato l’ascolto attento e umile di chi avrebbe potuto salvare l’Europa da se stessa.
Infine, alla radice dei naufragi giace il grande tradimento che avrebbe comportato lo smarrimento del pensiero e dell’etica ad esso conseguente. Si tratta della drammatica separazione della spiritualità dalla vita quotidiana, la mutilazione non casuale di ogni interiorità, la perdita del sacro, dell’anima e di quanto costituisce la dignità della persona. L’espropriazione di questa dimensione essenziale è stata l’opera fondamentale del capitalismo che il neoliberismo continua a completare. Le Afriche non accetteranno facilmente di essere svenduti alle ideologie dominanti nell’Occidente etico. Per chi ‘ogni giorno in più è una vita’ non è credibile che il cambiamento di sesso dei bimbi o le bandiere arcobaleno LGBT siano una priorità.
                        
                          Mauro Armanino, ottobre 2024

lunedì 21 ottobre 2024

GLI OSTAGGI DEL SAHEL di Padre MAURO ARMANINO

 


Gli ostaggi del Sahel

Pierluigi Maccalli, detenuto come ostaggio da gruppi di ispirazione salafista per oltre due anni, è tornato nel Niger, luogo del suo rapimento, per qualche giorno. Il ritorno al Paese è caduto alla stessa data d’inizio della prigionia nella savana del Burkina Faso prima e nell’immenso deserto del Sahara poi. L’inizio e la fine. Tra questi simbolici momenti, due anni di cattività in solitudine, con tanto di catene durante le lunghe notti stellate del deserto. Pierluigi è da allora molto attento agli sviluppi delle trattative per altri ostaggi come lui, detenuti nel Sahel e altrove. Le sue sono state catene di libertà perché lo hanno trasformato in ostaggio della pace, delle parole e delle mani disarmate. 

Accade però, per chi non ha avuto lo stesso drammatico privilegio dell’amico e confratello citato, che si viva come ostaggi senza saperlo o volerlo. Oppure può succedere che si preferisca vivere da ostaggi per non rischiare quanto di più pericoloso c’è nella vita e cioè la libertà. Pierluigi vedeva, sentiva, soffriva le catene ai piedi. Per circa un mese è stato incatenato notte e giorno ad una catena lunga un metro e venti centimetri. Solo i cani, forse, possono capire cosa ciò significhi per una persona abituata a muoversi, viaggiare e decidere dove andare. C’è chi non si accorge di essere incatenato, proprio come lo è stato Pierluigi, e si accontenta del cibo che gli viene elargito nel quotidiano.

Ci sono gli ostaggi della miseria, creata, riprodotta, accettata come ineluttabile e talvolta mantenuta perché così sembra funzionare il mondo da che è mondo. C’è chi nasce per vivere da schiavo, rassegnato al proprio destino scritto sul libro di sabbia e chi invece può permettersi di decidere il tipo di futuro che avrà lui e i suoi figli. Ostaggi del mondo umanitario che prospera proprio dove più forte risuona il grido degli ostaggi della malattia che uccide più della guerra, chiamata fame. Ostaggi ai quali, spesso, nessuno ha mai detto che quanto scritto sul libro del destino non è che sabbia che il vento disperde. Un altro mondo è possibile quando le catene invisibili sono riconosciute come tali.

Seguono, nel Sahel, questo spazio straordinario di storia, culture, tradizioni, confitti e avventure, gli ostaggi della paura. Paura per l’oggi, l’arrivo possibile dei gruppi armati che dettano legge e morte. Paura per il domani, la semina, i raccolti, i granai, le tasse da pagare per persona, le conversioni forzate, l’arruolamento nella nebulosa jihadista, che mercanteggia religione, oro, droga, armi e gli anni migliori dei giovani. Paura per la delazione che rende tutti sospettosi anche all’interno delle famiglie e dei villaggi nei quali per decenni si è convissuto in relativa armonia e accettazione delle diversità. Poi arrivano le identità fomentate e dunque escludenti, mortali e divisive.

E infine, gli ostaggi forse meno riconoscibili e forse anche per questo assai deleteri. Sono gli ostaggi della menzogna che impera tramite la retorica che svende i mezzi per giustificare il fine. Si associano, appoggiano, giustificano, difendono e si arruolano al pensiero dominante del momento. La politica non serve e i diritti umani sono merce di scambio ideologico perché ciò che conta è il bene del popolo così come un gruppo di ‘illuminati’, spesso armati, decide sia tale. Ostaggi che infiltrano ciò che rimane dei partiti, sindacati, mezzi di comunicazione e persino le medaglie al merito sul campo.

Aveva ragione l’amico Pierluigi. Diceva che possono incatenare i piedi ma non il cuore e lo spirito. Come ricordo del suo tempo di detenzione ha portato con sè un anello della catena. Per ricordare che solo chi ha portato le catene gioca la sua vita per la libertà degli altri.

             Mauro Armanino, Niamey, ottobre 2024 

sabato 5 ottobre 2024

FRONTIERE, NAZIONI E SOLDATI NEL SAHEL di Padre MAURO ARMANINO

 


Frontiere, nazioni e soldati nel Sahel

Le frontiere esistono dapprima nelle nostre teste. Da lì passano a governare i confini dei territori delle nazioni. Linee, puntini, muri, fili spinati, campi minati, documenti, fiumi, mari e deserti arruolati da chi prevale nei rapporti di forza del momento. Provate a lasciare Niamey, la capitale, raggiungete Dosso e poi arrivate al confine con la Repubblica del Benin, la città di Gaya. Da più di un anno, cioè dall’atipico colpo di stato di luglio, il ponte che attraversa il fiume Niger è chiuso al traffico. Sono le vecchie, antiche e sempre attuali piroghe che permettono il passaggio di decine di passeggeri da ambo le parti. Per passare si sommano le tasse dei doganieri, marinai, gendarmi, militari, consiglieri e trasportatori di mercanzie che i viaggiatori sono tenuti a sborsare per accedere dall’altra parte della frontiera. Le frontiere sono invenzioni che, prese sul serio, possono delimitare la mobilità dei poveri.

Per Benedict Anderson, storico e politologo sino-irlandese, le nazioni non sono altro che delle comunità politiche ‘immaginate’, limitate e sovrane. Questo perché solo una parte delle persone della ‘nazione’ potrà conoscersi fisicamente. Perché la nazione esista, con maggiore o minore fortuna, bisognerà inventarsi un futuro comune di cui il passato sembra portare le premesse. Stesso territorio, ideali, lingua, cultura e soprattutto un destino comune, differente dagli altri. Ben delimitato e orchestrato da valori, ideali e uno spirito che si apparenta all’assoluto. La nazione ‘immaginata’ può inventarsi nel nazionalismo che fa del popolo come tale una quasi-religione. Per la nazione, la ‘Patria’ (dal latino ‘Pater’, padre) si può e deve dare la vita se necessario. I cimiteri e le guerre che li hanno confezionati nella storia umana ne sono una metafora e un monito perenne.

Le frontiere esistono dapprima nelle nostre teste, Poi si disegnano e nascono con gli stati che delle nazioni dovrebbe essere l’espressione. Naturalmente ciò è complicato perché la realtà è multiforme e difficilmente si lascia ingabbiare da concetti. Tra nazioni, stati e frontiere c’è connivenza. Uno dei frutti della loro unione sono le guerre che, come sottolineato sopra, costituiscono una delle dominanti dei nazionalismi che si avvalgono dello stato per armarsi, difendersi o creare effimeri imperi. Tutto ciò appare come un’invenzione occidentale esportata di forza o di diritto altrove dove comunque esistevano forme di struttura sociale, politica, economica e militare. Altrove, infatti, le frontiere esistevano ma forse interpretate altrimenti. Etniche, linguistiche, religiose o semplicemente di fatto e più permeabili perché i muri, così come i campi di concentramento e detenzione, sono dello stato nazionalista una delle manifestazioni più emblematiche e conseguenti.

Il nazionalismo sottolinea in particolare un’identità e un destino comune, sufficientemente inventati anch’essi, per arruolare quanta più gente al proprio progetto egemonico. Il consumo locale, la patria e la sua salvaguardia e soprattutto il sovranismo, entità poco definibile al di fuori delle frontiere tracciate dalle ideologie, diventano altrettante parole d’ordine per la gestione del Paese o dello spazio che le frontiere delimitano. I cittadini saranno col tempo selezionati tra obbedienti, recalcitranti, militanti o refrattari da rieducare. Nell’Unione Sovietica dell’epoca staliniana si utilizzarono gli ospedali psichiatrici per i dissidenti che non ‘aderivano al progetto rivoluzionario della lotta proletaria per il comunismo’. Dalle nostre parti non siamo ancora così sofisticati e sono sufficienti le sparizioni e le auto-censure di chi teme di pensare differentemente l’appartenenza ad un popolo.

Le frontiere esistono dapprima nelle nostre teste. Poi si organizzano all’esterno e all’interno della nazione e dello stato. Per classi sociali, per i figli che studiano nel Paese e altri che vanno all’estero, per chi si cura sul posto e chi ha i mezzi per cliniche private altrove, per chi avrà un futuro nel sistema e chi ne sarà per sempre estromesso. Da cittadini, depositari cioè di diritti e doveri riconosciuti si dovrebbe diventare, secondo le testuali parole della autorità del momento, poliziotti, gendarmi, guardie o, in una parola, soldati. Tutto ciò contribuirà a creare nuove e inedite frontiere nella Regione.

C’è chi sogna, tuttavia, che le frontiere diventino ponti e i ponti frontiere, cominciando da Gaya.

                  Mauro Armanino, Niamey, ottobre 2024


sabato 28 settembre 2024

NULLA DI NUOVO SOTTO IL SOLE (E LA PIOGGIA) DEL SAHEL di Padre MAURO ARMANINO

 

Nulla di nuovo sotto il sole (e la pioggia) del Sahel


Così scriveva il saggio tanto tempo fa quando, ancora con onestà, si osservava la condizione umana nella sua drammaticità. Oggi si preferisce piuttosto descriverla come spettacolo. Le vittime, così come i drammi che si ripetono nel Sahel e altrove, confermano che il ‘nuovo’ è già accaduto.  C’è forse qualcosa di cui poter dire ‘ecco finalmente qualcosa di nuovo’... ciò era già stato nel tempo che ci ha preceduto e di cui non si serba alcun ricordo. Vanità delle vanità, scriveva il saggio, tutto è vanità. C’è un tempo per tutto e tutto per un tempo, dice il saggio.  Un tempo per cercare e uno per perdere.
In questo contesto ‘vanità’ va interpretato come sinonimo di soffio, alito, bruma del mattino che svanisce con l’arrivo del sole. Vanità sono le inconsistenze che sono presentate al popolo come necessarie. Come vaghe promesse di un mondo e futuro migliore che, certamente, arriverà domani o comunque a breve. Questione di giorni, anni o generazioni ma che, senza dubbio, accadrà quanto prima. L’arte della guerra continua a trasmettersi e, peggio ancora, quando si prende Dio come ostaggio, si giustifica. C’è un tempo per tutto, dice il saggio. Un tempo per tacere e uno per parlare.
Non c’è nulla di nuovo sotto il sole del Sahel. Così sembra nell’accaparramento, gestione e conservazione del potere politico, economico e religioso. Da elites civili a quelle militari purché il popolo degli umili, cioè il popolo di sabbia, sia escluso, controllato e condotto nella direzione stabilita dagli ‘illuminati’ del momento. Vanità sono le parole che non hanno più nessuna relazione con la verità e diventano il mezzo per imprigionare la realtà nell’ideologia dominante. La menzogna si riproduce grazie alla complicità delle parole vendute al vento. C’è un tempo per tutto, scrive il saggio.
Un tempo per dare la vita e uno per morire. Un tempo per piantare e uno per sradicare. Un tempo per distruggere e uno per costruire. Un tempo per gemere e uno per danzare. Vanità delle vanità, tutto, diceva il saggio, è vanità. I regimi di eccezione, quelli di transizione, le monarchie, le repubbliche e le dittature che preparano la democrazia, per finire nelle mani dei detentori di denaro contante. Anche questa è vanità, direbbe il saggio. C’è un tempo per tutto. Un tempo per essere cittadini e un tempo per vivere come schiavi. Un tempo per strappare e un tempo per unire.
Non c’è nulla di nuovo sotto il sole del Sahel. Passano le stagioni e passano anche i diritti che si pensavano inespugnabili. Il diritto di pensiero, della mobilità, di associazione, di professare convinzioni politiche e religiose, il diritto all’informazione e soprattutto il diritto a una vita decente. Vanità delle vanità, tutto è vanità, immagina il saggio. Perché c’è un tempo per ogni cosa e ogni cosa per un tempo. Un tempo per la guerra e uno per la pace che è quanto il Sahel e il mondo hanno smarrito. Quest’ultima è come un sentiero che, smesso di percorrere, è andato smarrito. Solo coloro che camminano disarmati ne ricordano l’esistenza, la direzione e il segreto.

                Mauro Armanino, Niamey, settembre 2024 




lunedì 9 settembre 2024

IL FUORIGIOCO DI MOUSSA di Padre MAURO ARMANINO

 



                            Il fuorigioco di Moussa

Parte di nascosto dalla famiglia nel 2022. Sono quattro sorelle e tre fratelli coi genitori sorpresi dalla sua telefonata dalla capitale del Camerun, Yaoundé. Moussa si presenta di professione calciatore e gioca in difesa. Originario del Gabon che per molto tempo ha galleggiato sul petrolio attirando migliaia di lavoratori migranti, Moussa è convinto che il suo futuro sarà in una squadra di calcio d’Europa. Passa la Nigeria e attraversa il Niger per raggiungere l’Algeria. Trova lavoro come imbianchino nella capitale e riesce a mettere da parte i soldi sufficienti per completare il suo viaggio nella città di Sfax, in Tunisia. 
Lavorando come può in città si può permettere di pagare i 700 euro che il passeur gli ha chiesto per il transito in Italia. Siamo a inizio settembre dell’anno scorso. Profittando della notte, Moussa e una ventina di passeggeri con nove donne e alcuni bambini, si imbarcano su una zattera di ferro. Non sono lontani da riva quando una pattuglia della guardia costiera tunisina li intercetta e li riporta sul continente che avrebbero voluto lasciare per sempre dietro di sè. Moussa e gli altri compagni di vaggio passano due mesi in prigione a Sfax. Con altre centinaia di migranti e rifugiati sono trasportati in bus nel deserto alla frontiera con l’Algeria e ivi abbandonati al loro destino.
Raccolti in un centro di raccolta e detenzione nella città di Tamanrasset sono poi caricati su camion come animali o mercanzia da vendere e abbandonati nell’ultima città frontaliera dell’Algeria col Niger, chiamata In Guezzam. La notte raggiungono il confine col Niger camminando nel deserto e osservando le luci lontane del villaggio di Assamka, provvisorio asilo per miglia di migranti espulsi e deportati. Passata la città di Arlit, Moussa, coi pochi soldi nascosti alle rapine dei militari, raggiunge Tahoua e, infine, Niamey. Alloggiato per un paio di settimane nella stazione del bus che l’ha trasportato alla capitale del Paese, è in cerca di cibo e alloggio. Cerca un lavoro qualsiasi che gli permetta di raggiungere l’ambasciata più vicina onde tornare al Paese natale. Suo padre si chiama Ibrahim e sua madre Fatima. Moussa, Mosè, non ha attraversato il Mare, perché ha saputo dopo di trovarsi in fuori gioco.
                                                                             
Mauro Armanino, Niamey, settembre 2024

venerdì 23 agosto 2024

SCHIAVITÙ VOLONTARIE E FRAGILI LIBERAZIONI NEL SAHEL di padre MAURO ARMANINO

 



Schiavitù volontarie e fragili liberazioni nel Sahel

La schiavitù, processo nel quale la persona è espropriata della sua umana dignità, non è affatto terminata. Difficile dimenticare la tratta atlantica di milioni di schiavi preceduta e accompagnata dal quella dei mari orientali attraverso le piste carovaniere del deserto. In questo ambito Paesi ‘cristiani’ e ‘musulmani’ hanno utilizzato entrambi la schiavitù come sistema economico e sociale, mare Mediterraneo compreso. La tratta degli schiavi ha saputo adattarsi e prosperare nelle mutevoli contingenze storiche senza nulla perdere della sua cinica strategia di annientamento. In Africa Occidentale la pratica della schiavitù si riproduce in vari Paesi a seconda dei gruppi etnici, dei rapporti di potere culturale, economico e politico. Per ogni epoca le sue ‘compatibili’ schiavitù.

Nella notte del 22 al 23 agosto del 1791 iniziò l’insurrezione nell’isola di Santo Domingo, oggi Repubblica di Haiti, che avrebbe giocato un ruolo determinante nell’abolizione della tratta atlantica degli schiavi. Ed è in questo contesto che la giornata internazionale della memoria della tratta degli schiavi e della sua abolizione è commemorata ogni anno il 23 agosto. Detta celebrazione vuole inscrivere questa tragedia nella memoria collettiva dei popoli col progetto interculturale ‘Le Strade delle persone ridotte in schiavitù’. Alcuni luoghi della costa atlantica, come la ‘ Porta del non-ritorno ’ di Ouidah nel Bénin e quella dell’isola di Gorea in Senegal, sono emblematici. Le porte di ‘non-ritorno’ si sono oggi moltiplicate perché la mercificazione delle persone si è, col tempo, perfezionata.

Tutto, proprio tutto, è stato gradualmente trasformato in mercanzia. Il tempo, le frontiere, il corpo umano, la sessualità, il lavoro e la vita stessa fin dal suo scaturire nel grembo materno. Dalle nostre parti si assiste all’arruolamento di bambini nei gruppi armati, lo sfruttamento degli stessi nelle miniere e nelle piantagioni per sfociare infine nella mendicità, la prostituzione e il lavoro domiciliare. D’altra parte è bene non dimenticare che, nel Sahel, la prima e grande schiavitù è la miseria. Le sue figlie naturali sono le carestie che si riproducono con paziente regolarità e coinvolgono, secondo le ultime statistiche della ‘Alliance Sahel’, almeno 38 milioni di persone. Quanto accade in Libia coi migranti che sono da tempo detenuti, imprigionati, sfruttati e, spesso, violentati, è storia ben nota.

Quanto alla schiavitù mentale, fonte e culmine di tutte le servitù elencate, essa inizia il giorno nel quale si accetta, spesso con inconscia gratitudine, la propria schiavitù. Senza sudditi sinceri, fedeli e consenzienti nessuna schiavitù e nessun tiranno potrebbe esercitare il suo potere di dominazione. Ricordava infatti Etienne de la Boétie...’ (Poeta e umanista francese (Sarlat, Dordogna, 1530 - Germignan, Bordeaux, 1563). Fu magistrato nel tribunale di Bordeaux, dove divenne amico di Montaigne (che parlò di lui nei suoi Essais e curò la pubblicazione delle opere); tradusse Plutarco e Senofonte. Espresse il suo pensiero, d’ispirazione stoica, oltre che in poesie in latino e in francese, nel celebre Discours de la servitude volontaire ou le Contr’un (post., 1576; trad. it. Discorso sulla servitù volontaria), dissertazione retorica sull’arbitrarietà di ogni potere, utilizzata dai calvinisti per legittimare la loro causa. Questo scritto fu poi ripreso e plagiato da Marat in Chaînes de l’esclavage (1774) e riscoperto da Lamennais.) Sono dunque i popoli stessi a lasciarsi o per dire meglio a farsi maltrattare, sarebbero salvi solo se smettessero di servire. È il popolo che si fa servo e si taglia la gola; che, potendo scegliere fra essere soggetto o essere libero, rifiuta la libertà e sceglie il giogo, che accetta il suo male, anzi lo cerca’. Nel Sahel i colpi di stato a ripetizione e l’avvilimento delle esperienze democratiche post indipendenza sono lo specchio dei nostri popoli.

Scrive ancora de la Boétie...’non è forse evidente che i tiranni per imporsi hanno sempre cercato di abituare i popoli non solo ad ubbidire e servire ma anche a venerarli?’. Nessun cambiamento, trasformazione o autentica rivoluzione potrà cadere dall’alto di un’illuminata minoranza civile o militare. Le uniche ‘liberazioni’ possibili non possono che scaturire, nutrirsi e crescere a partire dalla debolezza e la fragilità dei poveri che, soli, hanno il segreto della quotidiana lotta per la resistenza. Il primo passo sarà quello consigliato dall’autore citato...’ Decidete una volta per tutte di non servire più, e sarete liberi! Vi chiedo ...soltanto di smettere di sostenerlo e lo vedrete, come un colosso di cui si sia spezzata la base, crollare sotto il proprio peso e spezzarsi’. E’questa la vera porta di non-ritorno.




Migranti

        Mauro Armanino, Niamey, 23 agosto 2024



sabato 10 agosto 2024

LA PAROLE A' SANTE MONIQUE en aout 2024 Padre MAURO ARMANINO NIGER Jn 6, 41-51 Ecouter . Les Juifs récriminaient contre Jésus ’ Moi, je suis le pain qui est descendu du ciel’- Le signe . Ils disaient Celui-là n’est-il pas Jésus, fils de Joseph ? Nous connaissons bien son père et sa mère- On a bien collé l’étiquette sur lui, la MODE de tous les temps . Personne ne peut venir à moi, si le Père qui m’a envoyé ne l’attire, et moi, je le ressusciterai au dernier jour- C’est toujours Dieu qui prend l’initiative…Jésus es le pain de vie ! . Il est écrit dans les prophètes Ils seront tous instruits par Dieu lui-même- Jer 31, 33-34 . Personne n’a jamais vu le Père sinon celui qui vient de Dieu celui-là seul a vu le Père- Jésus . Amen, amen- En vérité…c’est digne de foi…il faut le croire . Il a la vie éternelle, celui qui croit. Moi, je suis le pain de la vie- La vie de Dieu ! . Au désert, vos pères ont mangé la manne…et ils sont morts – En tant que êtres humains mortels ! Deux nourritures : périssable et impérissable ! . Je suis le pain vivant, qui est descendu du ciel : si quelqu’un mange de ce pain, il vivra éternellement- C’est le cœur même du message de l’évangile de vie ! . Le pain que je donnerai, c’est ma chair, donnée pour la vie du monde. - Le don de sa vie sans conditions dans sa totalité ! OU- De l’autre côté du lac QUAND. Après la multiplication des pains QUI- Jésus,ue de préjuger l’action libre de Dieu ! (Étiquettes !) .

                         


La Parole 64 à STE MONIQUE en aout 2024

                                                                  Jn 6, 41-51

Ecouter

. Les Juifs récriminaient contre Jésus ’ Moi, je suis le pain qui est descendu du ciel’- Le signe 

. Ils disaient Celui-là n’est-il pas Jésus, fils de Joseph ? Nous connaissons bien son père et sa mère- On a bien collé l’étiquette sur lui, la MODE de tous les temps

. Personne ne peut venir à moi, si le Père qui m’a envoyé ne l’attire, et moi, je le ressusciterai au dernier jour- C’est toujours Dieu qui prend l’initiative…Jésus es le pain de vie !

.     Il est écrit dans les prophètes Ils seront tous instruits par Dieu lui-même- Jer 31, 33-34


. Personne n’a jamais vu le Père sinon celui qui vient de Dieu celui-là seul a vu le Père- Jésus 

. Amen, amen- En vérité…c’est digne de foi…il faut le croire

. Il a la vie éternelle, celui qui croit.  Moi, je suis le pain de la vie- La vie de Dieu !

. Au désert, vos pères ont mangé la manne…et ils sont morts – En tant que êtres humains mortels ! Deux nourritures : périssable et impérissable !

. Je suis le pain vivant, qui est descendu du ciel :  si quelqu’un mange de ce pain, il vivra éternellement- C’est le cœur même du message de l’évangile de vie !

. Le pain que je donnerai, c’est ma chair, donnée pour la vie du monde. - Le don de sa vie sans conditions dans sa totalité ! 

OU- De l’autre côté du lac

QUAND. Après la multiplication des pains

QUI- Jésus, disciples, juifs

Messages

. Le risque de préjuger l’action libre de Dieu ! (Étiquettes !)

. Il y a deux types de pain…pour le corps et pour l’esprit

. Jésus seul a ‘vu’ le Père et peut le raconter

. Il se donne lui-même en nourriture du ciel(=Dieu)

. Qui croit et se nourrit de Jésus a la vie éternelle= sa vie

Méditer

. Quel sont nos préjugés ?

. Quel type de pain cherchons nous d’abord ?

. Comment apprendre à faire grandir la foi ?

. Quel type de Dieu nous a montré Jésus ?

. D’où vient Jésus ?




mercoledì 7 agosto 2024

NOI, POPOLO NIGERINO SOVRANO di P. MAURO ARMANINO


 

            Noi, Popolo nigerino sovrano

Comincia con questa affermazione il preambolo dell’ultima Costituzione del Niger prima che essa fosse sospesa dal colpo di stato militare del 26 luglio dell’anno scorso. Si trattava della carta fondamentale della settima repubblica, adottata il 25 novembre del 2011. Documento nato dopo un anno di transizione seguito ad un precedente colpo di stato militare. Il primo articolo, riguardante lo Stato e la sovranità, ricorda che lo Stato del Niger è una Repubblica indipendente e sovrana. Alla veglia della celebrazione dell’anno 64 dell’indipendenza, il prossimo 3 agosto, può essere interessante tentare di mettere in relazione le due proprietà citate. La sovranità nell’indipendenza e l’indipendenza nella sovranità.

Entrambe le caratteristiche citate, da interpretare in chiave dinamica e creativa, si fondano e realizzano ciò che potremmo chiamare la ‘dignità’. In nome della dignità della persona e del popolo, si parlerà di indipendenza come condizione non eludibile alla pratica della sovranità. La dignità è inerente a ogni persona umana. Alla Repubblica incombe il dovere di riconoscerla, proteggerla e promuoverla. Essa precede lo Stato che dovrà creare le condizioni per renderla effettiva e operativa. Ciò accade di solito tramite il diritto che, attraverso le leggi, ha lo scopo di rimuovere quanto potrebbe impedirne l’esercizio. Solo che, lo sappiamo, le leggi funzionano solo se il popolo veglia a non farsi rubare la dignità.

I ladri di dignità esistono davvero e molto spesso si spacciano per benefattori del popolo. Il colonialismo e il neo colonialismo ne sono un esempio eclatante. Il fascismo, il militarismo, la trasformazione del mondo in merci, i mezzi di comunicazione vassalli del denaro, le elites religiose vendute al potere e altri simili amenità scippano la dignità del popolo. Ecco perchè il primo compito di ogni persona e comunità dovrebbe consistere nel far crescere la consapevolezza dell’inalienabile dignità di ogni essere umano. Ciò implica dunque il dovere di creare spazi e ambiti nei quali la dignità sia promossa e, quando necessario, difesa. Rivendicare la dignità perduta e ritrovata passa attraverso la cittadinanza attiva del popolo.

L’articolo 4 della soppressa Costituzione ricorda che la sovranità nazionale appartiene al Popolo e che nessuna frazione dello stesso, nessuna organizzazione o individuo può attribuirsene l’esercizio, neppure i militari. Il popolo, ricorda l’articolo 6 della Costituzione, esercita la sua sovranità per mezzo dei rappresentanti eletti e per referendum. Il collante tra l’indipendenza del Paese e la sua Sovranità passa per la dignità. Ciò naturalmente implica che le condizioni di vita dei cittadini siano degne, Cibo, casa, lavoro, salute, educazione e partecipazione politica sono ambiti non negoziabili se si assume come compito il riconoscimento della dignità. Dimenticare questo significa mistificare sia l’indipendenza che la sovranità. Rimarrebbe solo il vuoto di parole buttate nel vento che la polvere seppellirà nel cimitero delle promesse tradite.


                Mauro Armanino, Niamey, 2 agosto 2024


sabato 20 luglio 2024

LA PAROLE 61 À S.TE MONIQUE NIAMEY EN JUILLET 2O24 - P. MAURO ARMANINO


La Parole 61 à STE MONIQUE en juillet 2024

                Mc 6, 30-34
Ecouter
. Après leur première mission, les Apôtres se réunirent auprès de Jésus, - Les Douze, envoyés !
. Lui annoncèrent tout ce qu’ils avaient fait et enseigné- Mission c’est aussi RACONTER l’œuvre de Dieu !
.  Venez à l’écart dans un endroit désert, et reposez-vous un peu- Le temps du discernement et du repos
. Ceux qui arrivaient et ceux qui partaient étaient nombreux, et l’on n’avait même pas le temps de manger- les guérisons et l’annonce du Règne poussent les gens à chercher le salut !
. A pied, de toutes les villes, ils coururent là-bas et arrivèrent avant eux. - Engouement, chercher la vie ! 
. Jésus vit une grande foule.  Il fut saisi de compassion envers eux- Le regard de Dieu miséricordieux
. Parce qu’ils étaient comme des brebis sans berger.  Alors, il se mit à les enseigner longuement- Le regard du bon berger !
OU- Autour du lac
QUAND- Après avoir envoyé les Douze
QUI- Jésus + apôtres + foule
Messages
. Le temps de raconter, discerner et se reposer est part de la mission !
. Les soifs d’espérance et du salut du peuple des pauvres
. Les pauvres nous précédent
. Le regard rempli de compassion de Jésus, le regard de Dieu !
. Enseignement sans répit
Méditer
. Qu’avons-nous à raconter de l’action de Dieu ?
. Quand et où se mettre à l’écart pour ‘méditer’ ?
. Quel est notre regard sur les pauvres ?
. Quand et où se mettre à l’écart pour ‘méditer’ ?
. Quel est notre regard sur les pauvres ?



Padre Mauro Armanino


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Il Paradiso non può attendere: dobbiamo già cercare il nostro Cielo qui sulla terra! Questo blog tratterà di argomenti spirituali e testimonianze, con uno sguardo rivolto al Carmelo ed ai suoi Santi