AFORISMA

Meglio aggiungere vita ai giorni, che non giorni alla vita
(Rita Levi Montalcini)

Nostra Signora del Carmelo

Nostra Signora del Carmelo
colei che ci ha donato lo scapolare

lunedì 27 febbraio 2023

DIO IN TERESA - Settima conferenza di Padre CLAUDIO TRUZZI OCD

 

– DIO IN TERESA –

       Senza dubbio alcuno, la parola del mistico [= chi fa esperienza di Dio] su Dio è quella che ci colloca più vicino a Dio, la meno povera tra quelle che esprimiamo noi uomini: parla di testimoni che narrano e raccontano quello che hanno “visto”, in linea con la parola biblica.

Teresa di Lisieux non è un'eccezione, ma è la conferma della "regola" della rivelazione divina di mostrarsi a noi attraverso "i fatti e le parole". E i fatti più preziosi sono le persone in cui la sua rivelazione si sostanziò maggiormente, partendo dalla fonte originale e originante di Gesù di Nazareth, in cui Dio si fece Emanuele, “Dio con noi”. 

Si è detto che Dio "è il principio, la sostanza e il fine di Teresa"; che "letteralmente", la sua vita sarebbe un assurdo se Dio non esistesse. 

Questi saranno i due punti che toccheremo:

– il Dio che si fa presente nella vita di Teresa

– e come lei si definisce nella sua relazione con Dio.

Rivelazione di Dio a Teresa

1.  Dio agisce in lei

Dall'inizio del cammino come scrittrice, ella ha ben chiaro ciò che deve proporre e trasmettere alla carta: 

dirà semplicemente «ciò che Dio ha fatto per lei»;

aggiungerà subito che non tenterà «di nascondere i suoi benefici»,

«col pretesto di una falsa umiltà non dirà che [lei] è (un fiorellino) senza grazia né profumo». 

E poco dopo: «Il fiore che racconta la sua storia, gode di pubblicare le delicatezze completamente gratuite di Gesù; riconosce che niente c'era in lei capace di attrarre lo sguardo divino, e che «soltanto la misericordia ha fatto tutto ciò che c'è di buono in lei». 

Già nel primo paragrafo lasciava chiaramente affermato: 

«Non farò altra cosa, se non iniziare a cantare quello che ripeterò eternamente: "Le misericordie del Signore"».

2. Dio agisce in lei per donare

Dio ha compiuto grandi meraviglie in lei, 

«e la maggiore è di averle mostrato la sua piccolezza, la sua impotenza", "grandi cose", "dall'inizio della sua vita l’ha circondata di amore", le ha perdonato "tutto", la "alimenta con abbondanza"».

Nei suoi ultimi giorni di vita troviamo confessioni reiterate in cui ci trasmette la certezza intima della prodigalità divina verso lei. Servano di prova, le seguenti: 

«Sono una piccolissima anima che Dio ha colmato di grazie… Dio non mi ha mai abbandonata… Dio mi mostra la verità: sento anche che tutto viene da Lui».

3.  Dio è buono

Dio realizza tutti i suoi desideri, quelli che Lui stesso suscita: 

«Mai mi ha fatto desiderare qualcosa, senza concedermelo». 

«Mi ha fatto desiderare sempre ciò che voleva darmi»; persino il desiderio di fare del bene sulla terra dal cielo. «Mi ha sempre dato ciò che desideravo, o, meglio, Lui mi ha fatto desiderare ciò che voleva darmi».

Perciò le è impossibile temerlo.

Più tenero di una madre, è «incomprensibile la sua condiscendenza", "ineffabile", "tanto ricco che mi dà senza misura ciò che gli chiedo».

Riconoscendo che ancora non è pronta per il cielo, Teresa afferma con vigore che «non lo sarà mai se il Signore non si degna di trasformarmi in lui stesso».

•   È sorprendente l'accento che pone nella " perfezione" [attributo] della misericordia.


È la "sua" scoperta, ciò che fonda tutta la sua spiritualità, la radice che alimenta la sua risposta della "via dell'infanzia spirituale", l’”ascensore" che la alza alla cima della comunione più intima con Dio.

Noi siamo fin troppo abituati a sentir affermare che Dio è “amore” … 

Ma in Teresa è tanto più sorprendente in quanto il giansenismo [Giustizia di Dio] marcava la pietà e l'ambiente religioso del suo tempo. Ella ne è perfettamente cosciente, e ad esso allude parlando delle grazie che le ha concesso Dio di donarsi integralmente al suo amore misericordioso: 

«Pensavo alle anime che si offrono come vittime alla giustizia di Dio... Quest’offerta mi sembra grande e generosa, però mi sentivo molto distante dall'essere chiamata a realizzarla». 

Si chiede: «Soltanto la vostra giustizia riceverà anime che si immolano come vittime? Non ne ha pure bisogno il vostro Amore Misericordioso?». 

E si dà una risposta decisa: 

«Sono convinta che se trovate anime che si offrono come vittime di olocausto al vostro Amore, le consumereste rapidamente». 

Cui segue la decisione personale: 

«Che sia Io questa vittima felice. Consumare il vostro olocausto con il fuoco del vostro divino Amore».

E righe più sotto, ne descrive gli effetti: 

«Da quel giorno felice, sento che l'Amore mi circonda e mi penetra. Mi sembra che quest’amore misericordioso rinnova e purifica ogni istante la mia anima, non lasciando in essa traccia di peccato».

•  Però già negli esercizi Spirituali del 91, con il francescano P. Alejo Prou, che – come annota – "solo io apprezzai nella comunità" – si sente confermata nelle sue intuizioni: 

«Mi lanciai a vela spiegate per i mari della confidenza e dell'amore, che mi attraevano tanto fortemente, verso cui però non osavo navigare». 

Attraverso il cammino dell'amore e della confidenza

L'immagine di Dio che uno ha, si rivela nel proprio comportamento. 

È certo, infatti, che Dio, mentre rivela se stesso, rivela noi stessi. Teresa confessa:

«Sono di un tale carattere che il timore mi fa indietreggiare, mentre che l'amore, non soltanto mi fa correre, ma volare». 

Come conseguenza, al vedersi intrisa dall'amore di Dio, si pone nelle mani dell'amore. 

Soltanto l'amore l'attrae. Per questo si offre all'Amore misericordioso, e chiede di essere accettata come vittima. E non dubita di affermare che dal momento che Dio 

«mi ha dato la sua misericordia infinita, è attraverso di essa che contemplo e adoro tutte le perfezioni divine. Così, tutte mi si presentano radianti di amore. Persino la giustizia – e a volta essa più che ogni altra – mi pare rivestita di amore». 

Appena un mese prima di offrirsi all'Amore Misericordioso, scrive ad uno dei suoi missionari: "la giustizia divina, che spaventa tante anime, è la causa della mia gioia e della mia confidenza. Spero tanto dalla sua giustizia come dalla sua misericordia».

A un Dio-Amore non rimane che rispondergli con l'unico linguaggio che Egli capisce, quello dell'amore. Ella, sapendosi troppo piccola e debole per scalare la montagna della perfezione, si servirà dell’”ascensore": «Salire a Dio con l'ascensore dell'amore e non per la scale del timore». 

Ella agiva con Dio come una bambina fiduciosa che tutto le è permesso, e guarda ai tesori del padre come se fossero suoi". Sapendosi amata da Dio, lei desidera donargli tutto il suo amore: «Io ho desiderato amare unicamente Dio».

In tal modo, la giovane carmelitana francese ci rimanda all'immagine originale di Dio, 

che è, ed agisce sempre e soltanto per amore, 

e che illumina l'unica maniera di situarsi di fronte a Lui: in posizione di confidenza amorosa, sino all'audacia; [che è poi, il Cammino dell'infanzia, per il quale possiamo fruire dell'azione trasformante di nostro Padre Dio.

GESÙ

Il nome di “Gesù” appare costantemente negli scritti di Teresa: più di 1600 volte; mentre invece è molto raro il termine "Cristo".

Con una ricchezza inesauribile, il nome di Gesù designa sempre la Persona del Figlio di Dio, in tutti i misteri della sua Divinità e Umanità. Così: «Colui che possiede Gesù, ha tutto». 

La conoscenza amorosa di Gesù, che costituisce tutta la cristologia di Teresa, è in verità il nucleo di tutta la dottrina. 

La sua base è sempre la Scrittura, specialmente il Vangelo. 

Bisogna notare l'influsso della “Imitazione di Cristo”, di san Giovanni della Croce e pure del forte cristo-centrismo della "scuola francese" (il Carmelo di Lisieux era berulliano).

Quantunque non ci sia un influsso diretto, la cristologia di Teresa è vicina a quella di san Francesco di Assisi, nella stessa insistenza 

–   sull'infinita Grandezza di Gesù nella sua Divinità, nella Trinità, da una parte, 

–  e dall'altra, sulla estrema piccolezza nella sua Umanità, in tutti i misteri della vita terrena, dall'Incarnazione alla croce. 

È proprio in questo portentoso paradosso della povertà e debolezza di Dio, dove il suo Amore Infinito si rivela.

A- Grandezza di Gesù


Gesù in fasce (Giotto)

Così, per Teresa, Gesù è sempre tutto Dio e tutto Uomo. 

Il Bambino Gesù è "Dio in fasce", "Verbo fatto Bambino"; è Lui "il fiore divino" che Maria ha fatto sbocciare sulla terra. Accostandosi alla culla, Teresa contempla il «Verbo avvolto in fasce", ed ascolta il «debole vagito del Verbo divino". 

In uno dei suoi ultimi scritti ella ci offre una delle più belle sintesi della sua cristologia con queste semplici parole: «Non posso temere un Dio che si è fatto tanto piccolo per me... Io lo amo, dal momento che Lui non è che amore e misericordia».

Per Teresa, Gesù è 

«questo medesimo Dio che dichiara di non aver bisogno di dirci se ha fame», e che non teme mendicare un po' di acqua dalla Samaritana. Egli aveva sete..., però dicendo "dammi da bere", era l'amore della sua povera creatura, ciò che reclamava. Egli aveva sete di amore». 

In Gesù, Teresa contempla l'Amore infinito di Dio come Amore Misericordioso che si piega fino all'estremo verso la sua più povera creatura, "essendo proprio dell'amore abbassarsi". 

Nel sottomettersi ai misteri della Incarnazione, della Croce e della Eucarestia, il suo amore giunge alla pazzia, richiamando a sua volta la pazzia della confidenza e dell'amore da parte della sua creatura.

È nella Persona di Gesù dove l'Amore infinito di Dio si unisce nella maniera più intima alla nostra umanità, di modo che Teresa traduce la grande affermazione biblica "Dio è amore" come «Gesù è il mio unico Amore». (espressione incisa nella parete della sua cella). 

Conseguentemente per lei, il nome di Gesù è innanzi tutto un Nome Divino; così che ella impiega frequentemente questo nome come sinonimo del Nome di Dio, alternandolo con certe espressioni: «Oh mio Dio... Oh mio Gesù».

Dal momento che in Lui abita corporalmente tutta la pienezza della Divinità, è in Lui dove Teresa contempla e adora le perfezioni divine, soprattutto la Misericordia, la giustizia, l'onnipotenza, la grandezza, l'eternità, la bellezza. Gesù è «l'Oceano dell'Amore, la Bellezza suprema». [Si noti l'insistenza sulla "meravigliosa bellezza di Gesù"].

Nel medesimo modo, l'amore di Gesù la fa vivere nel cuore delle Trinità: 

«Lo sai, Gesù mio, io ti amo/  mi brucia con il suo fuoco il tuo Spirito di Amore / Amandoti, attraggo il Padre». (Poesie 17). 

E sarà nella festa della SS. Trinità del 1895 quando scoprirà «come Gesù desideri essere amato».

[*Tale è il senso della Offerta all'Amore Misericordioso, l'offerta a Gesù nella Trinità, nel fuoco dello Spirito, come risposta all'Amore del Padre che ci ha dato il suo Figlio unico*.]


B – Umanità di Gesù

Tuttavia, il realismo dell'umanità di Gesù non è meno sottolineato di quello della divinità. 

Come san Francesco, Teresa privilegia i misteri della vita terrena di Gesù come misteri di piccolezza e povertà, dall'Incarnazione fino alla Croce. È qui che lei applica a Gesù uno dei suoi simboli più suggestivi, quello del "fiore dei campi"; un simbolo inesauribile in cui non si può fare a meno di riferirsi all'origine biblica. 

La santa Umanità di Gesù viene frequentemente menzionata in una forma molto concreta, corporale: Teresa contempla all'unisono il Volto e il Cuore di Gesù, vive sempre sotto il suo sguardo, nelle sue braccia, fino a ricevere persino «il bacio dalla sua santa bocca».

Teresa è sicura che Gesù l'ha amata sempre personalmente, attraverso il suo cuore umano, tanto da affermare, rivolgendosi a Gesù Bambino: «Tu pensavi a me», e, a Gesù in agonia: «Tu mi vedi». Come san Paolo, lei può affermare: «Il figlio di Dio mi ha amato e si è donato per me», considerando ugualmente ogni uomo come «fratello per cui Cristo è morto».

Come altri santi, ella sostiene fermamente il grande paradosso di un Gesù che sospira "felice e dolorante" (santa Caterina da Siena). 

Nelle acute sofferenze degli ultimi mesi, afferma: 

"Nostro Signore, nel giardino degli Olivi godeva di tutte le delizie della Trinità, e tuttavia la sua agonia non fu meno crudele. È un mistero, però vi assicuro che io comprendo qualcosa da ciò che sperimento»

Teresa resiste ai piedi della Croce per ricevere il suo sangue redentore e spargerlo sopra tutti coloro che ne hanno bisogno: grandi peccatori, e prima di tutti il criminale Pranzini, che chiama «il suo primo figlio». Come Gesù, anche lei «va a sedersi alla mensa dei peccatori», quando le tocca vivere la grande prova di fede. 

Questa comunione così profondamente incarnata, corporale, con Gesù, trova il suo centro nell' Eucarestia.

•    Per Teresa, Gesù è principalmente lo Sposo che ama con tutto il cuore, fino alla pazzia. 

È tutta in Lui, e Lui è tutto in lei, sino poter affermare: 

«Il cuore del mio sposo è per me, come il mio è per lui solo; ed io gli parlo nella solitudine di questo cuore, aspettando di contemplarlo faccia a faccia»

Nello stesso senso, scrive:

«Agli amanti è necessaria la solitudine: un cuore a cuore che duri notte e giorno».

•  Si potrebbe riconoscere che il Gesù di Teresa è il "Gesù dell'Amore", insperabilmente il Gesù che ama e il Gesù amato, il cui amore infinito reclama la nostra risposta di Amore.

Tale è il senso della missione di Teresa, in terra come in cielo: «amare Gesù e farlo amare».

Per questo può asserire 

«Ecco la mia preghiera: io chiedo a Gesù che mi attragga nelle fiamme del suo amore, che mi unisca tanto strettamente a Lui, che sia Lui colui che vive e opera in me».

Ella è ben convinta, che stando così attratta, potrà a sua volta, attrarre i suoi fratelli a Gesù.

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domenica 26 febbraio 2023

LA MONTAGNA DEI MARTIRI (OTOME-TOGE) - parte seconda - Padre NICOLA GALENO OCD

Tsuwano 津和野



“LA BARBA DEL PACIFICO” (Circolare d’ottobre 1985 ai miei parrocchiani bolognesi) 

LA MONTAGNA DEI MARTIRI (OTOME-TOGE)

Prime defezioni – “Le creature non mi fanno paura” –

L’ombra della rivolta di Shimabara

      Dopo un successivo trasferimento il numero dei cristiani imprigionati sale ad 83. Jinsaburo ed altri cinque con i piedi e le mani legate dietro le spalle vengono tenuti sospesi con delle corde fino a tanto da sembrare morti. Il truce spettacolo ottiene l’effetto desiderato dalle autorità. Tutti rinnegano la propria fede e all’indomani possono lasciare la prigione. Soltanto Seremon non cede.

   Il ritrovarsi solo non lo scoraggia. Personalmente ritengo che un pensiero lo abbia sostenuto: “Anche il Cristo fu lasciato solo!”. Naturalmente le pressioni da parte degli aguzzini non mancano.

   Un giorno Seremon fa loro questo ragionamento. “L’anima io l’ho ricevuta da Dio; non posso perciò rinunciare alla mia fede. Dell’uomo io non ho paura: è Dio che temo. Come io non mi sentirei più forte se fossero in cento a sostenermi, così non mi sento più debole se restassi solo. Tanto la mia anima non potete ucciderla!”.

   Tutti naturalmente rimangono di stucco. Le parole di Seremon, a parte la fede, sono quelle di un degno samurai, disposto ad andare a combattere anche da solo, pur di servire il suo signore. “La nostra determinazione ad essere leali nel combattimento corrisponde al tuo impegno di servire Dio!”. E con una mossa a sorpresa lo rispediscono a casa. Mai libertà fu più insperata!

   Quando l’undici ottobre fa il suo ingresso ad Urakami, la folla che gli si stringe intorno grida compatta: “Hai conservato la fede o hai rinnegato?”. E Seremon risponde: “Grazie a Dio ed alle preghiere vostre e dei sacerdoti ho potuto conservare la fede”.

   Al sentire ciò le famiglie di quanti erano tornati prima per via dell’abiura esclamarono; “Chi ha rinnegato non rimetta piede in casa!”. E le porte furono sbarrate per quanti avevano ceduto sotto il peso dei supplizi. Unica eccezione Seremon.

I PENTITI SI AUTODENUNCIANO

   Anche a Jinsaburo fu impedito di tornare tra i suoi. Per tre giorni e tre notti egli vagò tra le montagne in preda al pianto. Finalmente con l’aiuto della Vergine torna al villaggio e raduna quanti avevano abiurato, suggerendo loro di ritrattare e di prepararsi al martirio. Il coraggio di Seremon brilla davanti ai loro occhi!

    All’indomani Jinsaburo ed altri trentotto si presentano all’ufficio del Magistrato, che però li rispedisce a casa nell’attesa che arrivi una decisione da Tokyo. E così il caso di Urakami rimase sospeso fino al 10 novembre del 1867, quando dopo 260 anni di ininterrotto potere cadde lo Shogunato dei Tokugawa. Nel dicembre successivo nasceva il Governo Meiji.

   Nel prendere in considerazione il caso di Urakami i nuovi governanti di Tokyo non potevano non ripensare ad un precedente storico: la rivolta di Shimabara nel 1637.  In quell’anno circa 39.000 cristiani, esasperati dalle tasse e dalla persecuzione religiosa, decisero di ribellarsi piuttosto che vivere in quelle condizioni, ma furono sconfitti. Temendo perciò una nuova rivolta cristiana a distanza di oltre duecento anni, le autorità di Tokyo ripristinarono tutte le antiche sanzioni contro i cristiani. Da buoni giapponesi perciò tentarono prima di convincere i capi di Urakami a cambiare idea.

   Visto però che la “gentile persuasione” non sortiva alcun effetto, il tribunale di Nagasaki varò una politica di tre fasi. Nella prima i cristiani dovevano essere intimiditi a parole. Poi si sarebbe passati all’uccisione dei capi. Da ultimo deportazione di tutti i cristiani in campi di concentramento disseminati qua e là per il Giappone.    I più strenui sostenitori di queste misure furono un certo Koremi Kamei e Bisei Fukuba, entrambi di Tsuwano.  

NAGASAKI, ADDIO!

   Il 10 luglio del 1868 un primo gruppo di 114 cristiani partiva per l’esilio con destinazione Tsuwano, Fukuyama e Choshu. Naturalmente il viaggio non fu una crociera! Seremon sempre instancabile durante il tragitto riesce a battezzare quattro persone.

   Quelli destinati a Tsuwano furono temporaneamente confinati nel Tempio di Omomichi. Da buoni cristiani dopo cena cominciarono a recitare insieme le preghiere della sera. Subito le guardie, sguainate le spade, gridarono: “Morte a chi prega!”. Solo con fatica Seremon e Jinsaburo con altri riuscirono a spiegare che non si trattava di magia, ma di un’abitudine dei cristiani. Finalmente le sentinelle si convinsero che non si stava tramando un complotto!

   Quasi due settimane rimasero in quel Tempio. Poi vennero trasferiti a Hiroshima e di là al Tempio di Korinji di Tsuwano con una penosa marcia che richiese tre giorni e tre notti.

P. Nicola Galeno, ocd

(NB: La traduzione libera è stata effettuata sul testo inglese “Otome-Toge” a cura del Missionario gesuita P. Alexander Horvath, S.J.)


GLI APOSTOLI RIMANGONO (QUARESIMA) - Poesia di P. NICOLA GALENO OCD

GLI  APOSTOLI   RIMANGONO  36

(QUARESIMA)

Affresco di Giotto

Gli apostoli rimangono sconvolti

da quel discorso strano di Passione

e morte ignominiosa del Maestro.

Sognavano un Messia trionfante!

    *

Son gli occhi prigionieri della terra.

La via della croce pare assurda...

Eppure il Salvatore la percorre

e il sospirato Cielo ci spalanca!

    *

Quaresima, ridonaci il conforto

di stare accanto al Cristo nel dolore

per essere da lui convocati

a quel convito eterno nella gioia!

    *

Al Padre, Figlio e Spirito si levi

con rinnovato giubilo la lode

e non conosca soste in Cielo e in terra

il sempiterno cantico d'Amor! - Amen. 

 

(Oita 17-11-1994), Padre Nicola Galeno



sabato 25 febbraio 2023

SPOSI PROMESSI NEL SAHEL di Padre MAURO ARMANINO

 


Sposi promessi nel Sahel

Il giorno del loro matrimonio ‘tradizionale, il 3 novembre del 2015, i ribelli hanno attaccato il villaggio, bruciato case, asportato gli animali e la sposa ancora che era incinta. Laura sarebbe stata rilasciata qualche tempo dopo in buona salute malgrado le sevizie subite dai rapitori. Nel Sud Sudan la guerra è andata avanti per anni diventando, per alcuni, uno stile di vita e un’economia lucrativa. La separazione del Sudan con la creazione del più giovane stato del mondo non ha mantenuto le promesse sperate di pace e prosperità. Succede che la ricchezza delle risorse petrolifere, assieme a non risolti conflitti etnici, è diventata una maledizione. Francesco, sposo di Laura, sapeva bene che la vita era un rischio e, senza troppo calcolare le conseguenze, ha portato altrove la sua donna, abbandonando per sempre la patria che lo ha tradito.

Dopo aver transitato in un campo profughi nel Sudan e attraversato il Ciad, per ignoti sentieri del destino si trovano entrambi a Niamey, riconosciuti come aventi diritto alla protezione umanitaria dell’Alto Commissariato delle NAZIONI Unite per i Rifugiati (HCR). Francesco e Laura, ai quali si sono aggiunti due figli, sono ospiti di una delle case adibite all’accoglienza dei rifugiati. In attesa di una positiva soluzione del loro caso, il fattore tempo gioca un ruolo fondamentale. In media una persona rifugiata ‘abita’ questa particolare identità per non meno di dieci anni, prima di trovare uno sbocco accettabile alla propria vicenda. Il Niger, tra i Paesi più poveri del mondo, per la sua collocazione geografica e una relativa stabilità, nel caotico contesto dei paesi vicini, accoglie sul suo suolo migliaia di sfollati, migranti e rifugiati. In uno degli ultimi rapporti pubblicati dall’HCR si parla di 255.309 rifugiati, 46 735 richiedenti asilo, 376 809 sfollati interni e 37 591 in varie altre situazioni. I migranti sono, come sempre, invisibili.


Francesco e Laura si sono sposati in chiesa sabato scorso. Lei al sesto mese del terzo bimbo mentre uno è deceduto alla nascita. Con i disegni sulle mani, l’abito bianco, i capelli inventati per l’occasione e un trucco appena accennato attorno agli occhi, Laura sembrava la regina di Saba che arriva dal re Salomone con il solo regalo che valesse la pena, lei stessa. Francesco, suo marito, con un completo scuro affittato per l’occasione, ha provveduto agli anelli, un orologio e monili come regali per la sposa. Un pugno di persone per cantare, una famiglia come testimone dell’evento e il riso, non buttato agli sposi ma cucinato in un sobrio momento di festa in tutta intimità. La cerimonia svoltasi nel pomeriggio si è conclusa all’imbrunire mentre la polvere, ostinata compagna di viaggio, ha coperto del suo velo opaco gli auguri e le promesse di felicità.

Hanno offerto caramelle per i bambini presenti alla festa perché qui non c’è l’uso dei confetti da buttare alla sorte dei fortunati. Hanno ripreso il loro posto precario nell’appartamento a loro affidato e, contrariamente a quanto la vita ha loro riservato, si sono promessi rispetto, fedeltà e un futuro assieme. Sognano per loro una nuova patria, una casa e un mondo nel quale per vivere non si debba scappare per anni. Francesco e Laura e sono gli sposi promessi di un’altra storia da raccontare ai loro figli.

     Mauro Armanino, Niamey, 25 febbraio 2023

venerdì 24 febbraio 2023

Esercizi spirituali di QUARESIMA - PRIMA SETTIMANA

 










Se non riuscite a leggere bene il testo qui riportato, andate al sito Carmelitano con questo link:



LA MONTAGNA DEI MARTIRI (OTOME-TOGE) di P. NICOLA GALENO OCD

 “LA BARBA DEL PACIFICO” (Circolare d’ottobre 1985 ai miei parrocchiani bolognesi) 

LA MONTAGNA DEI MARTIRI (OTOME-TOGE)

Sembra un sogno quella strada deserta – Sulle orme della ragazza sperduta – 

Ritorna la persecuzione

   Ci eravamo lasciati al Monastero di Yamaguchi (si pronuncia Yamaguci), dove le Consorelle per il mio 25° di Professione mi avevano riservato una bella sorpresa: nel pomeriggio di lunedì 21 ottobre 1985 una cristiana del posto mi avrebbe accompagnato in macchina alla Montagna dei Martiri.

      Purtroppo dovrò far ricorso soltanto a quel po’ di giapponese che ho imparato a scuola, in quanto il Padre Delegato Cipriano Bontacchio non può assentarsi per impegni. Meglio così! Buttati in acqua, non resta che nuotare o… affogare! Ho preferito la prima soluzione.

   Povere orecchie della guidatrice! Deve essere stato per lei un vero martirio linguistico! Comunque ci siamo capiti. Soprattutto son riuscito a farmi capire… che è più importante! Non mi pare vero di fare quasi quaranta chilometri in perfetta solitudine. Come sei lontana Tokyo con le tue code chilometriche!

   Il verde dei campi è davvero riposante. Io mi diverto a leggere gli ideogrammi delle varie località. Ogni tanto salta fuori qualche parola d’italiano, perché la guidatrice ha una figlia che lavora a Milano. E allora la fantasia vola subito in Piazza Duomo, alla Scala, al Castello Sforzesco (i luoghi che le sono rimasti più impressi nel suo ultimo viaggio in Italia).

   Ora lasciamo la bella statale per scendere ripidamente verso Tsuwano. Entrando nella cittadina, scorgo subito a sinistra un maestoso tempio scintoista (a giudicare almeno dalla sua sgargiante colorazione). Per le strade c’è molta animazione. Si capisce subito che parcheggiare sarà un problema, ma la guidatrice è esperta e va subito verso la montagna di Otome-Toge (si pronuncia “Toghe). C’è uno spiazzo molto accidentato, ma che ha il pregio di essere libero e “muryou”(gratuito), il che non è poco per essere Giappone.

COMINCIA IL BATTICUORE

   Per strada la cristiana mi aveva detto che era reduce da disturbi cardiaci e forse non se la sarebbe sentita di accompagnarmi fino alla cima. Per la verità anch’io, quando, quando ho visto la ripida salita, mi sono messo una mano sul cuore e ridendo le ho detto che nonostante avessi vent’anni meno di lei cominciavo a soffiare. Comunque lentamente e voltandoci frequentemente per ammirare i gradini sottostanti ce l’abbiamo fatta!

   Il posto è meraviglioso per il raccoglimento che ispira.  C’è un piccolo spiazzo e sulla destra la Chiesetta, che sembra debba essere da un momento all’altro risucchiata dalle piante circostanti. Un sacerdote gesuita ci accoglie davvero cordialmente e subito ci spiega la storia del santuarietto. Stranamente riesco a capire quasi tutto: che sia un regalo dei Martiri?
   Il nome del posto significa letteralmente “Il passo della Vergine” (passo nel senso di valico, non di camminata). A prima vista uno sprovveduto di lingua giapponese come il sottoscritto si consolerebbe: finalmente anche noi cristiani siamo riusciti quaggiù a dare il nome ad una montagna. Come non ricordare le molte Cappelle che impreziosiscono tante nostre vallate italiane? Ed invece l’accostamento nella terminologia alla Vergine Maria è puramente casuale, anche se poi - come vedremo - la Vergine apparirà realmente per consolare un martire.

   Tanto tempo fa una ragazza del posto era stata fidanzata ad un principe di Kyoto. Da lui abbandonata, in preda allo sconforto, vagò per la montagna senza far più ritorno. Ecco il perché del nome: Passo (Toghe) della Vergine (Otome).

UNA PAGINA EROICA

   Su questa montagna vennero confinati dal 1868 al 1873 centocinquantatré cristiani di Nagasaki, trentasei dei quali morirono tra i tormenti piuttosto che rinnegare la fede. La storia del loro martirio ci verrà narrata da due sopravvissuti.

   Secondo i dati del Professore Yakichi Kataoka agli inizi dell’era Meiji (l’Imperatore del Giappone moderno) ben 3.394 cattolici di Urakami, ora incorporata alla città di Nagasaki, furono arrestati e destinati a 21 campi di concentramento disseminati per tutto il Giappone. A morire di fame, torture e malattie furono in 613. Quelli che non cedettero e poterono poi riacquistare la libertà furono 1.900. Gli altri non resistettero ai supplizi ed abiurarono. Tornati però a Nagasaki chiesero pubblicamente perdono e furono riammessi ai sacramenti.

   Quest’ultimo particolare è molto importante, perché ci mostra la rinata Chiesa giapponese nello stesso atteggiamento del Cristo, che perdona Pietro. E se questa eroica pagina del cattolicesimo nipponico si è potuta conoscere, lo si deve in fondo anche a questi cristiani rinnegati, che aiutarono in tutti i modi i coraggiosi superstiti come vedremo.

YONBAN KUZURE

   Ora lasciamo la bella statale per scendere ripidamente verso Tsuwano. Entrando nella cittadina, scorgo subito a sinistra un maestoso tempio scintoista (a giudicare almeno dalla sua sgargiante colorazione). Per le strade c’è molta animazione. Si capisce subito che parcheggiare sarà un problema, ma la guidatrice è esperta e va subito verso la montagna di Otome-Toge (si pronuncia “Toghe). C’è uno spiazzo molto accidentato, ma che ha il pregio di essere libero e “muryou”(gratuito), il che non è poco per essere Giappone.

Quella che stava per abbattesi alle tre della notte del 15 luglio 1867 sui cristiani di Urakami era la quarta persecuzione, la più violenta. Sotto la pioggia imperversante la polizia locale fa irruzione in una Cappella segreta ed arresta 68 cristiani, tra i quali Seremon Takagi e Jinsaburo Moriyama.

   Vengono poco dopo trasferiti in una prigione più lontana, perché si teme un tentativo di evasione da parte degli altri cristiani.  Si comincia subito con le torture. L’8 settembre cedono in 21. Le autorità sembrano soddisfatte dei risultati e allentano i supplizi.

   I prigionieri intrepidi possono anche essere visitati da alcuni fedeli.  Seremon ha due figli, che sono intenzionati ad abbracciare la via del sacerdozio. In un commovente messaggio fatto loro pervenire dice: “Non preoccupatevi di me. Io spero soltanto che voi possiate proseguire la strada per il sacerdozio, studiando presso il Padre Petitjean”.

Padre Nicola Galeno da Tokyo

(Continua)

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mercoledì 22 febbraio 2023

ESERCIZI CARMELITANI PER LA QUARESIMA


 








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lunedì 20 febbraio 2023

VITA DI TERESA - SULLE CIME "OH...L'AMO!... - sesta conferenza di P. CLAUDIO TRUZZI OCD

SULLE CIME «OH… L’AMO! … DIO MIO... VI… AMO!»

Il fatto nuovo, che diede inizio ad un altro periodo di vita, fu l'elezione della sorella Paolina a priora del monastero. Paolina (suor Agnese) aveva 32 anni di età e 11 di vita religiosa. Era una priora giovane e decisa a rinnovare la vita comunitaria nella ricerca di maggior adesione allo spirito delle leggi carmelitane.

Giovane "Maestra" delle novizie [Fine febbraio 1893-1897]. Teresa rimase così in Noviziato.

Eletta priora il 20-2-1893, Agnese di Gesù, che ha intuito la ricchezza di vita interiore della “sorellina”, affianca – nella formazione delle giovani suore – Teresa alla ex-priora suor Maria Gonzaga (ora Maestra delle novizie). [Siamo a fine febbraio 1893-1897. Teresa non scende in comunità, rimase così in Noviziato.] 

Nonostante la giovane età (ha 20 anni) lei è abbastanza matura da accorgersi «immediatamente» che si tratta di un lavoro di cooperazione divina, non soltanto difficile, ma «impossibile»; e pensa che non potrà compiere l'opera se non s’installerà «tra le braccia» del Signore (cfr. C–310/316). 

Fra l'altro l’incarico comportava di trattare con giovani suore anche più anziane di lei! Teresa confesserà:

«Se mi fossi appoggiata, sia pur di pochissimo alle mie proprie forze, avrei ben presto reso le armi. Di lontano appare tutto rosa far del bene alle anime, far amar Dio più e meglio; insomma, modellarle secondo le nostre vedute e secondo i nostri pensieri personali. 

Da vicino, è tutto il contrario: la tinta rosa è scomparsa; si sente che far del bene è tanto impossibile senza il soccorso del Signore, quanto far brillare il sole di notte. Si sente che bisogna assolutamente dimenticare i propri gusti, i nostri concetti personali, e guidare le anime sul cammino che Gesù ha tracciato loro, senza tentare di farle camminare sulla nostra via». (C-311)

E osserva acutamente: «Quello che mi costa più che tutto il resto è di osservare le mancanze, le imperfezioni più leggere, e scatenar contro di esse una guerra a morte... Nulla sfugge al mio sguardo e spesso mi meraviglio di vederci tanto chiaro... Preferirei le mille volte ricevere dei rimproveri, anziché farne agli altri; ma sento che è proprio necessario che ciò mi sia di sofferenza: e questo perché quando si agisce per natura, è impossibile che l'anima cui vogliamo rivelare le sue colpe capisca i propri torti. Essa vedrà una cosa sola: “La consorella incaricata di dirigermi è arrabbiata con me”, e tutto ricade su me, che sono animata dalle migliori intenzioni». (C-312)

Teresa è ben conscia che le sue novizie la «trovano severa», ma il suo amore per loro è così puro che non le importa che lo sappiano. Ha appreso per esperienza che ci sono molto più differenze tra le anime che tra i volti, anche se tutte le anime subiscono più o meno gli stessi combattimenti. 

Ha imparato a trattare – secondo i casi – con dolcezza, a farsi lei stessa piccola; ma è pure convinta che

 «per far del bene, occorre molta fermezza, e non tornar mai su ciò che è stato detto. Il Signore mi ha fatto la grazia di non farmi temere la guerra; debbo fare il mio dovere a qualunque costo». (C-314) 

Ma soprattutto ha compreso che 

«sono preghiera e sacrificio che formano tutta la mia forza: sono le armi invincibili che Gesù mi ha dato. Toccano le anime ben più che i discorsi: ne ho fatto esperienza spesso». (C-315)

– Il nuovo incarico non esentò Teresa dalle incombenze del monastero: ebbe, a tempi alterni, l'ufficio di sacre–stana, portinaia, refettoriera, lavandaia, ecc; non esercitò, invece, mai l'ufficio d’infermiera benché lo desiderasse. 

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*  È in queste disposizioni che ella apprende, il 29 luglio 1894, la morte del padre. 

*  Ma il 14 settembre, ha una grandissima consolazione: accoglie al Carmelo sua sorella Celina (suor Genoveffa del Volto Santo) per cui aveva tanto pregato.

*  Nel gennaio 1895, dietro ordine della priora, madre Agnese di Gesù, Teresa inizia a scrivere la storia della sua anima (manoscritto A)

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•  L'offerta all'AMORE MISERICORDIOSO (9 giugno 1895).

La festa della SS. Trinità (9 giugno) segna nella sua vita interiore un mutamento decisivo. 

Durante la santa Messa ella riceve una nuova grazia: una grazia che non si riferisce più direttamente alle sue aspirazioni o ai suoi impegni, ma alla natura stessa di Dio e ai suoi pensieri. 

Improvvisamente, infatti, ella comprende «più che mai quanto Gesù desideri essere amato». 

L'immediata conclusione è che l'ideale del Carmelo ["berulliano"] non le può bastare. Offrirsi, cioè «quali vittime alla Giustizia di Dio per stornare ed attirare su di sé i castighi riservati ai peccatori» è senza dubbio generosità ammirevole, ma resta inadeguata a ciò che Dio è, a ciò che Egli vuole. Soltanto un’"offerta di olocausto all'Amore misericordioso” è in grado di ristabilire l'ordine spezzato dal peccato, rifiuto di quell'Amore. 

«Da ogni parte [il Vostro Amore] è misconosciuto, respinto; i cuori ai quali desiderate prodigarlo si volgono verso le creature, chiedendo ad esse felicità col loro miserabile affetto, invece di gettarsi tra le vostre braccia e di accettare il vostro amore infinito.... Mi pare che se Voi trovaste anime che si offrissero come vittime di olocausto al vostro amore, voi le consumereste rapidamente; mi pare che sareste felice di non comprimere le onde d'infinita tenerezza che sono in voi» (A-238).

Teresa, dunque, sarà «quella felice vittima» che permetterà a Dio «di non più comprimere le ondate d'infinita tenerezza» che il disprezzo dei peccatori impedisce di sgorgare dal suo Cuore. 

Con simile offerta Teresa non intende compiere un gesto “devozionale”, ma assumere un atteggiamento di totale adesione al disegno di Dio. Da questo momento, suo proposito è «di vivere in un atto di perfetto Amore» e, proprio in virtù di tale olocausto, divenire martire di questo Amore misericordioso. 

MARTIRE (9 giugno 1895 – 30 settembre 1897)

Poiché, per amar Dio come Lui desidera, occorre amare quest’Amore infinito con il Suo proprio amore, la "nuova vittima di olocausto", si abbandona in modo così totale a quest'Amore misericordioso, che lei ormai intende convincere gli uomini, – con la sua vita e con la sua morte –, che Dio è amore e misericordia. 

Sarebbe, quindi, impossibile interpretare correttamente il senso dei ventisette mesi che le restano da vivere, e misurarne la portata, se ci si contentasse di descriverne i diversi elementi senza riferirli a tale intenzione sovrana: convincere gli uomini che Dio è Amore misericordioso. 

[Pur rispettando la molteplicità dei dettagli rimarchevoli, è importante considerare tutto questo periodo in maniera unitaria, se si vuole afferrarne il significato profondo]. 

Ebbene, dal momento dell'“offerta” sino all'ultimo respiro, la vita di Teresa si dipana secondo due direttrici contraddittorie, di cui l'evidente incompatibilità, eroicamente superata, costituisce per l'appunto la materia del suo martirio. 

a – Da una parte, sebbene consacrata all'Amore "misericordioso", ella si vede trattata non meno crudelmente che se si fosse offerta alla “giustizia di Dio” per espiare su di sé il male dei fratelli. 

b – D'altro canto, non per questo lei cessa di perseverare nella propria certezza che Dio è Misericordia, e nella propria oblazione. 

Soltanto portando in piena luce tale drammatico stato d'animo, si può capire di quale capitale verità suor Teresa del Bambino Gesù e del Volto Santo sia l'inconfondibile testimone.

* Le risposte del Signore (9 giugno 1895 – 2 aprile 1896). 

1 – La prima risposta è completamente positiva. 

•  Durante dieci mesi, l'anima di Teresa, inondata di «oceani di grazie» – conosce una dilatazione, una gioia, una felicità inaudita: «Da quel giorno felice mi pare che l'amore mi compenetri e mi avvolga; mi pare che, ad ogni istante, quest’amore misericordioso mi rinnovi, mi purifichi l'anima e non lasci alcuna traccia di peccato ...». (A-238) 

– Il 15 ott. 1895, madre Agnese accresce tale felicità affidandole un "fratello spirituale", il reverendo Maurizio Belliére, che diventerà poi "Padre bianco", missionario.  

–  Nella notte dal giovedì al Venerdì Santo (2-3 aprile) 1896, una prima emottisi le fa sperare d’entrare assai presto in cielo. 

«Dopo essere rimasta al "sepolcro" fino a mezzanotte, rientrai nella nostra cella, ma avevo appena posato la testa sul cuscino che sentii un fiotto salire, salire quasi bollendo fino alle mie labbra. Non sapevo cosa fosse, ma pensai che forse sarei morta, e l'anima era colma di gioia... Tuttavia, la lampada era spenta. Dissi a me stessa che dovevo attendere sino al mattino per assicurarmi della mia felicità, perché mi pareva sangue quello che avevo vomitato. La mattina non si fece attendere molto. Svegliandomi pensai subito che avrei avuto una notizia allegra: mi avvicinai alla finestra, constatai che non mi ero ingannata: l'anima mia fu piena di consolazione grande. Ero persuasa intimamente che Gesù... volesse farmi udire il primo richiamo». (C-275)  

L'emottisi si ripeterà la notte seguente. Tutto ciò è coerente, soddisfacente, rasserenante. 

–  Il 10 maggio 1896, un sogno consolante. La venerabile Anna di Gesù, la fondatrice del Carmelo in Francia, appare a Teresa, e le annuncia prossima la sua morte e la rassicura pienamente: “Il buon Dio non chiede altro da voi. È contento, assai contento!" –. Teresa sente allora che «vi è un Cielo e che questo Cielo è popolato di anime che la prediligono». 

La bonaccia, tuttavia, è di breve durata. 

– Sembra che Teresa non possa restar tranquilla. La vocazione stessa ad essere carmelitana, sposa di Gesù, madre di anime, sembra starle stretta. Sempre più intensamente si sente chiamata a tutte le forme, alle più diverse e più contraddittorie di apostolato esteriore ed attivo: combattente, sacerdote, apostolo, dottore, missionario, martire, ... dappertutto e sempre dall'inizio del mondo «fino alla consumazione nei secoli». (B-250/251). "Pazzie" certamente; ma si tratta di desideri così forti che richiedono una soluzione non illusoria. 

Come per l'"ascensore", Teresa cerca una soluzione, una luce nella Scrittura. Ma stavolta la Scrittura non offre una risposta adeguata ed immediata. Senza scoraggiarsi Teresa continua 

«la lettura, e trovai sollievo in questa frase: “Cercate con ardore i doni più perfetti, ma vi mostrerò una via ancor più perfetta”. E san Paolo spiega come i doni più perfetti sono un nulla senza l'Amore. La Carità è la via per eccellenza che conduce sicuramente a Dio» (B-253) 

La Chiesa le si rivela così, come fornita di un cuore; ed è in questo cuore che risiede l'Amore eterno, Dio, principio unico di ogni vocazione. Irriducibilmente molteplici all'esterno, tutte le vocazioni vengono ad unificarsi in quest'Amore. Non è, quindi, impossibile essere “tutto”. Basta essere quest'Amore eterno. 

«Capii che l'amore racchiude tutte le vocazioni; che l'amore è tutto, che abbraccia tutti i tempi e tutti i luoghi: in una parola, che è eterno. Allora, nell'eccesso della mia gioia delirante, esclamai: “Gesù, Amore mio, la mia vocazione l'ho trovata finalmente, la mia vocazione è l'amore!”» (B-254). 

Orbene, l'“offerta all'Amore misericordioso” tendeva proprio a procurare tale unificazione. Fin dal 9 giugno 1895 Teresa aspirava a «vivere in un atto di amore perfetto». Facendo tale preghiera, però, ella non si rendeva ancora conto di tutta la sua ampiezza e.… delle conseguenze. 

Le scopre nel momento stesso in cui Dio gliene mostra la natura ecclesiale. Per mezzo di questa fusione con l'Amore misericordioso, pur restando carmelitana, ella potrà vivere, nella Chiesa, tutte le vocazioni. 

Nel cuore della Chiesa «sua Madre», ella sarà dunque Amore.  E in questo modo sarà tutto. 

Finalmente ha trovato la sua vocazione. 

•  La CARITÀ FRATERNA (1897).

Una volta pervenuta a tali profondità, Teresa riceve «la grazia di comprendere cos'è la carità». (C-288)

La carità fraterna non consiste semplicemente nell'amare il prossimo come se stessi. Questo semmai, era l'ideale sommo prima dell'Incarnazione. Ma dopo che Gesù ha dato “il suo comandamento” – specifica –:

«non si tratta più di amare il prossimo come se stessi, ma di amarlo come Lui, Gesù, lo ha amato, come Lui l'amerà sino alla consumazione dei secoli». 

Ecco perché Teresa può affermare: 

«La carità fraterna è tutto sulla terra; amiamo Dio nella misura in cui la pratichiamo». … «Capisco ora che la carità perfetta consiste nel sopportare i difetti degli altri, non stupirsi delle loro debolezze, edificarsi dei minimi atti di virtù che essi praticano; ma soprattutto ho capito che la carità non deve restare affatto chiusa in fondo al cuore... Mi pare che la carità [come una fiaccola] deve illuminare, rallegrare, non solo coloro che mi sono più cari, ma tutti coloro che sono nella casa, senza eccettuar nessuno». (C-289) 

E lei la stava praticando. Si trovava ormai sfinita a letto dalla malattia, desiderosa soltanto di tranquillità, ma le consorelle continuavano a venire a visitarla. Confidò: 

«Poco fa scrivevo riguardo alla carità, e ben spesso sono venute a disturbarmi. Ho cercato di non spazientirmi affatto, e di mettere io per prima in pratica ciò che scrivevo».  (NV, 15 giugno 1897)

* «A TAVOLA COI PECCATORI» (aprile 1896 - 30 settembre. 1897)

Ma già, improvvisamente, «nei giorni così gioiosi del tempo pasquale», la gioia e la pienezza con Dio che l'avevano colmata, erano sparite. Il cielo non solo non si apriva più; si era annullato: «le tenebre più spesse» ne invadono l’anima. Il pensiero del Cielo così dolce per lei non è che argomento di lotta e di tormento». 

Abbiamo appena visto come Teresa abbia scoperto la sua vocazione: "Nella Chiesa sarò l'amore!".

Si era consegnata all'Amore e ne ricevette la vulnerabilità. Verso chi l'Amore si sente più vulnerabile se non verso coloro che sono maggiormente privi d'amore, cioè privi di vita? Chi sono i più diseredati se non coloro che non credono all'Amore? Sono quindi esattamente questi peccatori a diventare suoi fratelli. 

Ed i peccatori non parlano il suo linguaggio. Lei guarda il “cielo”; loro la sbeffeggiano: «Tu sogni la luce, una patria dai profumi più soavi; tu sogni di possedere eternamente il Creatore di tutte queste meraviglie, credi di uscire un giorno dalle brune che ti circondano. Avanti! Avanti! Rallegrati della morte che ti darà, non già ciò che speri, ma una notte ancor più profonda, la notte del nulla!». (C-278)

Aveva sognato il "deserto", ma non immaginava che potesse essere desolato fino a tal punto, perché ignorava che l'uomo potesse essere “solo” fino a tal punto...

Ora non sono più le parole di Gesù: "Ho sete!", a risuonare incessantemente; ma piuttosto i loro "Perché?", a riecheggiare nella notte. Il virus del sospetto, miasma del mondo contemporaneo, finisce con l'attaccarne la persona: “Rallegrati della morte, che ti darà non già ciò che speri, ma una notte ancora più profonda!”.

Ella giungerà persino a supplicare che non le si lasci a portata di mano una certa medicina, dicendo, appunto, di capire come, in determinati momenti, a chi è privo di fede, non resti che darsi alla morte. Tale vertigine di morte – che provoca oggi tante stragi –, non ha dunque risparmiato la cella di Teresa.

– Dove la speranza è morta, là c'è l'inferno: Teresa discende nel loro inferno. Se ancora ne dubitiamo, ebbene, ascoltiamo le sue confidenze fatte proprio poco prima della morte:

«Se sapeste quali spaventosi pensieri mi assediano! Pregate per me affinché non dia ascolto al demonio che vuole persuadermi di tante menzogne. Sono i ragionamenti dei peggiori materialisti che cerca-no di imporsi alla mia mente. Se non avessi la fede, non potrei sopportare tante sofferenze. Mi stupisce che non vi sia un numero maggiore di uomini che si danno la morte. Non vorrei neppure dirvi quanto sia nera la notte della mia anima per timore di contagiarvi con le mie tentazioni... Sapeste in quali tenebre mi trovo immersa! Non riesco a credere alla vita eterna. Mi sembra che dopo questa vita non ci sia nulla. Tutto è scomparso per me, non mi resta che l'amore». (Processo Apost.) 

E Teresa benedice il Signore di averle inviato soltanto allora simile prova: «Se l'avessi avuta prima, sarei precipitata nello scoraggiamento». (C-280)

Esternamente nulla traspare; ma dirà: «Se si giudica dalle apparenze, può esserci un'anima meno provata della mia? Oh, se la prova che io soffro da un anno apparisse agli sguardi, che stupore!». (C-274) «Le sembrerò un'anima colma di consolazione, per la quale il velo della fede si è quasi squarciato, e tuttavia... non è più un velo, è un muro che si alza fino ai cieli e copre le stelle. Quando canto la felicità del Cielo, il possesso di Dio, non provo gioia alcuna, perché canto semplicemente ciò che voglio credere». (C-280)

Tale drammatica prova della propria fede e della propria speranza durerà fino al suo ultimo giorno.

•  Tuttavia, non s'immagini una Teresa angosciata, inquieta, e neppure triste: mai è stata così sfavillante di gioia, così traboccante di umorismo! Nessuno suppone ciò che vive interiormente. Malgrado tale prova che le toglie ogni godimento, può tuttavia esclamare: «Signore. mi riempite di gioia con tutto ciò che fate». 


VERSO LA GLORIA    

(30 settembre 1897)

Nel 1894 suor Teresa fu colta da un persistente mal di gola che fu curato con cauterizzazioni al nitrato d'argento. Ne soffrì molto. Il 1° aprile del 1896, ebbe, come abbiamo visto, un'emottisi. Allora le fu ordinato del creosoto, e, per la gola, delle polverizzazioni. 

Prima che terminasse la Quaresima del 1897 suor Teresa si ammalò gravemente. Le applicarono numerosi vescicanti e le praticarono frizioni con un guanto di crine, ma senza risultati apprezzabili. Perdette l'appetito e presto non riuscì più a digerire nulla. Ogni giorno, verso le tre del pomeriggio, l'assaliva la febbre alta. A più riprese la sottoposero a” punte di fuoco" al torace e le fecero spennellature di iodio. «Mi hanno liberata da qualsiasi incarico. Ho pensato che la mia morte non porterà il minimo disturbo alla Comunità». 

Madre Agnese le chiede se le fa tristezza apparire alle sorelle come un membro inutile. 

«Oh! Per questo! È l'ultima delle mie preoccupazioni. È proprio lo stesso per me!». (NV – 18-5-1897). Preferisco rimanere nella mia celletta, piuttosto che scendere nell'infermeria, perché qui non sentono quando tossisco e non disturbo nessuno, e poi, quando mi trovo curata troppo bene, non gioisco più». (NV-28 m.)

«Non lo so se andrò in Purgatorio. Non me ne angustio affatto. Ma se ci vado, non rimpiangerò mai di non aver fatto nulla per evitarlo; non mi pentirò mai d'aver lavorato soltanto per salvare le anime. Come sono stata felice sapendo che santa Teresa [d'Ávila, la fondatrice] la pensava così!». (NV - 4 giugno)

– Il 6 luglio 1897 ebbe nuove emorragie e il medico diagnosticò una gravissima congestione polmonare; proibì qualsiasi movimento, prescrisse ghiaccio, cataplasmi senapati, ventose, ecc. Teresa passò una pessima notte sul duro pagliericcio, travagliata da febbre intensa, oppressa da difficoltà respiratorie, profondamente prostrata, indebolita sempre più da sudori profusi. 

«Il Signore, nel giardino degli Ulivi, godeva tutte le delizie della Trinità, eppure la sua agonia non fu meno crudele. È un mistero, ma le assicuro che ne capisco qualcosa per ciò che provo io stessa». (6 luglio).

Due giorni dopo fu trasferita giù, in infermeria. Era così debole che non riuscì più neppure a tenere la matita in mano.

– Fino al primo agosto le emorragie si ripeterono due o tre volte al giorno e le crisi di soffocazione furono terribili. L'oppressione era tale che neppure aspirando l'etere le giovava più. Tutti i giorni continuava a consumarla quella febbre ardente: ella ripeteva che si sentiva come in purgatorio. Dirà il 17 luglio:

«Sento di avviarmi al riposo. Ma soprattutto sento che la mia missione sta per iniziare: la mia missione di fare amare il Signore come io l'amo, e dare alle anime la mia piccola via. Se Dio misericordioso esaudisce i miei desideri, il mio paradiso trascorrerà sulla terra fino alla fine del mondo. Sì, voglio passare il mio Cielo a fare del bene sulla terra....».

Una consorella le aveva riferito questa riflessione fatta in ricreazione: – Non so perché si parla di suor Teresa di Gesù Bambino come di una santa; ha praticato la virtù, è vero, ma non era una virtù acquisita con le umiliazioni e le sofferenze –. Teresa: «E io che ho sofferto tanto fin dall'infanzia mia più tenera! Ah! come fa bene vedere l'opinione delle creature nel momento della morte!» (NV - 29 luglio).

Mostrando un bicchiere che conteneva una medicina amarissima, e che pure aveva l'aspetto di un liquore delizioso, mi disse: «Questo bicchiere è l'immagine della vita mia. Ieri una consorella mi diceva: – Spero che beviate un po' di liquore buono! –. Ed è la cosa più amara che io possa bere. Ebbene, madre mia cara, ecco ciò ch'è apparso agli occhi delle creature! È sembrato a loro, sempre, che io bevessi liquori squisiti, ed era amarezza. Ma no, anzi, la mia vita non è stata amara, perché ho saputo farmi gioia e dolcezza di tutte le amarezze». (NV - 30 luglio).

–  Il 30 luglio ricevette l'Estrema Unzione e il Santo Viatico con fede e devozione ammirabili. Chiese perdono alla Comunità con parole così commoventi che le suore non poterono trattenere le lacrime.

–  Le restavano ancora due mesi di martirio sulla terra, e li sopportò con pazienza eroica.

– Il 19 agosto riceve l'ultima Comunione. Era stata lì lì per sentirsi male, a causa della debolezza, quando intese salmodiare, sia pure a bassa voce, il "Miserere" prima della Comunione. 

«Sto per perdere i sentimenti. Se sapessero che cosa provo! Stanotte, non ne potevo più: ho pregato la Vergine Santa che mi prendesse la testa fra le mani sue, per darmi forza di sopportare». (NV - 19 agosto)

– Rimase per vari giorni come muta per il dolore, e in un'angoscia indescrivibile: «Non avevo ancora passato una notte tanto cattiva... Mai avrei creduto di poter soffrire tanto». (23 agosto)

– Di quando in quando ci supplicava di pregare, e di far pregare per lei:

«Oh, quanto bisogna pregare per gli agonizzanti! Se si sapesse!». (25 agosto).

«Temo di aver avuto paura della morte! Ma non ho paura del dopo-morte... Solamente mi chiedo: Che cosa è questa misteriosa separazione dell'anima e del corpo? È la prima volta che ho provato questo, ma mi sono subito abbandonata al Signore misericordioso». (11 sett.)

«L'aria della terra mi manca! Dio misericordioso quando me ne darà del cielo...». (28 sett.)

«MIO DIO, VI AMO!» (30 settembre 1897) – [Seguiamo da "Novissima Verba"]. 

Fin dalla mattina del 29 settembre pareva in agonia. Aveva un rantolo penosissimo; non poteva respirare. A mezzogiorno sussurrò alla Priora: «Madre mia, è l'agonia? Come farò a morire? Non saprò mai morire!». 

Chiese che la lasciassero sola la notte, ma la Priora non volle acconsentire. Le sorelle, suor Maria del Sacro Cuore e suor Genoveffa (Celina) si divisero questa consolazione. Ricorda madre Agnese: “La mattina, l'assistei durante la Messa. Non diceva una parola: era sfinita, ansante. Le sue sofferenze, lo intuivo, erano inesprimibili. Per un momento giunse le mani e, guardando la santa Vergine posta in faccia al suo letto: 

«Oh, l'ho pregata con un fervore! Ma è l'agonia pura, senza traccia di consolazione». E ancora:

«Se questa è l'agonia, che cosa è la morte?». «Sì, Dio mio, tutto quello che vorrete, ma abbiate pietà di me!»

«Sì, mi pare di aver cercato sempre la verità. Sì, ho capito l'umiltà di cuore»;

e fieramente, per due volte: «Non mi pento di essermi abbandonata all'Amore, anzi!». Poi:

«Non avrei mai creduto possibile soffrire tanto! Mai! Mai! Non posso spiegarmelo se non con i desideri ardenti che ho avuto di salvare le anime». Verso le 5 – racconta Madre Agnese – ero sola vicino a lei. Il volto cambiò ad un tratto; capii che l'agonia iniziava. Quando la comunità entrò nell'infermeria, lei accolse tutte le sorelle con un sorriso dolce. Stringeva in mano il suo Crocifisso e lo guardava continuamente.

Per più di due ore un rantolo terribile le squassò il petto. Il viso era congestionato, le mani, violacee; aveva i piedi ghiacci e tremava in tutte le membra. Il sudore abbondante cadeva a gocce enormi sulla fronte e scorreva sul volto.… Aveva la bocca tanto disseccata che Celina, pensando di darle sollievo, le pose sulle labbra un pezzettino di ghiaccio. Nessuno dimenticherà lo sguardo inesprimibile e il sorriso dolce ch'ella le rivolse in quel momento, come per consolarla e porgerle l'addio supremo. 

– Alle 6, suonò l'Angelus. Lei alzò gli occhi verso la statua della Vergine. Com'era bello il suo sguardo! – Alle 7 e qualche minuto, la Priora, credendo stazionarie le condizioni, congedò la comunità. E la povera vittima sospirò: «Madre mia, non è ancora l'agonia? Non muoio ancora? ...». “Sì, figlia mia – rispose la Priora –, è l'agonia, ma il Signore vuole prolungarla, forse, di qualche ora…” .

Rispose coraggiosamente: «Ebbene.... Avanti! ... Avanti! Oh, non vorrei soffrire meno!». 

E fissando gli occhi sul suo crocifisso: «Oh… l’amo! … Dio mio.... Vi… amo!».


Pronunciate queste parole, cadde dolcemente indietro, la testa reclinata a destra. La Priora richiamò in fretta la comunità, e tutte furono testimoni della sua estasi.  
Il volto aveva ripreso il colore di giglio che aveva in piena salute, gli occhi erano fissi in alto, splendidi di pace e di gioia…. 

Questa estasi durò pressappoco lo spazio di un Credo. Appena finita, Teresa rese l'ultimo sospiro.

– Dopo la morte, conservò un sorriso dolce. Era di una bellezza che rapiva.

– Teresa, stringeva così stretto il suo Crocifisso, che bisognò strapparglielo letteralmente dalle mani.

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