AFORISMA

Meglio aggiungere vita ai giorni, che non giorni alla vita
(Rita Levi Montalcini)

Nostra Signora del Carmelo

Nostra Signora del Carmelo
colei che ci ha donato lo scapolare

giovedì 25 ottobre 2012

IN ATTESA DEI FRUTTI DEL CONCILIO



In attesa dei frutti 
del Concilio 
di mons. Luigi Bettazzi  
Vescovo emerito di Ivrea; già presidente di Pax Christi e padre conciliare
in “Adista” - Segni nuovi – n. 36 del 13 ottobre 2012 
L'11 ottobre 2012 ricorrono cinquant’anni dall’inizio del Concilio Vaticano II. Come si sa, il Concilio ecumenico è l’assemblea di tutti i vescovi cattolici del mondo, convocati dal papa per affrontare e risolvere con lui i problemi dottrinali e vitali più importanti. Il primo Concilio si era riunito a Nicea, presso Costantinopoli, nell’anno 325. L’ultimo, il ventesimo, era stato convocato da Pio IX a Roma (e per questo denominato Vaticano I) nel 1869 e sospeso nel luglio del 1870 (in previsione dell’arrivo delle truppe italiane, che entrarono difatti a Porta Pia il 20 settembre),con la definizione del primato e dell’infallibilità del papa, quando parla come papa («ex cathedra»). Papa Giovanni XXIII, sollecitato dai suoi interessigiovanili e dalle conoscenze varie del suo servizio diplomatico (in Bulgaria, a Costantinopoli, a Parigi) decise, all’insaputa di tutti, di convocare un Concilio e di presentarlo non come «dogmatico» (cioè che proclama le verità di fede, scomunicando chi non leaccetta), ma «pastorale», che si preoccupasse cioè di presentare quelle verità in modo comprensibile eadeguato all’umanità del nostro tempo.  
E questo non rende il Concilio pastorale meno autorevole del dogmatico, anzi lo valorizza, perché una
verità di fede non raggiunge pienamente il suo scopo se non quando viene accolta e vissuta. 
Tale aspetto qualifica il Concilio Vaticano II come un richiamo alla responsabilità specifica dei cristiani e delle comunità; ed è evidente, se consideriamo i quattro documenti conciliari, le Costituzioni. Così la 
prima, sulla liturgia (il titolo viene dalle prime parole del testo latino, Sacrosanctum Concilium), ci fa scoprire nella messa non solo l’atto misterioso – a cui “si assisteva” – della transustanziazione, cioè del
cambiamento della sostanza del pane e del vino nella sostanza del corpo e del sangue di Cristo, bensì la 
presenza di Cristo nella sua eterna offerta pasquale, a cui «si partecipa», ricevendo lo Spirito Santo che 
alimenta così la nostra vita cristiana. La Bibbia (Costituzione Dei Verbum) non è tanto un deposito 
di verità a cui attingere per la nostra teologia, bensì la parola viva che Dio continua a rivolgere alla sua 
Chiesa e ad ogni cristiano per aprirli al suo amore. Le altre due Costituzioni sono state indicate come «rivoluzioni copernicane», nel senso che come l’astronomo polacco Copernico dimostrò che non è il
Sole a girare intorno alla Terra ma la Terra intorno al Sole, così quanto sembrava primario si rivela funzionale e viceversa. E in realtà la Chiesa nel mondo contemporaneo (Costituzione Gaudium et spes) riconosce che non è l’umanità subordinata alla Chiesa, ma è la Chiesa al servizio dell’umanità; e nella Chiesa in sé (Costituzione Lumen gentium) prima ancora di un laicato subordinato alla gerarchia, vi è un primato del popolo di Dio, del quale la gerarchia è alservizio (in latino: ministerium). Già da qui si evidenzia che, se con Benedetto XVI consentiamo che nella Chiesa v’è una «continuità» dogmatica (non è stato definito alcun nuovo dogma, al massimo ne sono stati richiamati alcuni trascurati, 
come l’universalità dell’offerta di salvezza o la collegialità, o collaborazione dei vescovi col papa), vi è 
stata però una forte «discontinuità» pastorale, colrichiamo appunto della responsabilità personale, nella formazione cristiana e nell’agire ecclesiale. Dobbiamo riconoscere che l’entusiasmo e la spinta 
dei tempi del Concilio e delle speranze immediate si sono affievoliti, un po’ per la maggiore difficoltà di 
una maturazione comunitaria nei confronti di strutture gestite autoritativamente (a tutti i livelli), un po’ per alcuni eccessi realizzati negli anni ‘68-‘69 che hanno indotto chi era in allarme per i cambiamenti a 
bloccare tutto (e forse, come dicono i tedeschi, insieme all’acqua sporca abbiamo buttato via anche il
bambino). Una lezione comunque che abbiamo ricevuto da questo Concilio è che la tradizione non equivale alla fissazione del passato, bensì, secondo l’etimologia(tradere è trasmettere, tradizione è trasmissione), è «aggiornare», secondo la formulazione di papa Giovanni, è dire le verità di sempre in modo adatto algiorno d’oggi. 
Diceva padre Congar – poi diventato cardinale – cheun Concilio ottiene i frutti più pieni dopo 
cinquant’anni. Preghiamo il Signore che sia propriocosì! 

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