La
Bibbia narra la storia dell’amicizia tra Dio e l’uomo, iniziata con la
creazione del mondo e dell’uomo, un’amicizia a cui Dio, anche quando l’uomo con
il peccato originale l’ha tradita, non è mai venuto meno. Dio sceglie di
rivelarsi, di manifestare il suo amore attraverso la “parola”,
proprio perché questa è lo strumento principale con cui gli esseri umani, a
differenza di tutti gli altri esseri creati, comunicano se stessi. E’ mediante
la parola che noi possiamo trasmettere agli altri i nostri pensieri, esprimere
le nostre ansie, comunicare i nostri sentimenti. Dio si è voluto servire,
quindi, dello strumento più usato dall’uomo, la parola, per comunicare Se
stesso, il suo amore, la sua intimità. La parola di Dio è l’espressione di una
potenza che continuamente crea. E’ significativo che le prime due parole con
cui ha inizio la Bibbia siano proprio: “Dio disse”
(Gen. 1,1). La parola di Dio “è stabile come il cielo”; “nel
rivelarsi illumina”; essa “è dolce al mio palato”: sono solo alcune
delle espressioni con cui il Salmo 119, un inno alla Rivelazione divina,
descrive la parola di Dio. E’ una parola, quella di Dio, che raggiunge ogni
uomo e lo provoca a una risposta. Dio, infatti, cerca continuamente il dialogo,
il confronto, proprio come un amico che non si arrende mai, anche quando il
colloquio si fa impegnativo e difficile. La parola di Dio è “parola di
verità” (2 Sam. 7,28), che in Gesù Cristo, figlio unigenito di Dio,
si è fatta “carne” ed è venuta ad abitare in mezzo a noi.
Cristo rende presente e operante tutta intera la storia della salvezza iniziata
dal Padre con la creazione del mondo, portata avanti con il messaggio profetico
e sapienziale. Una storia della salvezza, che con la venuta di Cristo giunge al
suo compimento. Gesù, quindi, è la Parola di Dio definitiva
e irripetibile.
LA CREAZIONE LA
RIVELAZIONE
Il
Vat. II al n.2 della “DEI VERBUM” chiarisce il significato di Rivelazione in
questi termini: “Piacque a Dio nella sua bontà e sapienza rivelare Se stesso e
manifestare il mistero della sua volontà, mediante il quale gli uomini per
mezzo di Cristo, Verbo fatto carne, nello Spirito Santo hanno accesso al Padre
e sono resi partecipi dalla divina natura. Con questa Rivelazione, infatti, Dio
invisibile nel suo grande amore parla agli uomini come ad amici e s’intrattiene
con loro, per invitarli e ammetterli alla comunione con Se. Quest’economia
della Rivelazione avviene con eventi e parole intimamente connessi, in modo che
le opere, compiute da Dio nella storia della salvezza, manifestano e rafforzanola
dottrina e le realtà significate dalle parole, e le parole dichiarano le opere
e chiariscono il mistero in loro contenute.
La
profonda verità, poi, sia di Dio sia della salvezza degli uomini, per mezzo di
questa Rivelazione risplende a noi in Cristo, il quale è insieme il mediatore e
la pienezza di tutta intera la Rivelazione”.
Questa
Rivelazione, non è avvenuta una volta e per sempre, ma Dio si comunica
gradualmente all’uomo (c’è una particolare “pedagogia divina”), lo prepara per
tappe a ricevere la Rivelazione soprannaturale che Egli fa di Se stesso e che
culmina nella persona e nella missione del Verbo incarnato, Gesù Cristo.
Dio
ha rivelato tutto in Gesù Cristo, quindi non c’è da aspettarsi alcuna nuova
rivelazione pubblica prima della manifestazione gloriosa del Signore alla
fine dei tempi; tuttavia anche se la Rivelazione è compiuta, non è però
completamente esplicitata: toccherà alla fede cristiana coglierne gradualmente
tutta la portata nel corso dei secoli.
La
Rivelazione divina contiene tre elementi intimamente connessi:
a)
La Sacra Scrittura: è la Parola di Dio messa per iscritto sotto
l’ispirazione dello Spirito Santo.
b)
La Tradizione: viene dagli Apostoli e trasmette ciò che costoro
hanno ricevuto dall’insegnamento e dall’esempio di Gesù e ciò che hanno appreso
dallo Spirito Santo.
c)
Il Magistero: ha il compito di interpretare autenticamente la
Parola di Dio scritta o trasmessa.
Il
Magistero però non è al di sopra della Parola di Dio, ma la serve, insegnando
soltanto ciò che è stato trasmesso, e da questo unico deposito della fede
attinge tutto ciò che propone di credere come rivelato da Dio.
L’ISPIRAZIONE
La
“DEI VERBUM” al numero 11 spiega cos’è l’Ispirazione: “Le verità divinamente
rivelate, che nei libri della Sacra Scrittura sono contenute ed espresse,
furono scritte per ispirazione dello Spirito Santo. La Santa Madre Chiesa, per
fede apostolica, ritiene sacri e canonici tutti interi i Libri sia dell’Antico
Testamento che del Nuovo Testamento, con tutte le loro parti, perché scritti
per ispirazione dello Spirito Santo, hanno Dio per autore e come tale sono
stati consegnati alla Chiesa.
Per
la composizione dei Libri Sacri, Dio scelse e si servì di uomini nel possesso
delle loro facoltà e capacità, affinché, agendo Egli in essi e per loro mezzo,
scrivessero, come veri autori tutte e soltanto quelle cose che Egli voleva
fossero scritte.
Poiché
dunque tutto ciò che gli autori ispirati o agiografi asseriscono, è da
ritenersi asserito dallo Spirito Santo, è da ritenersi anche, per conseguenza,
che i Libri della Scrittura insegnano con certezza, fedelmente e senza
errore, la verità che Dio, per la nostra salvezza volle fosse consegnato
nelle Sacre Lettere. Pertanto “ogni Scrittura divinamente ispirata è anche
utile per insegnare, per convincere, per correggere, per educare alla
giustizia, affinché l’uomo di Dio sia perfetto, addestrato a ogni opera buona”
(2 Tim. 3, 16-17).
LA FORMAZIONE DELLA BIBBIA
Ogni
tradizione religiosa vive in genere due forme intrecciate tra loro: una
trasmissione orale, spontanea, vitale e di una successiva codificazione
scritta.
Un
popolo ai suoi inizi, proprio come un bambino, non comincia la sua storia
scrivendo libri, prima vive, poi, fatta esperienza, scrive per ricordare e far
ricordare alle nuove generazioni ciò che ha vissuto.
Anche
il Popolo d’Israele, prima ha vissuto una Storia, poi ha cominciato a
trasmettere il ricordo di padre in figlio (tradizione orale) e infine ha anche
fissato tale storia in una memoria scritta.
E’
nata così la Bibbia; ma essa non è stata scritta tutta nello stesso periodo di
tempo: il Libro più antico (forse quello del Profeta Amos) è del 750 a.C.
l’ultimo del N.T. è l’Apocalisse di S. Giovanni, composta circa nell’anno 100
d.C.
La
redazione dei vari Libri biblici, si scagliona tra queste due date, cioè in un
periodo di oltre otto secoli. Pertanto la Bibbia non è stata scritta da un solo
autore, ma moltissimi sono stati gli autori diretti, che però si sono avvalsi
di precedenti tradizioni orali.
La
Bibbia non contiene solo narrazioni di eventi storici (Esodo, Atti degli
Apostoli) ma anche raccolte di leggi sociali e morali (Levitico,
Deuteronomio), esortazioni e invettive (Profeti), preghiere (Salmi),
lettere (di Paolo e altri), descrizioni fantastiche (Daniele,
Apocalisse), poemi e proverbi.
L’INTERPRETAZIONE
La
“Dei verbum” al n. 12 ci indica la strada che dobbiamo percorrere per
inoltrarci, senza sbagliare, nello studio della Bibbia.
Poiché
Dio nella Sacra Scrittura ha parlato per mezzo di uomini e alla maniera umana,
l’interprete della Sacra Scrittura, per capire bene ciò che Egli ha voluto
comunicarci, deve ricercare con attenzione, che cosa gli agiografi in realtà
abbiano inteso significare e a Dio è piaciuto manifestare con le loro parole.
Per
ricavare l’intenzione degli agiografi si deve tener conto tra l’altro anche dei
“generi letterari”. La verità infatti viene diversamente proposta ed espressa
nei testi in varia maniera: storica, profetica, poetica o con altri modi di
dire. E’ necessario dunque che l’interprete ricerchi il senso che l’agiografo
intese esprimere ed espresse in determinate circostanze, secondo la condizione
del suo tempo e della sua cultura, per mezzo dei generi letterari allora in
uso. Per comprendere, infatti, nel loro giusto valore ciò che l’autore sacro
volle asserire nello scrivere, si deve fare debita attenzione sia agli abituali
e originari modi di intendere, sia a quelli che allora erano in uso nei
rapporti umani.
Però
dovendo la Sacra Scrittura essere letta e interpretata con l’aiuto dello stesso
Spirito mediante il quale è stata scritta, per ricavare con esattezza il senso
dei sacri testi, si deve badare con non minore diligenza al contenuto e alle
unità di tutta la Scrittura, tenuto debito conto della viva Tradizione di tutta
la Chiesa e dell’analogia della fede. E’ compito degli esegeti contribuire
secondo queste norme alla più profonda intelligenza ed esposizione del senso
della Sacra Scrittura, fornendo i dati previi, dai quali si maturi il giudizio
della Chiesa. Quanto, infatti, è stato qui detto sul modo di interpretare la
Scrittura, è sottoposto in ultima istanza al giudizio della Chiesa, la quale
adempie il divino mandato e ministero di conservare e interpretare la parola di
Dio”
Da
questa chiara esposizione del Concilio emerge una triplice traccia di
approfondimento, che ci fa giungere proprio al cuore della Bibbia e cioè:
“ i generi letterari”, “i sensi della Bibbia”, “la lingua”.
I GENERI LETTERARI
Sono
modi attraverso cui si esprime una lingua. Nella Bibbia, infatti, vi sono
molteplici forme letterarie; ciò dipende dalla diversità degli autori, dalla
materia trattata, dal pubblico a cui si rivolge l’autore sacro, dal
temperamento, dalla cultura, dalla mentalità degli agiografi.
Ecco
come gli esegeti classificano i generi letterari presenti nell’Antico
Testamento:
POESIA
POPOLARE:
ne sono esempi: il cantico del lavoro (Num. 21, 17-18); il cantico d’amore
(Cantico dei Cantici); il cantico del custode (Isaia 21, 11-12); la satira
(Isaia 23, 15-16); il cantico della vittoria (Esodo 15); la favola (Giudici 9);
le benedizioni e le maledizioni (Gen. 49); i proverbi (1 Sam. 10, 12); gli
enigmi (Giudici 14,14).
PROSA
UFFICIALE:
ne fanno parte: il fatto (Deut. 5); il simbolo di fede (Deut. 26); le leggi e
le prescrizioni in genere, l’istruzione o la Torà (Lev. 1-8); la guerra sacra
(Deut. 20); la lettera (Esdra 4-6).
NARRAZIONI: a questo genere
appartengono: il mito (Isaia 14); la fiaba (Num.22); la leggenda (Gen. 28,
10-22); annali e cronache di corte (Re); l’aneddoto, le memorie (Neemia); notizie
autobiografiche (Ger. 20); storiografie (Samuele); narrazione
fittizia (Tobia, Ester).
LETTERATURA
PROFETICA:
comprende la forma dell’oracolo (oracolo di salvezza, oracolo contro i popoli);
la visione (Amos 7-8); il sogno (Ger. 23, 31-32), le unità escatologiche (Isaia
34-35); l’apocalisse (Daniele).
GENERI
SAPIENZIALI:
proverbi, sentenze, detti
popolari.
Il
genere letterario non differisce solo da libro a libro, ma all’interno degli
stessi libri coesistono diversi generi: segno evidente che questi Libri sono
stati scritti in un lungo periodo e da più autori o che sono raccolte di testi
eterogenei. Solo due esempi:
Genesi
1-11
parla dell’origine del mondo e dell’umanità, del diluvio universale: il genere
letterario è quello poetico-mitologico e poetico-liturgico; mentre Genesi
12- 50 che parla della storia dei Patriarchi (Abramo, Isacco,
Giacobbe, Giuseppe), si avvale, tra l’altro della genealogia, della narrazione
epica, della leggenda, del racconto popolare e aneddotico.
I
Salmi
presentano una gamma vastissima di espressioni: ci sono inni, suppliche,
lamenti individuali e collettivi, preghiere di lode e di ringraziamento, salmi
regali o celebrativi, salmi didattici a loro volta distinti in sapienziali,
storici, liturgici, ecc...Ecco una breve scheda su ciascuno dei principali
generi letterari, con l’indicazione di brani biblici da leggere come
esempio.
LA STORIA: all’origine dei “Libri storici” (come
Samuele, Re, Neemia, Maccabei, Atti degli Apostoli), ci sono certamente degli
avvenimenti di cui il popolo (o almeno qualche tribù) ha conservato memoria per
via di tradizione orale. Il modo di riferire sull’avvenimento può limitarsi a
una semplice evocazione dei fatti e della loro data, ma può ampliarsi nella
“biografia” di tale o tal altro protagonista, o può perfino tentare di
interpretare gli avvenimenti, caricandoli di un significato che supera la
materialità dei fatti constatati. In genere, l’autore biblico non racconta dei
fatti tanto per riportare la cronaca del tempo, ma piuttosto per trasmettere il
significato umano, la “lezione” di tali fatti per il popolo. Gli storiografi
della Bibbia, in ossequio anche alle consegne dei Profeti e Sacerdoti,
selezionano tra gli eventi nazionali, quelli che meglio soddisfano i loro
intenti cultuali e morali, senza preoccuparsi troppo di servirsi degli annali
di corte. In pratica, la storia ha un senso, perché Dio attraverso il tempo e
gli avvenimenti umani, persegue il suo progetto di alleanza col popolo eletto:
questa è la convinzione di base degli storiografi biblici.
L’EPOPEA: l’Odissea in Grecia, l’Eneide a Roma, sono
esempi a tutti noti, del genere letterario “epico”. A partire da un nucleo
storico accertato o presupposto, si amplifica in modo enfatico, volutamente,
una vicenda che trascende e trasfigura il reale, di modo che l’avvenimento o il
personaggio-chiave (cioè l’eroe che impersona la stirpe, la razza, la
nazione)si imprimono più vivamente nella memoria collettiva del popolo e lo
stimolano a riconoscersi unito e concorde attorno ai “padri della patria”, nel
rispetto delle proprie comuni origini, nell’accettazione di una vocazione o di
un destino storico che coinvolge la collettività. Nella Bibbia (A.T.), sono
narrate sotto questa forma letteraria le vicende dei Patriarchi (Gen. 19-50),
di Mosè (Esodo), della conquista della terra promessa (Giosuè, Giudici). In
particolare l’Esodo è chiaramente costruito sullo stile epico: Mosè salvato dal
Nilo e poi alle prese col faraone, le piaghe d’Egitto, le Tavole della Legge sul
Sinai, i prodigi e i simboli (fuoco, nube, manna), durante la lunga marcia nel
deserto... Un’idea fondamentale sta alla base di tutta questa narrazione epica:
Jahwé ha scelto Israele per farne il suo Popolo, ha stabilito un’alleanza con
lui, l’ha salvato “con mano forte e braccio teso” gli ha dato una legge, gli ha
promesso una terra, ed è ancora per intervento di Jahwé che Israele la potrà
finalmente conquistare.
LA PROFEZIA: in tutto l’antico Oriente
esistevano uomini che esercitavano l’arte divinatoria (la capacità, presunta o
meno, di conoscere gli eventi futuri), ma i Profeti-scrittori di Israele
svilupparono un genere letterario originale, anche rispetto agli altri libri
biblici. Generalmente si pensa che il Profeta sia una persona che predice il futuro.
In realtà, questa parola di origine greca indica nella letteratura ebraica: uno
che parla in nome di Dio, che serve da porta-parola di Jahwé, che fa da
intermediario tra Dio e il popolo. Isaia, Geremia, Ezechiele e i Profeti
“minori” rappresentano questo genere letterario attraverso forme espressive
diverse: brevi indirizzi al popolo di tono esortativo, per invitarlo alla
conversione, per far riflettere sul passato d’Israele e ricondurlo sulla retta
via, per purificare una religione in cui i doveri sociali abbiano la precedenza
sul culto ritual;: brevi invettive indirizzate a una città, a una nazione, a
una generazione, dal tono diretto e minaccioso, per provocare una benefica
reazione di ravvedimento più che per condannare; interpretazioni moralistiche
di eventi naturali o politici, prima preannunciati e poi “spiegati” come
elementi provvidenziali del Dio d’Israele.
LA POESIA: sono presenti nella Bibbia tutti i generi
poetici in uso tra i popoli dell’antico vicino Oriente, e sono presenti lungo
tutto l’arco degli oltre dieci secoli di letteratura biblica, che va dalle
stupende Odi di Giudici del cap. 5, o del Salmo 29, fino alla finissima lirica
del Cantico dei Cantici, fino a raggiungere quegli scritti di “letteratura
minore” che sono i Vangeli, nati in piena epoca imperiale romana. La poesia
biblica si distingue stilisticamente dalla prosa per la scelta di forme verbali
ricercate, per la ricorrenza studiata di certe locuzioni, ma soprattutto per il
parallelismo, costituito da versi che si ripetono completando o variando la
stessa idea. Ad esempio: “ mi avvolgono flutti mortali/ mi inondano torrenti
rovinosi/ mi stringono le funi degli inferi/ mi incombono i lacci di morte”
(Salmo 18, 5-6)
E’ poesia là dove si creano simboli (Giona), là
dove si presentano voce e lacrime a un popolo disfatto (Lamentazioni di
Geremia), là dove si loda Dio nelle sue creature e si contemplano le creature
specchio del Creatore (Salmi), là dove il profeta scongiura una
generazione a voltare le spalle agli idoli o quando piange con gli esiliati,
sognando con struggente nostalgia il ritorno alla propria terra (Profeti e
Salmi).
L’APOCALISSE: dal suo significato
etimologico, che è “rivelazione“, la parola “apocalisse” è diventata
oggi, abusivamente, sinonimo di disastro, di catastrofe, di fine del mondo. Le
apocalissi della letteratura ebraica (ad esempio Daniele) e l’Apocalisse del
N.T. contengono anche descrizioni di fenomeni terrificanti, ma la loro
interpretazione è tutt’altro che intimidatoria o spettacolare. E’ una letteratura
tipica del tempo di miseria e di persecuzione. Il suo messaggio è questo: per
quanto triste possa essere la condizione attuale del singolo o del Popolo, Dio
prepara un futuro in cui la giustizia trionferà.
Questo genere letterario è affine a quello profetico,
con la differenza che nei profeti, la forza del discorso proviene dalla
convinzione interiore, mentre nelle apocalissi tutto è visione e simboli; i
profeti parlano ai contemporanei di problemi attuali o imminenti, gli
apocalittici sembrano non aver destinatari precisi, parlano fuori del tempo e
della storia.
In una parola, le apocalissi, sembrano “rivelare”
una sola parola: la disgrazia, il dolore, la disperazione non avranno il
sopravvento che per un tempo limitato perché all’interno stesso delle presenti
rovine, Dio sta preparando certamente “ cieli nuovi e terra nuova”.
I SENSI DELLA BIBBIA
Secondo
un’antica Tradizione (ripresa dal Catechismo della Chiesa Cattolica), si
possono distinguere due sensi della Sacra Scrittura: il senso letterale e quello
spirituale; quest’ultimo è suddiviso in : senso morale, anagogico e allegorico.
Il
senso letterale: è “ciò che gli autori sacri hanno realmente inteso
significare” (Dei Verbum n. 12), E’ quello significato dalle parole della
Scrittura e trovato attraverso l’esegesi che segue le regole della retta
interpretazione (cioè i generi letterari).
Il
senso letterale si divide a sua volta in:
Senso
letterale proprio:
si verifica quando le parole vengono utilizzate dall’agiografo nel loro
significato proprio; per esempio: “Gesù si diresse verso il Mare di Galilea”
(Mt. 15, 29).
Senso
letterale traslato: si ha quando le parole vengono intese dallo scrittore in
senso figurato, per esempio: “Poiché mi rallegri, Signore, con le tue
meraviglie, esulto per l’opera delle tue mani” (Salmo 92, 5); dove è evidente
che la parola “mani” non indica la parte terminale del braccio, ma la potenza
misericordiosa di Dio.
A
volte il senso traslato riguarda una sola parola, in questo caso abbiamo la “metafora”,
altre volte un intero discorso, come nel caso della “ parabola”.
Il
senso spirituale: rivela il significato soggettivo per la fede del
credente; è ciò che Dio ha voluto dire attraverso l’agiografo. Il senso
spirituale è contenuto nel senso letterale, ma lo supera, poiché si ricollega
con il disegno salvifico di Dio, autore primario della Bibbia, e può essere
studiato solo alla luce di una rivelazione ulteriore.
L’esistenza
del senso spirituale ci induce, perciò, a riconoscere nelle Bibbia una profonda
unità, determinata dal fatto che tutta la Rivelazione ha come centro la figura
di Cristo, attraverso il quale si orienta tutto l’insegnamento biblico.
Il
senso morale:
gli avvenimenti narrati nella Scrittura possono condurci ad agire rettamente
“Sono stati scritti per ammonimento nostro” (1 Cor. 10,11).
Il
senso anagogico: permette di leggere gli eventi narrati, come segni
anticipatori di avvenimenti futuri, che ci conducono (in greco
“anagoghè”) verso la nostra Patria. Così la Chiesa sulla terra è segno della
Gerusalemme celeste.
Il
senso allegorico: possiamo giungere ad una comprensione più profonda degli
avvenimenti se riconosciamo il loro significato in Cristo; così la traversata
del Mar Rosso è un segno della vittoria di Cristo,come avviene anche nel
Battesimo.
In
conclusione occorre ricordare che l’interpretazione della Bibbia è un compito
inesauribile, perché essendo Parola di Dio che interpella l’uomo, manifesta il
Suo mistero che è appunto inesauribile, e chiede all’uomo la comprensione del
suo valore e la sua attualizzazione nella vita personale e comunitaria. Ciò
significa che alle passate interpretazioni si aggiungerà sempre lo sforzo di
calare il messaggio biblici nelle situazioni nuove della vita umana.
LA LINGUA
La
Bibbia non è stata scritta in una sola lingua, ma in tre lingue differenti, che
servirono agli autori ispirati per scrivere i testi originali della Sacra
Scrittura: l’ebraico, l’aramaico e il greco; e alla fine
del IV sec. d.C. in latino, da S. Girolamo.
L’ebraico: è una lingua semitica (dal
nome di Sem, figlio di Noè). Era parlato dagli Israeliti fino a qualche secolo
dopo l’esilio babilonese (IV sec. a.C,); poi fu usato solo nelle preghiere e
nelle composizioni letterarie. Risuscitato e adattato alle esigenze della
civiltà moderna, è ora usato correttamente nello Stato d’Israele.
L’aramaico: (da Aram: la regione che
poi si chiamò Siria), divenne comunemente la lingua parlata dai giudei di
Palestina al tempo di Gesù. Alcune parole “ebraiche” riportate dai Vangeli sono
in realtà “aramaiche”: “Messia”, “Pascha”, “Golgota”, “Talitha Kum”, ecc...
Il
greco:
fu diffuso in Oriente dalle conquiste di Alessandro Magno (dal 333 al 323 a.C.)
e divenne la lingua delle persone colte. La prima traduzione in greco
dell’Antico Testamento è chiamata la “Bibbia dei Settanta”; il suo
nome è legato a una lettera dello Pseudo Aristea (del II sec. a.C.), secondo la
quale il Re d’Egitto Tolomeo Filadelfo (285-247 a.C.), desiderando arricchire
la celebre biblioteca di Alessandria con un esemplare della legge mosaica,
radunò nella città “Settanta” dotti ebrei provenienti da Gerusalemme, i quali
tradussero in altrettanti giorni (“Settanta”) tutto l’Antico Testamento.
Certamente
si tratta di una leggenda, ma sembra accertato che a partire dalla metà del III
sec. a.C. (proprio al tempo di Tolomeo) sia cominciata una traduzione d’équipe
in greco dell’A.T., per soddisfare le esigenze dei numerosi ebrei della
“diaspora” (dell’esilio), che non parlavano più l’ebraico. Il Nuovo Testamento
fu scritto interamente in greco. Sappiamo però, che la prima redazione del
Vangelo di Matteo, fu in ebraico (o aramaico); ma a noi è arrivata solo la
redazione in greco.
Il
latino:
nel tempo cristiano, ci furono diverse traduzioni latine della Bibbia, compreso
il Nuovo Testamento. La più famosa è quella di S. Girolamo (347-420), alla fine
del IV sec. d. C. Questa traduzione comprende tutti i Libri biblici ed è
scritta in un latino elegante, che non traduce letteralmente gli originali, ma
si preoccupa di renderne il senso. Essa fu dichiarata autentica, cioè autorevole
sul piano dottrinale, dal Concilio di Trento (1563). Per il suo carattere
divulgativo tra il popolo, questa traduzione è detta “Volgata”, cioè “divulgata”.
Tra
le numerose traduzioni in italiano, oggi esistenti, c’è la Bibbia di
Gerusalemme e quella della CEI (Conferenza Episcopale Italiana).
ROTOLI, PAPIRI E CODICI
I
libri antichi avevano forma di rotoli. Si scriveva a colonne su larghe pagine,
fatte di cuoio sottile; queste pagine si cucivano l’una di seguito
all’altra e si arrotolavano attorno a un bastone. Così sono i “rotoli” del I
sec. a. C. e d. C. scoperti negli anni 1947-1950 a Qùmran (le grotte presso il
Mar Morto); così sono i “rotoli” del Pentateuco usati nelle Sinagoghe.
Invece
del cuoio si usava anche il “papiro”, che gli Egiziani preparavano dal
fusto della pianta paludosa detta appunto “papiro”. I Libri del Nuovo
testamento furono scritti in origine probabilmente su papiro.
Papiri
del N.T. che risalgono fino ai secoli II e III d. C. furono trovati in Egitto,
dove il clima secco li ha preservati dalla distruzione.
Ma
le Chiese cristiane preferiscono una nuova forma di libro e cioè il “codice”,
formato, come i libri moderni, da tanti fogli legati da una sola parte.
Il
materiale scrittorio, già perfezionato nel sec. II a. C. fu la “pergamena”
(da Pergamo, città dell’Asia Minore), cioè la pelle di animali ridotta a fogli
sottili e solidissimi.
I
codici più antichi a noi arrivati contengono tutta la Bibbia in greco, e sono:
il “Codice Vaticano” (IV sec. d. C.); il “Codice Sinaitico” (IV sec.
d. C.); il “Codice Alessandrino” (V sec. d. C.).
ATTENDIBILITA’ DEL TESTO BIBLICO
Chi
prende in mano oggi il testo dell’Antico Testamento ha il diritto di chiedersi:
su quali fonti si basa questo testo? Sono ancora disponibili i
manoscritti originali degli autori: di Mosè, di Davide, di Isaia?
In
realtà di nessun libro, sia dell’Antico che del Nuovo Testamento, possediamo il
manoscritto originale.
Questo
fatto a prima vista indurrebbe a dubitare della credibilità del testo biblico:
esso però si chiarisce ricordando che quel valore particolare che noi oggi, per
considerazione di carattere di antiquariato, attribuiamo al manoscritto
originale, non gli era attribuito dalla mentalità degli antichi: quando, ormai
consumato dall’uso, esso non era più utilizzabile per la lettura liturgica,
veniva sostituito da una copia accuratamente eseguita e più volte controllata
col testo precedente; l’originale, ormai inutile, veniva bruciato o murato.
Di
secolo in secolo si eseguirono perciò sempre nuove copie, ma esse venivano
preparate con la precisione, addirittura proverbiale, del popolo ebraico, una
precisione che scaturiva non da esigenze di scrupolosità scientifica, ma dalla
venerazione per la Parola di Dio.
Una
così meticolosa accuratezza è per noi un’ottima garanzia che il testo originale
non è stato alterato.
Il
confronto critico fra tutti i manoscritti biblici ci offre la certezza che la
Bibbia che abbiamo oggi corrisponde a quella originale.
IL CANONE BIBLICO
Il
termine “Canone” (dal greco: “canòn” = “insieme”) è
l’elenco completo di tutti i testi che compongono la Bibbia.
Un
libro è “canonico” se viene riconosciuto come ispirato da Dio. E’ Dio
stesso che indica se uno scritto è veramente ispirato , attraverso la
Tradizione divino-apostolica ,
cioè
attraverso il Magistero della Chiesa, che è assistita dallo Spirito Santo. Sono
invece esclusi dal “canone”, fissato nel Concilio di trento nel 1546 i
cosiddetti “apocrifi” (dal greco “apòcriphos”
= “nascosto” nel senso di “non presentato al pubblico”.
L’elenco
dei Libri Canonici è stato definitivamente ratificato dal concilio di Trento
nel 1546.
Si
è soliti distinguere, all’interno del Canone, i Libri “protocanonici” e
i Libri “deuterocanonici”.
I
Libri “Protocanonici” sono i libri che sempre e presso ogni comunità
cristiana furono ritenuti ispirati.
I
Libri “Deuterocanonici” sono gli scritti biblici che in alcuni tempi e
in alcune comunità non sono stati ritenuti ispirati.
I
Libri “Deuterocanonici” sono Sette dell’Antico Testamento e Sette del Nuovo
Testamento. Nell’A.T. sono: Tobia, Giuditta, I e II Maccabei, Baruc, Siracide,
Sapienza; alcune parti dei Libri di Ester e Daniele.
Gli
Ebrei e i Protestanti non ammettono l’ispirazione dei Libri “deuterocanonici”
dell’Antico Testamento e li chiamano “apocrifi”.
I
Libri “deuterocanonici” del N.T. sono: Lettera agli Ebrei, Lettera di Giacomo,
II Lettera di Pietro, II e III Lettera di S. Giovanni, Lettera di Giuda,
Apocalisse.
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