Quella
domenica dopo pranzo, mi ero appisolata sul divano del salotto, mentre mio
marito si era coricato sul letto, per il riposino post-prandiale.
Ero
in dolce attesa del mio primo figlio, da circa due mesi. Fui svegliata da un
grido: “Mamma!”. Mi alzai e corsi
in camera da mio marito, il quale aveva la mamma gravemente ammalata. Pensai
che avesse avuto un incubo. Si svegliò seccato, avevo interrotto il suo sonno,
ma non era stato lui a chiamare la mamma. Nel ritornare sui miei passi, vidi
che sul pavimento avevo lasciato una scia di sangue. Mi precipitai in bagno, e
costatai che un grumo strano era uscito dal mio grembo. Chiamai mio suocero,
medico, e gli spiegai il caso. Mi pregò di conservare quel grumo, e si precipitò
da me. Una volta analizzato, mi disse che avevo abortito spontaneamente, e che
quel grumo era l’embrione del piccolo. Mi fece ricoverare in ospedale, per la
“revisione”, onde evitare infezioni. L’intervento fu programmato per il giorno
successivo, verso mezzogiorno. Il lunedì mattina mio suocero venne a trovarmi
in ospedale ed io gli chiesi se potevamo posdatare l’intervento, poiché sentivo
ancora forti le nausee della gravidanza. Mi rispose che per alcuni giorni le
avrei avute, perché gli ormoni della gestazione erano ancora in circolo. Gli
chiesi di parlare col ginecologo, di procedere ad altri esami. Ero certa di
avere ancora in grembo mio figlio.
Fu
per tutti una sorpresa! In effetti c’era una gravidanza in corso. Ma allora,
quell’embrione che avevo abortito? Era il gemello o la gemella di mia figlia,
per quella creatura la natura aveva deciso diversamente, ma Valeria nacque in
quello stesso ospedale.
Se
non avessi sentito quel grido: “Mamma!” forse avrei permesso ai medici di
eseguire il raschiamento, e mia figlia non sarebbe mai nata. O forse no! Ma per
me è stato un grande avvertimento. Era domenica, il giorno del Signore, e io
dovevo mettere al mondo Valeria! Ringrazio la vita di avermi dato un suocero
medico, che ha potuto fermare la mano del chirurgo. Io non avrei avuto voce in
capitolo. Il risultato è stato che mia figlia mi ha dato tante soddisfazioni, e
mi ha regalato due bravi e buoni nipotini.
Allora
pensiamo bene che quel grumo di cellule, che un giorno diverrà un uomo o una donna, non è solo un corpo
estraneo di cui liberarsi. Io non avrei la gioia di una figlia (ho poi avuto
altri due maschi che ancora non mi hanno reso nonna) e di due splendidi
nipotini.
Tutti,
nella Parrocchia di S. Teresa del Bambino Gesù di Legnano conoscono mia figlia,
che si adopera come catechista per l’iniziazione cristiana, ma anche per la
catechesi battesimale, fa parte del Consiglio Pastorale ed è nel gruppo delle
Famiglie. Insegna materie scientifiche in un liceo e si occupa con grande amore
della sua famiglia.
Anche
lei ha voluto evitare l’aborto del suo terzo figlio, Iacopo, al quale i medici
le avevano consigliato di sottoporsi. Il bambino presentava evidenti problemi
che non gli avrebbero permesso di sopravvivere. Lei però lo sentiva crescere e
muoversi nel suo seno e decise così che, fintanto che era ben protetto dentro
di lei, il bambino viveva. Ha portato a termine la gravidanza, decidendo di
sottoporsi al parto cesareo, per non far soffrire il piccolo, che visse un’ora
circa, ed ha potuto così ricevere il Battesimo e avere il suo funerale, in una
piccola bara bianca. Ora Iacopo riposa nel giardino degli Angeli, e dal cielo
protegge i suoi cari. E’ nato e, cosa importante, mamma e papà hanno potuto tenerlo per un po’ tra
le loro braccia. E’ per loro figlio avuto e amato, anche se volato
prematuramente in Cielo. Se mia figlia avesse abortito, quel corpicino sarebbe
finito nell’inceneritore dell’ospedale. Quel feto sarebbe stato ignorato e
dimenticato da tutti, non certo dalla sua mamma, ma comunque considerato da
molti alla stregua di un corpo estraneo, ed eliminato come tale.
Allora
ritengo che occorra proiettare il nostro sguardo al futuro, e pensare fin
dall’inizio del concepimento, che quello che una donna porta in grembo è un
uomo o una donna a tutti gli effetti, anche se ancora in formazione. Dire:
“aspetto un bimbo” ha una forza persuasiva ben diversa dal dire: “sono incinta.” Incinta è
una parola che non disegna la creatura, mentre l’attesa di un bimbo identifica
già l’essere umano che verrà al mondo.
Io
non avrei ora la mia Valeria, se avessi dato ascolto ai medici, e non avrei
avuto questi tre nipotini, anche se purtroppo, uno di loro, è tra gli angeli in
Paradiso.
Lo
Spirito Santo ci dona dei segni. Dobbiamo soltanto imparare a riconoscerli.
Oppure
ci parla interiormente, e ci fa capire quale sia la giusta via da percorrere.
Chiudere gli occhi e turarsi le orecchie per non vedere od ascoltare, è segno
di disamore verso noi stessi e il prossimo.
Danila Oppio
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