di Domenica Luise
Giornata per la Vita
Era un’ape paralitica, che abitava in un paesino interno della Sicilia.
Lì c’erano ancora ragazze come lei che, il pomeriggio, passavano alcune ore a ricamarsi il corredo sedute a crocchio davanti alla porta di casa.
Non sempre era stata paralitica.
Da piccola il volo l’annoiava, ma era sempre meglio delle faccende domestiche. Suo padre e sua madre, su questo, non transigevano: o volava come natura vuole o si trovava un lavoro oppure,al limite, avrebbe cucinato il miele per tutta la famiglia.
Perfino gli esseri umani sanno che le api sono operose, questa qui, invece, era nata pigra.
Le piaceva leggere, diceva, ma a scuola aveva sempre ripetuto le classi ed, alla fine, le avevano dato la terza media per vetustà.
In pratica, la piccola ape sognava coi libri aperti davanti: ecco, adesso incontro un baldo giovane, che mi rapisce a volo e mi porta nella sua cella di lusso.
Invece, a furia di poltrire nel letto e di non esercitare le ali, divenne sempre più grassa e la prima volta che i genitori l’obbligarono a raccogliere un secchiello di polline, lei inciampò su di una foglia di margherita, sbatté violentemente la testa contro un bocciolo di rosa e giacque a lungo, a zampe all’aria, finché non la portarono, incapace perfino di raddrizzarsi, al pronto soccorso.
Consultarono i più rinomati professori, ma il verdetto fu sempre uguale: immobilità nervosa.
Le analisi erano perfette eppure la ragazzina non muoveva affatto le ali. In quanto alle zampe, gliele dovevano piegare e raddrizzare i fratelli e le sorelle. Quelli si stancavano di interrompere continuamente lo studio o il gioco e così la piccola ape provò il bisogno e il disamore.
Forse, se avesse imparato a volare bene finché era in tempo, non si sarebbe fatta male inciampando così stupidamente.
Provò a ricamare il corredo alle sorelle perché la trattassero meglio, quelle si presero la roba senza nemmeno ringraziarla, come se ogni cosa fosse dovuta.
Regalò ai nipoti tutti i suoi risparmi, quelli si presero i soldi, ma le sbadigliavano davanti e certe volte facevano finta di non sentirla quando li chiamava.
Sua madre si lamentava sempre della disgrazia che le era capitata, suo padre l’accusava di essersi andata a cercare i guai col lanternino.
Immobilità nervosa. Che bella malattia nuova!
I giovanotti dei sogni, si sa, non esistono e la piccola ape invalida rimase zitella. Dalla disperazione perse l’appetito, ma nessuno se ne accorse.
Una volta ricamato il corredo alle sorelle, le fecero lavorare a uncinetto, coi rimasugli di lana, le coperte per tutta la famiglia. Era lei che pelava le patate per il minestrone o sbatteva a lungo le uova quando cucinavano il pan di Spagna. Almeno si passava il tempo e faceva qualcosa.
Insegnò l’alfabeto ai nipotini piccoli e fu così che riprese i libri in mano.
Un giorno si ritrovò a disegnare un’ape ballerina sul margine del sillabario. A scuola era stata sempre brava in disegno, ma a quei tempi era troppo pigra e annoiata per accorgersene.
La notte sognò di danzare lieve lieve in un raggio di luna. Si trovava sul tetto spiovente di una casa di vetro, aveva le scarpette da ballo ed un tutù di velo candidissimo.
Si svegliò con la faccia bagnata di lacrime. Chiese un quaderno e una matita, sua madre vide che disegnava e dapprima la lasciò stare, dopo un paio d’ore, tuttavia, le portò il lavoro a uncinetto dicendole che, almeno, facesse qualcosa di utile.
La piccola ape sbagliò tutti i punti e dovette scucire più volte il lavoro. Suo padre se ne accorse e non disse niente, ma era evidentemente contrariato.
Il nipote minore volle fatto un problema, il mezzano un tema, la più grande le portò altra lana per un plaid ai ferri.
Chissà se la zia sarebbe stata capace di farle un vestito, una giacca o almeno un gilet, che si usava tanto.
Quel pomeriggio la piccola ape meditò. In fondo, le venne da pensare, si trattava di immobilità nervosa. Non era nulla di reale.
Provò invano, per tutta la notte, a muovere le zampe.
Il giorno dopo le riportarono il lavoro a uncinetto, venne anche la vicina di casa con un grosso pacco di altri rimasugli di lana.
< Così almeno fa qualcosa, povera creatura > disse.
Accanto alla sedia a rotelle della piccola ape c’era un cesto rigurgitante di gomitoli multicolori.
Dopo averci provato per tutto il giorno, riuscì a muovere appena l’alluce del piede sinistro. Ciòl’esaltò.
“ Se guarisco” pensava, “ vado a scuola di ballo e volo artistico. A dito a dito mi muoverò di nuovo.”Ebbe a malapena il tempo di disegnare ballerine per un’oretta, dopo si addormentò a piombo col quaderno sul petto. Con suo rammarico, quando si svegliò, si accorse che era già giorno fatto. La nipotina grande le portò il caffelatte e, con l’occasione, le chiese se le sapesse fare un gilet a uncinetto. Sua madre le trascinò accanto, contemporaneamente, un sacco di patate da pelare. Il papà non la guardò nemmeno: stava pensando ai propri guai col capoufficio.
La piccola ape provò di nuovo a muovere l’alluce, cosa che le riuscì senza difficoltà, e subito si accorse che aveva tutte e due le zampe libere.
Stava per gridare forte la sua gioia, ma all’ultimo momento si trattenne: voleva prima volare.
Per tutto il giorno tacque, lavorò a uncinetto, pelò patate e sbatté le uova del pan di Spagna. Non sentì nemmeno il bisogno di disegnare.
La notte, di nascosto, si alzò e si accorse subito che poteva camminare.
Allora si vestì e vide che era dimagrita tanto. L’abito di lino rosa, nel quale entrava a malapena e si sentiva come una torta alla fragola, adesso le stava più che a sacco. Cercò di sistemarsi stringendo un cordone della tenda intorno alla vita, si profumò per gioia e provò le ali: funzionavano, o così le parve.
Senza pensare al pericolo che correva, prese lo slancio e si buttò dalla finestra. Precipitò nella notte, terrorizzata, chiuse gli occhi aspettando l’impatto, ma ormai era talmente leggera che l’aria la sostenne e fluttuò soavemente.
Si ritrovò stretta al petto di un giovane maschio, che l’aveva afferrata a volo. Aveva gli occhi azzurri, la barba ed i capelli biondi inanellati che brillarono nel plenilunio, odorava di miele e la cingeva con un solo braccio mentre con l’altra mano le sollevava il viso:
< Quanto sei bella > ronzò lui.
< Anche tu > rispose lei arrossendo fino alle ali.
< Quanto sei magra e lieve > l’ammirò lui, < da dove vieni, come ti chiami, mi vuoi sposare?>
Lei tacque, oppressa dalla sorpresa. Un grillo romantico li vide, accordò il violino e si mise a suonare. Il cuore della piccola ape sembrava un ordigno bellico pronto a scoppiare di gioia.
< Mi chiamo Vita > rispose.
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domenica 6 gennaio 2013
L'APE PARALITICA
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BENVENUTO|
Il Paradiso non può attendere: dobbiamo già cercare il nostro Cielo qui sulla terra! Questo blog tratterà di argomenti spirituali e testimonianze, con uno sguardo rivolto al Carmelo ed ai suoi Santi
Oh, che sorpresa! Sono venuta a ricambiarti il commento e trovo qui la mia ape paralitica. Allora auguro a tutti noi che sempre la vita prevalga sulla tristezza e che i pensieri lieti portino ad azioni e risultati corrispondenti sia per noi che per gli altri.
RispondiEliminaGrazie Mimma per questi tuoi meravigliosi auguri! Spero si realizzino per tutti!
RispondiEliminaUn grande abbraccio