Si è appreso, in questi giorni, l’identità della donna yemenita fotografata da Samuel Aranda che ha vinto il primo posto del Word Press Photo Award.
Paragonata alla Pietà del Michelangelo, questa immagine che ha fatto il giro del mondo, venne scattata durante gli scontri che diedero vita alla “primavera araba”.
Pare che la donna sia Fatima Al-Qaws, ed è la madre di un giovane manifestante, rimasto ferito negli scontri.
La donna sostiene di non essersi accorta di chi aveva intorno, quindi neppure dello scatto del fotografo, tanto era felice di aver trovato il figlio, dopo ricerche affannose tra i corpi dei morti, e negli ospedali dove furono ricoverati i feriti. Il figlio era quasi asfissiato dai gas lacrimogeni, e ferito, ma fortunatamente vivo.
Mi è stato fatto presente che potrebbe trattarsi di una notizia falsa, e che altra persona, per appropriarsi dell’insperata fama, malata di protagonismo, si sia fatta identificare per quella donna. Dire pubblicamente il proprio nome, affermare che si tratti proprio di lei e del figlio Zayed, pare che per una donna musulmana sia negare perfino il significato del suo velo, che nell’Islam ha la valenza di un voto.
Ho tenuto in debito conto queste considerazioni, ma ritengo che la madre di un dimostrante possa ben condividere le scelte del figlio, che in qualche modo si sia schierata con le idee progressiste, e che dunque sia una musulmana “sui generis”.
Ritengo inoltre, e spero di non essere in errore, che una qualsiasi madre cerchi disperatamente tra i cadaveri, quello del figlio e non trovandolo, si rechi in ogni ospedale o punto di raccolta, nella speranza di ritrovare il figlio magari ferito, ma vivo. Sfido qualunque madre a non farlo, sia essa musulmana o di altra fede.
Parto anche dal presupposto che nessuna persona si abbassi a “rubare” l’identità altrui, di fronte ad un fatto tanto tragico e, se si fosse trattato di altra donna musulmana ad agire in modo tanto subdolo, anche questa avrebbe infranto le regole della religione di Maometto. Rifacendomi alle leggi giuridiche, abbiamo il dovere di tenere in debita considerazione che l’accusato è innocente, fintanto che non vi siano prove certe della sua colpevolezza.
Termino con una domanda: per quale ragione un fatto tanto significativo non debba essere preso come buona notizia, in un mondo inondato da cronaca nera, da delitti i più efferati ? Finalmente una buona notizia: quella fotografia, simbolo della pietà, ha un esito felice: il ragazzo è vivo! Ma, in un mondo dove tutto concorre alla ricerca di notizie che fanno scalpore, forse si sarebbe preferito che quel ragazzo rappresentasse davvero il Cristo crocifisso, per meglio identificarlo con la Pietà di Michelangelo? Insomma, meglio morto e sconosciuto, che vivo e con tanto di nome? La notizia dell’identificazione dei due personaggi ha cancellato l’aura di mistero racchiusa in quella splendida fotografia? Invece di gioire per la conclusione positiva di quella vicenda, ne siamo desolati? Preferiamo pensare ad un furto d’identità? Per quale motivo tendiamo a vedere il male anche laddove non c’è? Sono certa che nel mondo alberghi ancora tanto bene, tanta gente che lotta per salvare quel briciolo di speranza che ancora resta, in un mondo migliore.
(Tengo a precisare che le donne arabe, pur indossando il burka come da tradizione, non sono per questo donne prive di cultura. Usano i cellulari e i pc esattamente come noi occidentali, frequentano le università, hanno lavori di un certo prestigio, ci sono tra loro giornaliste, donne impegnate politicamente- Vorrei sfatare quella convinzione che le donne arabe siano totalmente sottomesse al governo ed alla famiglia. Solo laddove non esiste cultura, dove c'è il degrado morale e materiale, la donna musulmana è ancora donna oggetto, proprietà assoluta del padre o del marito. E, se proprio vogliamo mettere il dito nella piaga, forse che da noi in occidente c'è qualcosa di diverso? Quanti mariti e padri, non musulmani, trattano le donne, le loro donne, come fossero oggetti usa e getta? )