AFORISMA

Meglio aggiungere vita ai giorni, che non giorni alla vita
(Rita Levi Montalcini)

Nostra Signora del Carmelo

Nostra Signora del Carmelo
colei che ci ha donato lo scapolare

domenica 16 febbraio 2020

1 GESÚ PARLA IN PARABOLE - Conferenza di Padre Claudio Truzzi OCD


1 – GESÙ PARLA IN PARABOLE
1 – Ci sono molte persone che iniziano a leggere la Bibbia, ma si fermano quasi subito, confessando di non riuscire a capirla. Il linguaggio della Bibbia è per loro incomprensibile, difficile...
Come si spiega tale convinzione, quando, invece, il linguaggio della Bibbia è molto semplice ed elementare? Non ci sono, infatti, termini difficili, astratti; ci sono invece termini di tutti i giorni, immagini tratte dalla vita quotidiana. Perché allora ci sfugge la semplicità della Bibbia?
2 – Esiste, inoltre, un altro atteggiamento nei confronti della Bibbia: coloro che leggono e credono di capire tutto..., giungono a far dire alla Bibbia tutto quello che passa nella loro mente. Anche in questo caso il significato della Parola di Dio sfugge e lo si altera.
Vale, perciò la pena affrontare l'argomento del linguaggio di Gesù, e soprattutto il suo esprimersi in Parabole,     così frequente nei Vangeli.
GESÙ È LA PAROLA
Prima di esaminare il linguaggio usato da Gesù, facciamo una considerazione su Gesù stesso.
Gesù Cristo è la Parola del Padre. «In principio era la Parola, e la Parola era presso Dio e la Parola era Dio...» (Gv 1,1). «Dio... ha parlato a noi per mezzo del Figlio... che è irradiazione della sua gloria ed impronta della sua sostanza, e tutto sostiene con la sua potente parola...» (Ebrei 1,1).
Che cosa significa: Gesù è la “Parola”? Che cos'è la “Parola”?
La parola è la manifestazione di chi la pronuncia, il suo comunicarsi, il suo farsi conoscere.
Se Gesù è “la Parola del Padre”, ciò significa allora che Gesù è la manifestazione del Padre, Dio rivelato agli uomini. Per questo è affermato: «Dio, nessuno l'ha mai visto; [ma] proprio il Figlio Unigenito, che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato» (Gv 1,18). E Gesù risponde a Filippo che chiede di “mostragli” il Padre: «Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me ha visto il Padre...» (Gv 14,9).
* GESÙ PARLA AGLI UOMINI
Il Padre si rivela agli uomini in Cristo, che ne è la manifestazione, la rivelazione, (ossia, la “Parola”).
È infatti, proprio della parola il comunicare. Il Figlio di Dio incarnato, Cristo Gesù, venne proprio a far conoscere agli uomini i piani di Dio, Padre, e per far questo molto insegnò, spiegò, ammonì, rimproverò, raccontò. Egli avrebbe potuto scegliere qualsiasi forma di comunicazione e qualsiasi tipo di linguaggio.
Ma, che cosa scelse?
Non i paroloni astrusi dei dotti,  degli scienziati: preferì, invece, le espressioni umane più comuni, la lingua del suo tempo, della sua razza, nella forma più semplice parlata dal popolo.
Il linguaggio che egli usa non è [e non vuol essere!] valido soltanto per i suoi contemporanei.
Gesù  affermò: «Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno». (Luca 21, 33)
Quindi secondo l'intenzione di Gesù esse sono valide per tutti gli uomini di tutte le epoche: sono sempre attuali.
Ma nonostante la semplicità del suo parlare
– i contemporanei di Gesù lo capivano? Pochi, molto pochi.
– E gli uomini di oggi comprendono Gesù, il suo messaggio? Sempre pochi, molto pochi.
Siamo di fronte ad un fatto che ha dell'incredibile, se non fosse così frequente: all'epoca stessa di Gesù, ieri, oggi.
Se ci fermiamo ai risultati, vien da concludere che Gesù non scelse la via giusta, il linguaggio appropriato per farsi capire.
Ma, se crediamo che Lui è Dio, non possiamo che trarne le conseguenze: il metodo scelto da Gesù è il migliore sotto ogni aspetto. Non esiste un linguaggio più efficace, veritiero, semplice, accessibile, completo.
Per esempio: a  Gesù stava molto a cuore far comprendere la nuova realtà che la sua venuta e la sua opera fra noi stava realizzando [Ciò che passa sotto l'espressione di “Regno dei cieli”].
E l’ha spiegato frequentemente mediante il genere letterario della Parabola.
E tramite le parabole egli andò tessendo l’ordito delle distinte sfaccettature di questa Buona Novella.
Il “Regno”, ci dice...
–  è simile al lievito, che una donna nasconde nella farina, affinché faccia fermentare tutta la pasta.
–  è simile ad una granello di senape: il più piccolo di tutti i semi; che, però, poco a poco cresce tanto che gli uccelli      vengono a posarvisi sopra.
–  è simile ad un uomo che semina frumento: sia che il padrone rimanga sveglio e che dorma, il grano germina    e cresce senza che l’uomo sappia come. –  Ecc., ecc.., ecc...
Nonostante tante siano le immagini che Gesù impiega, egli pone sempre a tutti un denominatore comune:
Il «Regno dei Cieli» è qualcosa di:
– molto semplice, capace d’essere capito da chiunque;
– molto nascosto e prezioso, come un tesoro;
– molto piccolo, come un seme;
– molto dinamico e contagioso, come il lievito;
– molto aperto, come una rete;
– molto concreto, necessario: o si appartiene ad esso o se n’è fuori. E fuori dal Regno non è possibile la Salvezza.
Strane e meravigliose le parabole di Gesù! Tanto semplici, che sembrano alla portata di qualsiasi ed insieme tanto profonde che soltanto pochi saranno capaci di decifrarle; tanto concrete, da un lato, e tanto enigmatiche dall’altro – così ieri, come oggi – al momento di fornire risposte concrete.
Gesù le volle così. E Lui stesso convertiva, coinvolgeva gli ascoltatori in protagonisti delle sue storie, in giudice di ogni situazione. «E tu, che cosa ne pensi?» – interrogava.
E data la similitudine tra questo genere letterario delle parabole e quello dell’allegoria, già dal tempo degli evangelisti e più tardi dei santi Padri e scrittori ecclesiastici, ogni evangelizzatore ne venne adattando il significato alla situazione concreta di ogni comunità cristiana.
Non meravigliamoci mai del fatto che dinanzi ad uno di tali racconti, alcuni rimangano impassibili («Chi può capire, capisca...»), mentre in molti altri provochino interpretazioni differenti. Se una semplice opera letteraria o musicale è aperta a molteplici messaggi, come possiamo negare tale possibilità ad un genere come questo?
Nessuna interpretazione può esaurire il suo contenuto.
Ecco l'enigma e l’importanza delle Parabole!
Conoscerle, capirle, interiorizzarle, renderle “preghiera” nostra. Abbiamo detto “renderle preghiera” perché,
– primo, sotto nessun’altra luce come sotto la luce dello Spirito possiamo interpretare il loro senso.
– secondo, perché non esiste nessun clima più opportuno per propiziare il nostro ascolto ed anche la nostra risposta come quelli che sgorgano in questo tratto di amicizia che è l’orazione.
Metodo: ricordiamo i tre livelli di lettura – possibili ed inseparabili – con cui dobbiamo avvicinarci ad ogni parabola. Tener ben presente, 
– Il significato unico-concreto che Gesù volle dare quando le espose la prima volta.
– L’altro significato, con cui ce lo riferirono gli evangelisti.
– Ed infine, ciò che noi stessi intendiamo infonder loro, applicando le parabole all’attualità nostra.
E non dimentichiamo, tuttavia, d'interpretarle sempre nel contesto di tutte le altre rimanenti, nel contesto di tutto il Vangelo ed in quello di tutta la Rivelazione.
•   Torniamo al problema: Allora, qual è la causa che rende così difficile capire ciò che Gesù espone? Tanto astruso che si rinuncia ad ascoltarlo, che non lo si prende neppure in considerazione e si agisce come se non avesse parlato? Eppure si tratta di temi grandi, che riguardano il destino dell'uomo: la vita e la morte, il senso stesso dell'esistenza umana e dell'universo!
Consideriamo dettagliatamente i “singoli problemi”:
– primo: in che cosa consiste il linguaggio in parabole di Gesù,
– poi, perché ha scelto di parlare in parabole,
– quindi vedremo perché è possibile non capirlo, –
– ed infine, che cosa bisogna fare per capirlo.
1*  – CHE COS' È IL PARLARE IN PARABOLE?
Tutti quanti ricordiamo qualche parabola di Gesù: imparata a scuola, alla lezione di catechismo, o anche ripresa, a volte, dalla letteratura, ed entrata nel linguaggio comune.
Le più note parabole di Gesù sono quelle del Figliol prodigo, del Buon samaritano, quella del Seminatore, del Buon Pastore, degli operai dell'ultima ora, o quella dei Talenti.
Di queste parabole, con ogni probabilità ricordiamo pure bene la situazione, alcuni particolari si sono stampati senz'altro nella nostra memoria, come le favole ascoltate da piccoli o qualche libro di avventure letto nella nostra adolescenza. Ma se qualcuno ci chiedesse che cosa significa una di queste parabole, oppure ci chiedesse di spiegargli i vari particolari della parabola, incontreremmo forse qualche incertezza o addirittura non sapremmo affatto che cosa rispondere. Un fatto, però, è certo: le immagini reali, concrete della parabola si sono stampate indelebilmente nella nostra memoria e le ricordiamo bene.
Ecco che cos'è una parabola: un discorso fatto per immagini ricavate dalla vita di tutti i giorni. Tali immagini significano dei concetti che sarebbe lungo e complesso [e in certi casi impossibile ed equivoco] spiegare soltanto con le parole. Le immagini sono assunte da una realtà che si conosce per indicare una realtà che è ignorata da chi ascolta. Tra le due realtà esiste una relazione di somiglianza.
È un metodo usato anche dagli uomini: far comprendere una realtà che s'ignora cercando dei riferimenti nell'esperienza che è stata già fatta.
Ma questo tipo di linguaggio, usato da Gesù, diventa espressivo al massimo; le relazioni sono perfette, le immagini vive e forti, vicine al cuore dell'uomo.
Per capire come le immagini rappresentino i concetti facciamo qualche esempio.
Nella parabola del “Figliol prodigo”, il fatto che il Padre lasci partire il figlio da casa indica la libertà dell'uomo voluta da Dio e da Dio rispettata: l'uomo è libero di distaccarsi dal Padre, di andare dove vuole; è libero di disubbidire, di sbagliare; è libero di abbandonare persino Dio.
L'accoglienza che il Padre riserva al figlio angosciato e pentito, consapevole – dopo essersi convinto che non si sta bene se non nella casa del Padre –, significa la misericordia di Dio, prontissimo a perdonare, a dimenticare; prontissimo, addirittura, a dare al figlio che ritorna il posto d'onore nella casa.
• Vedete quante parole abbiamo dovuto usare per cercare di spiegare le semplici immagini della parabola; e le nostre spiegazioni non sono certo esaurienti, perché in quest'immagini si può leggere altro; si possono trovare altri significati.
– A volte Gesù, invece di dilungarsi in parabole, si limita ad una similitudine, ad una espressione, indicando  con il nome di una cosa nota, una realtà sconosciuta di ordine spirituale. Ad esempio, indica lo Spirito – di cui i suoi ascoltatori non sono a conoscenza –, col nome di “acqua viva”, che tutti conoscono. Tra queste due realtà esistono alcune somiglianze che permettono di farsi un'idea di ciò che non si conosce, o almeno di un suo aspetto, basandosi su ciò che si conosce.
•  Da notare, però, che ogni somiglianza è parziale, limitata: Gesù, infatti, per indicare lo Spirito – o meglio altre qualità dello Spirito –, lo paragona al vento ed anche al fuoco. Lo Spirito ha quindi, tra l'altro, alcune somiglianze con l'acqua, il vento e il fuoco... Naturalmente nessuna immagine esaurisce la ricchezza dello Spirito. Le parole sono perciò un mezzo limitato, anche quando sono pronunciate da Gesù. Sono però il mezzo che ci porta a Lui.
2*  PERCHÈ GESÙ PARLA IN PARABOLE?
Si risponde, solitamente, che Gesù si esprime in parabole per essere capito da tutti, poiché usa termini  semplici, immagini tratte dalla vita quotidiana, alla portata di tutti.
Tale spiegazione non è del tutto esatta. Ci troviamo, infatti, più volte di fronte ad un fatto curioso: quando Gesù espone una parabola, può accadere che nessuno la capisca, neppure i suoi discepoli: «Pietro allora gli disse: – Spiegaci questa parabola. Ed egli rispose: – Anche voi siete ancora senza intelletto?» (Cf Mc 4,10; 13,33, 15,15).
Ma allora viene da chiedersi: Gesù parla in parabole per non essere capito? Neppure ciò è esatto.
•• Vediamo di affrontare il problema, perché si tratta di un argomento della massima importanza.
La chiave per comprendere tale enigma ce la fornisce Gesù stesso, in Matteo 13,10ss.
«Gli si avvicinarono i discepoli e chiesero: – Perché parli loro in parabole?
Egli rispose: – Perché a voi è dato conoscere i misteri del regno dei cieli, ma a loro, no... Per questo io parlo loro in parabole affinché pur vedendo non vedano, e pur udendo non odino e non comprendano. E così s'adempie per loro la profezia di Isaia che dice:
“Voi udrete ma non comprenderete, guarderete ma non vedrete. Perché il cuore di questo popolo si è indurito, son diventati duri di orecchi, e hanno chiuso gli occhi, per non vedere con gli occhi, non sentire con gli orecchi e non intendere con il cuore e convertirsi, e io li risani. Ma beati i vostri occhi perché vedono e i vostri orecchi perché sentono!».
Gesù afferma chiaramente – citando il profeta Isaia – che la parola è data, ma le orecchie del popolo si sono indurite; c'è il rifiuto ad accogliere la parola, la decisione di restare separati da Dio, la decisione di non convertirsi. Questo accecamento volontario è la causa della non-comprensione dei misteri del regno dei cieli, non l'oscurità della parola presentata sotto il velo della parabola.
Infatti Gesù conclude molti suoi discorsi in parabola con l'espressione: «Chi ha orecchi per intendere, intenda!».
È un invito alla comprensione, a cambiare atteggiamento, ad assumere un atteggiamento di ascolto, di accoglienza della Parola.
Gesù afferma: «Non date le cose sante ai cani e non gettate le vostre perle ai porci!». (Mt 7,6).
Nel Prologo del Vangelo di Giovanni è scritto (l, 5ss): «La luce splende ne/la tenebre ma le tenebre non l'hanno accolta... Venne tra la sua gente, ma i Suoi non l'hanno accolto... Ma a quanti l'hanno accolto...».
••  Colleghiamo insieme questi passi.
Gesù non tace: parla, parla a tutti. E se parla è per essere capito, per dare Luce. Questa è la sua missione: «Illuminare ogni uomo che viene in questo mondo» (Gv 1,9). Egli sceglie la forma delle parabole affinché il suo messaggio s'imprima con forza nella mente di chi ascolta, di chi capisce e di chi non capisce. La parabola così ricevuta può destare il desiderio di comprenderla.
– Chi crede a Gesù avendo visto i suoi segni (Miracoli d'ogni tipo), ascolterà con attenzione, si farà suo discepolo per essere maggiormente illuminato. Infatti, ai discepoli spiegava ogni cosa (Mc 4,33).
– Chi non crede a Gesù dopo aver visto le sue opere, non ascolta col desiderio di capire, come luce che viene da Dio; non vuole approfondire la parabola che gli resterà oscura; oppure crederà di averla capita, e sarà soltanto un gesto di presunzione.
In parole povere, la parabola è il mezzo per raggiungere tutti, senza distinzione, senza esclusioni: chi si esclude lo fa da sé. I segni fatti da Gesù e le parabole da lui pronunciate sono per tutti: la spiegazione delle parabole è solo per chi la cerca, è soltanto per chi crede. Comprendere la rivelazione di Dio significa entrare in intimità con Dio, e non possono accedere a questa intimità i “cani e i porci”, ossia coloro che non si pongono nel giusto atteggiamento di fronte a Dio. Per questo le parabole usano parole semplici, non parole astratte e difficili. Usa immagini note a tutti. È pronunciata in pubblico. Si imprime facilmente nella memoria. Tutti odono, tutti possono guardare. La luce è per tutti, ma la riceve solo chi vuole, chi crede, chi domanda, chi si fa discepolo. Le parabole sono un modo per lasciare liberi gli uomini.
Quindi, in conclusione: Gesù parla per essere capito da tutti, ma lo capisce solo chi si fa discepolo.
GESÙ SPIEGA ANCQRA OGGI LE SUE PARABOLE

Qualcuno potrebbe obbiettare che Gesù non ha spiegato personalmente tutte le parabole che si trovano nel Vangelo, o se l'ha fatto, queste spiegazioni non sono state scritte dagli Evangelisti. Inoltre, noi non abbiamo la fortuna di avere Gesù vicino come i primi discepoli e chiedergli spiegazione di tutto ciò che dice o ha detto.
Nei Vangeli possediamo la spiegazione fatta da Gesù soltanto di circa 7 parabole. Ma una frase nel Vangelo di Giovanni ci apre la strada per la comprensione anche di tutte le altre. «Ma il Consolatore, lo Spirito Santo che il Padre invierà nel mio nome, Egli v'insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che vi ho detto» (Gv 14,26ss).
I discepoli – pur essendo stati vari anni con Gesù –, erano ancora «sciocchi e tardi di cuore» (Luca 24,25), non capivano bene le parabole neppure quando Gesù le spiegava. Non riuscivano ad afferrare neppure i discorsi di Gesù quando parlava apertamente! Ma ricevettero lo Spirito Santo – secondo la promessa di Cristo – ed allora compresero tutto, ricordarono tutto, colsero il senso di tutte le parole delle Scritture.
Leggi tre volte!
Nel consegnare il libro sacro al giovane, il maestro di spiritualità gli suggerì di leggerlo ben tre volte.
"Una prima volta, per aprire gli occhi della mente; una seconda volta per aprire gli occhi del cuore...".
"E la terza?" – lo interruppe, impaziente, il discepolo.
"La terza volta per chiudere gli occhi della mente e del cuore".
"Non capisco!", ribatté il giovane.
"Prova e vedrai!"
Il discepolo si ritirò in meditazione col suo libro e seguì i consigli del maestro.
Quando giunse alla terza lettura, dopo aver assaporato tutta la profonda bellezza dell'insegnamento divino, sentì una luce di grazia accendersi in lui: gli si stavano aprendo gli occhi dell'anima.
La medesima cosa accade oggi a chi desidera esser discepolo di Gesù. È normale che quando si diventa discepoli non si abbia ancora capito molto. Si diventa discepoli di Gesù sull'esempio di altri, leggendo la Bibbia, mossi da qualcosa dentro di noi che ci spinge a credere, a fidarci...
Forse per anni camminiamo così, a tenoni, intravedendo qualcosa, ma senza capire... Finché un giorno si chiede al Signore il suo Spirito, fidandosi della sua promessa, ed allora, ecco, tutto si rischiara.
Lo Spirito, che è luce, viene e ci ricorda tutto quello che Gesù ha detto e ce lo fa comprendere. Allora cogliamo un altro valore delle parabole: Quelle immagini così vive e semplici impresse nella nostra memoria stavano lì in attesa della venuta dello Spirito, che viene e ne apre il senso misterioso, spirituale.
*  TUTTA LA BIBBIA È UNA GRANDE PARABOLA
Possiamo affermare: tutta la Bibbia è una grande parabola, in cui Dio parla attraverso azioni, attraverso i fatti accaduti a quanti ci hanno preceduto, attraverso i Profeti, attraverso ciò che Cristo ha fatto e detto. «Tutte queste cose però accaddero a loro come esempio, e sono state scritte per ammonimento nostro...» (I Cor 10,11).
La Bibbia non usa parole astratte, difficili. Dio si serve di fatti realmente accaduti per insegnarci delle verità profonde. Tutta la storia di Israele diventa una grandiosa parabola che fa comprendere l'agire di Dio, la sua volontà, il significato della vita e della storia dell'umanità, i disegni di Dio per la salvezza degli uomini.
La stessa Creazione diventa una parabola, un insegnamento di Dio che si manifesta a noi attraverso la realtà materiale per indicare la sua potenza, la sua sapienza, il suo amore. –[Come dice San Paolo, in Rom. 1, 18-21].
•  E Gesù ci manifesta le medesime cose attraverso le opere che egli compie. Gv 10,38: «Se non volete credere a me, credete almeno alle opere».
•   Di fronte a tali insegnamenti possiamo fare come molti contemporanei di Gesù e guardare senza vedere, ascoltare senza comprendere, e sarà un “non-vedere e un non-sentire” volontario e perciò colpevole.
Possiamo, però, metterci in ascolto: è Dio che parla, è Dio che agisce, è Dio che si rivela. Questo è l'atteggiamento umile e attento del discepolo. Se facciamo così, tutto sarà chiaro per noi: conosceremo Gesù, conosceremo il Padre e pure lo Spirito, conosceremo cioè ciò che di più alto esiste e può essere conosciuto.
Ricordiamo: non è possibile conoscere Dio. Conoscere Dio è un regalo fatto da Dio a chi si fa suo discepolo». Giac. 4,7: «Dio resiste ai superbi, ma agli umili fa grazia».
Il Signore dà la sua Luce, il suo Spirito a chi lo chiede.
Gc. 1,5: «Se qualcuno di voi manca di sapienza la domandi a Dio che dona a tutti generosamente e senza        rinfacciare, e gli sarà data».
Luca 11,19: «Il Padre darà lo Spirito Santo a coloro che, glielo chiedono».
Ancora una volta, a noi la scelta: chi non  capisce Dio che parla è perché non vuole capire.
Chiediamo perciò lo Spirito Santo e diventeranno veri discepoli di Cristo e avremo la gioia di entrare nei misteri del regno di Dio!


SUGGERIMENTI CONCRETI 
AL MOMENTO DI RENDERLE PREGHIERA
         1. Teniamo presente che la Parola di Dio – ed ogni parabola – si aspetta di cadere in noi come in un terreno ben lavorato ed accogliente. Per questo, prima di ogni altra cosa, raccogliamoci; facciamo silenzio intorno a noi ed in noi stessi. Rendiamoci ascolto totale!
         2. Invochiamo lo Spirito. Soltanto Lui può svelarci il vero senso della Scrittura e dilatare il nostro spazio interiore sino ad ottenere la miglior accoglienza possibile.
         3. Fatto questo, poniamoci in ascolto della Parola.
Gustiamola mediante una lettura serena e sentita, che ci trasporti con l'immaginazione ai piedi di Gesù fino ad immaginarci, uno in più tra quelle moltitudini di uditori che lo ascoltavano a bocca aperta.
         4. E ora, iniziamo a porci alcune di queste domande:
                   “Che intende dirci Gesù?
                   A chi si dirige più concretamente?
                   In quale (o in quali) di loro ci vediamo riflessi?
         5. Per ogni parabola, sfilano, a loro volta, tutto un reparto di protagonisti: il fariseo, il pubblicano, il buon samaritano, ecc. Con quale mi identifico? Con che conseguenza. Chi rifiuto?
         6. Il centro di tutte le parabole, però, è Gesù stesso.
Fermiamoci ad osservarlo. Identifichiamoci con i sentimenti che in ogni momento da Lui emanano...
         7.  Si completa il nostro momento contemplativo.
Per questo conviene che ci poniamo le domande:
         “In che luogo o situazione, a che tipo di ascoltatore, con che parole dovremmo oggi, noi, predicare questa od         una parabola simile?”.
         8. Inoltre, – se abbiamo la gioia d'interiorizzare le parabole in un gruppo – sarà molto conveniente potenziare il loro significato e messaggio scegliendo determinati “simboli”.
         9. Infine, spruzziamo il tutto con colloqui spontanei, in forma di preghiere – in silenzio o ad alta voce.

                                                                                                                                                       da «Orar», n. 94

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